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Autore: Artemisia_Amore    09/07/2015    2 recensioni
La leggerezza della voce di Kenneth era lentamente sfumata in un tono più serio. “Se sei così sfrontato da trattare il tuo signore come uno dei tuoi compagni di bevute, di certo non sarà un problema per te chiamarlo per nome.”
Tra colori sbiaditi e ricordi passati, uno scorcio del passato di sir Regnard e del suo giovane Lord.
DISCAIMER: I personaggi che non appartengono a Pandora Hearts sono basati sui fatti avvenuti in "Life, what is it but a dream?" ancora in corso :)
Genere: Romantico, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Nuovo personaggio, Xerxes Break
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Un passo in più

Il soffitto affrescato iniziava a cedere ai primi segni del tempo, e le pesanti tende di velluto verde lasciavano passare appena la luce del pomeriggio, e davano all’intima saletta un’aria pigra e spenta. 
“Cercate di immaginare il momento, quel magico momento in cui le nostre dita si sfioreranno appena. Dovete fare un passo in più,” disse il baronetto Taylor, sospirando mentre con un dito rimetteva a posto un boccolo della sua parrucca, “per mantenere l’armonia.” L’altro si mosse avanti di un passo, con l’aria di chi ha appena compiuto una fatica eroica.
“Bisogna ammettere che di magico c’è ben poco, in questo momento, mio caro Welbert, nel toccare le tue dita…” Il più anziano e non per questo più autorevole dei due si irrigidì e batté il tacco sul pavimento a scacchi della sala. Era l’ennesima battuta di spirito che sembrava sopportare, e di certo non era conosciuto per la sua pazienza. 
“Sarete sicuramente stanco, riprenderemo domani con la vostra lezione, signorino.” In un attimo, il baronetto si era ricomposto e aveva recuperato i suoi preziosi spartiti e i suoi variopinti disegni di figure di danza, mentre il più giovane cercava di nascondere una risata fissando il pavimento. 

