Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: xX__Eli_Sev__Xx    11/07/2015    1 recensioni
"Lui amava Sherlock Holmes.
Con il suo cuore.
Con la sua anima.
Con tutto se stesso.
E non glielo aveva mai detto.
E adesso l’unico consulente investigativo al mondo, l’unico uomo che lo avesse mai amato con tutto se stesso, senza riserve e senza pregiudizi, stava morendo.
Questa volta per davvero.
Nessun trucco.
Nessuna fuga.
Solo la morte.
Vera.
Terribile.
Permanente."
[AU Serie 3]
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Shattered

I
Truth
 
 Sherlock varcò la soglia della stanza e si fermò alle spalle dell’aggressore.
 «Se davvero vuole commette un omicidio, dovrebbe almeno cambiare profumo, signora Smallwood.» disse.
 La donna non era molto alta e nemmeno forzuta, perciò non sarebbe stato difficile fermarla prima che uccidesse Magnussen. Era vestita interamente di nero e indossava un cappello che non lasciasse intravedere lo chignon ordinato col quale usava raccogliersi i capelli. L’alone del suo profumo aleggiava ancora nella stanza, mescolato all’odore della moquette consumata e della nicotina delle sigarette fumate di nascosto dai dipendenti di Magnussen.
 «Signor Holmes, questa non è la signora Smallwood.» disse Magnussen con voce flebile e tremante, continuando a tenere le mani alzate e la schiena inarcata in avanti.
 Sherlock aggrottò le sopracciglia, ma proprio mentre stava per parlare, la figura si voltò rivelando la sua identità e puntando la pistola contro il suo petto. Il consulente investigativo sentì l’aria mancare per un momento. Nel suo palazzo mentale qualcosa si ruppe, poté udirlo sgretolarsi man mano che i suoi occhi percorrevano il volto di Mary Watson. La moglie di John. La moglie del suo migliore amico e madre di suo figlio.
 «Mary…» gli sfuggì dalle labbra prima di potersi trattenere.
 «John è qui?» chiese lei con voce fredda e ferma.
 Lui aprì nuovamente la bocca, ma nessun suono ne uscì. «L-lui…» biascicò.
 «John. È. Qui?» sillabò la donna aumentando la presa sulla pistola.
 «Mary, qualsiasi cosa abbia su di te, lascia che ti aiuti.» disse muovendo un passo verso di lei.
 «Sherlock, se muovi un altro passo giuro che ti ammazzo.» quasi sibilò lei, senza battere ciglio.
 Holmes accennò un sorriso. «No, signora Watson, non lo farai.» affermò.
 Mary sparò.
 Il colpo partì senza emettere alcuno suono, se non un piccolo sbuffo, e andò a colpire Sherlock dritto al petto.
 Il consulente investigativo abbassò lo sguardo appena in tempo per vedere una macchia scarlatta allargarsi sulla sua camicia bianca. Quando sollevò nuovamente gli occhi, incontrò lo sguardo di Mary.
 «Mi dispiace, Sherlock.» mormorò «Davvero.»
 Sherlock cadde sulla schiena con un tonfo sordo e l’oscurità lo avvolse.
 
 «Sherlock?» John salì velocemente le scale che portavano al secondo piano dell’ufficio di Magnussen. Ma dove si era cacciato Sherlock? Era salito quasi dieci minuti prima, ci voleva così tanto a controllare qualche stanza vuota? «Sherlock, dobbiamo andarcene prima che-» si interruppe varcando la soglia dell’ultima stanza a destra e poi lo vide. Era disteso sulla schiena, immobile e pallido. «Sherlock!» gridò correndo verso di lui e inginocchiandosi al suo fianco. «Sherlock?» lo chiamò dandogli dei colpetti sulle guance per controllare se fosse privo di sensi. «Riesci a sentirmi?»
 Un ansito alle sue spalle lo fece voltare. Solo in quel momento si accorse che Magnussen era accasciato sul pavimento, proprio come Sherlock.
 «Cos’è successo?» chiese Watson immediatamente.
 Magnussen si sollevò sui gomiti. «Gli hanno sparato.» affermò.
