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Autore: The_BlackRose    14/07/2015    1 recensioni
Dopo quella maledetta notte tutto precipita. Deve essere un normale pattugliamento, ma qualcosa va storto, un demone li attacca. Clary è stesa a terra agonizzante, il corpo scosso da tremiti, gli occhi rovesciati all'indietro. La diagnosi è semplice: morso di demone. Più passa il tempo, più la ragazza impazzisce e non c'è nessun antidoto conosciuto che la può salvare.
Quando Sebastian le parla nel sonno offrendole una cura, Clary non sa cosa fare; andare con lui per salvarsi la vita o rimanere rischiando di morire? La sua parte ormai marcia prenderà il sopravvento?
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clarissa, Jace Lightwood, Jonathan, Sebastian / Jonathan Christopher Morgenstern
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sistole. Dolore. Diastole. Fitta.
Ad ogni battito, ad ogni ciclo che compiva il sangue, ad ogni respiro un dolore cieco si propagava per tutto il suo corpo tremante.
Sistole. Tremito. Diastole. Sussulto.
Il respiro le mancava, ogni tentativo di inspirare era sempre più duro del precedente.
Sistole. Ansia. Diastole. Paura. Sistole. Panico. Diastole. Terrore.
Ormai non lo considerava più il suo corpo, era diventato un informe guscio protettivo per la sua anima che viaggiava in continuazione tra la coscienza e l'incoscienza.
Il suo corpo. Una volta ne era fiera. Niente di speciale: le mancavano le curve, era piccolo e gracile, ma le piaceva e si sentiva a suo agio al suo interno. Ora era quasi irriconoscibile. Piaghe sanguinolente e infette le ricoprivano la schiena, dalla cima delle spalle alla base delle natiche. Il resto del corpo era ricoperto da bolle arrossate e giallognole, che le dolevano ogni volta che ci si appoggiava sopra. Per non parlare del color verdastro che aveva assunto la sua pelle. Le settimane passate tra il sonno e la veglia le avevano ridotto di molto le capacità muscolari, ora anche andare in bagno si dimostrava uno sforzo enorme. Il suo organismo era stato come bombardato da decine e decine di strani infusi e nuove medicine sperimentali per tentare di scacciare il veleno che la stava distruggendo ogni giorno sempre di più.
Ma il suo corpo era uno dei suoi ultimi pensieri.
Era la mente ciò che la preoccupava.
Sentiva che ogni ora che passava perdeva sempre di più la capacità di ragionare lucidamente. Troppe volte si era trovata a fare pensieri che prima non le avrebbero mai nemmeno sfiorato la mente. Era spaventata da se stessa, da quello in cui si stava trasformando.
Stava diventando pazza.
Perdeva il controllo di sé, lo sentiva. Le mancava la capacità di ragionare, non riusciva a fare nemmeno una semplice operazione matematica senza andare in confusione.
Ancora una volta il suo esile e fragile corpo venne scosso dalle convulsioni. La macchina a cui era attaccata cominciò ad emettere quel suono assordante e fastidioso che odiava tanto. Tre Fratelli Silenti si precipitarono nella sua stanza e le fecero la solita iniezione per far smettere il suo corpo di tremare.
Fu allora che perse di nuovo conoscenza.

Jace continuava a camminare avanti e indietro per il corridoio. Era ormai passata mezz'ora da quando l'allarme era suonato e i Fratelli Silenti erano corsi nella camera di Clary per farle l'ennesima iniezione.
Erano settimane che si andava avanti così.
Dopo quella maledetta notte tutto era precipitato. Doveva essere un normale pattugliamento notturno, ne avevano fatti a centinaia come quello. Ma qualcosa era andato storto, un demone li aveva attaccati. Jace, prontamente, era riuscito ad ucciderlo e a rispedirlo nella sua dimensione, ma quando si era girato aveva assistito alla scena più terrorizzante della sua vita. Clary era stesa per terra agonizzante, il corpo scosso da tremiti, gli occhi rovesciati all'indietro. Subito si era precipitato all'Istituto tenendola tra le braccia e quando finalmente aveva finito di tremare, aveva pensato che fosse morta. Il panico gli aveva attanagliato cuore e mente per ore mentre i Fratelli Silenti si erano presi cura di lei rinchiudendosi nella sua stanza.
La diagnosi era semplice: morso di demone. Ma non un morso qualunque da un demone qualsiasi. Quello che li aveva attaccati era un demone mai visto prima, una specie che era sempre vissuta nella propria dimensione, a quanto pareva, e che non era mai passata attraverso il passaggio che collegava i loro universi. Il suo veleno era penetrato nell'organismo di Clary e la stava distruggendo poco a poco. I Fratelli cercavano disperatamente una cura, ma fino ad allora non c'erano stati grandi progressi.
E ancora una volta Jace si ritrovava fuori dalla stanza della sua ragazza ad aspettare in pena per lei, perché questo incubo sembrava non aver fine. Ormai non chiudeva più occhio, tra l'ansia costante e le urla di Clary che lo risvegliavano appena riusciva ad addormentarsi.
Era straziante sapere che non poteva fare nulla.
Tutto quello che stava passando la sua piccola e dolce Clary sarebbe dovuto accadere a lui. Lui sarebbe stato più forte, non sarebbe ceduto al veleno, avrebbe lottato.
Questo era quello che pensava lui. La realtà era che nessuno sarebbe riuscito a vincere quel veleno. Nessuno, nemmeno l'essere umano più forte.
I Fratelli Silenti avrebbero dovuto trovare una cura. Nessuno sapeva cosa sarebbe accaduto a Clary se non ci fossero riusciti.

