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Autore: Puntaspilli    11/07/2015    2 recensioni
[Raven Boys]
[Raven Boys]Qualcosa stava cercando di catturarlo all’interno dei suoi sogni; dita nere di fuliggine gli stringevano il collo, ustionando la pelle accaldata e mozzandone il respiro. Ronan si agitò tra le lenzuola, annaspando per inghiottire ossigeno. Le rare boccate d’aria gli bruciavano la trachea in zaffate bollenti, facendolo gorgogliare di dolore.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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L’unico rumore all’interno della stanza era il flebile ronzio del ventilatore; le ventole cigolavano riempiendo la penombra di gemiti metallici.
Ronan era disteso tra le lenzuola madide di sudore, le gambe intrappolate tra le spire del cotone e il volto contratto in una maschera di tensione. Gli occhi, sotto lo strato sottile delle palpebre, si agitavano frenetici.
Qualcosa stava cercando di catturarlo all’interno dei suoi sogni; dita nere di fuliggine gli stringevano il collo, ustionando la pelle accaldata e mozzandone il respiro. Ronan si agitò tra le lenzuola, annaspando per inghiottire ossigeno. Le rare boccate d’aria gli bruciavano la trachea in zaffate bollenti,  facendolo gorgogliare di dolore.
Motosega, appollaiata sulla scrivania, spalancò il becco e ruppe il silenzio con un grido stridulo, strappando Ronan ai suoi incubi.
« ‘Merda »
I tonfi del suo cuore gli pulsavano contro i timpani, graffiandogli l’udito e riecheggiando nella sua gola riarsa. Ronan chiuse gli occhi e premette i palmi contro le palpebre madide. L’odore pungente dell’incubo si era esteso al mondo reale, lordandogli gli avambracci di uno spesso strato di cenere.
Calciò le lenzuola e sollevò il busto; rivoli di sudore gli scivolarono lungo il torace, riversandosi tra le scanalature appena accennate dei suoi muscoli addominali. Infilò le dita tra i capelli umidi, gettò uno sguardo alla finestra aperta da cui non entrava neppure un alito di vento e scese dal letto; persino il pavimento sembrava infuocato sotto la pianta dei suoi piedi nudi.
Fuori dalla sua stanza, il loft era avvolto nel silenzio. L’unico sveglio era Noah, la cui sagoma silenziosa fissava con aria assente la città di cartone di Gansey.
Ronan ignorò il fantasma e si avviò verso il bagno, lasciando dietro di sé le impronte dei propri passi umidi sulle mattonelle scure.
Fuori il mondo era ancora immerso nell’oscurità; l’eco di rumori lontani si insinuava tra gli infissi delle finestre spalancate. Aprì l’acqua e si buttò sotto il getto ghiacciato della doccia ancor prima di liberarsi dei boxer e il cotone fradicio gli si incollò alla pelle, facendolo grugnire di disappunto.
« Dovresti chiudere la porta. Nessuno vuole vederti nudo. »
Noah, pallido ed emaciato, lo fissava da sotto l’architrave della porta. Lì dove lo zigomo gli era stato frantumato in vita, un’ombra più scura si allungava sulla pelle incavata.
« Crepa. Di nuovo. »
Ronan scoprì i denti in un sorriso freddo, da rettile, e si liberò dei boxer appallottolando la stoffa bagnata tra le dita. Lanciò l’involto di tessuto verso Noah, ma nel momento in cui la stoffa avrebbe dovuto colpirlo, il fantasma svanì. I boxer incontrarono il pavimento con un suono umido.
« Sei lento, Lynch » commentò la voce incorporea di Noah. Pochi secondi più tardi la porta della camera del fantasma sbattè.
Ronan chiuse gli occhi e appoggiò la fronte contro le mattonelle gelide, lasciando che l’acqua lavasse via la tanto la sensazione di bruciore che ancora gli divorava il corpo tanto la cenere che lo ricopriva. Grumi di caligine si accalcavano attorno allo scarico, pronti a venir risucchiati all’interno delle vecchie tubature di metallo.
Lo aveva sognato di nuovo.
Kavinsky riempiva i suoi incubi, divorandoli al pari del fuoco che lo aveva inghiottito:la carcassa ustionata del Bulgaro lo braccava ogni notte, vomitandogli addosso brucianti zaffate di cenere mentre gli occhi, esplosi per il calore dell’incendio, colavano come lacrime di pus dalle sue orbite riarse. La carne carbonizzata di Kavinsky si sfaldava, mettendo a nudo i muscoli bruciati e ciò che c’era al di sotto, rivelando le tracce ossee del teschio. La bocca, ridotta ad una massa di carne purulenta, si spalancava per chiamarlo. Nei suoi incubi Kavinsky non aveva più voce, solo gemiti gutturali in cui lo sentiva ripetere il suo nome.

