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Autore: Yahohel    14/07/2015    3 recensioni
Sequel de "Le mille stanze del Tardis"
Rose e il Dottore, dopo le fatidiche 24 ore in cui è tornato bambino, vanno alla scoperta del Tardis, aprendo porte ignari di ciò che troveranno dall'altra parte.
Quello che nasce come un gioco innocente si trasforma, però, in un confuso groviglio di sentimenti inespressi, pronti ad esplodere come una bomba ad orologeria.
I nostri eroi riusciranno ad aprire l'ultima porta?
Het!Ten/Rose
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 10, Rose Tyler
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Terzo Capitolo

Quando Rose aprì gli occhi, ci mise un po’ a rendersi conto di riuscire a respirare senza troppi intoppi. Complici forse le goccioline d’acqua che le impedivano la vista e la sensazione di soffocamento data dalla gola graffiata dalle onde, la ragazza dette segni di vita dopo dieci minuti buoni, muovendosi solo per tossire fuori l’acqua del lago. Quando fu quasi certa di essersi svuotata i polmoni si voltò sulla schiena, sbattendo le palpebre.

Gli occhi le pizzicavano, ma il cielo azzurro sopra di lei era un elemento semplice da distinguere. Quella tonalità aveva un qualcosa di rassicurante, soprattutto dopo l’ultima immagine di cui aveva memoria – acqua, scura, densa e pesante, tutto intorno a lei, che le riempiva i polmoni – perciò si rilassò per un attimo, scacciando la curiosità dell’esplorare quel nuovo ambiente.

Ben presto, però, capì di doversi guardare intorno, perché se lei era lì, salva, doveva esserci anche il Dottore. Ma dov’era?

Quando ebbe compreso di essere perfettamente sola si tirò su a sedere di colpo, lottando contro i conati, e cercò disperatamente qualche elemento riconoscibile in quel posto più alieno del normale.

C’erano due possibilità. O il Dottore l’aveva portata a riva, salvandola da una morte orribile negli abissi di un lago sconosciuto, oppure la corrente li aveva trascinati lì svenuti. In entrambi i casi, il suo amico doveva essere lì, accanto a lei.

Ma una volta perfettamente sveglia e vigile, si rese conto che non solo del Signore del Tempo non c’era traccia, ma del lago/mare/oceano nel quale era quasi affogata neanche l’ombra.

Si trovava nella radura che avevano visto prima che la spaccatura li inghiottisse e, per quanto cercasse di mandare in là lo sguardo, non vi erano segni di porte che mostrassero di essere ancora all’interno del Tardis.

Quella stanza, per quello che ne sapeva lei, poteva essere esterna alla loro casa, come un collegamento sul Desktop, qualcosa di connesso ma fisicamente estraneo. Probabilmente era un portale a senso unico, e lei non aveva possibilità di tornare indietro con le sue forze.

Questo pensiero le fece cedere le ginocchia, e si ritrovò sul pavimento erboso, svuotata.

Cosa avrebbe fatto ora?

*

Il Dottore si svegliò con uno spasmo, riversando sul pavimento fiotti d’acqua provenienti dai suoi polmoni. Quella volta poteva davvero rimanerci secco. E in effetti non sapeva proprio come potesse essere ancora vivo. Di certo non si era rigenerato, considerò osservandosi un pochino più attentamente. Era sempre lo stesso vecchio giovane Signore del Tempo, perciò o aveva imparato a nuotare da svenuto, oppure qualcuno, o qualcosa, lo aveva tirato fuori dal lago.

E rispedito nel corridoio del Tardis, sbuffò, una volta resosi conto di trovarsi in un luogo familiare. Senza Rose.

Il silenzio era assordante, non era più abituato a stare da solo, perciò si alzò in fretta, cercando di tenere occupata la mente pensando ad un piano.

Cos’era successo in quella stanza?

Ignorando la pozza d’acqua sul pavimento, si affrettò a raggiungere la sala comandi, scivolando un paio di volte a causa delle suole bagnate delle sue converse.

Una volta di fronte allo schermo, premette alcuni pulsanti, rassicurandosi del fatto che la sua piccola non si fosse spostata di un centimetro rispetto a dove l’aveva parcheggiata giorni prima. Era già un inizio.

Ora doveva solo trovare Rose.

Il Tardis schedava, volenti o nolenti, tutti i viaggiatori che mettevano piede a bordo, perciò non ci volle molto a riesumare dagli Archivi un profilo completo della ragazza. Il problema sorgeva nel momento in cui a separarli ci fosse stata una o più dimensioni.

Il suo timore divenne reale quando, dopo alcuni minuti di ricerche, si rese conto che non c’era traccia di Rose in quel mondo.

Dette un pugno alla console per la frustrazione.

“No, no, non è possibile!” gemette in preda allo sconforto, prima di accasciarsi sui controlli.

Non poteva averla persa.

Spalancò gli occhi, respirando l’odore dei macchinari. Il sentore di polvere era meno forte del solito, coperto da un qualcosa di fresco e floreale, segno che la sua amica aveva di nuovo cercato di ripulire quel posto così caotico.