“Lord Sinclair dovrebbe essere lieto di prendere lezioni di danza dal migliore di Lebleux…” Al centro della sala, l’uomo rimasto sapeva di non essere solo. Sapeva di aver avuto uno spettatore per tutta la mezz’ora di lezione che era riuscito a concedere a quel cicisbeo di corte arrivato da chissà dove. Sapeva che dietro le tre armature appartenute a suo padre e al padre di suo padre, due occhi rossi come il sole al tramonto avevano seguito ogni passo. 
“Sarò Lord solo quando mio padre me ne darà il privilegio,” ridacchiò, sospirando mentre finalmente si voltava verso la zona più buia della sala. “Quante volte ti ho chiesto di non seguirmi di nascosto, Kev?”
“Una meno del necessario, mio signore.”
“Quanta insolenza, Kev… Avresti preferito essere tu a danzare con Welbert?” Kenneth Sinclair si avvicinò all’ombra fuori misura di una delle armature in fondo alla sala. “Non credevo ti interessasse tanto la danza alemanna.” Allungò una mano alla cieca, verso l’armatura. “Se solo me l’avessi chiesto…” Con una risata, afferrò la mano di Kevin e lo costrinse a mostrarsi alla debole luce presente in sala. La sua aria imbronciata e rigida era quello che faceva sempre sorridere Kenneth. Una giravolta era più che sufficiente, lo sapevano entrambi, per suscitare la piena irritazione di Kevin e la completa ilarità di Kenneth, eppure quest’ultimo non abbandonò la sua mano prima che il secondo e poi il terzo giro fosse completo. Per la verità, non abbandonò la sua mano fino a che non fu Kevin a strapparla alla sua presa, con gli occhi sgranati puntati sui suoi e due ciocche di quel colore così insolito impigliate sul suo naso. 
“Sono il vostro cavaliere, Lord Sinclair, non una danzatrice, vi pregherei di non-“
“Kenneth.”
“C-come…?”
“Chiamami per nome, Kevin.”
“Non dite sciocchezze, Lor-“
“Tre notti fa ero alla torre di ponente per vedere lo Scettro. Ho passato tutta la notte aspettando che arrivassi, come ti avevo chiesto. E invece ho contato le stelle da solo, e da quel momento, non ti sei più fatto vedere.” La leggerezza della voce di Kenneth era lentamente sfumata in un tono più serio. “Se sei così sfrontato da trattare il tuo signore come uno dei tuoi compagni di bevute, di certo non sarà un problema per te chiamarlo per nome.” 
Kevin sbiancò. Non che i colori della sua gente gli dessero la possibilità di sbiancare facilmente. La pelle era già troppo chiara, e il colore dei suoi capelli non faceva che rendere la sua figura ancora più bianca. Abbassò lo sguardo, stringendo i pugni. Il silenzio è una delle doti dei cavalieri, pensava, e solo i migliori sanno nascondere quello che davvero pensano. “Vi chiedo perdono, mio signore,” iniziò con quello che sembrava quasi un inchino rigido e costruito che fece sbuffare Kenneth soffocando ogni altra parola nella gola di Kevin. 
Lord Sinclair si limitò a tornare al centro della sala, per poi spingersi oltre, su uno dei mobili su cui aveva malamente lasciato andare il proprio giustacuore prima della propria lezione. “Trovo particolarmente inutili le lezioni di danza. Florence ritiene che siano alla base della nobiltà, oggigiorno, ma secondo me, potrebbero benissimo essere impartite solo alle signorine,” continuava a parlare mentre passava uno a uno i bottoni di madreperla dentro le asole impunturate in oro, il volto rilassato come se nulla lo turbasse, “gli uomini non hanno bisogno di danze, o cerimoniali sciocchi e formali.” Lanciò uno sguardo a Kevin, ormai perfettamente visibile da ogni punto della sala, senza in realtà vederlo, “Se il mio primo cavaliere non avesse deciso di ammutinarsi,” Kenneth si voltò verso le tre grandi finestre coperte dal velluto verde, e si nascose dietro una delle tende, osservando l’orizzonte, “se il mio migliore amico non avesse deciso di ignorarmi, gli avrei chiesto di accompagnarmi per una battuta di caccia…”
“Non vi sto ignorando, signore. La Guardia ha richiesto il mio contributo, sono andato a Tor per conto di vostro padre e insieme al Comandante ho dovuto portare dei messaggi al Consiglio dei Quattro Ducati…” Kenneth aveva smesso di ascoltarlo, come ogni volta che credeva di ascoltare bugie. Rimase immobile dietro la tenda per qualche istante, e poi ne uscì di scatto, a passo marziale. 
“I messi per la Capitale partono ogni terzo giovedì del mese,” Kenneth sospirò, ma con un ghigno di vittoria sul viso per aver smascherato la sua scusa, “fa’ sellare il mio cavallo e tieniti pronto, usciamo tra poco,” disse, poi si voltò verso le porte della sala e le raggiunse in un paio di falcate.
“D-diretti dove, mio signore?”
Kenneth si voltò a malapena, osservando il suo giovane cavaliere da appena sopra le spalle, uno degli occhi coperto da una ciocca di capelli più corta di tutte le altre, che proprio non voleva saperne di rimanere ingabbiata nella treccia che portava da meno di una settimana. “Non te lo dirò,” sorrise divertito, e in un attimo sembrò più giovane e dispettoso dei suoi 26 anni.. “È questa la punizione per i bugiardi, Kev.”