La notte non portava sollievo, solo un'incredibile depressione e voglia di dormire per sempre. Fortunatamente, però, quella notte Clary riuscì ad addormentarsi nonostante il dolore e a porre così fine ai suoi pensieri tristi e senza fondo.
La Fratellanza era come sempre piazzata in corridoio nei pressi della sua stanza.
Clary.
Un soffio.
Clary.
Un sussurro.
Clary.
Una voce. Una voce che la chiamava.
“Clary, ascoltami bene.”
Era un sogno?
“Posso portarti via da tutto questo, posso far sparire il dolore.”
Voleva aprire gli occhi, vedere se tutto ciò che stava accadendo era un sogno o la realtà. Non ci riusciva.
“Ho una cura, Clary.”
Una cura. Tutto ciò che aveva sognato per settimane. Ma chi o cos'era che le stava offrendo una cura? Quello che le arrivava all'orecchio era un sibilo, ma percepiva la sua voce calda e soffice. Il genere di voce che avrebbe incantato qualsiasi ragazza. Aveva un tono rassicurante e calmo, un che di sensuale.
“Tutto quello che devi fare è venire da me. Devi uscire da New York e dirigerti verso il vecchio fienile dove usavi rifugiarti con Simon quando volevate saltare scuola. Lì troverai altre indicazioni per trovarmi.”
Come poteva sapere una cosa del genere? Lei e Simon non avevano mai confessato a nessuno di frequentare quel luogo. Come aveva potuto scoprirlo? E soprattutto, a chi apparteneva quella voce? Voleva svegliarsi e voltarsi nella sua direzione, ma non riusciva. Era come incatenata al sonno. Cosa le stava facendo quella voce?
“Io ti aspetto.”
Sentì una mano che le scostava i capelli per accarezzarle dolcemente la tempia. Poi dei passi e il rumore di una finestra che si apriva.
“Tuo fratello ti aspetta, Clary. Sebastian ti aspetta.”
E la voce sparì.

“Allora, come sta?” Jace era sceso a colazione e ora era seduto a tavola insieme alla sua famiglia. Jocelyn, la madre di Clary, si era trasferita temporaneamente all'Istituto per stare accanto alla figlia, sperando che la sua presenza avrebbe potuto in qualche modo aiutarla. Fu lei a rispondere.
“I Fratelli Silenti dicono che sta ancora dormendo. Non ha emesso i soliti gemiti di dolore e hanno deciso di non entrare in camera sua per non disturbarla. Sapete, quando dorme non sente dolore.” La voce della donna era rotta. D'altronde, quale madre non sarebbe stata distrutta sapendo che la propria figlia era in pericolo di morte e che non si poteva fare nulla per aiutarla? Jocelyn si alzò da tavola con una mano sulla bocca e se ne andò in fretta mormorando delle scuse.
Nell'Istituto aleggiava ormai da settimane una sensazione di depressione e pesantezza, come se le finestre non fossero state aperte per mesi e l'aria satura ed irrespirabile si fosse accumulata all'interno dell'edificio. Tutti i presenti sembravano essere stati contagiati da quell'aria cattiva. Isabelle, una volta allegra ed esuberante, aveva le spalle chine sul tavolo e mangiava in silenzio; Alec non si sforzava neanche di toccare il suo piatto; Simon, che ormai veniva ogni giorno all'Istituto per avere informazioni sulla migliore amica, aveva gli occhiali appannati e il viso rigato di lacrime che non tentava nemmeno di nascondere. Maryse e Robert erano impegnati negli affari del Conclave, ma cercavano comunque di dare una mano quando era possibile. Jace invece era impassibile. In quelle settimane il suo bel viso dai tratti angelici si era trasformato in una dura maschera di pietra da cui non traspariva niente se non preoccupazione. Dentro invece stava esplodendo a poco a poco, una guerra nucleare che gli stava distruggendo il cuore e la mente. La capacità di sorridere gli stava scivolando via come la sabbia sguscia attraverso le dita quando tenti di afferrarla, i ricordi felici sembravano lontani anni luce.
Dal piano di sopra si sentì un rumore di passi affrettati, dopodiché un urlo e un vociare fitto. I ragazzi seduti a tavola alzarono le teste di scatto e si guardarono confusi. Dopo qualche minuto un Fratello Silente si affacciò alla porta della cucina.
“Cos'è successo?” chiese Alec prima che qualcun altro potesse porgere la stessa domanda.
La voce roca e profonda della figura incappucciata riempì le menti dei ragazzi. Jace si sarebbe per sempre ricordato di quelle parole.
Clarissa Fairchild è scomparsa.

I ragazzi si erano tutti precipitati su per le scale, ma fu Jace il primo a varcare la soglia della stanza di Clary. La camera era vuota, i mobili, i macchinari e i suoi oggetti personali erano ancora al proprio posto. Sembrava che nessuno avesse toccato niente, che nessuno fosse stato in quella stanza a parte Clary. L'unica cosa che non rientrava nel solito ordine era la finestra aperta, le tende svolazzavano smosse dalla brezza mattutina che filtrava attraverso i battenti spalancati.
“C'è qualcosa che non va.” Jace si guardò intorno sperando di avere un'illuminazione, qualcosa che potesse fare chiarezza sull'accaduto. “Non può essere semplicemente uscita così, senza motivo.”
Isabelle gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla. “Jace, Clary stava peggiorando sempre di più, il suo cervello non era più lo stesso.”