***

« Hai l’aria di uno che non ha chiuso occhio. »
Gansey, seduto accanto a lui, sollevò fugacemente lo sguardo dalle pagine del proprio diario e lo scrutò con aria ansiosa.
« Sto bene. » tagliò corto Ronan, scrollando le spalle in un gesto di vaga insofferenza.
Il Diner era quasi deserto, con la sola esclusione di un paio di quarantenni dallo sguardo vuoto a cui Blue stava portando il conto.
Noah, dall’altra parte del tavolo, stava impilando delle bustine di zucchero l’una sull’altra creando una torre dall’aria instabile.
« Parrish è in ritardo » commentò Ronan, gettando uno sguardo oltre le vetrate. Il sole aveva iniziato a tramontare, proiettando ombre allungate sul parcheggio polveroso. Poche macchine sfrecciavano lungo il viale torrido, sollevando pesanti nubi di pulviscolo.
« Lo avranno trattenuto al lavoro »  disse Gansey, tracciando complicati ghirigori sul diario che aveva di fronte. Armato di matita e goniometro, intersecava tra loro linee dallo spessore differente.
Noah, disinteressato, si limitò a stringersi tra le spalle ed imitare un sospiro profondo.
Ronan annuì e si infilò una sigaretta tra le labbra sottili. Una sensazione di vago nervosismo gli rosicchiava i nervi, rubandogli sguardi apparentemente distratti verso l’esterno del locale.
 « Non puoi fumare qui dentro. Gansey. Noah. »
Blue apparve accanto a loro con uno sbadiglio, appoggiando sul loro tavolo un paio di menù di plastica dalla copertina consunta. A Ronan non sfuggì il sorriso vago che la ragazza indirizzò al fantasma, né lo sguardo troppo veloce che rivolse a Gansey.
Non era nulla di che, considerò. Era una ragazza normale, come tante altre. Carina forse, ma nulla di più. Eppure Adam l’aveva scelta. Bastò quel pensiero ad accartocciargli lo stomaco, mentre un fiotto acido di gelosia gli risalì lungo l’esofago, bruciandogli la gola al pari delle dita morte di Kavinsky. Deglutì e, all’esterno, Ronan si limitò ad affilare il sorriso ed estrarre l’accendino da una tasca dei jeans.
Il sapore acre della nicotina gli invase il palato, asfaltandone i polmoni con un fitto velo di caligine.
Blue lo fissò ed intrecciò le braccia sotto al seno.
« Gansey. » disse, attirando l’attenzione del ragazzo che alternò lo sguardo tra lei e Ronan con una smorfia perplessa, impiegando qualche secondo per riemergere dai propri pensieri e individuare la brace accesa.
« Ronan, per favore » commentò, pacato, indicandogli la porta con un cenno del mento.
Ronan scoprì i denti in un ghigno sardonico e si alzò in piedi, sollevando le braccia in un cenno di resa immediatamente smentito dal guizzo sarcastico che ne illuminò gli occhi chiari.

***

Ronan fu investito dalla cappa di umidità non appena mise piede fuori dal Diner. L’aria era immobile, quasi che il mondo stesse trattenendo il fiato in attesa di qualcosa o qualcuno. Appoggiò le scapole contro il muro alle proprie spalle e inghiottì una profonda boccata di fumo, osservando gli ultimi raggi di sol illuminare la carrozzeria della camaro di un arancio brillante, troppo simile alle fiamme dei suoi incubi. Fuggì da quella visione nascondendo lo sguardo contro le palpebre; la grana del muro graffiava il tessuto della sua tshirt, facendosi strada verso le lingue di inchiostro che ne decoravano la pelle. Il tatuaggio spuntava oltre il bordo della maglietta, arrampicandosi verso la sua nuca in spire appuntite fino a sfiorarne la base del cranio rasato.
Gocce di sudore fiorirono sulla sua fronte, colandogli verso le tempie. Il caldo era soffocante.
Lo stridio dei freni di una bicicletta gli fece sollevare le palpebre di colpo: a pochi metri di distanza, Adam Parrish stava scendendo dal sellino di una bici sgangherata.
Ronan ne divorò il profilo con lo sguardo, soffermandosi ad osservare le occhiaie profonde che ne circondavano gli occhi castani. Adam iniziò a litigare con un lucchetto dall’aria arrugginita e Ronan gli fissò le dita lunghe, cosparse di aloni scuri. Il grasso dei motori doveva aver rifiutato di andarsene, aggrappandosi alla sua pelle al pari di un’amante gelosa. Sotto le unghie lo sporco si era accumulato, creando una densa patina nera, caliginosa. Ronan ripensò di nuovo alle dita carbonizzate di Kavinsky e rabbrividì.
« Lynch. »
« Parrish. Sei in ritardo. » disse, scrollando ciò che rimaneva della sigaretta verso terra; si era consumata senza che Ronan se ne accorgesse. Una folata di vento improvviso trasportò la cenere fino alle scarpe da ginnastica di Adam; il mondo, come Ronan Lynch, aveva terminato al propria attesa.
Adam sollevò le dita in una spiegazione muta e gli si avvicinò, superandolo per infilarsi all’interno del Diner. Il vento si alzò di nuovo, portando a Ronan l’odore di Adam: l’aroma oleoso del grasso dell’officina si mescolava a quello salato della sua pelle. Ronan strinse il filtro tra i denti e assottigliò lo sguardo.
Ronan aveva dei segreti: uno era Joseph Kavinsky che riempiva le sue notti dell’odore della caligine e della carne bruciata, l’altro era Adam Parrish che soffocava i suoi giorni nella frustrazione di un desiderio irraggiungibile.
Ronan si liberò della sigaretta e seguì Adam all’interno del locale gli occhi pallidi, da rettile, incollati alle spalle dell’altro.

  
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