~

“Sapevi che queste querce sono qui da almeno trecento anni? Pensare che hanno assistito e sono sopravvissute alla nascita dell’Abisso e tutto il resto mi mette un certo senso di… Tranquillità.” 
“Oltre le terre di Sablier ci sono querce di oltre seicento anni.”
“Sono comunque più giovani della cuoca del castello, Kev, non dimenticarlo.”
Lo scalpiccio degli zoccoli sulle foglie croccanti d’autunno e le loro risate erano gli unici suoni in tutto il bosco di Verlane, quel pomeriggio. Di solito si potevano trovare picchi che battevano contro le cortecce, ma l’ingresso dei due stalloni li aveva evidentemente fatti fuggire lontano, e quando i cavalli si fermarono, non un solo suono risuonava tra le fronde di quegli alberi. La luce iniziava a farsi rossa, e il sentiero ormai era ricoperto di foglie secche tanto che distinguerlo era impossibile. Kenneth scese da cavallo con un solo salto e rimase a guardarlo muoversi libero tra gli alberi, mentre Kevin era ancora lì, in sella, a torturarsi le mani con le redini. 
“Angoscia.” Kenneth guardò Kevin lasciando trasparire curiosità pura. Si avvicinò e passò una mano sul collo dell’animale. Ricordava ancora il giorno in cui suo padre lo comprò per Kevin, un giovane stallone baio dai riflessi color castagna. “Gli alberi, i loro secoli, quello che hanno visto. Mi mettono angoscia,” proseguì Kevin, mentre Kenneth continuava a guardarlo senza dire una parola. “Niente è eterno, se paragonato a loro, e allo stesso tempo, tutto sembra inesorabile.” Kenneth sorrise, e allungò una mano sulle redini del cavallo, sfiorando le dita di Kevin. Prese un respiro profondo, socchiudendo gli occhi, e sembrava che quelle parole l’avessero colpito. 
“Sai… Mi chiedo dove tu abbia trovato il tempo per pensare a simili sciocchezze,” rispose e lo tirò per una mano, invitandolo a scendere.”Dovremmo entrare in guerra con uno dei Ducati, così saresti impegnato in qualcosa di sensato.” Era nell’indole di Kenneth Sinclair, fingere di non prendere mai niente sul serio. Diede una pacca sul fianco del cavallo di Kevin, lasciandolo andare per il bosco alla ricerca del suo compagno, e sospirò, una volta rimasti soli. “La morte è eterna. L’amore è eterno.” Kevin distolse lo sguardo e fece per rispondere, ma l’indice di Kenneth piantato in mezzo alla propria fronte glielo impedì, cogliendolo di sorpresa. “Queste rughe saranno eterne, se non la smetti di avere sempre quell’espressione imbronciata. Togliti quel cipiglio dalla faccia, andiamo a fare una passeggiata. Se non ricordo male, giù a valle c’è il nostro lago…”

