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Autore: B Rabbit    13/07/2015    0 recensioni
«Fa caldo, Lavi…».
Il rosso sorrise, nessuna malizia ad arcuargli le labbra; con il dorso delle dita, seguì i lineamenti morbidi del suo viso, continuando a perdersi in quelle due ampolle d’argento che lo osservavano.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Allen Walker, Rabi/Lavi | Coppie: Rabi/Allen
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '1-10 First Fandom: D.Gray-Man '
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Perché è naturale volerti
in un abbraccio




In quei primi giorni di luglio, la città pareva magicamente assopita, avvolta in un velo di silenzio ed inerzia che solo nelle prime ore del dì o in quelle vespertine si sgualciva o strappava, lasciando trapelare brusii di auto e il ritmico alternarsi dei passi. Il caldo si era via via ingrossato a causa delle temperature vertiginose e di qualche sporadica pioggia che, dopo aver regalato sorrisi con il fresco benefico dell’acqua, se li riprendeva tristemente con l’afa, lasciando l’amarezza nell’animo della gente. Alcuni uffici erano chiusi a causa del tempo, offrendo ai lavoratori la possibilità di nascondersi a casa. I luoghi con l’aria condizionata, invece, non mutarono la loro quotidianità.
Seduto sul pavimento di una camera da letto colma di libri e giornali – frammento d’animo di una persona a lui importante, ingranaggio fondamentale del sua vita – un ragazzo si stava beando il refrigerio che un piccolo ventilatore gli donava, situato dinanzi a lui. La finestra sopra il letto, aperta quel poco per cambiare l’ossigeno, gli ricordava, però, del caldo che fuori spirava, gettandogli sulla schiena lievi sbuffi roventi.
Il ventenne espirò i suoi rammarichi, evaporati in un sospiro. «Morirò, ne sono certo» dichiarò sofferente, ma rise appena udì la propria voce venir deformata dal ventilatore. Chiuse gli occhi e sorrise al soffio continuo e fresco che giocava con le sue ciocche diafane, facendole ondeggiare come foglie durante un giorno primaverile.
Stette immobile sull’ammattonato finché la porta non si aprì, mostrando una figura slanciata con due ghiaccioli in mano, uno dalla colorazione brunastra e l’altro di un vivace arancione.
«Sono rimasti unicamente questi due» spiegò afflitto un ragazzo dagli spettinati capelli cremisi mentre chiudeva il battente alle sue spalle. «Deve aver fatto razzia Alma, quando è venuto a trovare Yuu» ipotizzò, sedendosi vicino all’altro.
«Poteva avvisare» commentò Allen; allungò la mano verso il ghiacciolo dalla strana sfumatura scura, quello che entrambi detestavano, ma decise ugualmente di prenderlo, regalando così all’amante quello più gradevole. Purtroppo, il guercio capì la sua volontà; gli diede il secondo e lo fissò finché non lo prese seppur malvolentieri, cedendo alla sua fermezza.
«Lo volevo io quello alla Coca-Cola, Lavi…» mormorò lui, corrucciando le sopracciglia. «Che poi a te nemmeno piace, quindi perché?».
«Lo detesti anche tu, mio caro» replicò egli e addentò quel dolce amaro, firmando così la sua proprietà sotto lo sguardo amareggiato del compagno. Una smorfia affiorò sul suo volto. «Nnh, fa schifo come ricordavo».
Il ventenne abbassò lievemente il capo. «Dai, lo mangio io».
«Neanche per idea» gli rispose. Lavi posò lo sguardo su di lui e accennò un sorriso – nonostante qualche ciuffo candido, sfuggito dalla stretta della molletta, gli coprisse il viso sudato, il fulvo notò il dispiacere contrargli le membra, cancellando la consueta serenità della sua espressione –. «Sarà più dolce mangiare questo orrore di ghiacciolo se farai lo stesso con il tuo» miagolò, ampliando il sorriso.
L’altro lo fissò per qualche istante. Scosse il capo, infine. «Sei uno stupido».