Il ragazzo si allontanò e si portò le mani alla testa. “Non era così malata, fino a ieri ragionava ancora nei limiti della normalità. Non può essere peggiorata così da un momento all'altro. Ed è da escludere anche il rapimento. Guardatevi intorno,” Spalancò le braccia indicando la stanza. “Non è stato mosso neanche un granello di polvere. Di sicuro avrebbe opposto resistenza e rovesciato qualcosa se avessero tentato di portarla via contro la sua volontà.”
Jace Herondale, Fratello Enoch si avvicinò a lui. La Fratellanza ha un'ipotesi. Dalle ricerche che abbiamo condotto abbiamo appreso che la malattia della tua Clarissa ha un decorso lineare e regolare, senza peggioramenti bruschi ed improvvisi. Hai ragione, non sarebbe mai scappata senza una ragione. Tuttavia, a questo stadio della malattia il suo cervello è estremamente malleabile e facilmente influenzabile.
“Stai dicendo che...” No, non era possibile.
Clarissa potrebbe essere stata indotta a scappare. Da una persona che probabilmente avrebbe ricavato un vantaggio dalla sua fuga. Pensiamo che il soggetto in questione possa essere...
A Jace ora era tutto chiaro. Quel lurido essere le aveva portato via la sua ragione di vita primaria. “Sebastian Morgenstern,” pronunciò quel nome come fosse stato intriso di veleno. L'avrebbe pagata cara.

Cosa stai facendo? Torna indietro!
Continuava a camminare a tentoni, barcollando e fermandosi a riprendere fiato. La malattia e i numerosi giorni trascorsi a letto le impedivano di controllare appieno i propri movimenti. Le risultava difficile camminare per più di due minuti senza sentire il bisogno di fermarsi, era avvolta dalla nausea.
“No, devo… Devo continuare.” Anche parlare le risultava difficile. La lingua sembrava essersi fatta di pietra, pesante e secca. Deglutiva in continuazione per tentare di allontanare quel disgustoso sapore amaro che sentiva in bocca.
No! No! No! Clary, sei ancora in tempo. Torna indietro!
“Io… Devo continuare a camminare,” ripeteva a se stessa, nessuno l'avrebbe potuta sentire.
Dopo ore ed ore di cammino, era finalmente riuscita ad allontanarsi dalla città ed ora si addentrava in un campo. I piedi le dolevano, i muscoli imploravano pietà. Ma non poteva fermarsi. Doveva continuare a camminare, doveva arrivare alla cura.
Fermati! È la malattia che ti fa agire così. Torna indietro, Jace ti sta aspettando.
A quel nome, Clary si fermò di colpo e una fitta lancinante le percosse il cervello. Un dolore sordo e martellante. Si prese la testa tra le mani e si ritrovò inginocchiata per terra fra l'erba fresca.
“Esci dalla mia testa!” urlò con tutto il fiato che aveva in corpo. “Esci dalla mia testa! Esci!” Chiuse gli occhi per tentare di allontanare l'immagine degli occhi color ambra che le stava affiorando alla mente. Doveva continuare a camminare, non poteva guardarsi indietro.
Quando il dolore cessò, si lasciò cadere sull'erba, le ciocche rosse che si intrecciavano ai fili verdi. Si strinse il corpo cercando conforto, mentre calde lacrime le scorrevano giù per le guance.
“Esci dalla mia testa,” sussurrò con voce rotta.
Non posso andarmene, Clary. Io sono te.
E in mezzo all'erba sentì due braccia forti che l'avvolgevano cullandola, le nere rune spiccavano sulla pelle dorata. Ma quando si girò non trovò nessuno.

Jace era seduto sul letto sfatto di Clary piegato con i gomiti sulle ginocchia e le mani tra i capelli. Continuava a pensare ad un modo per riuscire a trovarla, scoprire dov'era fuggita. Doveva per forza esserci qualcosa. I Fratelli Silenti gli avevano spiegato che molto probabilmente la mente di Clary era divisa in due parti: una affetta dal veleno, la parte pazza e irragionevole soggetta alla manipolazione; una ancora sana che si ribellava e si agitava per riprendere il controllo del corpo e della mente prima che fosse troppo tardi. Queste due parti combattevano per ottenere la supremazia, solo il tempo avrebbe deciso quale avrebbe avuto la meglio. Se esisteva ancora una parte sana e ragionevole, possibile che avesse lasciato qualche indizio per poter essere ritrovata? Forse cercando bene...
Jace si alzò di scatto e sollevò il materasso per frugarci sotto, poi si spostò al comodino e aprì tutti i cassetti, controllò ogni angolo possibile. Fece lo stesso con la cassettiera e l'armadio. Andò nel bagno collegato alla stanza e guardò dentro ad ogni fessura, ad ogni scanalatura delle piastrelle. Mentre la frustrazione cresceva, tornò in camera e aprì la finestra per prendere una boccata d'aria. Aveva controllato ogni angolo possibile, ma non aveva trovato niente. Non si sarebbe rassegnato così facilmente. Anche a costo di passare in rassegna tutta New York centimetro per centimetro sarebbe riuscito a trovarla. Fece per richiudere la finestra quando un leggerissimo fruscio bianco catturò la sua attenzione. Là, nell'angolo in basso a destra della finestra, era incastrato un piccolo foglietto di carta ripiegato in due. Jace lo afferrò col cuore che batteva a mille e lo aprì. Sulla carta immacolata risaltava l'inchiostro nero leggermente sbiadito, scritte con una calligrafia dolce ma tremolante c'erano solo tre parole.
Sebastian. Fienile. Aiuto.