 John sentì il cuore appesantirsi. Scostò un lembo della giacca e vide la macchia di sangue allargarsi sulla camicia dall’amico. «No… oh, mio…» ansimò, poi si voltò nuovamente verso Magnussen e parlò con urgenza. «Chi gli ha sparato?» chiese, ma l’altro non rispose; John prese il cellulare dalla tasca e compose il 999; spiegò la situazione ai paramedici e li implorò di fare presto. Quando ebbe chiuso la chiamata ripose il cellulare nella tasca della giacca e premette una mano sulla ferita per bloccare il flusso di sangue. «Sherlock, ti prego…» mormorò prendendogli la mano e stringendola con la sua. «Ti prego, non farmi questo.» implorò «Non morire. Non di nuovo.»
 
 L’ambulanza arrivò qualche minuto dopo. Caricarono Sherlock sulla barella e poi partirono diretti verso l’ospedale sfrecciando tra le auto. John si sedette accanto all’amico continuando a tenergli la mano, mentre i paramedici lo liberavano dalla camicia e gli ponevano una mascherina sul volto.
 Uno dei due infermieri si volse verso l’altro. «Lo perdiamo.» sussurrò.
 Ma a Watson non sfuggì. «Sherlock.» disse avvicinando il suo volto a quello del consulente investigativo, stringendogli la mano. «Sherlock, ti stiamo perdendo. Ti prego-» un groppo gli si formò in gola. Non può farmi questo. Non può morirmi tra le braccia di nuovo, pensò reprimendo un gemito di dolore.
Quando arrivarono al pronto soccorso, trascinarono la barella all’interno della struttura e una delle infermiere che era accorsa trattenne John per un braccio, vedendo che stava seguendo la barella. «Mi dispiace, signore, non può entrare.» disse indicando la porta della sala operatoria.
 «Per favore, è un mio amico…» ansimò lui e per un momento gli tornò alla mente il giorno in cui Sherlock si era buttato sotto i suoi occhi dal tetto del St. Bart’s. «Sono un medico…»
 «Ok, adesso deve calmarsi.» lo tranquillizzò poggiandogli una mano sulla spalla. «È ferito?» domandò studiando il suo volto pallido.
 Watson scosse il capo.
 «D’accordo.» disse ancora la donna «È un parente?» domandò riferendosi a Holmes.
 «No.» rispose lui «È un mio amico.»
 L’infermiera annuì e gli consigliò di chiamare un parente di Sherlock, nel caso in cui ci fosse stato bisogno di lui e di sedersi, dato che sembrava essere sotto shock.
 John annuì e quando la donna se ne fu andata, richiamata da un collega, l’uomo prese il cellulare dalla tasca e inviò due messaggi: uno a Mycroft e uno a Greg. Non pensò a Mary, né al fatto che potesse essere preoccupata per lui. Il suo pensiero fisso era Sherlock, bloccato in una sala operatoria, con un proiettile nel petto e in bilico tra la vita e la morte.
 Quando ebbe riposto il cellulare nella tasca, la consapevolezza di ciò che stava succedendo lo colpì come uno schiaffo in pieno volto. Sentì la nausea invaderlo, la testa farsi pesante e le gambe troppo molli per poterlo reggere ulteriormente. Si accasciò contro la parete lasciandosi scivolare a terra e prendendosi la testa fra le mani.
 Sherlock…
 Non può morire.
 Non può lasciarmi.
 Non voglio che mi lasci.
 Non voglio rimanere solo.
 Non voglio perderlo.
 È il mio migliore amico.
 È il mio mondo.
 L’uomo che mi ha salvato.
 L’uomo che mi ha riportato in vita.
 L’uomo che ha rinunciato alla sua vita per proteggermi.
 Il cuore accelerò.
 L’uomo che amo.
 Quel pensiero lo colpì come una folata di vento rifrescante in un giorno afoso. Il cuore sembrò essersi fermato di colpo nel petto, senza voler ripartire nuovamente.
 Era sempre stato così ovvio che non riuscì a capire come avesse fatto a non rendersene conto prima.
 O forse, si disse, lo sapeva, in fondo.
 Sapeva di amarlo, ma aveva sempre dato per scontata la presenza di Sherlock al suo fianco, tanto che quando l’aveva perso aveva preferito cancellarlo dalla sua mente piuttosto che soffrire.
 In quel momento, però, sapeva bene che non avrebbe più potuto ignorarlo, che non avrebbe più potuto semplicemente cancellare tutto.
 E soprattutto non poteva perderlo, non poteva permettersi di perdere l’unica certezza della sua vita, l’unica persona che l’avesse mai reso veramente felice dopo tutto ciò che aveva passato.
 Non voleva perdere Sherlock Holmes.
 Colui che l’aveva salvato così tante volte da averne perso il conto.
 Colui che l’aveva fatto tornare a sorridere.