Una risata sfuggì al rosso – breve e gutturale, spensierata, che spanse nel cuore dell’altro un calore gradevole –.
Il ragazzo morse il suo dolcetto, e un sorriso gli arricciò le labbra appena avvertì il sapore pungente dell’arancia stuzzicargli il palato. Il ventiduenne sollevò un angolo della bocca.
«Com’è?» chiese, conoscendo già la risposta.
L’altro strappò via un secondo pezzetto. «Buono».
«Vedo…» commentò lui con voce bassa, e un sorriso malizioso si formò sul suo viso quando osservò le labbra del ragazzo, rese ancor più invitanti dalle piccole gocce aranciate che le umettavano appena.
Allen, accortosi del suo sguardo e dando ad esso un significato innocentemente sbagliato, sollevò appena la mano che stringeva la gioia fredda. «Ne vuoi un po’?».
Il fulvo colse subito l’occasione. «Oh, sì…».
Il ragazzo, felice di condividere il ghiacciolo con lui, allungò volentieri il braccio, ma si meravigliò appena vide il più grande avvicinarsi non verso la mano, bensì nella sua direzione.
«Lavi, che–» ma l’altro lo zittì subito dopo, impossessandosi della sua bocca – il più piccolo allargò gli occhi appena l’altro cominciò a succhiargli il labbro con dolce lentezza, catturando cupido ogni sfumatura di sapore –.
Allen scostò immediatamente il viso quel poco da separare le loro bocca, ma rimanendo abbastanza vicino da poter sentire il suo respiro caldo carezzargli la pelle. «Ma sei diventato scemo? Dovevi provare il ghiacciolo!».
«Oh, ma io l’ho assaggiato» e riducendo nuovamente la distanza fra le loro labbra, il fulvo gli leccò l’angolo della bocca, affondando di poco la lingua nella pelle. «E devo dire che mi piace».
Il ventenne distanziò il ghiacciolo da lui. «Via» ordinò, indicandogli il letto con la mano libera.
«Andiamo, non vorrai privarmi di un altro assaggio!» si lamentò lui ed osservò desideroso le sue labbra, ma prima di poterle solo sfiorare, l’altro posò la punta delle dita sulla sua bocca e lo scostò appena. «No, Lavi, fa caldo!».
Il fulvo mugolò insoddisfatto contro la sua pelle – ammirò il sorriso raggiante che fiorì sulla bocca del più giovane, e poi l’espressione di stupore che si impossessò del suo viso, appena gli leccò dispettoso la pelle sensibile delle dita –.
«Smettila, stupido!» lo rimbrottò, strisciando all’indietro per allontanarsi. «Come fai ad essere così attivo?».
«Forse perché sono nato ad agosto!» trillò allegro e si avvicinò un po’ al fuggitivo, divertito dalle sue reazioni esagerate.
«No, Lavi, non voglio. Fa caldo!».
«Ma c’è il ventilatore…» uggiolò lui avvicinandosi sempre più, ma prima di poterlo abbracciare, così da accoccolarsi finalmente vicino a lui, il suo ghiacciolo scivolò giù dal bastoncino, cadendo così a terra.
Allen sbuffò. «Ecco, ora dobbiamo–» ma fu zittito da un rumore secco, umidiccio, e capì che anche il suo ebbe la stessa sorte, finendo sul pavimento.
«Pulire» concluse il più grande, trattenendo l’ilarità nella gola.
Il ragazzo sospirò. «Valli a buttare» ordinò, passandogli il legnetto. «Io pulisco qui con uno straccio». Si alzò riluttante e uscì dalla camera, forse diretto verso il bagno.
Il guercio eseguì l’ordine: afferrò i ghiaccioli e si avviò rapidamente in cucina, guaendo per il freddo pungente che gli torturava le palme delle mani. Aprì subito il cassoncino dell’immondizia con il piede e, dopo aver buttato i ghiaccioli, soffiò sollevato. Osservò per qualche attimo i due candelotti di ghiaccio.