Il lago del bosco di Verlane era in realtà niente più che un piccolo specchio d’acqua, ma era lo specchio d’acqua preferito dal giovane Sinclair e, da quando Kevin Regnard era arrivato al castello, del suo cavaliere, anche se di solito Kevin passava il tempo a fare la guardia agli abiti del suo padrone mentre Kenneth trascorreva un tempo sempre troppo lungo immerso fino al naso dentro al lago. Per anni Kenneth aveva cercato di convincere quel ragazzino serio e rigido che un bagno nell’acqua limpida del lago non avrebbe fatto male a nessuno, senza successo. “Ti ricordi quando ti ho buttato in acqua per la prima volta? Che ridere, quella volta… Sembravi un pulcino bagnato!” Iniziò Kenneth, saltando giù da un grosso tronco caduto in mezzo al bosco. Rideva anche in quel momento, ricordando.
“Lo ricordo bene, mio signore. Ricordo anche che il capo della Guardia mi lasciò senza cena per essermi lasciato andare insieme al padrone…” Kenneth continuò a ridere, scuotendo la testa. 
“Moxley è sempre stato un uomo tutto d’un pezzo. Apprezzo che tu non sia diventato come lui…” I due uomini ero fianco a fianco, ma Kenneth credeva che non fosse comunque abbastanza. Allungò un braccio sulla spalla di Kevin, ignorando le sue deboli proteste. In risposta, strinse di più, ridendo. “Cos’è che ti opprime, Kev?” Di colpo, la voce era tornata seria, anche se il viso era ancora lo stesso, divertito e rilassato. “Da quella notte, non fai che evitarmi. Perché?”
Di nuovo, le guance di Kevin si colorarono di rosso, stavolta visibili sotto la luce del tramonto. “Non so di cosa stiate parlando, mio si-“
“Smettila di prendermi in giro, Kev. Siamo soli, qui.” Kenneth era avanzato di qualche passo, e si voltò a guardarlo, le braccia aperte, totalmente indifeso con solo la sua camicia indosso. Kevin, con gli occhi puntati sul punto in cui i due lembi del suo colletto si univano, pensò che solo uno stupido se ne sarebbe andato in giro in maniche di camicia come un contadino nonostante il pericolo di un agguato. Avanzò di un passo verso di lui, un passo ancora e poi si fermò, tormentato. 
“Lord Sinclair, mio signore, ha disposto una cena con la vostra fidanzata per questa sera. Non dovreste perdere tempo nel bosco.” Finalmente il problema era venuto a galla. Kenneth sorrise, trionfante, e incrociò le braccia al petto, fissandolo. Finalmente Kevin si era convinto a lasciarsi andare. 
“Lord Sinclair può disporre del suo tempo come preferisce, e così posso fare io. Questa sera ho già un impegno,” Kevin gli restituì uno sguardo incerto che Kenneth prese come una richiesta di chiarimento, “con te.” Non disse altro, e proseguì tra gli alberi, muovendosi come se non stesse seguendo un percorso, e in modo apparentemente casuale entrambi raggiunsero il sole ormai morente nello specchio d’acqua in fondo alla vallata. I cavalli l’avevano raggiunto prima di loro, e si abbeveravano in un angolo all’ombra. “Da quanto non facciamo un bagno al lago, Kev? L’acqua è piena di sole, non credi che sarebbe un momento perfetto?”
“Mio si-“ L’occhiata che Kenneth gli lanciò gli fece chiudere gli occhi e per la prima volta da giorni, si lasciò andare a un sorriso sincero. “Kenneth, vostro padre…” Ma l’altro aveva già abbandonato la camicia sopra il giustacuore che il cavallo aveva lasciato cadere sulle foglie umide, ed era passato ai pantaloni di pelle scuri. Senza muoversi, Kevin si ritrovò a chiedersi quando si fosse tolto gli stivali, mentre Kenneth, nudo, si immergeva nelle acque limpide. 
“Sir Regnard, smettila di fare il musone,” urlò Kenneth. Poi, con un sorriso, “è un ordine,” aggiunse, e Kevin non poté resistere a quello sguardo, a quella voce e a tutti i pensieri che, come una tormenta di neve, gli affollavano la mente. Si spogliò lentamente, consapevole che ognuno dei bottoni che ricopriva il proprio giustacuore di cuoio era di proprietà di Lord Sinclair, e che non poteva permettersi di infangare la camicia come quello sciocco di un signorino aveva appena fatto. Con un sorriso, si immerse in acqua, coi brividi lungo la schiena e un ghigno sulle labbra per l’acqua più fredda di quanto pensasse. 
“Finalmente ti sei deciso, cavaliere.” Alle sue spalle, la voce bassa e morbida di Kenneth, calda come quegli occhi che ora erano puntati sulla sua nuca. “Ho bisogno di sapere una cosa, Kev…” Kevin deglutì, felice di non guardarlo negli occhi. 
“Kenneth. Siete fidanzato.”
“Questo lo sapevo già.” Una mano sfiorò il fianco di Kevin, sotto l’acqua. “Ma ricordi cosa ti ho detto quella notte?” Con due dita, scostò la coda bagnata del suo cavaliere dall’osso spigoloso dell’omero, consapevole che quel silenzio era la sua risposta. “Sei l’unica persona che ho scelto perché mi accompagni giorno dopo giorno.” Le parole di Kenneth erano sempre più mormorate, e piano piano le sue labbra incontrarono la pelle bagnata della sua spalla. “E sei l’unica a cui non rinuncerei mai.” 
“È un errore.“ Kenneth odiava la parola ‘errore’. Diceva che era quanto di più lontano dalla poesia ci fosse al mondo. Kevin lo sapeva, e forse intendeva infastidirlo di proposito, per restituirgli il fastidio che provava nel non poter pensare ad altro se non ai battiti del suo cuore contro la schiena. Kenneth lo zittì stringendo le mani sul suo petto e tirandogli appena la coda per fargli reclinare la testa. 
“L’errore sarebbe lasciare che tutto vada come vuole mio padre. L’errore, Kev, sarebbe lasciarti andare senza che tu abbia capito la cosa più importante.” Quello che seguì le parole di Kenneth fu il bacio più dolce e delicato che Kevin avesse mai ricevuto. Solo pochi giorni prima, il loro primo bacio era stato il preludio a quanto di più inaspettato potesse immaginare, ma questo sembrava nascondere qualcosa di ancora più impensato.