 Colui che era stato in grado di non fargli rimpiangere la guerra, a fargli provare quella sensazione di adrenalina che aveva sentito solo sul campo di battaglia, con la differenza che lì si trovava a Londra e non in Afghanistan.
 Sherlock, il suo migliore amico.
 La sua famiglia.
 Il suo tutto.
 Un lacrima gli scivolò lungo la guancia.
 Non glielo aveva mai detto.
 Non gli aveva mai fatto sapere nulla di tutto ciò.  
 Come aveva potuto tacere su una cosa così importante?
 Come aveva potuto mentire a se stesso e al suo migliore amico?
 Sentì il cuore dolere come non era mai successo prima. Un dolore profondo, viscerale, così tremendo da essere a malapena sopportabile, così forte da riecheggiare in ogni fibra del suo corpo e nella sua mente, così potente da togliergli il fiato.
 In quel momento si rese conto che era tutto vero e che tutti coloro che li avevano conosciuti avevano osservato e avevano capito. L’unico a guardare e non osservare era stato lui.
 Sherlock aveva sempre avuto ragione.
 E anche la signora Hudson, Irene Adler… tutti.
 Lui amava Sherlock Holmes.
 Con il suo cuore.
 Con la sua anima.
 Con tutto se stesso.
 E non glielo aveva mai detto.
 E adesso l’unico consulente investigativo al mondo, l’unico uomo che lo avesse mai amato con tutto se stesso, senza riserve e senza pregiudizi, stava morendo.
 Questa volta per davvero.
 Nessun trucco.
 Nessuna fuga.
 Solo la morte.
 Vera.
 Terribile.
 Permanente.
 Come aveva potuto, John, essere così stupido?
 Come aveva potuto negare il sentimento che li legava?
 Come aveva potuto reprimerlo?
 E soprattutto, alla luce di ciò: come aveva potuto sposare Mary?
 Il volto di sua moglie gli balenò davanti agli occhi.
 Aveva mentito a se stesso e a Sherlock, ma prima di tutto a Mary. Lei lo amava con tutto il suo cuore, mentre lui non avrebbe mai potuto ricambiarla davvero.
 Ed eccolo, il senso di colpa, arrivare – potente quasi quanto il dolore e la paura della perdita – e avvolgerlo completamente tanto da offuscare i suoi sensi.
 Ed arrivarono anche le lacrime – bollenti  sul suo volto freddo a causa dello shock – corrosive, dolorose.
 E poi la solitudine.
 La sensazione di essere nuovamente solo al mondo.
 
 «John?»
 La voce di Greg gli sembrò lontana migliaia di chilometri. Come se il poliziotto lo stesse chiamando dal fondo di un tunnel oscuro in cui era rimasto intrappolato da quando aveva trovato Sherlock nel maledetto ufficio di Magnussen.
 A John servì qualche istante per sollevare il capo e mettere a fuoco le due figure che erano in piedi a pochi passi da lui e recuperare quel poco di lucidità che sembrava essergli rimasta.
 «Greg-» mormorò con la voce impastata dalle lacrime, come per cercare la conferma che fosse davvero lui.
 «Cos’è successo?» domandò l’Ispettore lasciando la mano di Mycroft e inginocchiandosi al suo fianco per avere gli occhi alla stessa altezza di quelli del medico.
 «Gli hanno sparato.»
 «Oh, mio Dio.» sfuggì a Greg. Si volse verso Mycroft, che intanto aveva abbassato il capo e aveva stretto i pugni tanto da far sbiancare le nocche. «Cos’hanno detto i medici?» domandò ancora rivolgendosi nuovamente verso l’ex-militare.
 John scosse il capo. «Sono ancora in sala operatoria.»
 «Tu stai bene?» sussurrò l’Ispettore.
 Watson annuì.
 Greg si mise in piedi, si volse verso il maggiore degli Holmes e gli poggiò una mano sulla spalla. «Andrà tutto bene.» disse per rassicurarlo.
 Mycroft annuì, forse volendo evitare che Lestrade si preoccupasse.
 «Com’è successo?» domandò Lestrade.
 John scosse il capo, più confuso che mai. «Non lo so… e-eravamo nell’ufficio di Magnussen e- e ha-» balbettò «Lui-»
 A quelle parole Holmes sembrò ridestarsi. Sollevò il capo e per un momento non poté nascondere l’espressione stupita che gli si era dipinta sul volto.
 «Ok, ok, John, tranquillo.» intervenne Greg poggiando le mani sulle spalle al medico. «Respira.»