“So di cosa sta parlando. Il vecchio fienile che apparteneva a mio zio. Ci nascondevamo sempre lì quando non volevamo andare a scuola.”
I quattro ragazzi erano radunati attorno ad un tavolo nell'armeria e discutevano sul biglietto che Clary aveva lasciato.
“Sai come arrivarci?” chiese Jace.
Simon in tutta risposta annuì. A quel punto Jace tirò fuori una cartina e la stese sul tavolo. “Indicami la strada.”
Isabelle parve risvegliarsi dalla sua posizione meditabonda. “Ehi, aspetta. Non avrai intenzione di andare da solo?”
Il ragazzo si passò una mano sul viso. “Izzy, per favore. Non ho voglia di discutere in questo momento.”
“Non discuteremo perché non hai scelta. Non se ne parla che ti lasciamo andare da solo nella tana di Sebastian. Noi veniamo con te.”
Alec si mosse e prese in mano la cartina. “Isabelle ha ragione. Mi dispiace Jace, molte volte ti abbiamo fatto svolgere i tuoi affari in pace, ma oggi non sarà così. Questa è una situazione importante, stiamo parlando della vita di una ragazza. Sai cosa pensa Sebastian di lei, i sentimenti che prova per sua sorella. Potrebbe farle di tutto.”
Jace lo interruppe pestando violentemente le mani sul tavolo. “Ovvio che lo so!” urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, facendo sobbalzare i tre ragazzi. “Pensi che sia così stupido, eh?! Così stupido da lasciare che quel mostro le faccia del male? Beh, Alec, lasciatelo dire, hai davvero una bassa opinione di me.”
“Jace...” Izzy tentò di tranquillizzarlo posandogli una mano sulla spalla che lui prontamente scansò.
“No, ascoltami tu adesso.” Alec si avvicinò a grandi passi al parabatai. “Non sei l'unico che sta male, ok? Clary è diventata come una sorella per noi. Non hai visto in che condizioni siamo? Nessuno di noi riesce più a dormire la notte, io e Isabelle abbiamo gli incubi e non oso immaginare cosa Simon stia provando in questo momento. Perciò non comportarti come se tutto questo riguardasse solo te, perché non è così.”
A quel punto Jace adocchiò una sedia lì vicino e le diede un forte calcio, facendola volare dall'altra parte della stanza e causando un potente trambusto. “Tu non capisci!” I ragazzi non avevano mai sentito Jace urlare così forte. “Lei è tutto per me, ok? Io ho il compito di aiutarla, di tirarla fuori dal guaio in cui si è cacciata! E non so nemmeno se quando tornerà qua sana e salva potremo fare qualcosa per quel veleno che le sta divorando il cervello! Non voglio che qualcun altro si cacci nei guai per colpa mia, quindi lasciatemi andare da solo e smettetela di intralciarmi!”
Izzy trattenne un gemito quando Alec afferrò Jace per il collo della maglietta e lo scaraventò contro la parete bloccandolo. “Ascoltami bene, ragazzo angelo!” Alec, il ragazzo che non aveva mai alzato le mani su nessuno a lui caro, ora stava bloccando il suo parabatai contro il muro urlandogli in faccia come non aveva mai fatto prima. “Non ti permetto di trattarci in questo modo. Siamo i tuoi amici, i tuoi fratelli. E io sono il tuo parabatai, non la tua pezza da piedi! Adesso tu ti ricomponi e insieme andremo a cercare Clary, che tu lo voglia o no! Smettila di comportarti come se fossi il centro dell'universo per una volta e muovi quel culo per aiutare la tua ragazza senza attaccare noi! Mi hai capito?!”
Ci voleva qualcosa di veramente serio per far infuriare Alec in quel modo e Jace parve rendersene conto. Una lacrima solitaria gli attraversò il viso. Lui, il ragazzo che non piangeva mai. Sussurrò con voce rotta. “Mi manca.”
Alec parve addolcirsi e allentò la presa su di lui. “Anche a noi.” Si girò e guardò Isabelle che nel frattempo si era rifugiata tra le braccia di Simon spaventata da quel litigio. Lui la stringeva con le braccia ricoperte di rune che aveva acquisito da ormai pochi mesi e le accarezzava i capelli. Tutti e tre i ragazzi tornarono a guardare Jace rivolgendogli una domanda implicita. Lui in fretta si asciugò la lacrima e annuì.
“Bene,” Alec si avvicinò alla parete opposta e afferrò il suo arco e la faretra. “Andiamo.”

Normalmente sarebbe arrivata al fienile nel giro di un'ora con l'aiuto di una bicicletta, come aveva sempre fatto insieme a Simon, ma questa volta ci aveva messo il triplo del tempo e il sole si stava andando a nascondere dietro l'orizzonte per la notte. Camminava zoppicando, ogni tanto cadeva per terra e si sbucciava le ginocchia, i gomiti, le mani. La voce nella sua testa non aveva intenzione di andarsene e continuava a ripetere di tornare indietro, che si stava mettendo in pericolo, che Jace e i suoi amici la stavano aspettando ed erano in ansia per lei. Clary la ignorava; sapeva che stava facendo la cosa giusta. Anche a costo di entrare nella tana di Sebastian avrebbe trovato la cura. "È la cosa giusta," continuava a ripetersi. "è la cosa giusta."