Erano trascorsi più di dieci anni da quando il piccolo Regnard aveva iniziato ad allenarsi per diventare un cavaliere della famiglia Sinclair. Dieci anni in cui il giovane Lord si divertiva a prenderlo in giro, a coinvolgerlo nei propri giochi e a ordire scherzi facendo affidamento sui riflessi pronti e sulla lingua tagliente di Kevin. A nulla valsero mai i ripetuti rimproveri di suo padre. Per Kenneth, Kevin non era mai stato diverso da sé. Fu solo quando compì vent’anni che realizzò che qualcosa, nel suo modo di vedere quello che ormai era diventato il più fidato della Guardia Sinclair, era cambiato. Anche adesso, Kenneth non riusciva a ricordare il momento esatto in cui iniziò a vederlo con occhi diversi ma, ancora adesso, si rese conto che non aveva mai considerato quel “qualcosa” come sbagliato. 
“Padre, voglio che Kevin diventi il mio cavaliere personale.”
“Sir Regnard è un cavaliere della Guardia dei Sinclair, Kenneth, non un tuo servo esclusivo. Un cavaliere devoto che di certo non desidera sottrarsi ai suoi impegni più importanti.”
“Con il dovuto rispetto, Padre, conosco Kevin meglio di voi, e so benissimo quali siano i suoi desideri.”
Kenneth non rivide Kevin prima di due settimane, lo ricordava benissimo.