«Tanto quello alla Coca-Cola faceva schifo» e chiuse la pattumiera.
Sentì l’eco di alcuni passi vibrare nel corridoio e Allen apparve sotto l’arco della cucina. «Come farò, ora, senza qualcosa di freddo?» si lamentò, appoggiandosi con il bacino al tavolo.
«Hai pulito?» chiese il rosso, adagiando la schiena contro il frigorifero, così da essere dinanzi all’amante.
«Sì…» mormorò lui, agitando velocemente la mano quasi a voler scacciare il caldo, eguagliandolo quasi ad una fastidiosa zanzara. «Con una tua maglietta che ho trovato nel bagno».
«Cosa!?».
L’altro sbuffò. «Era da lavare in ogni caso e le macchie del ghiacciolo andranno via senza problemi» si giustificò lui.
Lavi si coprì il viso con una mano e sospirò – un’idea gli balenò in testa, lo incitò ad elaborare una trappola per la persona che tanto adorava –. Puntò lo sguardo su Allen e sorrise. «Hai ancora caldo?».
«Certo» rispose lui, e il più grande esultò intimamente. «Ho una soluzione» e senza chiarire alcunché, si voltò per aprire il freezer – gioì della magnifica sensazione che lo sbuffo freddo gli regalò, punzecchiandogli la pelle –.
«Non voglio il gelato» lo informò subito Allen, che cercava di scoprire qualcosa oltre la figura del rosso, allungandosi con il corpo.
«Tranquillo, Alma li ha già finiti due giorni fa».
L’altro roteò gli occhi. «Vi deve una spesa, lui» commentò stizzito, incrociando le braccia al petto.
Lavi rise. «Ha voluto passare del tempo con Yuu, siccome non hanno alcun esame da preparare. L’unico problema è che non sopporta molto bene il caldo» spiegò. «Oh, trovati!».
Il ragazzo tentò di scorgere ciò che il compagno stringeva. «Cosa?».
Il guercio si voltò. «Questo!» e sorridendo, gli mostrò una formina piena di cubetti trasparenti.
Allen sgranò leggermente gli occhi dalla sorpresa, ma l’istante dopo aggrottò le sopracciglia. «Non ci provare».
Lui indossò la maschera della purezza e un’espressione ingenua nascose le sue effettive intenzioni. «Che cosa?» canticchiò, avanzando verso il più giovane per bloccarlo fra lui e il tavolo con il suo corpo, ma Allen fu più lesto e sgusciò subito via.
«Sai benissimo cosa!».
«Ti sbagli, davvero!» e con un’ampia falcata lo raggiunse, ma il ragazzo indietreggiò e fuggì via, lanciandogli una maledizione. Lavi rise e cominciò l’inseguimento, disinteressandosi delle gocce d’acqua che sparse sul pavimento o dei cubetti che smarrì nella corsa – si concentrò unicamente su Allen, ridacchiando delle sue promesse nefaste e gioendo del suo viso sereno e felice che riusciva ad intravedere quando lui si voltava all’indietro e le loro iridi si univano, mostrandogli le sue labbra a bocciolo piegate in un candido sorriso –.
«Se ti prendo…!» lo avvisò lui, decelerando leggermente per dare continuità a quella corsa piacevole.
«Cosa mi fai?» chiese fra le risate.
«Ti abbraccio!» gridò, quasi fosse una minaccia.
Allen rallentò appena e svoltò verso il piccolo salotto, ma appena si girò alla ricerca del rosso, del suo sguardo traboccante di serenità, qualcosa intralciò la sua matta corsa, e il giovane cadde a terra con un gemito.
«Allen!» sentì il suo nome risuonare alto, gonfio di agitazione. Sollevò il busto con una spinta delle mani e si sedette sull’ammattonato. Lavi lo raggiunse e si inginocchiò accanto a lui. «Stai bene? Cosa–».
«Non è nulla, tranquillo…» lo rincuorò lui; spostò poi l’attenzione dal guercio e vagò con lo sguardo sul pavimento. «Credo di essere inciampato su quelli…» ipotizzò, indicando dei tomi sparsi a terra. «Scusa».