 «Lui-» ansimò «Non ho potuto… non ho-»
 «Respira profondamente.» ripeté Lestrade «Ascoltami, John.» disse per richiamare la sua attenzione «Andrà tutto bene, ok?»
 Watson scosse vigorosamente il capo.
 «Sì, invece.» insistette l’Ispettore. 
 «Glielo avevo detto.» li interruppe Mycroft, rivolgendosi a John. «Avevo avvertito entrambi.»
 Watson deglutì e fece forza sulle gambe per mettersi in piedi, tentando di recuperare la lucidità. «Cosa?» domandò. Era troppo confuso per capire una sola delle parole che sarebbero uscire dalla bocca di Mycroft.
 «L’avevo avvertito che si sarebbe fatto male.» ripeté alzando la voce. «Come vi è saltato in mente di violare la privacy dell’uomo più importante del-?»
 «Fammi capire, Mycroft, adesso difendi Magnussen?» sbottò John avendo ritrovato la forza di parlare e di ribattere. «Tuo fratello sta lottando tra la vita e la morte, con una pallottola nel petto e tu pensi al fatto che abbiamo violato la privacy di Magnussen?!»
 Lestrade si parò davanti a Mycroft. «Ehi, calma. Calma.» disse rivolto a John «Siamo tutti tesi e preoccupati per Sherlock. John, tu e Sherlock avete commesso un reato, credo che lo sappiate. E Mycroft, adesso la cosa più importante è tuo fratello. Non Magnussen.» concluse.
 John e Mycroft si zittirono e alla fine entrambi annuirono.
 Greg sospirò. «Vado a cercare un medico e vedo se riesco a scoprire qualcosa.» disse e si allontanò lasciandoli soli.
 I due continuarono ad osservarsi e alla fine il primo ad abbassare lo sguardo fu il politico.
 «Devo chiederti scusa, John.» mormorò «Non voglio che pensi che non tenga a mio fratello, ma introdursi in un luogo privato è stato…» si bloccò.
 «Stupido.»
 «Stavo per dire sconsiderato, ma-»
 Watson lo interruppe. «Credi che saremmo stati così stupidi da violare il domicilio di un uomo come Charles Augustus Magnussen?» chiese «Siamo entrati perché la sua segretaria ce lo ha permesso.» spiegò sentendo la rabbia ribollire dentro di lui.
 Mycroft aggrottò le sopracciglia, senza far caso al fatto che quell’appellativo fosse stato riferito a lui. «Questo cambia tutto.»
 «Infatti.» replicò in tono tagliente, poi si zittì.
 «C’è qualche testimone che ha assistito all’aggressione?» chiese.
 «No.» rispose John. «Quando ho trovato Sherlock, Magnussen era svenuto e non c’era nessun altro.»
 In quel momento Greg tornò insieme al medico che doveva appena essere uscito dalla sala operatoria.
 «Dottore, come sta?» domandò John immediatamente.
 Il medico sospirò. «Il proiettile è penetrato qualche centimetro sotto il cuore, all’altezza dello stomaco. L’emorragia era molto estesa, ma siamo riusciti ad arginarla. Abbiamo dovuto rianimarlo più volte durante l’operazione.» spiegò «Il suo cuore si è fermato per qualche secondo. Credevamo che non ce l’avrebbe fatta. Era praticamente morto. Ma non sappiamo come, adesso sta bene.» concluse accennando un sorriso. «È un miracolo.»
 John e Greg sospirarono di sollievo e anche Mycroft sembrò sollevato.
 «Possiamo vederlo?» chiese Watson.
 «Per adesso è ancora sotto anestesia.» replicò il medico. «Comunque possiamo far entrare un famigliare per quando si sveglierà.»
 «Grazie.» disse Lestrade sorridendo.
 Il medico si allontanò, lasciandoli nuovamente soli.
 «Myc, vai da lui. Noi ti aspettiamo qui.» riprese Greg, rivolgendosi al maggiore degli Holmes.
 Il politico annuì e accompagnato da un’infermiera raggiunse suo fratello.
 John sorrise quando Greg gli poggiò una mano sulla spalla.
 «Visto?» disse il poliziotto «Sta bene.»
 Il medico militare annuì. «Chiamo Mary. Non sa che sono qui.» concluse prendendo il cellulare dalla tasca e continuando a sorridere.
 Era vivo.
 Ancora una volta Sherlock Holmes era sopravvissuto.
