Terzo
Capitolo
Quando
Rose aprì gli occhi, ci mise un po’ a rendersi
conto di
riuscire a respirare senza troppi intoppi. Complici forse le goccioline
d’acqua
che le impedivano la vista e la sensazione di soffocamento data dalla
gola
graffiata dalle onde, la ragazza dette segni di vita dopo dieci minuti
buoni,
muovendosi solo per tossire fuori l’acqua del lago. Quando fu
quasi certa di
essersi svuotata i polmoni si voltò sulla schiena, sbattendo
le palpebre.
Gli occhi
le pizzicavano, ma il cielo azzurro
sopra di lei era un elemento semplice da distinguere.
Quella tonalità aveva un qualcosa di rassicurante,
soprattutto dopo l’ultima immagine di cui aveva memoria
– acqua, scura, densa e
pesante, tutto intorno a lei, che le
riempiva i polmoni – perciò si rilassò
per un attimo, scacciando la curiosità
dell’esplorare quel nuovo ambiente.
Ben
presto, però, capì di doversi guardare intorno,
perché se lei era
lì, salva, doveva esserci anche il Dottore. Ma
dov’era?
Quando
ebbe compreso di essere perfettamente sola si tirò su a
sedere
di colpo, lottando contro i conati, e cercò disperatamente
qualche elemento
riconoscibile in quel posto più alieno del normale.
C’erano
due possibilità. O il Dottore l’aveva portata a
riva,
salvandola da una morte orribile negli abissi
di un lago sconosciuto, oppure la corrente li aveva trascinati
lì svenuti. In
entrambi i casi, il suo amico doveva essere lì, accanto a lei.
Ma una
volta perfettamente sveglia e vigile, si rese conto che non
solo del Signore del Tempo non c’era traccia, ma del lago/mare/oceano nel quale era quasi
affogata neanche l’ombra.
Si
trovava nella radura che avevano visto prima che la spaccatura li
inghiottisse e, per quanto cercasse di mandare in là lo
sguardo, non vi erano
segni di porte che mostrassero di essere ancora all’interno
del Tardis.
Quella
stanza, per quello che ne sapeva lei, poteva essere esterna
alla loro casa, come un
collegamento
sul Desktop, qualcosa di connesso ma fisicamente estraneo.
Probabilmente era un
portale a senso unico, e lei non
aveva possibilità di tornare indietro con le sue forze.
Questo
pensiero le fece cedere le ginocchia, e si ritrovò sul
pavimento erboso, svuotata.
Cosa avrebbe
fatto ora?
*
Il
Dottore si svegliò con uno spasmo, riversando sul pavimento
fiotti
d’acqua provenienti dai suoi polmoni. Quella volta poteva
davvero rimanerci
secco. E in effetti non sapeva proprio come potesse essere ancora vivo.
Di
certo non si era rigenerato, considerò osservandosi un
pochino più
attentamente. Era sempre lo stesso vecchio giovane
Signore del Tempo, perciò o aveva imparato a nuotare da
svenuto, oppure
qualcuno, o qualcosa, lo aveva
tirato
fuori dal lago.
E rispedito
nel corridoio del Tardis,
sbuffò, una volta resosi conto di trovarsi in
un luogo familiare. Senza Rose.
Il
silenzio era assordante, non era più abituato a stare da
solo,
perciò si alzò in fretta, cercando di tenere
occupata la mente pensando ad un
piano.
Cos’era
successo in quella stanza?
Ignorando
la pozza d’acqua sul pavimento, si affrettò a
raggiungere la
sala comandi, scivolando un paio di volte a causa delle suole bagnate
delle sue
converse.
Una volta
di fronte allo schermo, premette alcuni pulsanti,
rassicurandosi del fatto che la sua piccola
non si fosse spostata di un centimetro rispetto a dove
l’aveva parcheggiata
giorni prima. Era già un
inizio.