Il fulvo lo guardò meravigliato. «Non dire scemenze…» sbuffò poi, dandogli uno schiaffetto sulla fronte. Il ventenne mugolò infastidito; uno “Stupido Lavi!” uscì fuori dalla sua bocca, ma la voce che formò le parole fu allegra e dolce grazie al riso che vibrò in essa –.
L’iride smeraldina scivolò lungo la gamba sinistra del giovane e una piccola ruga di apprensione segnò la fronte dell’altro. «Ti fa male?» chiese Lavi, osservando la piccola macchia rossastra sorta lungo la caviglia e il dorso del piede.
«E-e? No…».
«Allen» lo chiamò, il tono serio. «La verità».
Il citato sospirò. «Un pochetto» ammise e, portando le gambe al torace, nascose la parte dolorante sotto il palmo. «Sta’ tranquillo, però» lo pregò, ma lui posò la mano sulla sua e gliela scostò gentilmente. «Non devi nascondere nulla…» gli disse; tese le dita e gli sfiorò la pelle con tocchi soffici, così lievi da sembrare fatti d’aria per via del timore di fargli male al semplice contatto.
«Aspetta» e, alzandogli con delicatezza il piede, posò l’ultimo cubetto di ghiaccio che aveva con sé, adagio, così da far abituare il giovane al suo tocco freddo. «Va meglio?».
Il più piccolo sorride. «Sì, grazie…».
Il guercio annuì con la testa; fece ruotare il ghiaccio lungo tutto il rossore finché l’ultimo cristallo non si sciolse in una perla d’acqua. Posò una mano sotto il tallone, l’altra sul polpaccio e, sollevandogli la gamba, depositò un tenero bacio sulla pelle arrossata – Allen acquisì colore a quel gesto insolito e bizzarro, ma non scostò affatto il piede e rimase ad osservare l’amante, assaporando il tepore che le sue labbra gli donavano –. «Mi dispiace…» sussurrò il più grande. Il giovane si chinò verso di lui e gli prese delicatamente il mento, obbligandolo a ricambiare il suo sguardo. «Non è stata colpa tua, capito?».
Il fulvo annuì leggermente con il capo; studiò il viso dell’altro in cerca di graffi, di arrossamenti, e sorrise quando ne scoprì solo due, uno per guancia, a vivacizzargli il volto sereno. «Torniamo in camera, lì è fresco».
Allen annuì con un mormorio lieve, ma prima di potersi solamente alzare, Lavi gli cinse le gambe e il busto con le braccia, lo sollevò e lo strinse a sé con gentile decisione – al più piccolo sfuggì uno squittio e afferrò istintivamente la canottiera dell’altro fra le dita, come uno scongiuro per non cadere –.
«Ma c-che fai?».
«Ti aiuto» rispose lui; con il naso, gli scostò le ciocche candide dalla fronte e lasciò un bacio su di essa. «È quello che fanno le persone che si vogliono bene».
Piano piano, il ventenne si rilassò contro il petto dell’altro e nelle sue iridi perlacee si formò il volto del compagno – quando credeva di aver sbagliato, di avergli fatto del male, Lavi perdeva la sua caratteristica sicurezza e diveniva ancor più protettivo, ma a volte appariva distaccato, silenzioso o impacciato. E Allen amava anche questo suo lato, gli ricordava un piccolo, adorabile bimbo smarrito –.
Quando arrivarono in camera, il ragazzo lo adagiò piano sull’ammattonato e gli scompigliò appena i capelli; si sedette al suo fianco, però volse lo sguardo dall’altra parte. Notando il suo gesto, Allen si mordicchiò irrequieto il labbro; si girò e guardò fuori dalla finestra, ma l’attenzione si concentrò sulla sua mano destra e sul tepore che avvertì sfiorargli la pelle – erano le dita di Lavi che gli infondevano gioia, intrecciandosi timidamente alle sue –.