 
 Sherlock venne trasferito in una stanza al quinto piano dell’ospedale qualche ora dopo. Mycroft lo seguì e gli rimase accanto fino al pomeriggio seguente, quando fu certo che si sarebbe completamente ripreso. A quel punto uscì dalla stanza e quando raggiunse il fondi del corridoio, vide che Lestrade e Watson erano ancora seduti sulle seggiole nella piccola sala d’attesa, con le teste poggiate al muro dietro di loro e i volti segnati da profonde occhiaie.
 John, quando lo vide, scattò in piedi. «Come sta?» chiese immediatamente.
 «Si riprenderà.» replicò il politico e prima che il medico potesse continuare, lo fece lui. «Sì, puoi vederlo.» si scostò lasciando che si avviasse verso la stanza del fratello minore.
 Greg si mise in piedi a sua volta e raggiunse il maggiore degli Holmes. Lo abbracciò e lasciò che l’uomo poggiasse il capo sulla sua spalla. «Sta bene.» sussurrò.
 «Questa volta c’è andato vicino.» replicò ricambiando la stretta e lasciandosi andare a quell’abbraccio. Non gli importava che l’avessero visto lasciarsi andare a quel gesto così affettuoso e privato, in quel momento aveva bisogno di Greg più che mai.
 «Andrà tutto bene.» mormorò il più vecchio contro il suo orecchio. «Sono qui.»
 «Ti amo.»
 «Anch’io ti amo, Mycroft.»
 
 John avanzò a grandi passi fino alla camera di Sherlock, ma quando si ritrovò davanti alla porta, esitò.
 I pensieri che poco prima gli avevano affollato la mente, tornarono a colpirlo uno dopo l’altro.
 Aveva rischiato di perderlo.
 C’era andato così vicino questa volta.
 Avrebbe dovuto fargli sapere cosa provava per lui?
 Avrebbe dovuto confessargli di amarlo per non commettere lo stesso errore una seconda volta?
 Scosse il capo per allontanarli.
 Non era quello l’importante in quel momento.
 Doveva assicurarsi che Sherlock stesse bene. Quella era la priorità.
 Sospirò, girò la maniglia e varcò la soglia richiudendosi la porta alle spalle.
 Sherlock sembrava profondamente addormentato, perciò decise di sedersi sulla sedia posta accanto al letto dove fino a poco prima era stato seduto Mycroft.
 Osservò per un momento il volto del suo migliore amico e alla fine gli prese la mano. «Gesù, Sherlock.» gli sfuggì dalle labbra in un sussurro «Ho avuto paura di non poterti più rivedere.» concluse abbassando lo sguardo.
 Poi si zittì e continuò ad osservarlo.
 Il suo volto pallido dai tratti spigolosi.
 Le sue labbra.
 I suoi capelli ricci e neri come la notte.
 Il suo corpo magro.
 Dio, quanto ti amo, si ritrovò a pensare. Se solo lo sapessi.
 
 Qualche giorno più tardi Sherlock fece ritorno a Baker Street.
 Mycroft convinse i medici a dimetterlo promettendo che avrebbe provveduto a fargli avere assistenza medica nel caso in cui fosse stato necessario; il personale ospedaliero accettò di buon grado la sua proposta, ben felici di potersi liberare delle lamentele e delle deduzioni continue del giovane Holmes.
 Quello stesso pomeriggio John prese un taxi e raggiunse Baker Street. Mary era andata a fare la spesa, perciò non sarebbe tornata prima di tre ore, il che gli concedeva un grande lasso tempo da passare con il suo migliore amico, sia per accertarsi delle sue condizioni, sia per parlare con lui di ciò che era successo.
 Quando aprì la porta ed entrò nell’ingresso venne accolto dal dolce suono del violino del consulente investigativo. Chiuse gli occhi per un momento assaporando le dolci note di quella sinfonia e poi salì le scale, ben conscio che Holmes l’avrebbe sentito arrivare. Infatti, quando varcò la soglia dell’appartamento, il più giovane smise di suonare e si voltò.
 «John.» disse stupito.
 «Ciao.»
 «Stai bene?» chiese immediatamente, poggiando il violino sul tavolo accanto a lui.
 John sgranò gli occhi. «Non hanno sparato a me.»
 «Credevo che fosse successo qualcosa.» replicò Sherlock.
 Watson scosse il capo. «No. No, è tutto ok.» assicurò «Perché me lo chiedi?»
