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Autore: Shainareth    18/01/2009    6 recensioni
[Mai Otome - anime] Come si può chiedere ad un padre di programmare un futuro senza il proprio figlio?! La sua mente si arrovellava attorno a questo crudele pensiero, straziandogli l’animo ogni volta che la sua testardaggine cedeva il passo alla lucidità: Takumi era nel giusto. Purtroppo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akira Okuzaki, Takumi Tokiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Ragioni di Stato

15-17 giugno 2009

 




 

 

«Non è una buona ragione.»

   Contrariato dalla sua protesta, Takumi assunse un’espressione più dispiaciuta che decisa. «Ma non puoi negare che il rischio ci sia.»

   Gli occhi dell’uomo si fecero più tristi di quanto già non fossero. Quella discussione, iniziata in modo del tutto pacifico, si stava rivelando terribilmente dolorosa molto più per lui che per il proprio interlocutore. Sospirò, perdendo definitivamente la postura solenne che avrebbe invece dovuto tenere in quella data occasione: adesso non vedeva davanti a sé l’erede al trono, ma semplicemente il proprio figlio. «Takumi,» iniziò con voce roca, «perché questa presa di posizione?»

   «Non sono sicuro di poter essere un buon sovrano, in futuro, anche e soprattutto perché non ho la certezza di poterlo diventare.» Il suo primogenito si portò una mano al petto con aria mortificata, quasi come fosse stata davvero colpa sua l’essere di salute cagionevole. «Il mio cuore non è forte come quello degli altri, e sebbene io desideri con tutto me stesso poterti sostituire, un giorno, esiste l’ipotesi che tu mi sopravviva.»

   L’altro scosse il capo, nervoso, irritato. «Non dire sciocchezze!» Batté un pugno sul ripiano dello scrittoio dietro il quale era seduto, sentendo sulla propria pelle la sofferenza del ragazzo. «Vivrai a lungo, ti basterà prendere i farmaci necessari e stare attento a non sforzarti più del dovuto» stabilì, convinto, come se il suo fosse il referto del più grande luminare in medicina.

   Takumi sorrise, intenerito. Sia suo padre che sua madre quasi si rifiutavano di ammettere la malattia che lo affliggeva da anni, e per quanto egli non se la sentisse di biasimarli, aveva il dovere di riportarli alla realtà per il bene del Regno. «E se ciò non bastasse?» L’occhiata adirata che il genitore gli rivolse, valse più di mille parole. «Non dico di avere già un piede nella fossa,» ci tenne quindi a precisare, scrollando le spalle per sdrammatizzare, «voglio solo farti notare che, per puro scrupolo, sarebbe meglio mettere le mani avanti e prendere provvedimenti.»

   «Rimane il fatto che tu sia troppo giovane. Sia per il matrimonio che per… altro» ribatté lo Shogun, burbero, abbassando tuttavia il tono della voce per via del groppo che gli si era formato in gola.

   «Anche tu sei ancora giovane» convenne il minore. «È per questa ragione che confido in te: se mi dovesse accadere qualcosa, sarai la persona più adatta a prenderti cura di chi, dopo di me, dovrà succederti al trono.»

   Ogni parola da lui pronunciata era quasi un pugno allo stomaco. Al plesso solare, per la precisione. Con gli occhi lucidi per la rabbia, l’uomo si alzò in piedi e, dandogli le spalle, si allontanò di diversi metri, non riuscendo più a sostenere il suo sguardo. Come si può chiedere ad un padre di programmare un futuro senza il proprio figlio?! La sua mente si arrovellava attorno a questo crudele pensiero, straziandogli l’animo ogni volta che la sua testardaggine cedeva il passo alla lucidità: Takumi era nel giusto. Purtroppo.

   Si grattò con fare esasperato i ricci castani, sbuffando. «Preferirei che tu me lo avessi chiesto perché hai compromesso una ragazza a cui sei particolarmente affezionato.»

   «Padre!» fu la protesta scandalizzata che ricevette in replica.

   «Sedici anni sono comunque pochi» si arrese infine, cercando di apparire ragionevole. «Aspettane altri due, almeno.» Dietro di lui, il suo successore sorrise, ritenendosi soddisfatto. «Intanto, se ti pare, cerca pure chi pensi possa fare al caso tuo.» Il ragazzo fece per parlare, ma il re si voltò nella sua direzione per prevenirlo. «Non dirmi che hai già deciso.»

   «Ehm… direi una bugia» si sentì rispondere. «Nulla in contrario?»

   Sospirò una seconda volta, rilassando i tratti del viso stanco. «È di buona famiglia, di antiche e rispettabili tradizioni» prese allora ad elencare, misurando la stanza a passi lenti. «So che tiene a te almeno quanto me e tua madre, quindi direi di no.»

   Sentendosi sollevato, Takumi distese di nuovo le labbra verso l’alto. «Ne sono felice.»

   Suo padre si fermò e lo scrutò in silenzio per qualche istante con fare incuriosito. «Ne hai già parlato con lei?»