Sorrise felice, Allen, e unì le iridi al cielo sfumato d’arancio oltre la finestra.
«Secondo te il caldo diminuirà verso sera?».
Il rosso volse il capo nella sua direzione e studiò il suo profilo, lo sguardo che tendeva verso l’esterno. «Perché?».
«Non voglio camminare per venti minuti con il rischio di morire disidratato» sbuffò lui, seccato dalla situazione degli ultimi giorni.
Lavi sorrise bonario. «Beh… potresti rimanere da me, sai?».
L’altro lo studiò con un pizzico di sospetto. «Hai in mente qualcosa, vero?» chiese, facendo così ridere il compagno.
«No, giuro!».
Allen non allontanò lo sguardo da lui e finse di soppesare l’invito, malgrado conoscesse benissimo la risposta sbocciata nel cuore. «Perché no, d’altronde hai questo bellissimo ventilatore!».
«Ehi!» reagì lui, offeso dalle sue parole, e un piccolo broncio baluginò presto sul suo viso – Allen lo trovò infantile, ma innegabilmente adorabile –. «Sono molto meglio, io».
Il più giovane strinse le braccia al petto e fissò divertito il ragazzo, mentre un piccolo sorriso gli illuminava il volto – la preoccupazione era sfumata, portava via dal vento che entrava dalla finestra, di questo Allen ne era certo –. «Ah, ma davvero?».
Lavi ricambiò il sorriso, ma il suo acquisì un’ombra di malizia. «Certo… sono perspicace, spiritoso» la voce diminuì pian piano, divenendo sempre più un sussurro roco, seducente. Il fulvo si avvicinò all’amante; lo guardò, sprofondò nei suoi occhi perlacei e luminosi, ammalianti come stelle. «Posso essere molto dolce, immagina…» e sfiorò la sua guancia con il dorso delle dita, una volta e un’altra ancora, delicatamente.
Una risata argentina vibrò fra loro – troppo breve secondo il parere del rosso – e il ventenne socchiuse gli occhi, deliziato dalle tenerezze regalategli dal compagno. «Ah, sì…?» chiese ancora, un mormorio fragile e leggero.
Il fulvo approfondì i tocchi, accarezzandogli la guancia con il palmo caldo della mano – continuò a scrutare i suoi occhi socchiusi, quelle porte che sapevano nascondere la profondità di un mare infinito, ma che a lui, dopo aver imparato ad osservare e comprendere il giovane, parevano limpide come specchi d’acqua di un ruscello –. «Sì…» e, prendendogli il viso con delicatezza, lo baciò senza alcun ardore, ma imprimendo sulle loro labbra la dolcezza del suo affetto.
Allen sorrise, in quel tenero bacio, e, stringendo tenuamente il busto dell’altro, si distese sul pavimento, guidando il ventiduenne sopra di sé; si scostò appena da lui, gli diede un piccolo bacio di commiato e si abbandonò completamente sull’ammattonato, sorridendo in modo dolce. «Fa caldo, Lavi…».
Il rosso sorrise, nessuna malizia ad arcuargli le labbra; con il dorso delle dita, seguì i lineamenti morbidi del suo viso, continuando a perdersi in quelle due ampolle d’argento che lo osservavano. «È vero, ma non è fastidioso» gli disse, piegandosi verso le sue labbra. «Il tuo calore è dolce».

















Laven. Non smetterò mai di scrivere su ciò.
Bene, questa è la seconda storia sulla mad challange delle 100 fic che Dio ci aiuti.
Beh, spero di aver scritto qualcosa di corretto, decente e, perché no, leggermente fluff - non credo che lo sia °^°" -.
Prima di sgattaiolare via... OMMIODDIO DGM CONTINUA!! Questo venerdì uscirà il capitolo nuovo! Non finirò mai di urlarlo!
Sono così felice cxc

Grazie a tutti voi che avete letto e che siete arrivati fin qui, ma anche a chi ha saggiamente mollato dopo le prime righe.
Bye bye :3

Cloud ~

  
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