 Il moro fece spallucce. «Di solito vieni qui quando c’è un caso o…» si bloccò facendo un gesto vago con la mano. Da quando aveva sposato Mary era stato così: si vedevano sporadicamente, solo per i casi oppure neanche per quelli.
 Watson scosse nuovamente il capo. Credeva davvero che andasse lì solo quando aveva bisogno di lui? «No, sono qui per vedere come stai.» si avvicinò di qualche passo.
 «È tutto ok.» affermò l’altro, ma il mezzo sorriso che gli rivolse lasciò intendere che ci fosse qualcosa sotto. Qualcosa che il consulente investigativo non voleva confessare all’amico.
 «Non mi sembra.» replicò, infatti, John «Sei pallido. Forse dovresti sederti.» consigliò «Non ti fa bene caricare tutto il peso sulla ferita.»
 Sherlock fece spallucce.
 «Ti fa male?»
 «Ogni tanto.» confessò, poi si volse per poggiare l’archetto del violino, che aveva ancora tra le mani, accanto allo strumento. «Ti va un tè?» propose e si volse per avviarsi verso la cucina.
 John fece per annuire, ma quando l’amico si mosse verso la cucina e la sua vestaglia viola svolazzò lasciando intravedere la camicia bianca che stava indossando, raggelò. «Sherlock.» esclamò «Stai sanguinando.» si avvicinò a lui, lo bloccò tenendolo per un braccio e scostò un lembo del tessuto viola. Sulla camicia bianca spiccava una macchia scarlatta, proprio dove il proiettile l’aveva colpito. «Dio, sono saltati i punti. Vieni, sdraiati.» indicò il divano e tentò di avviarsi verso il bagno per prendere il kit di primo soccorso. Se la ferita si fosse riaperta avrebbe rischiato un’altra emorragia e altri danni interni. E non potevano permetterlo. John non poteva permetterlo.
 «No.» replicò Sherlock, scostandosi per non essere toccato.
 «Sherlock, se i punti saltano rischi un’emorragia.»
 Sherlock si allontanò ulteriormente. «Lo so bene.» affermò «Ma non-»
 Watson lo interruppe. «Lascia che dia un’occhiata.» mosse una mano per circondargli il polso e tirarlo verso di sé, ma Holmes scattò.
 «No.» esclamò. 
 «Sherlock, ti prego-» tentò di protestare.
 «No.» ripeté lui alzando la voce e indietreggiando ancora «Non… non toccarmi.» gli sfuggì dalle labbra.
 Il medico rimase spiazzato. «O-ok.» concluse sollevando le mani. «Preparo un tè.» affermò voltandosi ed entrando in cucina. «Tu siediti, prima di fare altri danni.» ordinò.
 Quando tornò in salotto con il vassoio e le tazze colme di tè fumante trovò Sherlock seduto sulla sua poltrona, intento a fissare il fuoco che scoppiettava nel camino. Poggiò il vassoio sul tavolino da caffè, porse la tazza a Sherlock e poi si sedette a sua volta, continuando ad osservare ogni suo movimento.
 «Vuoi parlare?» domandò il medico quando ebbe finito il suo tè ed ebbe poggiato la tazzina vuota sul vassoio. Non gli aveva ancora chiesto spiegazioni dopo ciò che era successo. Forse aveva visto chi era stato a sparargli e in quel caso avrebbe dovuto farlo sapere a Lestrade, così che potesse arrestarlo.
 «Riguardo a cosa?» chiese l’altro di rimando, continuando a non degnare l’amico di uno sguardo. Continuava a fissare le fiamme e il legno consumarsi nel camino.
 «Riguardo ciò che è successo.» spiegò lui, anche se sapeva bene che il consulente investigativo aveva capito tutto. Si schiarì la voce. «Ricordi com’è andata?»
 Sherlock annuì. «Ero nell’ufficio di Magnussen e mi hanno sparato.»
 Il militare sbuffò sonoramente. Spiegazione esaustiva, pensò. «Chi?» chiese trattenendosi dal dare voce ai suoi pensieri.
 «Non l’ho visto in faccia.»
 John sospirò. «È impossibile.» fece notare «Sherlock, non sono un genio, ma dato che il foro d’entrata è sul tuo petto è abbastanza ovvio che si trovasse davanti a te e che tu lo abbia visto.»
 «Sei diventato bravo con le deduzioni, dottor Watson.» replicò il consulente investigativo, la voce colma di sarcasmo, sollevando lo sguardo sul volto del dottore. «Ma hai dimenticato di analizzare tutte le variabili.» vedendolo aggrottare le sopracciglia riprese «Aveva il volto coperto.»
