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Autore: OmegaHolmes    13/07/2015    4 recensioni
Passeggiata notturna di Sherlock e John, dopo la conclusione di alcuni casi.
Dalla storia:
"In fondo bastava questo: la loro presenza reciproca.
Non avevano bisogno di parole, quando avevano quei loro lunghi e intensi sguardi, quei rari sorrisi a valer più di milioni di discorsi.
La brezza proveniente dal porto scompigliava con gentilezza i capelli ribelli del detective, drizzando , invece in forme grottesche, i capelli biondo spento del dottore."
Fluff - MOLTO fluff - Johnlock -
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Angolo dell'autrice: Salve a tutti! Questa storia è nata nel crepuscolo della sera, alla vigilia del mio compleanno. Amo questi personaggi più ogni altra cosa e spero di averli stesi nel modo approriato. 
Lasciate un commento, se vi va, grazie.
_omegaholmes_


-Un altro caso risolto. – proferì la voce del consulente investigativo mentre si alzava in piedi dalla sua comoda poltrona, abbottonandosi la giacca del completo.
-Già, ben tre casi in una settimana, Sherlock. Il mio blog ne sarà felice!- ridacchiò il dottore, alzando lo sguardo dal laptop sulle sue ginocchia.
 
Londra si stava lentamente ritraendo dalla lunga giornata, diventando silenziosa e cupa in zone come Baker Street. Tutta la vita notturna pulsava a Soho, Picadilly Circus o Portobello Road, eppure vi erano zone di Londra così silenziose, che non pareva nemmeno di essere in una capitale Europea.
Il detective aveva posato attenzione alla finestra che dava sulla strada sottostante.
-Ti va una passeggiata, John?-
-Una-una…passeggiata? Ma sono le 23.30, Sherlock! Doman- -
-Domani è mercoledì, il che implica che sarà il tuo giorno libero.-
-Oh,giusto. Sì…-
-Allora non hai scuse. – Sorrise appena il moro, andando ad indossare il cappotto lungo.
-Ma…dove andiamo?- domandò il dottore, mentre a fatica metteva la giacca.
-A Londra.-
Il sorriso del moro si allargò, mentre scese velocemente e silenziosamente le scale, come un felino.
 
La città pareva spettrale e incantata.
Una frescura frizzante e pungente, di tanto in tanto, ricordava la presenza del Tamigi, insieme al misto di profumi e odori, tipici di quella città così antica, eppure moderna.
Fianco a fianco, nella luce tenue della notte, i due coinquilini passeggiavano, senza una meta, con le mani affondate nelle tasche dei loro cappotti e i gomiti che di tanto in tanto si sfioravano come a ricordarsi di non essere soli.
In fondo  bastava questo: la loro presenza reciproca.
Non avevano bisogno di parole, quando avevano quei loro lunghi e intensi sguardi, quei rari sorrisi a valer più di milioni di discorsi.
La brezza proveniente dal porto scompigliava con gentilezza i capelli ribelli del detective, drizzando , invece in forme grottesche, i capelli biondo spento del dottore.
 
-E’ da quando non frequento l’Università che non faccio più passeggiate notturne, per pensare e rilassarmi.-
-Quindi…tu a vent’anni andavi in giro da solo per Londra, di notte?-
-Esatto. Sai, John, di notte, Londra non è una città per turisti, né una città da cartolina. Di notte Londra è la mia città. Posso sentirla pulsare nelle mie vene, inebriarmi dei suoi odori e osservarla da un altro punto di vista. Il silenzio che sovrasta di notte, passeggiando, mi aiuta a calmare pensieri che spesso mi tormentano e…- alzò gli occhi al cielo stellato che sovrastava timidamente sui loro capi. - …di notte il “soffitto” è più affascinante.-
Il dottore sorrise, guardando a sua volta il cielo:
-Quando ero in Afghanistan e avevo il turno di guardia, l’unica cosa che potevo fare era guardare il cielo. Ogni volta che alzavo lo sguardo, iniziavo a pensare a tutto quello che avrei ritrovato quando sarei tornato. Pensavo al mio futuro, lontano da tutto quel caos e…nemmeno lontanamente, Sherlock, avrei mai potuto immaginare di incontrare te.-
-Beh, John, credo sia il fascino del futuro, no?-
-Già…già credo sia quello… - ridacchiò il dottore.
-Un sociopatico iperattivo che ti fa passeggiare a Londra in piena notte. Gli scherzi del destino.-
Risero insieme, per alcuni istanti, per poi far calare nuovamente il silenzio tra loro.
I passi della notte li avevano portati fino ad una sala da te che rimaneva aperta 24 ore su 24.
-Fanno dell’ottimo the qui, John. Ti andrebbe una tazza?-
Il dottore aveva posato lo sguardo sull’orologio che segnava  1.05:
-Uh?..Oh, sì… va bene. Un inglese non dice mai di no al the, giusto?-
-Così si dice.- rispose il moro, spingendo la pesante porta di vetro.
All’interno della sala da the, con tavoli che ricordavano maggiormente una tavola calda, vi erano solo un paio di persone, sparse qua e là, mentre lavoravano al computer o attendevano un amante (così dedusse il detective).
Sherlock scelse il tavolo più illuminato, vicino alla vetrata ed infondo all’imponente sala.