   L’altro scosse il capo. «Oh, no. Anzi, dubito che sarà comprensiva quanto te, quando le esporrò la questione» dovette ammettere, temendo di dover ricorrere in futuro anche a degli apparecchi acustici, nel qual caso fosse sopravvissuto per regnare su Zipangu, per via delle urla che sapeva si sarebbero levate contro le sue motivazioni. «Spero, però, che due anni siano sufficienti per convincerla che la mia decisione non è mossa soltanto da ragioni di Stato.»

 

Akira aveva appena pochi mesi più di lui, e per questa ragione avevano passato l’infanzia insieme, condividendo gioie e tristezze. L’unica eccezione era rappresentata dalla scomparsa prematura della madre della ragazza, morta in seguito a complicazioni durante il parto. Rifiutandosi di diventare sia Otome che kunoichi, la donna era stata una ninja professionista addestrata alla prestigiosa scuola degli Okuzaki, e la sua abilità era riconosciuta dallo stesso Maestro anziano che ne aveva fatto la propria guardia del corpo e se ne era affezionato al punto dall’accettare di buon grado l’amore che con il tempo era nato fra lei ed il suo primogenito, suo erede universale. Morta lei, Akira era divenuta l’unica ragione di vita degli Okuzaki, padre e figlio. Non era stata cresciuta come le sue coetanee né viziata, anzi: l’avevano spinta a vivere esattamente come sua madre, senza neanche chiederle se la cosa le stesse bene o meno. Non che lei se ne fosse mai lamentata, anche e soprattutto perché era stata messa al fianco del successore dello Shogun del Regno al fine di instaurare con lui un rapporto di completa simbiosi, indispensabile affinché fosse in grado di proteggerlo in ogni situazione, e questo le aveva permesso di stringere una sincera amicizia con il giovane Tokiha no Kami Tadayori.

   Takumi non sapeva se la sua guardia del corpo era o meno felice di quella situazione, ma capiva che lei aveva accettato la sua missione come se fosse stato l’unico ruolo che le spettava nella vita. Da una parte il ragazzo se ne rallegrava, ma dall’altra continuava a tormentarlo il pensiero che forse Akira sarebbe stata meglio altrove, magari vivendo a tutti gli effetti come una donna. Anche la figlia del sovrano, sorella maggiore di Takumi, aveva intrapreso una strada simile a quella della loro amica al fine di proteggere il futuro re del loro Paese, ma col tragico risultato di rischiare la follia quando, preclusale la strada del cuore in quanto Otome, si era innamorata di un giovane di Windbloom. Era quindi svanita nel nulla, Mai, e per diverso tempo nessuno aveva avuto sue notizie, lasciando la famiglia reale di Zipangu nella disperazione più profonda fino a che ella non era ricomparsa nuovamente nella Foresta degli Spiriti, ormai al servizio della dea-gatto Mikoto. Ma se questa conclusione che la fanciulla aveva accettato con una certa rassegnazione era per lei motivo di soddisfazione o meno, nessuno lo sapeva. Forse per chi gestiva gli affari del Garderobe il ruolo svolto dal Rubino dell’Arco di Fuoco, a suo tempo scelto come Quarto Pilastro, doveva apparire decisamente prestigioso; per la famiglia di lei, invece, ben comprendendo la sua sofferenza passata, restava il dubbio che dietro il sorriso di Mai vi fosse ben altro.

   Questo era infatti uno dei motivi che spingeva quotidianamente Takumi a chiedersi se anche Akira fosse felice o meno della vita che conduceva: a sedici anni, si ripeteva, era costretta a nascondere il proprio corpo dentro abiti di foggia maschile per poter essere libera di muoversi meglio al suo fianco. A quell’età, però, avrebbe dovuto pensare a ben altro, si era convinto il giovane. Le voleva bene, sinceramente, e non come ad una sorella, benché fossero stati cresciuti quasi in quei termini.

 

Erano passati alcuni giorni da che aveva avuto luogo quella dolorosa conversazione fra padre e figlio, e ora Takumi continuava a domandarsi in che modo avrebbe esposto la questione all’amica. Era conscio del fatto che anche lei provasse i medesimi sentimenti di affetto nei suoi riguardi, tuttavia conosceva bene anche il suo senso dell’onore e dell’umiltà, e questo gli dava parecchie preoccupazioni circa la risposta che lei avrebbe potuto dargli se lui avesse avanzato una domanda di matrimonio. Visto il coinvolgimento della famiglia reale, avrebbe dovuto forse rendere partecipe della cosa prima di tutto il padre della ragazza per chiedergli il permesso di perseguire in quel suo proposito, eppure, se lo avesse fatto, il principe sapeva che lei non glielo avrebbe mai perdonato: era una cosa talmente personale che, almeno fino a che Akira stessa non avesse preso una decisione, nessun altro avrebbe dovuto esserne messo a conoscenza. E lui già ne aveva parlato con lo Shogun in persona…

 

«Era necessario usare armi vere?»