“Nell’inverno dell’anno del XII Imperatore, sparisti per due settimane. Che cosa ti successe?”
Quella domanda risvegliò Kevin dal sogno lucido che stava vivendo, immerso fino al collo nell’acqua fresca del lago, col sangue che gli ribolliva nelle vene. Dovette pensarci, e le labbra di Kenneth sul proprio collo non facevano che distrarlo. “Lord Sinclair mi mandò a Sablier ad aiutare alcuni compagni nella ricerca di un prezioso gioiello appartenuto a un vostro antenato, andato perduto durante la Trag-” Kenneth aveva iniziato a ridere, sorprendendolo. Si chiese cosa mai ci fosse di divertente nel sapere che aveva rischiato la vita in mezzo ai miasmi di quel luogo maledetto. 
Kenneth lo abbracciò, stringendolo al proprio corpo desideroso di quel contatto. “Sai, mio padre non ha mai avuto senso dell’umorismo. Un paio di giorni prima gli avevo chiesto che tu diventassi il mio cavaliere personale. Sicuramente…” Fece una pausa, facendo scorrere le dita sul suo petto. “Aveva capito più di quanto all’epoca avessi intuito io stesso, Kev.” Lo sguardo che ricevette in risposta lo fece sorridere, ma invece delle parole, rispose baciando ancora quelle labbra bagnate e irritate. Sapeva che odiava essere preso in giro. “Mille anni, Kevin. Anche tra mille anni, non ti amerei meno che in questo momento.”
Quella dichiarazione, così improvvisa, annullò ogni resistenza da parte di Kevin, che chiuse gli occhi, come se stesse soffrendo. “Sei il solito stupido. Non hai la minima idea di quello che dici.” Le sue parole furono quanto di più lontano Kenneth si aspettasse in quel momento. Amava la sua spontaneità, tra le altre cose. Ignorando le sue proteste, lo strinse più forte, guadagnando la riva con un paio di bracciate in più di quante ne avesse calcolate. Kevin rimase in silenzio. Muovendo le mani sul braccio di Kenneth stretto intorno a lui, sembrava cercare un modo per liberarsi da quella stretta. “Qualcosa non va, Kev?” Nessuna risposta, solo un tentativo più convinto di allontanarlo. “Non credo che tu abbia capito… Non importa se mio padre ha scelto la donna che un giorno sposerò. Non importa se dovrò assistere impotente alla mia vita che cambia, se potrò avere te al mio fianco. Tu sei mio.”
Erano entrambi usciti dall’acqua, e Kevin si era seduto sulla riva, infastidito e con il viso rosso per l’imbarazzo e l’irritazione, intento a togliere degli stupidi rametti che gli si erano impigliati nella treccia. “Io non sono per niente tuo. Smettila di dire idiozie.” Silenzio. “Mi hai sentito, Lord Sinclair?” Kevin si voltò, e lo vide, seduto un passo dietro di lui, con un sorriso così dolce da fargli dimenticare ogni irritazione. Si voltò, a disagio, e ricominciò a concentrarsi sui capelli, anche se ormai aveva tolto ogni rametto o foglia secca. Lentamente, alle dita di Kevin si aggiunsero però quelle di Kenneth, lisce e forti. Persino le sue dita gli facevano ricordare che appartenessero a due mondi diversi, ma questa consapevolezza - che di certo era presente anche in quello stupido, pensava Kevin - non fermò Kenneth dal trovare la ciocca che reggeva tutte le altre, e sciogliere la treccia dell’uomo che aveva davanti. “Tu sei mio. Niente di quello che ci riserverà la vita potrà cambiarlo.” Kevin non mosse un dito,  ma pochi istanti dopo il cuore batteva troppo forte, e le sue labbra formarono le parole che il suo cuore non voleva pronunciare. “Tu non sarai mai mio, però. Sei egoista come solo un signorino viziato può essere, spero tu te ne renda conto.” Si voltò, e le proprie mani, guidate da lui, tirarono il nastro della treccia che Kenneth non aveva mai sciolto. I suoi capelli si adagiarono sulle sue spalle, bagnati, e il suo sorriso lo fece sentire nuovamente a disagio. Kenneth gli prese il viso tra le mani, gli occhi vibranti di quella che sembrava gioia, e quando parlò, la voce era bassa e calda. “Voglio confessarti un segreto, Kev. Forse il mondo non lo saprà mai, ma… Siamo solo noi, adesso.” La voce era ormai solo un sussurro a poche dita dal viso di Kevin. “Non apparterrò mai a nessuno se non a te, Kev.” 
Kenneth non gli diede il tempo per elaborare una risposta, lo baciò carico di una nuova passione. Lo spinse indietro, costringendolo a finire con la schiena sull’erba bagnata, e lo baciò ancora. Si interruppe solo per guardarlo negli occhi, con quelle labbra curve in un sorriso così perfetto che Kevin non poteva fare a meno di fissarlo. Più volte Kenneth aprì la bocca come per parlare, ma ogni volta sembrò non trovare le parole adatte, e ogni volta, lo baciava. Le mani si mossero su di lui, molto più audaci e decise di quanto non lo fossero prima, e senza la leggerezza dell’acqua, il peso del proprio corpo gravava completamente su Kevin. La cosa, però, non lo infastidiva, e dopo l’ennesimo bacio si convinse a sollevare una mano sul suo viso, ad accarezzare quella pelle sempre rasata di fresco, bagnata e calda. “Kenneth, che stiamo facendo…?” Kenneth ridacchiò come un ragazzino, e non rispose. Infilò una mano tra la sua schiena e l’erba bagnata, lo sollevò appena per stringerlo a sé, e ogni centimetro del proprio corpo fu uno col suo. Kevin distolse lo sguardo dai suoi occhi troppo profondi, cercando di ignorare il formicolio ai piedi e la morsa allo stomaco, ma Kenneth non si fermò né allontanò, anzi. Allungò l’altra mano sul suo fianco, percorse la linea curva della sua natica e chiamò a sé la sua gamba, sollevandola da terra. Quando ottenne di nuovo lo sguardo curioso e inquieto di Kevin, gli restituì un sorriso furbo. Non ho nessuna intenzione di fermarmi qui, Kevin, sembrava voler dire col suo viso, e le sue mani non fecero che confermare quell’idea, nel momento in cui le sue dita cercarono e trovarono l’eccitazione del suo corpo tra la sua peluria, e la accarezzarono. Kevin sussultò. Era la prima volta, per lui. Sia chiaro, aveva già conosciuto l’amore delle donne - quella giovane locandiera di cui Kenneth odiava sentir parlare anche dopo anni - e come tutti i giovani uomini, a volte aveva indugiato in capricci solitari che gli uomini pratici non dovrebbero concedersi, ma era la prima volta che un uomo lo toccava, e questo gli fece sgranare gli occhi, mentre il cuore accelerava così tanto che credette potesse esplodere. Sarebbe esploso, di certo, ma piano piano il calore delle mani di Kenneth su di sé gli fecero dimenticare di quell’eventualità. Forse dopo se ne sarebbe pentito, ma a ogni carezza sempre più profonda, Kevin iniziò a pensare che forse non era così grave. Che forse poteva concedersi un momento fuori dal mondo. Che era, se non giusto, almeno accettabile. Quando le dita di Kenneth si strinsero intorno a lui, poi, pensò che era questo che voleva. Che aveva sempre voluto dal giorno in cui la locandiera lo portò nella sua piccola e buia camera da letto illuminata dal fuoco di un’unica candela consumata. Kenneth, per sé. 
L’animo egocentrico del giovane Lord non si fece attendere troppo, e gli morse il lobo di un orecchio quando credette di avergli dato abbastanza attenzioni. Lasciò che la sua schiena toccasse di nuovo l’erba e cercò la sua mano, creando spazio tra i loro corpi. Il sole era tramontato del tutto, e l’unica fonte di luce per quei giovani amanti era solo una luna a metà, che delineava a malapena i contorni dei loro corpi. Baciò le sue dita e le passò umide sul proprio petto, invitandolo a percorrerlo fino in fondo. Dove trovasse tanta audacia, e dove avesse imparato a comportarsi in quel modo così passionale, Kevin non ne aveva idea, e borbottò qualcosa che suonò come un mugolio di imbarazzo alle orecchie di Kenneth. “Non crederai che sia tutto qui per oggi, Kev! Mi hai promesso le tue carezze, Kev, e adesso me le devi!” 
“Quand’è che ti avrei promesso che cosa, esattamente?” Kevin aveva completamente abbandonato ogni riguardo nel rivolgersi a lui. Si era arreso all’evidenza: erano nudi, soli e in mezzo al bosco. Anche lui aveva ormai compreso che quello era un momento fuori dal tempo. “Nei miei sogni, ovviamente!” Kevin lo fissò, al buio, per poi scoppiare a ridere. La risata più vera e sincera degli ultimi tempi, pensò Kenneth, che non lo sentiva ridere così da quando erano due ragazzini, e lo baciò, ancora. Per quanto la luce fosse troppo debole per orientarsi, Kenneth sapeva sempre dov’era la bocca di Kevin. Le loro dita si intrecciarono e i loro corpi si toccarono ancora, sempre più affamati di quel contatto, come se, una volta assaggiato il più delizioso dei frutti, nessuno dei due potesse più farne a meno. La mano di Kevin scivolò giù lungo il petto di Kenneth, lo accarezzò lentamente, ammirando con le dita quello che gli occhi non potevano vedere, e scese di più, incontrando i suoi sospiri più densi e le sue carezze più profonde. Ricevette un bacio e, al chiaro di luna, scorse la sua mano prima che si posasse sulla propria guancia. La baciò in silenzio, esplorando quel corpo che aveva imparato a desiderare nei buio della propria camera, spento ogni cerino e chiuso fuori ogni obbligo. Amava la sua pelle. Era la pelle di un nobile, lo sapeva bene, senza un graffio né un’imperfezione. Le proprie dita scorrevano morbide su di lui e stringevano il piacere del suo corpo mentre il proprio andava in fiamme per le sue carezze sempre più passionali. Sembrava che Kenneth sapesse esattamente cosa fare, e forse, si chiese Kevin con un barlume di ragione, aveva davvero aspettato quel momento. Kenneth lo attirò ancora a sé, spingendo la sua gamba sulla propria schiena, e lasciò che le proprie dita scivolassero oltre le sue cosce, percorrendo il solco tra le sue natiche, alla ricerca dei mugolii di Kevin. Li trovò, e sorrise, trionfante, quando iniziò a giocare con un polpastrello intorno al suo corpo. Per Kenneth era tutto nuovo. Aveva sognato, immaginato e atteso, ma solo la sua spavalderia di nascita gli impediva di sembrare uno stupido impacciato. Solo quella e le frasi ripetute allo specchio della propria camera, in solitudine, immaginando conversazioni con un Kevin che - credeva - non avrebbe mai potuto scoprire. Gli baciò la guancia, leccò le sue labbra e percorse la linea della mandibola con la lingua. Gli morse di nuovo l’orecchio, molto più caldo e sensuale, e la sua voce tentennò quando mormorò la sua richiesta. “Voltati, Kev. D-dovresti voltarti…” Kevin spalancò gli occhi, colpito in pieno dalla consapevolezza di quello che stava per succedere. Ma non ebbe modo di ribattere. Kenneth si era già allontanato e lo stava guidando sull’erba, alla cieca come lui, premendo appena una mano sulla sua spalla. Se anche avesse potuto ribellarsi, però, Kevin non l’avrebbe fatto, si disse nel momento in cui i propri gomiti incontrarono l’erba compatta sotto di lui. Era nel posto in cui voleva essere, con chi voleva essere. Provò un doloroso fastidio quando le dita di Kenneth non si limitarono più a percorrere il proprio corpo, ma iniziarono ad esplorarlo. Immaginò, fallendo nel soffocare del tutto i gemiti, che avrebbe dovuto sopportare quel dolore, in cambio di qualcosa di più grande.
Kenneth cercò di essere gentile, le proprie esperienze si limitavano a qualche cortigiana e niente di più, e in tutti i casi, quelle donne non gli diedero nessuna lezione di galateo se non quelle che poté intuire dalle reazioni dei loro corpi. Così cercò di venerare il corpo di Kevin come il più prezioso dei tesori. Pulì la sua schiena da ogni foglia o filo d’erba, e gli baciò il collo. Gli morse una spalla, poi, quando le proprie dita percorsero di nuovo le sue natiche e strinse i denti sulla sua carne quando entrò dentro il suo corpo. Non era come nessun’altra esperienza. Era magia, era così perfetto che avrebbe anche accettato di venire condannato e giustiziato, pur di poterlo fare e rifare ancora. Chiuse gli occhi, concentrandosi sull’uomo che amava tra le proprie braccia, e guidò il proprio corpo nel suo, trovando l’incastro perfetto. In un attimo che durò un’eternità, furono una cosa sola. E per Kenneth, il mondo terminava e ricominciava da lì. 