Così, dopo due ore, erano ancora seduti a quel tavolo, a raccontarsi aneddoti passati, esperienze comiche e casi intricati risolti in tenera età.
L’uno di fronte all’altro, con i gomiti poggiati sul tavolo, si fissavano negli occhi che non smettevano mai di brillare alle parole pronunciate con la rilassatezza e gioia che coglieva entrambi con la fine di un caso.
-Sherlock ?-
-Mh?- rispose il detective mentre sorseggiava dall’ennesima tazza di the.
-Avresti mai pensato di conoscere qualcuno…come me?-
Il moro posò la tazza, per la prima volta, senza sapere cosa rispondere, rimanendo pensieroso a fissare gli occhi stanchi cobalto di fronte a suoi, che lo fissavano con interesse.
-Beh…-
-Sherlock Holmes che non ha una risposta esatta per tutto, i tabloid vorranno un esclusiva al riguardo!-
-Oh, sta zitto. Ho delle tue foto compromettenti, John Watson.-
-Foto compromettenti? Di che genere?-
-Del genere di te addormentato sulla mia spalla. Sono sicuro che ne andrebbero matti.-
-E magari pure che sbavo.-
-Esattamente.-
-Vorrà dire che dovrò ingaggiare un detective per impedirtelo.-
-Ma per favore! Il massimo che riuscirebbero a fare sarebbe innervosirmi.-
-Vero!- ridacchiò il dottore, sorridendo pacifico.
-Comunque, la risposta è no.-
-A cosa?-
-Alla tua domanda.-
-Oh..- rimase per alcuni istanti in silenzio, poi continuò -Beh, gli scherzi del destino.-
Alle 5 del mattino, si ritrovarono in una Piccadilly Circus deserta, attraversata solo dai netturbini indaffarati nel loro dovere.
L’aria si era fatta più fredda e le prime luci di un nuovo giorno iniziavano a sorgere.
Seduti sotto la statua centrale della piazza, se ne stavano loro, ancora stretti nei loro cappotti, uno di fianco all’altro a ridere come due adolescenti spensierati alla loro prima uscita fino a tardi.
Era così che John si sentiva, in quel momento: giovane e spensierato, nonostante non lo fosse più.
Quello era l’incredibile effetto che gli faceva essere a stretto contatto con un bambino come Sherlock.
 
La luce indaco della prima mattina li avvolgeva e i loro sguardi seguivano stanchi il camioncino della spazzatura.
-Deve essere un lavoro snervante.- esordì il moro.
-Sì, lo penso anche io. E’ un lavoro che può provocare numerosi problemi alle articolazioni e ai tendini, fino ad arrivare a problemi psicosomatici.-
-Alle volte dimentico che tu sia un medico.-
-E cosa ricordi?-
-Che sei il mio blogger.-
-Già… il “Blogger dell’anno” per essere precisi.-
-Secondo una rivista per uomini attempati, sì.-
-E’ il “Time”, Sherlock, è una rivista importante!-
 
Contemporaneamente si voltarono a guardarsi negli occhi, per poi scoppiare a ridere.
Quando smisero di ridere, caddero nell’oblio di uno di quei lunghi sguardi senza fine, nati senza un motivo certo e che morivano solo nel caso in cui uno dei due veniva disturbato da qualcos’altro.
Ma quella volta non accadde, ben sì, qualcosa si tuffò letteralmente sulle labbra di John, senza dargli il tempo di capire che cosa esattamente fosse stato.
La brezza gli pungeva gli zigomi che si erano fatti ardenti, mentre i suoi occhi si erano socchiusi, senza rendersene conto.
Delle soffici,dolci labbra a cuore al sapore di the e tabacco, si erano posate sulle sue, timidamente.
Poteva percepire la sua pelle rasata e fresca, mentre le sue narici si riempivano dell’odore del dopobarba alla menta del moro.
La punta del naso freddo andava a sfiorare i suoi zigomi sempre più ardenti, mentre le sue labbra risposero appena a quel bacio così dolce, quasi fiabesco.
Quando il detective lo lasciò, senza fiato, poté notare che anche gli zigomi del più alto si erano imporporati e che i suoi occhi si erano fatti lucidi e sfuggenti.
 
-…mi hai baciato.- sussurrò con un filo di voce il biondo.
-…grazie per aver sottolineato l’evidenza…- sussurrò con tono profondo il moro.
-Tu….avevi mai…?-
-Nessuno…-
-Nessuno?-
-Mai.-
-Quindi…-
-…era il primo…-
-Beh..anche per me in un certo senso…-
-Mai baciato un uomo?-
-Mai baciato un uomo.-
-Mh… forse… non avrei dovuto… io-- -
-No, no! …no, va bene, va bene…insomma, Sherlock, io…- il dottore esplose in un sorriso gioioso, che nascose tra le mani tremanti e fredde.
-Tu..?-
-Non me l’aspettavo, Sherlock! Era…ci ho sperato così tanto!-
Gli occhi felini del detective si fecero innocenti e brillanti:
-davvero?-
-Sì, Sherlock.-

Tra il sorriso luminoso delle 6 del mattino, Sherlock e John presero un taxi diretto a Baker Street, mentre facendo finta di nulla, il dottore accarezzava la mano longilinea e nivea del detective, posata sul sedile centrale.
  
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