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Autore: Gwen Chan    11/07/2015    7 recensioni
Diluvia. I fulmini squarciano il cielo plumbeo, l'aria odora di ozono. È un aroma particolare, non sgradevole.
"Prenderai un raffreddore."
[...]
"Mi piace la pioggia."

[OC!Israele; OC!Gerusalemme]
[Prima classificata al contest «Briciole di Letteratura» indetto da radioactive sul forum di EFP]
[Vincitrice dei premi Miglior Stile e Miglior Protagonista]
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sciogliere la maschera
 

 
Gerusalemme, 1949
 
Diluvia. I fulmini squarciano il cielo plumbeo, l'aria odora di ozono. È un aroma particolare, non sgradevole.
"Prenderai un raffreddore."
Israel si volta a fronteggiare Gerusalemme e annuisce, grave. Tuttavia non si sposta. L'acqua gli inzuppa i vestiti, scorre lungo le nude braccia abbronzate, gocciola dai capelli castani sulle spalle. 
"Mi piace la pioggia" replica. Nutre una terra inospitale, dove i fiumi di latte e miele hanno da tempo smesso di scorrere. Lava l'aria delle ceneri dei morti, le stesse che per l'eternità sarà costretto a respirare, per un momento dona la pacifica illusione che il mondo sia stato purificato.
"Posso restare?" domanda Sion, con cautela: sa quanto Israel ami la solitudine. 
"Sì."
Si siedono entrambi sul marciapiede fresco, con i gomiti posati sulle ginocchia, immobili salvo che per sporadici brividi di freddo. 
D’un tratto il silenzio viene rotto da un singulto. 
"Stai piangendo?"
Israel nasconde il viso e nega. Sion non insiste. Nemmeno quando a quel primo singhiozzo ne seguono un altro e un altro ancora. 
A Israel piace la pioggia perché nasconde quelle lacrime che di solito non può permettersi di versare. Gli consente di non impazzire, quando il dolore minaccia di squarciargli il petto.
Ha tanti ricordi, Israel, troppi. 
 
Canta, chiedevano, in una Pesach senza gioia, strozzati dal filo spinato. Canta della Terra Promessa. Raccontaci della bella Gerusalemme. Così lo pregavano gli ultimi figli di infinite generazioni di esiliati. Canta, ti prego, perché Elia venga a sedersi alla nostra misera mensa.
No, non può cantare. 
Non può cantare altra melodia che il kaddish.
I bambini - o, i bambini dagli occhi di pece - loro cantavano. Nell'ignoranza della giovinezza, cantavano. Sono bruciati, i bambini. Quando il vento soffia ne sente ancora le risate. 
Si porta le mani alle tempie, premendo i pugni sulle orecchie: "Falli smettere!"
Le grida della madre cui hanno strappato il figlio dal seno.
I sospiri nostalgici e rassegnati dei vecchi dagli occhi acquosi.
Non riesce a farli cessare. Allora si ritrova a benedire la cacofonia della guerriglia, perché gli impedisce di pensare.
"A volte la vedo, sai?" rivela Gerusalemme.
"Cosa?"
"Com'era. Com'era questa terra."
"Io vedo come sarà."
È una bugia, ben mascherata, ma una bugia. Per quanto si sforzi, non riesce a immaginare un futuro. La sua esistenza è una catena ininterrotta di domani, di notti insonni in attesa dell'alba. 
 
L'acquazzone termina dopo appena mezz'ora. 
Israel indossa di nuovo la maschera da sabra. Il sole riconquista con prepotenza il posto che di diritto gli spetta. Le strade si asciugano. Il vociare soffocato e multicolore che proviene da una vicina via li informa che la città sta già tornando alla vita. Si contratta, si chiacchiera, si litiga, si sgomita. 
"Una volta Tel Aviv mi ha chiesto perché l'acqua cadesse dal cielo" sussurra pensierosa Gerusalemme, accennando alla più giovane della famiglia. 
"E tu cosa hai risposto?"
"Che il cielo aveva nostalgia di te."
"Sono tornato, eppure piove ancora. "
"È il pianto di chi non ha potuto farlo."
 
Il prossimo anno a Gerusalemme!
 
Note (se ce ne sono):
Allora, quando ho letto le tracce (usate tutte, poi spetterà alla giudice stabilire a quale livello), applicarle al mio OC è stato quasi obbligato. L’ispirazione arriva e non si può fare nulla. Comunque, qualche informazione per inquadrare il contesto. La storia è ambientata poco dopo la creazione dello Stato di Israele, quindi in un clima burrascoso.
Ho sempre identificato David non solo come personificazione umana dello Stato in sé, ma anche come incarnazione della nazione ebraica. Di conseguenza (ma è una mia interpretazione) esiste dai tempi dell’Impero Romano (per quanto esista anche un OC!Antica Israele) e si è spostato per tutta Europa a seguito della diaspora, fino a culminare con la deportazione negli anni Quaranta. Esperienza di cui non parlerà se non molti anni dopo, al processo Eichmann, e che lo ha mutato profondamente.
Il kaddish è la preghiera che si recita per i morti.  Pesach è la Pasqua ebraica, dove viene sempre lasciato un posto libero a tavola, nella speranza che finalmente il profeta Elia arrivi e con lui il tanto atteso Messia.
Sabra (fico d’india) è il nome con cui nel XX secolo cominciarono ad essere indicate le persone nate in Israele (che pure Israele non si chiamava ancora). Contrapposti agli immigrati in Israele da ogni angolo del mondo, i sabra sono duri, spicci e arroganti. Hanno le spine, insomma, ma come un fico d’india hanno anche un centro più morbido
   
 
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