   La ninja volse gli occhi a mandorla verso di lui e si concesse qualche istante per riprendere fiato alla fine dell’allenamento mattutino che svolgeva con Iori ed altre guardie di palazzo. «È l’unico modo per non sottovalutare queste farse» gli spiegò, sedendosi sotto al porticato della palestra per ripararsi dai raggi del sole.

   Il giovane le porse un asciugamano, quasi fosse stata lei la padrona e lui il servo. «Resta comunque rischioso.»

   «Solo per chi non segue le direttive del Maestro» rispose l’altra, tamponandosi la fronte ed il collo.

   Takumi si soffermò ad osservarla approfittando del fatto che lei era tornata a prestare attenzione ai suoi compagni d’addestramento: Akira non possedeva lineamenti troppo femminili, eppure aveva un viso delicato ed una corporatura troppo minuta perché fosse scambiata per un maschio. O forse, si ritrovò a pensare l’erede al trono, questa impressione era sua soltanto, troppo abituato com’era a considerarla per quello che era realmente. Possedeva, invero, una forza pari a quella di un uomo e, anzi, dopo uno scontro con una Coral, si era addirittura dimostrata più in gamba delle studentesse del primo anno della scuola per Otome, e senza l’ausilio delle odiate nano-macchine. Se Akira avesse scelto di diventare una Meister come Mai, probabilmente lui ne avrebbe sofferto allo stesso modo, se non più; magari non subito, ma con il tempo, arrivando a nutrire per lei quei sentimenti e quegli istinti che, crescendo, si provano nei confronti dell’altro sesso, di certo avrebbe finito col tormentarsi esattamente come l’erede di Cardair, innamorato della propria Otome e, seppur corrisposto, obbligato da quelle maledette, insensate regole che il Garderobe pareva essersi inventato seduta stante, a non poterla amare come avrebbe dovuto. Takumi non voleva che Akira diventasse come Akane o come sua sorella, costrette a vivere sottomesse a scelte che altri avevano fatto per loro, e se anche lei non aveva seguito la stessa strada delle due Meister, rimaneva pur sempre una guerriera alla quale, continuando a fargli da guardia del corpo, difficilmente le sarebbe stato concesso di avere una famiglia propria.

   «Che hai da fissarmi con quella faccia da idiota?»

   Se non fossero cresciuti insieme, probabilmente il figlio del sovrano si sarebbe scandalizzato per quella confidenza. Anzi, un altro, al posto suo, avrebbe gridato al vilipendio di una delle più alte cariche dello Stato. Lui no. Si limitò a sorridere. «Nulla, mi sembri stanca.»

   La ninja alzò le spalle. «Non più del solito» rispose, issandosi poi sulle gambe per rientrare a palazzo.

   Forse non era aggraziata quanto le altre donne del Regno, ma Akira possedeva una certa solennità nei modi, nell’incedere e nel parlare che le conferivano comunque una indiscussa eleganza. Questo, a patto che non si abbandonasse alle emozioni, cosa che succedeva solo quando di mezzo c’era lui. Takumi ne era al corrente, e, benché non ne andasse particolarmente fiero, trovava diletto nel vederla perdere la compostezza che le era propria per colpa sua.

   Prese a seguirla, scortandola come se volesse invertire i loro ruoli.

   «Avevi bisogno?» si sentì domandare.

   «Volevo parlarti di una certa cosa, ma se adesso non puoi, rimandiamo pure.»

   «Ho il tempo per una doccia?»

   «Certo, non c’è alcuna fretta.»

   Akira rallentò l’andatura, volgendo il capo all’indietro per guardarlo. «Allora perché mi talloni?»

   «Beh, di solito sei tu che pedini me» la prese in giro lui.

   La ninja assunse un’espressione indispettita. Takumi adorava quando accadeva, perché spesso quel mutamento era accompagnato da un lieve rossore sul viso. «Io non ti pedino. Ti proteggo, è diverso» precisò, tornando a fissare davanti a sé con decisione. «E comunque non c’è ragione che tu mi segua fino sotto la doccia, se non è una questione urgente.»

   Il giovane si trattenne dal commentare quel che lei gli serviva su di un piatto d’argento, poco abituata com’era ad avere a che fare con uomini che le rispondessero in modo sconveniente. «In effetti ho quasi due anni di tempo per parlartene, ma preferisco comunque affrontare la questione quanto prima.»

   «Due anni?» ripeté l’altra, inarcando un sopracciglio. «Perché, poi che succede? Muore qualcuno?»

   Cercando di ignorare quell’infelice battuta, lui si fermò e mormorò: «Prenderò moglie.»

   Akira arrestò a sua volta il passo, incapace di procedere oltre. Rimase muta e ferma. Takumi si mosse per affiancarla e la trovò tremendamente pallida. Intenerito, le sorrise.

   «Va’ a rinfrescarti, ora. Avremo modo di discuterne dopo.»

 

Lasciò cadere gli abiti sul pavimento dello spogliatoio e rimosse le bende dal petto con una lentezza che non le era mai appartenuta. Le sembrava di vivere una vita che non le apparteneva. Sentiva la testa pesante quanto un macigno nonostante la sua mente fosse sgombra da ogni pensiero. Meno che da uno.