Giunse finalmente al fienile abbandonato con la sua vernice rossa scrostata e l'odore pungente della muffa. Le porte erano come sempre aperte e Clary si trascinò dentro. Sebastian le aveva detto di venire lì, era convinta di trovarlo ad aspettarla. Ma il fienile era completamente vuoto a parte le numerose balle di fieno ammucchiate l'una sopra l'altra. Si girò guardandosi intorno aspettandosi di vedere un qualche biglietto che le avrebbe spiegato come raggiungerlo, ma non c'era nulla. Si avvicinò ad una parete e ci passò una mano sopra, il suo sguardo fu catturato da una scritta. In basso sul muro, quasi a contatto con il terreno, era incisa una parola: "Tocca". Confusa, si chiese cosa avrebbe dovuto toccare, poi un breve scintillio la illuminò. Vicino all'incisione, per terra, c'era un anello. Si chinò a fissare il cerchiolino d'argento e subito lo riconobbe: l'anello dei Morgenstern, con l'elegante M incisa sul davanti e il motivo di stelle sui lati. Guardò l'incisione e poi l'anello, allungò un dito e prese un respiro profondo.
Tocca.
Sentì sotto al polpastrello il freddo metallo e si ritrovò nel buio.

Venne scaraventata su una superficie dura e fredda e un dolore sordo le percosse la parte del corpo che aveva sbattuto. Si alzò sui gomiti e si guardò intorno, chiedendosi dove fosse.
Era stesa su un pavimento di marmo bianco venato di grigio e si trovava in una sala enorme e spaziosa, dai soffitti alti e imponenti. Tutt'intorno a lei c'erano solo pareti di un materiale trasparente che sembravano darle una sensazione di freddo. Che fosse ghiaccio? Era in un palazzo di ghiaccio? Continuò a guardarsi intorno e solo in quel momento si accorse dei due grandi troni davanti a lei. Si trovavano su di una pedana rialzata fatta dello stesso materiale delle pareti, gli schienali erano riccamente decorati con motivi di ossa, spade e teschi. Le sedute erano piatte e lisce, non davano la sensazione di essere molto comode. Sembrava che i due troni fossero fatti di un qualche metallo sconosciuto.
Mentre continuava a guardarsi intorno, sentì dei passi avvicinarsi e ben presto da una delle pareti di ghiaccio spuntò Sebastian.
Non era cambiato di una virgola. I capelli sempre biondo platino erano tirati all'indietro e i penetranti e spaventosi occhi erano ancora completamente neri. Indossava la tenuta da Cacciatore e sulle spalle si era buttato un mantello rosso sangue che svolazzava mentre si avvicinava a lei. I pesanti stivali stranamente non producevano un forte rumore come avrebbero dovuto invece fare, scricchiolavano leggermente sul pavimento di marmo.
“Clarissa, mia cara, ti stavo aspettando.” Le tese una mano e la invitò ad afferrarla. La voce nella sua testa ora urlava di andarsene, che era una stupida, che era la malattia che le stava facendo fare tutto questo, che non doveva afferrargli la mano. Clary sfiorò il suo palmo e lui l'aiutò a rimettersi in piedi.
“Scusa per l'atterraggio brusco, avrei dovuto mettere dei cuscini per terra.” Le rivolse un sorriso affascinante che avrebbe fatto sciogliere qualsiasi ragazza. L'unica cosa che voleva era ottenere la cura e andarsene, ma le parole che le uscirono di bocca la sorpresero. “È ghiaccio quello lì?” Si ritrovò ad indicare le pareti che li circondavano.
Sebastian fece una breve risata. “No, è solamente vetro. Ma fa un bell'effetto, vero? Sembra proprio ghiaccio.” Le allungò ancora una mano. “Vieni, ti accompagno nella tua stanza. Dovrai essere stanca, hai camminato per tutto il giorno.”
Clary subito fece un passo all'indietro. “No grazie, non ho bisogno di riposo. Vorrei solo avere la cura che mi hai promesso.” Si strinse nelle spalle. Non si sentiva a suo agio in quell'ambiente così freddo e sconosciuto. Si chiese se Sebastian avesse fatto realizzare le pareti in vetro apposta per infondere quella sensazione spiacevole nei suoi ospiti.
Dapprima il volto del ragazzo si trasformò in una maschera dura e inespressiva, ma in un battito di ciglia si riaccese in un sorriso. “Ma certo, d'altronde penso che tu sia stanca di questa malattia. Deve essere terribile.” Scrutò le bolle che le ricoprivano il viso e il colorito verdastro che aveva assunto la sua pelle. “Vieni.” Le mise una mano sulla schiena e la condusse verso i due troni, ma prima che potesse fare più di tre passi le sue gambe cedettero e si ritrovò nuovamente sul pavimento. La testa girava e vedeva tutto sfocato. Perse conoscenza mentre Sebastian la chiamava. “Clary! Clary, stai bene?”

Prima ancora di aprire gli occhi capì di non trovarsi più nell'immensa sala dei troni. Sulla sua pelle poteva ancora percepire il freddo delle pareti di vetro, ma era sdraiata su una superficie morbida e comoda. Aprì le mani e con le dita sfiorò il tessuto che l'avvolgeva, era soffice e poteva sentire il suo profumo di pulito. Si decise ad aprire gli occhi e si guardò intorno. Si trovava in una stanza da letto, le pareti in vetro la facevano sembrare ancora più grande di quanto in realtà fosse. Era stata adagiata su un enorme letto a baldacchino in legno ed era avvolta in una calda coperta imbottita. Solo dopo qualche attimo si accorse della figura che sedeva sul bordo del letto. Sebastian la guardava rapito, con un'espressione sognante. Le sorrise quando lei si mise a sedere. “Stai meglio?” le chiese con voce soffice.