 Watson annuì, colpito dell’improvviso cambiamento nel comportamento dell’ex-coinquilino. «Ok.» concesse «La corporatura era quella di un uomo o di una donna?» indagò. Forse con domande più dirette sarebbero arrivati a una qualche conclusione.
 «John-» tentò di interromperlo.
 «Almeno questo sarai riuscito a dedurlo.»
 «Non. Voglio. Parlarne.» ansimò Sherlock sentendo una terribile fitta allo stomaco. Era una bugia. Voleva parlarne, ma non poteva. Non con John. «Mi sembra abbastanza chiaro.»
 «Sherlock-»
 «Ora basta. Per favore.» forse così si sarebbe fermato. Forse implorandolo di smetterla avrebbe capito che non era il momento.
 John alla fine annuì. «D’accordo. Non sei costretto a farlo adesso. Ma se vorrai… quando vorrai… insomma-» si schiarì la voce e abbassò lo sguardo. «Io sono qui, lo sai.»
 Sherlock annuì. «Certo.»
 Watson notò l’esitazione nella sua voce. «È così.» insistette.
 «Lo so.»
 «No.» replicò sporgendosi sulla poltrona. «A quanto pare non lo sai.» si inginocchiò di fronte a lui e gli poggiò una mano sulla gamba per richiamare la sua attenzione, dato che aveva nuovamente abbassato lo sguardo. «Sherlock, non dubitare mai di me. Hai capito? Io per te ci sarò sempre. Sei il mio migliore amico. Sei-» si bloccò. Avanti, di disse, diglielo. Quando era in ospedale eri risoluto. Ti eri ripromesso di farglielo sapere. Perché ora non glielo dici?
 «Sono?» lo incalzò l’altro.
 John inspirò profondamente e decise di riformulare. «Tu non hai idea di quanto io abbia avuto paura. Ero terrorizzato all’idea di perderti di nuovo.» disse in un sussurro «Sei troppo importante per me.» scandì ogni parola lentamente. Forse così avrebbe capito. Era un maledetto genio.
 Sherlock abbassò lo sguardo.
 «Sei morto. In quella maledetta sala operatoria, sei morto di nuovo.» sentì il respiro farsi affannoso e gli occhi inumidirsi. «Se non fossero riusciti a riportarti da me, sarei morto, Sherlock. Sarei morto con te.» aumentò la pressione delle dita sulla sua gamba.
 «No, John.» ribatté il consulente investigativo rabbrividendo a quel contatto «Saresti andato avanti.» come hai fatto l’ultima volta, avrebbe voluto aggiungere.
 «Come fai a saperlo?» domandò ricacciando indietro le lacrime e alzando la voce. «Come fai a sapere se ce l’avrei fatta o no senza di te? Tu non hai idea di quanto abbia sofferto nei due anni in cui non sei stato qui. Non ho mai provato un dolore così grande e così tremendo. Mai.» non glielo aveva mai detto, ma era così. Neanche quando erano morti i suoi commilitoni in Afghanistan – persone con cui aveva condiviso tutto, brave persone – aveva provato tutta quell’angoscia. «E non voglio provarlo ancora.»
 «Perché mi dici questo?» chiese Sherlock, freddo come John non l’aveva mai visto.
 «Perché sei un idiota.» ribatté l’ex-militare. Come faceva Sherlock a non capire?
 «Oh, be’, ti ringrazio, John.» sputò fuori senza riuscire a trattenersi «E cosa avrei fatto per meritarmi l’onore di questo appellativo da parte tua?» domandò sarcastico.
 John scattò in piedi. «Credi che non mi importi nulla di te!» esclamò «Come puoi pensarlo? Come puoi pensare che se tu dovessi avere bisogno di me io non ci sarei? Sherlock, questo è-»
 Il consulente investigativo si mise in piedi a sua volta, anche se più lentamente e a fatica. «Quello che vedo.» concluse per lui. «Da quanto non venivi qui prima di avermi trovato in quel covo di drogati?» domandò bruscamente. «Un mese. Tanto che non ti eri nemmeno accorto che ero sparito dalla circolazione. Non dirmi che ci sarai, perché so bene che ci sono Mary e il bambino e-»
 «E tu.» lo bloccò avvicinandosi «Ci sei tu.»
 «Davvero?» lo sfidò e gli rivolse uno sguardo così penetrante che al medico sembrò che lo stesse scrutando fino nei recessi della sua anima.