Fece male. Un dolore così diverso da qualsiasi altro e così indescrivibile che Kevin non avrebbe mai potuto dimenticarlo nemmeno in un’altra vita. E pure in quel momento, il suo volto era segnato da un sorriso, senza il minimo segno di sofferenza. Era proprio quel dolore che gli avrebbe permesso di non dimenticare quel momento, mai più in tutta la propria esistenza. 
Una parte di sé si chiese come potesse essere innaturale, quello che stavano facendo, se ogni movimento da compiere era spontaneo e istintivo. Si mosse cercando id assecondare i suoi movimenti, e a ognuno dei propri, il fiato veniva meno e il dolore prendeva il sopravvento. Anche se privo di esperienza, Kenneth gli baciò la spalla, gli accarezzò i fianchi. I suoi gesti esprimevano tutta la tenerezza e l’amore che gli aveva confessato a parole, e gli occhi di Kevin si riempirono di lacrime che solo lui poteva percepire, che scesero solo su una guancia quando nacque un ritmo tra i loro movimenti, una musica silenziosa che li guidava. Ogni passo di quella danza fatta di sospiri e carezze li portava un po’ più vicini, ogni movimento di Kevin rendeva chiaro a Kenneth che era quello, il magico momento per cui avrebbe fatto non uno ma cento passi in più. Si sincronizzarono, e quando furono completamente all’unisono, Kenneth lo strinse completamente a sé, incollato al suo corpo, uno solo dentro di lui. “Ti amo, Kevin.” sussurrò al suo orecchio un momento prima di raggiungere l’apice del piacere. 