   Perché contrarre matrimonio in così giovane età? Oh, beh, sembrava risponderle la parte lucida della sua coscienza, non che vi fosse qualcosa di strano per un membro della famiglia reale.

   Aprì i rubinetti della doccia e si posizionò sotto un getto d’acqua gelata, rabbrividendo da capo a piedi, per liberarsi dall’influsso negativo di quelle preoccupazioni. Invano, perché un minuto dopo si strinse nelle spalle e poggiò la fronte contro le piastrelle cerulee che rivestivano le pareti della stanza da bagno.

   Takumi si sarebbe sposato di lì a due anni. E a renderlo felice, a donargli dei figli, sarebbe stata un’altra persona, non lei. Lei, anzi, avrebbe continuato a fare da corollario alla vita del prossimo Shogun. No, peggio, le sarebbe stato sottratto il diritto di restargli accanto come faceva adesso, perché lui avrebbe avuto una moglie con cui parlare dei propri problemi, una moglie che si sarebbe presa cura di lui, rammentandogli l’ora per prendere le medicine, una moglie che lo avrebbe consigliato, consolato, abbracciato, amato…

   Senza che potesse farci nulla, Akira si ritrovò a piangere, crollando a sedere sui talloni con l’unica consolazione che i suoi singhiozzi fossero coperti dallo scrosciare dell’acqua.

 

Quando varcò la soglia della stanza del suo signore, le parve quasi di stare andando incontro alla morte. Si rendeva conto dell’esagerazione di quel paragone, ma non le riusciva di smorzare la paura in alcun modo.

   Provvide Takumi a farlo per lei, mentre prendeva posto in terra, al centro della camera. «Uhm… Akira-kun?» iniziò con una certa spensieratezza, come se fosse del tutto inconsapevole del danno arrecatole con quella decisione. «Sei quasi cianotica. Hai stretto troppo le bende attorno al petto?»

   Subito lei riacquistò colore. «… A dire il vero… non le ho messe…» rantolò a metà fra l’offeso e l’imbarazzato.

   Mordendosi la lingua per quella mancanza di tatto e cercando di capire, attraverso la soffice stoffa color porpora dello yukata che le avvolgeva il corpo, quale fosse la differenza fra quando si fasciava il seno e quando non lo faceva, il giovane la vide inginocchiarsi mestamente di fronte a lui. Aveva gli occhi bassi e si torturava le dita delle mani in grembo. «Hai indossato un kimono da donna» constatò lui, con un certo sollievo. «Dovresti farlo più spesso, ti stanno molto bene.»

   «Grazie.»

   La voce bassa della ragazza gli fece intuire una volta per tutte che la loro non sarebbe stata una conversazione semplice, anzi. Si era già preparato ad una lotta verbale, vista l’indole agguerrita di lei, ma quella che aveva di fronte non era la sua antica compagna di giochi, quanto un’ombra che non riconosceva.

   «Akira-kun, riguardo a ciò che ti ho accennato prima…»

   «Posso…» lo interruppe lei, incerta. «Posso chiederti il perché di tale improvvisa decisione?»

   «Non è un’idea che mi è balzata in testa così di colpo come sembra» iniziò a spiegarle Takumi, cercando di trovare le parole adatte. «È un qualcosa che prima o poi dovrò fare comunque per assolvere ai miei doveri verso il Regno.»

   «Sì, ma perché così presto?» Akira alzò gli occhi scuri verso di lui in una muta preghiera.

   «La mia… malattia» si arrese infine il primogenito dello Shogun, «non mi permette di rilassarmi al punto dal compiere questo passo fra dieci anni.» Accortosi di come il viso dell’amica iniziasse ad assumere ora un’espressione d’orrore, si affrettò a continuare. «Per ora sto bene, e si spera che io possa vivere a lungo, è chiaro.» La vide distendere i muscoli, anche se di poco. «Però è comunque meglio prendere provvedimenti il prima possibile. Siamo tutti sotto lo stesso cielo, e se non sappiamo se ci sarà o meno un domani per chi è in salute, figurarsi per chi, come me, ha problemi cardiaci.»

   Troppo frastornata per abbaiargli contro come al solito, la fanciulla si limitò a rimanere in silenzio, cosa che impensierì il suo signore.

   «Akira-kun, tutto bene?» Lei iniziò ad annuire con fare frenetico, troppo nervosa; poi, vinta dalle emozioni, scrollò il capo, quasi sull’orlo delle lacrime. Al ragazzo si strinse il cuore. «Che c’è che non va?»

   Alla guerriera ci volle qualche attimo prima di ritrovare la forza necessaria per aprire bocca. «Ne hai… già discusso con tuo padre?»

   L’altro fu costretto ad assentire: sapeva che si sarebbe arrabbiata per questo. «Mi spiace.»

   Quelle due parole furono come una crudele sentenza che le ricadde addosso affilata come mille lame infuocate. Tutto era già stato deciso, e lei non poteva fare nulla: ordini superiori.