Ora
doveva solo trovare Rose.
Il Tardis
schedava, volenti
o nolenti, tutti i viaggiatori che mettevano piede a bordo,
perciò non ci volle
molto a riesumare dagli Archivi un profilo completo della ragazza. Il
problema
sorgeva nel momento in cui a separarli ci fosse stata una o
più dimensioni.
Il suo
timore divenne reale quando, dopo alcuni minuti di ricerche, si
rese conto che non c’era traccia di Rose in quel
mondo.
Dette un
pugno alla console per la frustrazione.
“No,
no, non è possibile!” gemette in preda allo
sconforto, prima di
accasciarsi sui controlli.
Non poteva
averla persa.
Spalancò
gli occhi, respirando l’odore dei macchinari. Il sentore di
polvere era meno forte del solito, coperto da un qualcosa di fresco e floreale, segno che la sua amica aveva
di nuovo cercato di ripulire quel posto così caotico.
Una
lacrima involontaria gli solcò il volto, cadendo su un
pulsante blu.
Ad un
certo punto si alzò in piedi, guardando mestamente la goccia
trasparente sul bottone del ringiovanimento. Dopo qualche secondo,
l’asciugò
con un gesto rabbioso della mano e si mise ad armeggiare ai comandi.
L’avrebbe
trovata.
*
Da quando
era rinvenuta, Rose non aveva mosso un passo. Era rimasta
seduta lì dove si trovava, divisa tra la paura di riaprire
la crepa
dimensionale con un movimento sbagliato, e la voglia di esplorare alla
ricerca
di una via di fuga da quel posto bellissimo e inquietante allo stesso
tempo.
Se la sua
vista, la prima volta, l’aveva affascinata, infatti, ora
l’atterriva, esattamente come ammirare una bella gabbia dorata e trovarvisi
all’improvviso all’interno.
La
sensazione di prigionia e solitudine si acuì quando,
tendendo
l’orecchio, non udì alcun suono al di fuori del
suo respiro, ancora un po’
affannoso dopo il viaggio non proprio
piacevole verso i fondali marini.
Il
cinguettare degli uccellini pareva un lontano ricordo e Rose si
domandò se lo avesse sentito davvero.
Sospirò, poi si
alzò. Doveva fare qualcosa, trovare un posto
in cui stare nell’attesa. La radura sembrava eterna,
sussisteva immobile,
immutata e immutabile da secoli. Ere forse. O almeno, così
sembrava.
Poteva giurare che, se fosse rimasta
lì un mese, sarebbe
stato per sempre giorno, per sempre sole,
per sempre cielo limpido. Un per sempre terrificante,
considerò.
No,
non sarebbe
rimasta lì, perciò animata da un nuovo spirito si
mosse verso un punto a caso
della boscaglia.
Una volta immersa tra gli alberi, la
sensazione di trovarsi
nel vuoto aumentò, facendole desiderare di tornare indietro,
al sole, dove tutto era distinto e
non
c’erano occhi invisibili
che la
scrutavano tra i rami.
Ma si fece forza e
continuò, seguendo un quasi
impercettibile sentiero tra le felci, che dava al luogo
un’atmosfera ancor più
sospesa, come tra le pagine di un libro.
Dopo alcune centinaia di metri si
rese conto di procedere
perfettamente alla cieca, senza punti di riferimento di sorta,
perciò si fermò
di nuovo. Avrebbe dovuto lasciare delle tracce,
ma non aveva coltellini per incidere i tronchi o braccialetti da
appendere ai
rami. L’unica opzione sembrava fare a brandelli i propri
indumenti, come nel
più squallido film di
sopravvivenza,
ma la foresta pareva così ampia
che
neanche impiegando ogni filo di ciò che indossava avrebbe
tracciato una pista
utile allo scopo.
Si sedette sul tronco più
vicino per qualche minuto, prima
di accettare l’evidenza: doveva tornare indietro.