Una lacrima involontaria gli solcò il volto, cadendo su un pulsante blu.

Ad un certo punto si alzò in piedi, guardando mestamente la goccia trasparente sul bottone del ringiovanimento. Dopo qualche secondo, l’asciugò con un gesto rabbioso della mano e si mise ad armeggiare ai comandi.

L’avrebbe trovata.

*

Da quando era rinvenuta, Rose non aveva mosso un passo. Era rimasta seduta lì dove si trovava, divisa tra la paura di riaprire la crepa dimensionale con un movimento sbagliato, e la voglia di esplorare alla ricerca di una via di fuga da quel posto bellissimo e inquietante allo stesso tempo.

Se la sua vista, la prima volta, l’aveva affascinata, infatti, ora l’atterriva, esattamente come ammirare una bella gabbia dorata e trovarvisi all’improvviso all’interno.

La sensazione di prigionia e solitudine si acuì quando, tendendo l’orecchio, non udì alcun suono al di fuori del suo respiro, ancora un po’ affannoso dopo il viaggio non proprio piacevole verso i fondali marini.

Il cinguettare degli uccellini pareva un lontano ricordo e Rose si domandò se lo avesse sentito davvero.

Sospirò, poi si alzò. Doveva fare qualcosa, trovare un posto in cui stare nell’attesa. La radura sembrava eterna, sussisteva immobile, immutata e immutabile da secoli. Ere forse. O almeno, così sembrava.

Poteva giurare che, se fosse rimasta lì un mese, sarebbe stato per sempre giorno, per sempre sole, per sempre cielo limpido. Un per sempre terrificante, considerò.

No, non sarebbe rimasta lì, perciò animata da un nuovo spirito si mosse verso un punto a caso della boscaglia.

Una volta immersa tra gli alberi, la sensazione di trovarsi nel vuoto aumentò, facendole desiderare di tornare indietro, al sole, dove tutto era distinto e non c’erano occhi invisibili che la scrutavano tra i rami.

Ma si fece forza e continuò, seguendo un quasi impercettibile sentiero tra le felci, che dava al luogo un’atmosfera ancor più sospesa, come tra le pagine di un libro.

Dopo alcune centinaia di metri si rese conto di procedere perfettamente alla cieca, senza punti di riferimento di sorta, perciò si fermò di nuovo. Avrebbe dovuto lasciare delle tracce, ma non aveva coltellini per incidere i tronchi o braccialetti da appendere ai rami. L’unica opzione sembrava fare a brandelli i propri indumenti, come nel più squallido film di sopravvivenza, ma la foresta pareva così ampia che neanche impiegando ogni filo di ciò che indossava avrebbe tracciato una pista utile allo scopo.

Si sedette sul tronco più vicino per qualche minuto, prima di accettare l’evidenza: doveva tornare indietro.

Perciò si alzò, percorrendo il sentiero a ritroso velocemente, ansiosa di ritornare alla radura. Dopotutto, in quello spiazzo c’era tutto ciò di cui aveva bisogno. Acqua in caso di sete, l’ombra del salice per riposare. Per quanto riguarda il cibo, beh… quel posto sembrava un cartellone pubblicitario, bello ma freddo, perfetto ma vuoto. Certo, lei non era proprio una modella, ridacchiò per alleggerire la tensione.

Le speranze di trovare qualche forma di vita commestibile, comunque, erano scarse.

Il viaggio di ritorno le parve molto più lungo del previsto, considerata anche l’andatura, perciò cominciò a sorgere in lei il timore di essersi persa. Le fronde erano ancora fitte, e per quanto mandasse avanti lo sguardo non riusciva a scorgere neanche lontanamente il punto dal quale era partita.

Eppure il sentiero sembrava lo stesso. Interdetta, si fermò, guardandosi intorno.

L’albero accanto a lei, doveva averlo già superato almeno tre volte.

Spalancò gli occhi, consapevole.

*

La console tremò per la duecento ventiduesima volta nell’arco di mezz’ora. E si, le aveva contate.

Il Tardis si ritrovava schiacciato tra due barriere dimensionali e la situazione lo rendeva nervoso, perciò per ingannare il tempo contava gli intervalli di otto secondi circa tra una vibrazione e l’altra.

All’inizio aveva smanettato un po’ con le manopole, ma poi si era arreso al corso degli eventi ed era in attesa di una via d’uscita grazie a quel movimento Pinball. Era snervante stare lì, praticamente fermo, mentre Rose era chissà dove e chissà quando.

Si passò per l’ennesima volta le mani tra i capelli, resistendo all’impulso di strapparseli, arruffandoli ancora di più.

Secondo i suoi calcoli avrebbe dovuto aspettare quasi un’ora prima di uscire da quella galleria, e il movimento inter dimensionale stava dando evidenti problemi alla sua piccola, che si lamentava debolmente facendo lampeggiare una spia gialla sul monitor.

“Resisti” mormorò appena, accarezzando la leva più vicina come se fosse un gattino.

Mentre scorreva le dita sul metallo surriscaldato fece risuonare ancora quella parola nella sua mente sperando, forse ingenuamente, che Rose potesse sentirla.