~

Il tempo passato poteva essere un’ora come tutta la notte. Abbracciati con la schiena contro una quercia, i due uomini erano ancora nudi, e a ogni tentativo di Kevin di liberarsi dall’abbraccio per recuperare i propri abiti, Kenneth lo stringeva di più a sé. “Lasciami godere di questo momento ancora un po’, Kev… Anzi, dovresti godertelo anche tu.” Sorrise, baciandogli la fronte corrucciata. “Di’ un po’, poeta… A quale libro di Lady Florence hai rubato quella frase sui mille anni?” Kenneth rise, borbottando qualcosa a proposito del suo essere troppo poco romantico, ma Kevin non ribatté. “Non l’ho rubata a nessuno. Dovresti averlo capito, ormai. Ho aspettato giorno dopo giorno di poterti avere, amandoti dal primo momento. Adesso che il tempo ci ha finalmente unito, ti amerò per mille anni e mille ancora.”

 


Nota dell'Autore

Nelle note, ho indicato la storia come "song-fic". Ebbene, non è un errore. La storia mi è venuta in mente quando, in un piovoso e freddo pomeriggio di primavera, stavo ascoltando "A Thousand Years" di Christina Perri. Ci ho messo solo qualche mese prima di scriverla, ma alla fine, ce l'ho fatta. 
A tutti voi che siete arrivati alla fine di "Un passo in più", grazie! Spero che, anche se un po' diversa dalle altre, questa storia vi sia piaciuta <3 

Artemisia
   
 
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