 «Sì.» rispose «Sì, Sherlock.»
 Al consulente investigativo sfuggì una risata ironica. «Perché dovrei crederti, John?»
 A quel punto, John non si trattenne più. Al diavolo le telecamere piazzate da Mycroft, al diavolo i vicini e la signora Hudson al piano di sotto. «Perché sei sempre stato tu. Fin dall’inizio. Perché sei il mio migliore amico, perché mi hai salvato la vita e ti sei preso cura di me.»
 «Se ti senti costretto a farlo perché credi di avere un debito nei miei confronti, be’, sappi che non mi devi nulla.»
 «In debito?» chiese Watson sempre più perplesso. «Tu credi che io mi voglia prendere cura di te perché mi sento costretto?» domandò.
 «Sì.» rispose il consulente investigativo. «Ma non devi farlo.»
 «Io non lo faccio per questo.»
 «E allora perché sei qui, John?» lo sfidò furioso. Non poteva semplicemente andarsene?
 «Perché ti amo, completo idiota.» quasi gridò, esasperato da quella stupida conversazione. E detto questo lo afferrò per la vestaglia tirandolo verso di sé e lo baciò. Lo scontro tra labbra fece esplodere il cuore nel petto del medico, che portò una mano dietro il collo dell’amico per avvicinarlo ancora di più a sé, per assaporare ogni centimetro e ogni sfumatura delle sue labbra.
 In un primo momento Sherlock, invece, si irrigidì.
 Perché John lo stava baciando?  
 Perché in quel momento?
 Dopo aver sposato Mary.
 Dopo avergli chiesto di fargli da testimone.
 Perché?
 Poi il suo cervello si spense completamente.
 E fu a quel punto che qualcosa si ruppe.
 Holmes sentì una scossa elettrica serpeggiargli lungo la spina dorsale e si allontanò da Watson di scatto, ansimando, poggiandogli la mani sul petto per impedirgli di avvicinarsi nuovamente.
 «Sherlock.» disse John dolcemente, cercando il suo sguardo.
 Il consulente investigativo scosse il capo e senza dire nient’altro oltrepassò il medico militare, uscì dal salotto e raggiunse la sua stanza chiudendosi la porta alle spalle.
 Watson rimase immobile per qualche secondo con gli occhi sgranati, ma alla fine si mosse e si ritrovò davanti alla porta della stanza del più giovane a bussare insistentemente. «Sherlock.» lo chiamò «Apri la porta.» nessuna risposta «Ti prego, apri. Dobbiamo parlare. Non puoi semplicemente-»
 «John, è tutto ok?» la voce di Mary fece voltare il medico.
 «Mary.» disse stupito «Ciao.»
 «Che succede?» chiese lei indicando la porta della stanza di Sherlock.
 Il medico si bloccò. Cosa le avrebbe detto a quel punto? Avrebbe dovuto mentirle, non poteva indubbiamente dirle che aveva baciato qualcun altro. E che quel qualcun altro era un uomo ed era Sherlock. «Ehm… stavamo parlando e-» si interruppe e abbassò lo sguardo. «È ancora un po’ scosso dopo quello che è successo.» concluse.
 «Devi dargli tempo.» consigliò la donna accarezzandogli una guancia. Poi si portò una mano al ventre e sorrise. «Andiamo a casa? Sono un po’ stanca.»
 «Certo.» disse lui immediatamente e la seguì lungo il corridoio e giù per le scale. Non voleva lasciare Sherlock. Non voleva andarsene senza aver parlato, ma non poteva nemmeno rimanere lì, perché in fondo Sherlock aveva ragione: c’erano Mary e il bambino di cui occuparsi.

ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO CHE SCRIVE
Ciao a tutti! Rieccomi qui con un'altra storia, nonostante ne stia pubblicando altre due. ^.^" *Shame on me!*
Dunque, questa ff come già anticipato è un AU in cui gli eventi del terzo episodio della terza stagione di Sherlock, vengono completamente stravolti dalla mia mente in astinenza da nuovi episodi.
Non sarà una ff lunga. Non credo supererà i dieci capitoli, quindi non la tirerò per le lunghe, sempre che non si intrometta la mancanza di tempo e di ispirazione. ;)
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto e che vi abbia fatto voglia di leggere i prossimi!
A presto con i prossimo,
Eli


P.s. I personaggi non mi appartengono. 
Sono di proprietà di Sir Arthur Conan Doyle, Mark Gattis, Steven Moffat e la BBC.
 
   
 
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