   Benché si rendesse conto che quella era una reazione poco onorevole, e benché l’ultima cosa che volesse era procurare un dispiacere al suo padrone, non fu capace di trattenersi oltre.

   «Akira!» esclamò Takumi, dimenticandosi di colpo di usare il suffisso onorifico. «Perché piangi?!» Allarmato al punto da vincere la distanza fra loro, la prese gentilmente per le spalle. «Che c’è?» continuò a chiederle, non riuscendo in alcun modo a calmarla. «Ho fatto male a parlarne con mio padre? È questo, vero? Preferivi che ne parlassi prima con te?»

   Lei scosse i crini scuri, cercando di reprimere i singulti che la facevano tremare. «No… no… Sono… questioni delicate… me ne rendo conto…»

   «Allora qual è il problema?»

   Possibile che lui non lo capisse? No, Akira sapeva che non era così ottuso da non aver mai quanto meno intuito quali fossero i sentimenti che lei nutriva nei suoi confronti. Quindi, si chiedeva inconsolabile, perché infierire con quelle domande dalla risposta tanto ovvia?

   «Akira… Mi si strazia il cuore a vederti in queste condizioni» mormorava intanto il giovane, posando una mano sul suo volto per accarezzarlo e per asciugarlo. «Per favore… Quale che sia il motivo delle tue lacrime, adesso calmati, d’accordo?»

   «Ma…» singhiozzò la ninja, quasi fosse una bambina, «…come puoi chiedermelo… quando… quando…» Prese quello che le parve un grosso respiro e si lasciò andare definitivamente. «Ti amo…»

   La reazione a quella sua confessione arrivò, ma non a parole. La fanciulla sentì soltanto il viso stretto fra due mani calde e la bocca riempita da quella di lui. Non era il primo bacio che lei e Takumi si scambiavano, né sarebbe stato l’ultimo, perché, d’istinto, Akira si protese nella direzione dell’amico, aggrappandosi con forza al suo kimono in un disperato abbraccio.

   Fu solo quando si ritrovò stesa in terra sotto il peso del corpo di lui che la guardia riacquistò in parte lucidità. Un brivido caldo la scosse nel momento in cui avvertì la mano del giovane sfiorarle involontariamente un seno. La vergogna di quel che sarebbe potuto accadere se avessero proseguito, unita a quella dovuta alla consapevolezza di possedere forme tutt’altro che generose, la convinsero a respingere il resto dei baci e Takumi finalmente rialzò lo sguardo su di lei.

   Ripresero fiato, fissandosi negli occhi; l’uno felice come mai lo era stato prima di allora, l’altra con l’animo in pezzi.

   «Scusa…» ritrovò la voce lui. «Avrei dovuto chiederti il permesso.»

   La sua compagna quasi rise. «È un po’ tardi per pentirsi…»

   «Hai ragione, sono un disgraziato. È che quando hai detto che…» Chiuse le palpebre con forza, come se non volesse sentire il resto della frase. Che però non venne, perché il suo signore si zittì, scrutandola con nuova preoccupazione. «Akira… che hai?»

   Lei si mosse sotto di lui e lo costrinse a spostarsi per consentirle di riprendere una posizione rispettabile. Fu allora che, con un certo imbarazzo, la fanciulla si accorse che nei concitati istanti in cui si erano abbandonati alla passione, l’obi le si era allentato al punto da aprirle lo yukata sulla parte inferiore delle gambe. Si ricompose per quel che poté prima di tornare a parlare. «Mi dispiace per quanto appena accaduto» iniziò con enorme scorno del suo principe. «Non volevo affatto mancarti di rispetto.»

   «Cosa…?» boccheggiò lui, incredulo. «Quando mai lo avresti fatto? Semmai è il contrario, sono stato io a…»

   «Non fartene una colpa. Tieni però a mente che in futuro non dovrà più succedere. Dimentichiamolo.»

   «Dimentichiamolo?» le fece eco, sempre più sconvolto. «Akira, come faccio a dimenticarlo?»

   «Devi» impose lei, stringendo i pugni. «Sia… i baci che… le mie parole…» Nel dirlo smorzò il tono della voce, ed il suo colorito tornò a farsi delicatamente più acceso.

   «Per quale ragione?» non si capacitava l’altro, sempre più confuso, riprendendo a scuoterla leggermente per le spalle.

   «È per rispetto, ti dico» insistette Akira, testarda. «Rispetto per te e per la persona che sposerai.»

   Takumi credette di non aver capito bene. «Che… Che hai detto?»

   «Non farmelo ripetere, per favore!» esclamò la ninja, nascondendo il volto fra le mani.

   Sconcertato, il futuro re di Zipangu rilassò le membra, lasciandosi andare ad un sospiro di sollievo: la sua suddita prediletta aveva semplicemente, quanto tragicamente frainteso. Le passò una carezza fra i capelli, scostandole poi le dita dagli occhi affinché lei potesse incrociare di nuovo i suoi. «Perché credi che sia stato con te che ho voluto affrontare l’argomento per prima, dopo aver ottenuto il benestare di mio padre?»

   Insicura, la ragazza deglutì. «Perché siamo amici?»