Clary si portò una mano alla tempia che le doleva, ma con shock realizzò che le bolle che una volta la ricoprivano ora sembravano essersi dimezzate. Spalancò la bocca e si giro di scatto per osservare il proprio riflesso in una delle pareti. Il suo viso stava lentamente tornando quello di prima, la pelle era più luminosa e del colorito verdastro era rimasto ben poco. Si passò le mani sul viso mentre gli occhi verdi si inumidivano. Spinse una mano sotto la maglietta e si accarezzò la schiena. Le piaghe se ne stavano andando, riusciva a percepire la pelle che si cicatrizzava. Non aveva più dolori. Sollevò lo sguardo su Sebastian. “Che cosa è successo?”
Lui si sistemò sul materasso. “Quando sei crollata ti ho portato nella stanza che avevo preparato per te. Sudavi e ti contorcevi e l'unica cosa che mi è venuta in mente di fare è stata farti bere la cura.” Indicò un calice vuoto posato sul comodino. “All'istante hai smesso di tremare e ti sei calmata, così ti ho messo a letto. Hai dormito qualche ora e vedo con piacere che stai facendo enormi progressi.” Allungò una mano e le posò il pollice sulla guancia accarezzandola. Clary tentò di ritrarsi, ma stranamente il suo corpo non reagiva agli ordini del cervello. La voce nella sua testa si stava lentamente affievolendo, ora era solo un sussurro. Perché l'hai fatto? Dovevi rimanere all'Istituto. Non si torna più indietro.
Quando Sebastian si scostò, Clary ricominciò a respirare e il battito del suo cuore si calmò. “Come hai fatto a scoprire che ero malata? Come hai avuto la cura?”
Il ragazzo si alzò in piedi e prese a camminare su e giù per la stanza. “Sai, ho parecchie spie disseminate per la città e possiedo un discreto seguito di demoni. Ovviamente loro sanno molto di più sul loro mondo rispetto a noi e mi hanno rivelato come trovare l'antidoto.”
“E come l'hai trovato?” Clary era molto curiosa. I Fratelli Silenti avevano passato settimane a fare ricerche e non avevano trovato niente. Questo antidoto sarebbe potuto servire a qualcun altro in futuro.
Sebastian sorrise e la guardò pensieroso. “Fra poco te lo dirò, come ti dirò tante altre cose. Ti confesserò tutti i miei segreti.”
Clary si bloccò e indietreggiò verso la testiera del letto. Ma che stava dicendo? Perché avrebbe dovuto confessarle tutti i suoi segreti? “Cosa… Cosa stai dicendo?”
Lui si avvicinò nuovamente sedendosi accanto a lei. “C'è una cosa di cui non ti avevo avvertita.”
Il battito della ragazza si fece di nuovo rapido. C'era qualcosa che non andava nel suo sguardo, qualcosa di losco.
“L'antidoto che ti ho dato ti guarisce, ovviamente. Tutti i danni fisici scompaiono nel giro di poche ore e il cervello ricomincia a funzionare nel modo giusto, ma c'è una parte della mente che rimane intaccata.”
Clary voleva alzarsi e scappare via da qual posto il più in fretta possibile. Sebastian le aveva nascosto qualcosa di terribile. I suoi muscoli di nuovo non reagivano, anzi, si bloccarono completamente trattenendola sul materasso. Non poteva muovere neanche un dito. “Sebastian, che cosa mi hai fatto?”
Lui non le rivolse più un sorriso dolce e premuroso come quelli che gli avevano illuminato il viso da quando era arrivata al palazzo, bensì uno maligno e subdolo. “Voglio farla breve. Se ti avessi dato la cura una settimana fa, ora saresti tornata alla tua vita normale, con i tuoi amici e la tua famiglia. Saresti guarita completamente sia fisicamente che psicologicamente. Ma non è questo il caso.” Le prese una mano e la strinse. Il panico negli occhi di Clary era ben visibile. “Vedi, la malattia radicata nel tuo cervello era ormai ad uno stadio troppo avanzato perché esso potesse tornare allo stato di prima. Avrai notato che nei giorni della malattia eri diventata più, come dire… Meschina. Certo, eri separata dal resto del mondo, confinata nella tua stanza, ma i tuoi pensieri non erano più limpidi come una volta, non è forse vero?”
Clary si ritrovò ad annuire. Per settimane non aveva parlato con nessuno, perciò non avevano potuto vedere cosa le stava succedendo. Era diventata più cattiva e insolente, non sopportava quando la Fratellanza entrava nella sua camera e le metteva le mani addosso. Cominciava ad urlare contro ai Fratelli, li trattava male, era diventata isterica ed insofferente. Il suo cervello stava marcendo e se ne era resa conto.
“Lo immaginavo, Clary. Vedi, una volta che il tuo cervello ha raggiunto questa fase della malattia, è impossibile tornare indietro. Perciò l'antidoto, per facilitare le cose, invece che curarti la mente ha velocizzato il processo contrario. Non tornerai come prima, diventerai esattamente come me,” concluse con un sorriso vittorioso.
Le orecchie di Clary si tapparono e il resto delle parole di Sebastian furono ascoltate come da sotto la superficie dell'acqua. Voleva gettarglisi contro, prenderlo a pugni e graffiargli il viso fino a renderlo irriconoscibile, ma i suoi muscoli erano ancora bloccati, come se la parte ormai marcia del cervello le dicesse che non era la cosa giusta da fare. Le aveva teso una trappola, avrebbe dovuto immaginarlo. Avrebbe dovuto ascoltare la voce nella sua testa, la parte sana che era rimasta.