Resisti Rose, vengo a prenderti.

*

Rose, nel frattempo, era rimasta come paralizzata di fronte al tronco di un albero. Era sicura di averlo già visto, ma era allo stesso tempo certa di non trovarsi in quella classica situazione dello girare in tondo.

Era qualcosa di molto peggio perché, a pensarci bene, per uscire dal cerchio basta camminare dritto in un’altra direzione e si arriverà sempre da qualche parte.

 Se Rose avesse proseguito, tornando indietro, andando avanti, non era importante, perché l’albero si sarebbe ripresentato. Rose non girava in tondo. Era il bosco ad essere sempre uguale.

Se si fosse soffermata un po’ di più ad osservare gli alberi, il suolo, le foglie, si sarebbe resa conto della successione di fotogrammi identici uno all’altro, e avrebbe capito di essere l’unico elemento estraneo in un immenso copia-incolla.

A quel punto le ipotesi erano due: o entrando nel bosco aveva cambiato stanza, chiudendo un’immaginaria porta di rami dietro di sé involontariamente, oppure era incappata in un errore del sistema – un bug – come un televisore fermo sulla stessa immagine o un giradischi rotto.

Le sensazione di prigionia tornò a farsi presente, e sentì le lacrime spingere prepotentemente per uscire.

Resisti.

Una sola goccia cadde a terra, prima che lei potesse realizzare ciò che era accaduto.

Il Dottore aveva parlato nella sua mente, o forse la sua voce era risuonata tra gli alberi – non era importante – e lei sentì la speranza crescerle nel petto.

Il Signore del Tempo era da qualche parte lì fuori e la stava cercando, solo di questo le importava. Poteva sopportare tutto, perché non era veramente sola.

Dopo il conforto che questo pensiero le suscitò si mise a riflettere, seduta a gambe incrociate contro uno dei tronchi tutti uguali.

Non sapeva dove si trovava né in che tempo storico – sempre che quel posto ne avesse uno – ma, ovunque fosse, era connessa al Tardis, su questo non c’erano dubbi.

Che fosse dentro o lontano anni luce, la nave spaziotemporale sapeva dove si trovava, probabilmente era solo impossibilitata a raggiungerla.

Il collegamento, però, restava stabile, dato che era certa di non aver immaginato quella parola, ma di averla sentita distintamente nella sua anima. Qualcuno avrebbe detto si trattava della voce della coscienza – non poté trattenere un mugugno misticheggiante a quel pensiero – ma lei non ci credeva.

Sarebbe stato illogico, ad ogni modo, se l’elemento razionale della sua anima avesse parlato con la voce dell’essere più irrazionale che conosceva.

Qualsiasi fosse la verità, non aveva nessuna intenzione di abbandonare quella flebile speranza, perciò vi si aggrappò con tutte le sue forze, concentrandosi prima di sussurrare quella parola.

Dottore.

*

Il Signore del Tempo sgranò gli occhi stupito, allontanandosi dalla console, quando contro ogni aspettativa sentì un bisbiglio in risposta.

Rose, tentò, non troppo fiducioso nel risultato. Poteva benissimo esserselo immaginato, una reazione alla sensazione di mancanza che gli attanagliava lo stomaco da quando si era svegliato senza di lei.

Come previsto, il nulla. Abbassò lo sguardo sconsolato, cercando con gli occhi il pulsante blu che aveva dato inizio a tutto. Lo sfiorò con le dita e la voce di Rose riemerse nella sua testa.

Sono qui.

Qui dove?

I controlli del Tardis stabilivano il contatto, realizzò, ben attento a non spostare le dita dal bottone.

Non lo so di preciso.

Il Dottore si spazientì. Il sollievo aveva presto lasciato il posto alla smania di informazioni.

 Per favore Rose!

Sono in un bosco, ma non sono poi così sicura sia solo questo.

Cosa intendi dire?

Nessuna risposta.

Rose!

Il collegamento si era interrotto ad uno scossone del Tardis, ed ora una scritta in gallifreyano lampeggiava sullo schermo.

MANOVRA AVVENUTA CON SUCCESSO!

Il Tardis aveva abbandonato il tunnel dimensionale.

*

 

 

 

Note dell’Autrice:

Ciao a tutti! Sono di nuovo qui ad allietare le vostre giornate con del sano angst, sperando che voi non vogliate uccidermi dopo la fine dell’ultimo capitolo :’) Come vedete sono ancora vivi, ed è questo quello che conta!

A parte gli scherzi, ho finito il capitolo prima di quando vi avevo detto (Mercoledì) perché oggi è martedì, perciò spero di riuscire a pubblicare stasera (il mio PC per chi non lo sapesse non ha internet) così da darvi l’aggiornamento in anticipo.

La prossima settimana dovreste avere il prossimo, ho tempo per scrivere ma dato che voglio anche vivere preferisco aggiornare una volta a settimana :’)

Detto questo, vi informo che mancano pochi capitoli (chi mi conosce sa che non sono prolissa), perciò stay tuned e recensite, mi raccomando!

Baci,

L.

   
 
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