   Lui sorrise. «Senza dubbio» convenne, prendendole una mano. «C’è però un motivo ben più importante, lo stesso che, credo, ti ha spinta a dirmi quello che hai qui dentro.» Posò l’altro palmo contro il petto di lei, senza curarsi di ricevere un ceffone in cambio. Ceffone che ad ogni modo non arrivò. «Akira,» riprese l’erede dello Shogun, rendendosi conto di tenerla sempre più sulle spine, «quando ho parlato di matrimonio, ho dato per scontato che tu capissi quel che intendevo, e, purtroppo, solo adesso realizzo che non è così.» La liberò dall’imbarazzante tocco all’altezza del cuore e le sfiorò di nuovo una guancia, mentre con la punta del pollice ridisegnava la morbida curva del suo labbro inferiore. «Non ho intenzione di sposare nessuno che non sia tu.»

   La fanciulla spalancò le palpebre, perdendo ogni contatto con la realtà. Le ci volle qualche secondo, tempo che a Takumi parve interminabile, per ritrovare una certa sensibilità fisica ed emotiva. Avvertì allora il forte calore del sangue che le era salito al viso, mentre il battito cardiaco, che per un momento le era sembrato fermarsi, riprendeva a pulsare veloce, inarrestabile. Akira schiuse la bocca per rispondere, ma la mascella le ricadde in giù senza volerne sapere di collaborare.

   La stava chiedendo in moglie… Era lei che Takumi voleva sposare. E quello sciocco non glielo aveva detto subito, facendole credere, invece, di avere altri progetti per la mente. Che bastardo…

   «Akira?»

   Le pupille di lei ruotarono con fare sinistro in cerca di quelle del giovane, mentre una rabbia più che giustificata assaliva la guerriera che, se avesse potuto, avrebbe sparso sangue reale sul pavimento seduta stante.

   «Akira, stai bene?»

   Si riempì i polmoni d’aria per parlare, finalmente, ma invece di qualcosa di senso compiuto, tutto ciò che le uscì dalle viscere fu un sono ruggito, ed una delle sue mani scattò, colpendo l’innamorato al volto con quello schiaffo che non era riuscita a dargli prima. Non fu forte, tuttavia fece male ad entrambi.

   «Stupido!» sbottò la ragazza, furiosa. «Cosa ti costava dirmelo sin dall’inizio?!»

   «Ma te l’ho detto…» provò a giustificarsi lui, sorpreso, sentendo la pelle prendere fuoco lì dove la l’amica lo aveva colpito.

   «No!» lo assalì lei, limitandosi questa volta alle parole. «Sei rimasto sul vago! Come diavolo potevo capire che… che…» La voce le venne meno a causa del nuovo pianto che la scosse in tutto il corpo. Takumi fece per cingerla a sé, ma lei urlò ancora, scacciandolo bruscamente. Troppo sopraffatta dai singhiozzi, però, non le riuscì di sfuggirgli a lungo, e quando si ritrovò fra le sue braccia, si avviticchiò a lui quanto più possibile, inveendogli contro ed accusandolo di essere…

   «Misogino? Cosa c’entra?» Il principe avrebbe riso per le sinapsi completamente scollegate di lei, se non avesse temuto di ritrovarsi castrato da un secondo all’altro. Le carezzò la schiena, facendola sfogare, e le baciò il capo. Quando Akira parve essersi infine calmata, le chiese: «Posso lasciarti andare senza rischiare di venire menomato?»

   La sentì grugnire e la vide sgusciare via dal suo abbraccio, tornando a sedere composta nonostante gli occhi rossi, il volto fradicio di lacrime ed i capelli spettinati. Il primo istinto dell’erede al trono fu quello di stringerla di nuovo a sé. Si trattenne soltanto perché lo sguardo di lei continuava ad essere furibondo.

   «Hai ragione» fu costretto ad ammettere. E anche se lei fosse stata di gran lunga nel torto, lui avrebbe pronunciato comunque quelle due identiche parole. «Non era mia intenzione farti stare male, lo giuro. Ero certo che avresti capito subito che mi stavo riferendo a te.»

   «E da cosa avrei dovuto capirlo?» ribatté la ninja, la voce ancora provata dal pianto.

   «Credi davvero che ti avrei detto che avrei sposato un’altra così a cuor leggero, ben sapendo che l’affetto che ti lega a me va oltre l’amicizia?»

   Le gote di Akira si imporporarono. Se per la vergogna, per la rabbia o semplicemente perché ormai aveva perso il controllo delle proprie emozioni, questo lei non seppe dirlo. «Lo vedi?» ricominciò, stizzita. «È per colpa di questa tua arrogante convinzione che non ti rendi conto di cosa significhi non avere la certezza che la persona a cui tieni possa ricambiare i tuoi sentimenti.»

   Takumi aggrottò la fronte, contrariato. «Quando mai ti ho dato ad intendere che tu non fossi importante per me? O che non gradissi le tue attenzioni?»