Sebastian vide l'odio nei suoi occhi e ridacchiò. “Stai tranquilla, Clarissa, tra poche non proverai più odio nei miei confronti, solamente amore. Perché io ti ho salvata e questo non lo potrai mai negare.” La prese per le spalle e la spinse di nuovo a sdraiarsi. Clary tentò di ribellarsi, di imporre al suo corpo di reagire, ma fu tutto inutile. Sebastian si allungò sul comodino e dal cassetto estrasse una lunga siringa contenente un liquido trasparente, la avvicinò al braccio di Clary e le somministrò la sostanza. Dentro di sé, Clary stava combattendo con tutte le sue forze, dimenandosi per tentare di sottrarsi al destino che la aspettava. Sentiva gli occhi diventare pesanti, il sonno la stava sovrastando. Riusciva a sentire la "cura" che la liberava dal dolore, le donava sollievo, ma che al tempo stesso che le dilaniava il cervello con le sue fauci di bestia.
Sebastian si chinò su di lei e prese ad accarezzarle i boccoli di fuoco. “Tu mi hai rapito il cuore, o mia sorella, sposa mia; tu mi hai rapito il cuore con un solo sguardo dei tuoi occhi, con uno solo dei monili del tuo collo.” Le sfiorò la gola con le dita. “Io dormo, ma il mio cuore veglia: è il mio diletto che bussa. 'Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, mia perfetta'.” La sua mano le scivolò dalla gola, lungo il collo, giù fino alla vita. “Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata. Non per molto ancora...”
Le sue parole si persero in lontananza quando Clary scivolò nell'oscurità e la voce nella sua mente esalò un ultimo respiro.
Ci hai condannate.

“Eccolo! È là!” annunciò Simon indicando il vecchio fienile dismesso. I quattro ragazzi si avvicinarono furtivi al capanno e si fermarono appena fuori l'entrata. Alec tirò fuori il proprio sensore, ma quello non rilevò nessuna attività sospetta. “Via libera.”
Varcarono la soglia e trovarono il fienile completamente vuoto. Nessuna traccia di Clary.
“Grandioso!” Simon abbandonò le braccia lungo il corpo. “E adesso che facciamo?”
Jace prese a camminare per il fienile guardandosi in giro. “Ci deve essere qualcosa, un passaggio.”
Isabelle si avvicinò ad una parete e la percorse con la mano. “Sembra che non ci sia niente qui.” Prese un profondo respiro. “Jace, Clary era malata. Magari ha scritto quelle parole senza...”
“Non parlare di Clary al passato! Come se non potessimo più far niente,” sbottò il ragazzo facendo sobbalzare Izzy. Si chinò per terra appoggiandosi sui talloni pensieroso. “Deve per forza esserci qualcosa,” mormorò più a se stesso che agli altri.
Alec, Isabelle e Simon erano già sulla soglia, la frustrazione dipinta sui loro volti.
“Andiamo, Jace. Proviamo a controllare nelle vicinanze,” propose Alec.
Dopo qualche secondo Jace si alzò e raggiunse i suoi amici. Non aveva senso rimanere lì a sprecare tempo. Se gli fosse venuto in mente qualcosa sarebbe tornato più tardi. Mentre i ragazzi uscivano dal fienile, Jace si girò un'ultima volta e solo in quel momento lo vide. Si diresse in fretta verso la fonte di quello scintillio. “Ragazzi, ho trovato qualcosa!” Ma appena si chinò e toccò il cerchiolino di metallo una morsa gli strinse lo stomaco e venne catapultato nell'oscurità.

Una fredda superficie frenò la sua brusca caduta improvvisamente. Si rotolò dolorante, ma si rialzò subito in piedi. Era circondato da un materiale freddo e trasparente, simile al ghiaccio, e un candido pavimento di marmo si estendeva per tutta la stanza in cui si trovava. Si chiese in che razza di luogo fosse.
Non fece neanche in tempo ad articolare un singolo pensiero che una figura snella entrò nella sala. Jace fu un piedi ancora prima di accorgersene e fece per scagliarsi contro la figura, ma venne sbalzato a terra. Si rialzò scioccato e dolorante e batté un pugno davanti a sé. Un muro.
“Sebastian!” urlò con tutta la frustrazione e l'odio che provava in quel momento.
Il ragazzo si avvicinò con le braccia incrociate con un ghigno stampato sul viso spigoloso. “Piacere di rivederti, Jace. Ti piace la mia nuova barriera allontana-intrusi?”
Jace questa volta batté entrambi i pugni contro la barriera invisibile in preda alla furia. “Dove l'hai messa? Dove?!”
“Calmati, fratellino. Lei è al sicuro. Sarà qui tra qualche secondo, sta finendo di rivestirsi.”
Le orecchie di Jace fischiarono e per un attimo non sentì più alcun suono se non il proprio cuore che si frantumava in mille pezzi. “Che cosa lei hai fatto?” Si scagliò con tutto il corpo contro la barriera, anche se sapeva che non sarebbe mai riuscito a infrangerla. “Cosa le hai fatto?!” Il suo viso una volta angelico era contratto dalla rabbia e dall'odio che provava verso lo scarto demoniaco che aveva davanti a sé.
“Sebastian? Cos'è tutto questo trambusto?”
Una voce delicata alle sue orecchie quanto il canto di un usignolo giunse dal corridoio e pochi attimi dopo Clary fece il suo ingresso nella stanza.