   «È diverso!» protestò l’altra, con forza. «Tu… Tu sei il futuro Shogun… Non ti è concesso di correre dietro ad una semplice guardia.»

   «E questo dove sta scritto?» replicò il ragazzo, sempre più fermo nelle proprie idee. «Fosse anche come dici, niente giustificherebbe il mio comportamento ambiguo nei tuoi confronti. È come se tu mi stessi accusando di essermi preso gioco di te fino ad ora, illudendoti di ricambiare l’amore che mi porti nel cuore.»

   Lei scosse la testa. «No, no… Lo sai che non intendo questo…» Sfinita, si portò le nocche delle dita sugli occhi, sfregandoli.

   Rimasero in silenzio per quasi un minuto.

   «Vuoi del tè?» domandò Takumi.

   «Vado a prepararlo» si offrì la fanciulla. Ma così come fece per alzarsi, lui la spinse nuovamente giù, trattenendola per un polso.

   «Stai qui» le disse. «Ne ordino un po’ e torno da te. Intanto, se ti è possibile, cerca di calmarti.»

   «Però…»

   «Non c’è bisogno che tu risponda ora» le fece presente, ritrovando l’indole dolce di sempre. «Avevo già messo in conto che non sarebbe stato semplice; per cui, prenditi tutto il tempo che occorre, fossero anche mesi.» Si levò sulle gambe, allentando la presa attorno al braccio dell’amica, e subito si sentì prendere per mano. «Che c’è?» chiese, volgendosi di nuovo verso di lei e trovandola intenta a mordersi le labbra.

   «Mi spiace… per lo schiaffo…»

   Le sorrise per rassicurarla. «Oh, lo meritavo. Ancor più se è servito a farti sfogare.»

 

«Hai qualche minuto per me?» Era raro che Akira gli chiedesse di parlargli in privato, specie dopo quanto accaduto un paio di settimane prima.

   «Tutti quelli che vuoi» le rispose, posando una mano dietro i suoi reni e sospingendola gentilmente verso il giardino, in modo da allontanarsi dalle persone che, a quell’ora, animavano il palazzo reale.

   «Si tratta… di ciò che sai» gli comunicò lei, senza nascondere una certa ansia. E benché anche Takumi condividesse il medesimo stato emotivo, la consueta, innata posatezza gli impediva di darlo troppo a vedere.

   Non erano più tornati sull’argomento, vuoi perché l’uno non voleva mettere fretta all’amica, vuoi perché l’altra aveva seriamente bisogno di riflettere senza alcuna pressione esterna. Erano tanti i motivi per accettare quella proposta di matrimonio, ed uno solo per rifiutarla.

   La ragazza fermò il passo, alzò il viso per fissarlo e, dopo aver preso coraggio, iniziò a parlare. «Mi rincresce, ma non posso.»

   A Takumi parve di ricevere una secchiata d’acqua ghiacciata. «Perché?»

   «Sei il futuro sovrano di questo Paese, dovresti sposare una persona del tuo stesso rango.»

   «La famiglia Okuzaki è la seconda più importante di Zipangu. Se il sangue dei Tokiha dovesse estinguersi, sareste voi a salire al potere.»

   Akira scosse il capo, infastidita. «Non mi piace fare questo tipo di discorsi.»

   «Neanche a me, ma è necessario» le fece notare l’altro. «Vista la nostra posizione sociale, non possiamo permetterci di lasciarci guidare unicamente dai bisogni individuali.»

   «È per questa ragione che dovresti prendere in moglie una principessa e non una guardia del corpo.»

   «A chi pensi sorriderebbe con maggiore simpatia, il nostro popolo? Ad una straniera che non sa nulla del nostro Regno, o piuttosto a chi vi è nata e cresciuta, amando Zipangu e la sua gente quanto li amo io?»

   «Takumi…»

   «No, lasciami finire, te ne prego» la interruppe, mettendole le mani sulle spalle, deciso a non accettare un rifiuto per una ragione che non sussisteva. «Semmai dovesse accadermi qualcosa,» e qui la vide serrare i pugni e contrarre le mascelle, «sarai tu a doverti sobbarcare del peso della Nazione. Mi rendo conto della gravità di ciò che ti sto chiedendo, così come comprendo di essere un bell’egoista a pretenderti in sposa pur sapendo di lasciarti correre il rischio di rimanere vedova in giovane età. È anche vero, però, che potrei morire senza lasciare eredi a mio padre, e nel qual caso noi non potessimo avere figli, il trono passerebbe comunque di diritto agli Okuzaki, senza che nessuno abbia a gridare a complotti o a colpi di stato.» Riprese fiato, anche per consentirle di rispondere, ma lei non lo fece. «Akira, lo capisci, vero?»

   «Posso chiederti una cosa?» prese quindi a ragionare quella, avendo rielaborato i pensieri. Se non lo avesse conosciuto bene, avrebbe potuto pensare che Takumi ne facesse unicamente una questione di Stato. E, tuttavia, la guerriera sapeva che egli non aveva torto. Anzi. «Se non c’è modo ch’io possa oppormi a tutto questo, se è già stato deciso tutto, che senso ha chiedere la mia opinione?»

   «Non è stato deciso proprio nulla!» ribatté con enfasi il giovane, allibito da quella osservazione. «Akira, pensi davvero che ti proporrei una cosa del genere senza prima accertarmi della cosa più importante?»

   «E sarebbe?» Non c’era risentimento o l’ombra di una sfida nella sua voce. Soltanto una disperata voglia di capire.

   Takumi le scostò dal viso una ciocca di capelli che, a causa del caldo venticello estivo, le era finita davanti alla bocca. «Mi ami?»

   Akira avvampò, cercando di evadere il suo sguardo per l’imbarazzo. «Io… Certo, te l’ho anche detto…» farfugliò, sentendo le dita di lui che le sfioravano delicatamente la pelle. «Però… neanche io voglio avere la sensazione di essere sfruttata, senza avere la certezza di… di…» I suoi occhi a mandorla tornarono a cercare quelli azzurri del principe, e la tenerezza che vi lesse la lasciò senza parole.

   «In tal caso, non hai di che preoccuparti» lo udì mormorare, quasi in un bisbiglio. «Mai avrei chiesto in sposa una donna della quale io non mi fidi ciecamente. Né lo avrei fatto se non l’avessi amata con tutta l’anima.»

   Takumi vide nuove lacrime illuminarle le iridi color amaranto, alle quali rispose con un sorriso.

   «Vuoi sposarmi, Akira?»

 

Un anno. Tanto era passato da che l’allora Shogun di Zipangu vedesse nuovamente il figlio varcare l’ingresso del suo studio, chiedendogli udienza privata. E questa volta non era da solo.

   «C’è qualche problema?» domandò l’uomo, accomodandosi dietro la scrivania mentre scrutava con curiosità le espressioni inquiete dei due ragazzi.

   Takumi si schiarì la gola, cercando un modo per intavolare il discorso. «Padre,» cominciò con una certa esitazione, «sarebbe possibile anticipare le nozze?»

   Quello batté le palpebre, preso in contropiede, e spostò lo sguardo verso la fidanzata di lui che, rossa in volto, abbassò il capo ed indietreggiò. «Non si era deciso di aspettare i diciotto anni, se proprio non volevate attendere la maggiore età?»

   Il suo erede annuì, impacciato, stringendo la mano della fanciulla per farle coraggio. «Sì, ma… Siamo dell’opinione che sarebbe meglio che il matrimonio si celebrasse prima.»

   «Non ne vedo il motivo» scosse la testa il sovrano, rilassando il corpo contro lo scranno su cui era seduto.

   L’altro sbuffò, non certo con l’intento di mancargli di rispetto, quanto di darsi forza. «Temiamo che fra un anno sia troppo tardi» annunciò allora, mentre Akira si nascondeva contro la sua spalla.

   Lo Shogun corrucciò la fronte. «Tardi? Per cosa?» Quasi non finì di chiederlo che un lampo improvviso gli attraversò la mente. Impallidì, battendo entrambi i palmi sullo scrittoio e protendendosi verso di loro. «Non mi dirai che…!»

   Takumi tergiversò, cercando, invano, di ignorare i guaiti della sua futura sposa, la quale, lui lo sapeva bene, era sul punto di collassare per la vergogna. «Non era nostra intenzione, sul serio… Però…» Il giovane tacque, non avendo idea di come discolparsi.

   Calò il silenzio nella stanza, e lui ed Akira avvertirono tutto il peso di quella spada di Damocle che pendeva su di loro. Su tutti e tre.

   Il quarto, invece, tentò di fare propria quella rivelazione, prendendosi la testa fra le mani, i gomiti contro il ripiano di legno della scrivania. Sospirò pesantemente e, infine, commentò: «A quanto pare… mio figlio è molto più in salute di quanto non sembri.»

   «Mi rincresce, padre» si sentì rispondere, paradossalmente.

   Lui rise con fare stanco. «Meglio questo che il contrario, mi pareva di avertelo già detto in un’altra occasione.» Alzò quindi di nuovo gli occhi nella loro direzione, mettendo a fuoco soprattutto la fanciulla, quasi scomparsa nell’abbraccio del principe. Tremava. Sua Maestà sospirò ancora, buttando le spalle contro lo schienale della sedia e mormorando mestamente: «In tal caso mi costringete a fare ciò che più detesto: farmi forte della mia posizione, per evitare che quella povera creatura subisca indirettamente l’ira del nonno materno…»













Credo che questa sia fino ad ora la one-shot più lunga da me scritta in assoluto, pertanto spero di averlo fatto in modo quanto meno decente. A dire il vero avrei voluto scrivere qualcosa di un po' più scanzonato, ma vista la serietà dell'argomento trattato, mi è stato impossibile fare di meglio, sebbene, credo, il finale abbia un po' risollevato la gravità dei personaggi.
Ringrazio coloro che hanno letto e commentato la precedente fiction, nonché Atlantislux per avermi fatto da beta, e mi scuso per via del mio essere monotematica in fatto di trame e personaggi.
Shainareth





  
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