Quella non era la Clary che era scappata dalla sua stanza nel pieno della notte, era totalmente diversa. Le bolle e le piaghe che le avevano ricoperto il volto e il corpo per settimane ora erano completamente sparite, la pelle era tornata al suo colore candido. I capelli color fuoco erano di nuovo brillanti e fiammeggianti e gli occhi verdi scintillavano sul suo viso. Indossava un lungo abito rosso che le scopriva le spalle e una buona porzione del petto ed era munito di un lungo strascico. Mentre camminava poté intravedere le alte scarpe col tacco che le avvolgevano i piedi.
Quando si accorse di lui, un'espressione sorpresa le accese il volto. “Jace! Che piacere vederti.”
Il ragazzo era ormai completamente disteso contro la barriera, con i palmi aperti appoggiati sulla superficie invisibile, l'amore e il sollievo che traboccavano da ogni poro. “Clary...” sussurrò, come se non potesse credere che fosse reale. “Cosa ti è successo? Il tuo viso...”
“Visto?" Sorrise e fece una giravolta, il vestito che le frusciava attorno. “Sono guarita!”
Una lacrima solcò il viso di Jace per la seconda volta in ventiquattro ore. Non riusciva a credere che tutto quell'incubo fosse finito, che la sua Clary fosse tornata la ragazza bella e sana di un tempo.
“Oh, che tenero! Piange” La disgustosa voce di Sebastian si levò nella stanza. “Mi sa che stai piangendo per il motivo sbagliato, fratellino. Non sarei così felice se fossi in te.”
“Che cosa stai dicendo?” ringhiò Jace asciugandosi il volto.
In tutta risposta, Sebastian si avvicinò a Clary e le mise un braccio attorno alla vita sorridendo trionfante.
“Non toccarla!” Si scagliò nuovamente contro la barriera ignorando il dolore che lo trafisse per la terza volta.
“Sei arrivato tardi, Jace, l'ho già fatto. Giusto prima che arrivassi tu.”
Jace venne letteralmente sbalzato all'indietro da quelle parole. Si aspettò di vedere in Clary un'espressione di orrore e disgusto, ma tutto ciò che fece lei fu stringersi ancora di più a Sebastian e fargli le fusa come una gatta.
Jace era senza parole, sentiva il sapore acido della bile risalirgli l'esofago. Una potente ondata di nausea lo scosse, ma si rifiutò di vomitare davanti a loro. “Clary,” Riuscì a trovare un soffio di voce per riuscire a parlare. “Che cosa ti ha fatto?”
“Mi ha guarita.” Sorrise guardando Sebastian negli occhi. “Sono tornata sana, sono più forte di prima.”
“Ti spiegherò tutto in un attimo, fratellino.” Prese Clary per mano e la guidò verso una coppia di imponenti troni di metallo dall'altra parte della stanza. “Ma prima mettiamoci comodi.”
Sebastian si sedette con una regalità degna di un re degli Inferi e al suo fianco Clary prese posto al suo trono con la sinuosità di una pantera, una caratteristica che non le era mai appartenuta. Lei, che inciampava ad ogni singolo passo, così goffa ma allo stesso tempo adorabile.
Sebastian cominciò a parlare e più il discorso si infittiva più Jace si sentiva disgustato. Clary era stata divorata viva dalla "cura" che quel mostro le aveva promesso. La sua Clary, la sua amata Clary, non esisteva più. Nel momento stesso in cui Sebastian smise di parlare, Jace si rialzò in piedi e si scagliò con tutta la forza che gli era rimasta contro la barriera. Doveva sfondarla, doveva raggiungere quell'assassino e ucciderlo con le sue stesse mani, aveva bisogno di sentire la vita che sfumava via dal suo corpo sotto alle proprie dita. Urlò come non aveva mai fatto, insultandolo con i peggiori dispregiativi che conosceva. Pianse fino all'ultima lacrima, furia cieca e dolore mischiati insieme in una miscela fatale che l'avrebbe di sicuro trasformato in un assassino se non fosse stato trattenuto da quel muro invisibile.
Si rese conto di aver perso per sempre Clary nel momento in cui posò lo sguardo su di lei. Lo guardava impassibile, le braccia distese sui braccioli del trono, le gambe accavallate, la schiena dritta. Era diventata una regina, una regina degli Inferi.
Sebastian si rialzò e si avvicinò lentamente a lui con un sorriso. “È inutile che ti disperi, Jace. Lei è mia, ormai. Però mi commuovi e perciò ti rispedirò a casa sano e salvo.” Schioccò le dita e una crepa si formò sotto ai piedi di Jace.
Dietro di lui, Clary si alzò a sua volta e procedette verso i due ragazzi, i tacchi che ticchettavano contro la superficie dura del marmo. “Jace, io ti ho amato, ma ora appartengo a questo posto. Ora sono Clarissa Morgenstern, sorella di Sebastian.” Poggiò le mani sulla barriera, proprio sopra quelle di Jace, i loro nasi ad un millimetro uno dall'altro. “E insieme al mio sposo brucerò il mondo.”
La terra sotto ai piedi di Jace cominciò a tremare e la crepa che era scaturita dallo schiocco di dita di Sebastian si trasformò in una grossa voragine. La barriera si annullò e per un attimo i suoi palmi sfiorarono quelli di Clary, la sua pelle di seta che solleticava la propria. E dopo quell'ultimo tocco sprofondò, cadendo sempre più giù, senza mai staccare gli occhi dorati da quelli smeraldo di Clary. In quel momento sembrava una rosa, avvolta nel suo regale abito rosso.
Anche le rose più belle del giardino hanno sempre le spine.
E così, cullato dagli occhi di quello che una volta era il suo amore, si lasciò precipitare con il cuore sanguinante e incurante di dove l'avrebbe portato quella caduta.

  
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