Perciò si alzò,
percorrendo il sentiero a ritroso
velocemente, ansiosa di ritornare alla radura. Dopotutto, in quello
spiazzo
c’era tutto ciò di cui aveva bisogno. Acqua in
caso di sete, l’ombra del salice
per riposare. Per quanto riguarda il cibo,
beh… quel posto sembrava un cartellone
pubblicitario, bello ma freddo, perfetto ma vuoto. Certo, lei non era proprio una modella,
ridacchiò per alleggerire la
tensione.
Le speranze di trovare qualche forma
di vita commestibile, comunque,
erano scarse.
Il viaggio di ritorno le parve molto
più lungo del previsto,
considerata anche l’andatura, perciò
cominciò a sorgere in lei il timore di
essersi persa. Le fronde erano ancora fitte, e per quanto mandasse
avanti lo
sguardo non riusciva a scorgere neanche lontanamente il punto dal quale
era
partita.
Eppure il sentiero sembrava lo stesso. Interdetta, si
fermò, guardandosi intorno.
L’albero accanto a lei,
doveva averlo già superato almeno tre
volte.
Spalancò gli occhi,
consapevole.
*
La console tremò per la
duecento ventiduesima volta
nell’arco di mezz’ora. E si, le aveva contate.
Il Tardis si ritrovava schiacciato
tra due barriere
dimensionali e la situazione lo rendeva nervoso, perciò per
ingannare il tempo
contava gli intervalli di otto secondi circa tra una vibrazione e
l’altra.
All’inizio aveva smanettato
un po’ con le manopole, ma poi
si era arreso al corso degli eventi ed era in attesa di una via
d’uscita grazie
a quel movimento Pinball. Era
snervante stare lì, praticamente fermo, mentre Rose era
chissà dove e chissà quando.
Si passò per
l’ennesima volta le mani tra i capelli,
resistendo all’impulso di strapparseli, arruffandoli ancora
di più.
Secondo i suoi calcoli avrebbe dovuto
aspettare quasi un’ora
prima di uscire da quella galleria,
e
il movimento inter dimensionale stava dando evidenti problemi alla sua
piccola,
che si lamentava debolmente facendo lampeggiare una spia gialla sul
monitor.
“Resisti”
mormorò appena, accarezzando la leva più vicina
come se fosse un gattino.
Mentre scorreva le dita sul metallo
surriscaldato fece
risuonare ancora quella parola nella sua mente sperando, forse
ingenuamente,
che Rose potesse sentirla.
Resisti
Rose, vengo a
prenderti.
*
Rose, nel frattempo, era rimasta come
paralizzata di fronte
al tronco di un albero. Era sicura di averlo già visto, ma
era allo stesso
tempo certa di non trovarsi in quella classica situazione dello girare
in
tondo.
Era qualcosa di molto peggio
perché, a pensarci bene, per uscire dal cerchio basta
camminare dritto in
un’altra direzione e si arriverà sempre da
qualche parte.
Se
Rose avesse
proseguito, tornando indietro, andando avanti, non era importante,
perché
l’albero si sarebbe ripresentato. Rose non girava in tondo. Era il bosco ad essere sempre uguale.
Se si fosse soffermata un
po’ di più ad osservare gli
alberi, il suolo, le foglie, si sarebbe resa conto della successione di
fotogrammi identici uno all’altro, e avrebbe capito di essere
l’unico elemento
estraneo in un immenso copia-incolla.
A quel punto le ipotesi erano due: o
entrando nel bosco
aveva cambiato stanza, chiudendo
un’immaginaria porta di rami dietro di sé
involontariamente, oppure era
incappata in un errore del sistema – un bug
– come un televisore fermo sulla stessa immagine o un
giradischi rotto.
Le sensazione di prigionia
tornò a farsi presente, e sentì
le lacrime spingere prepotentemente per uscire.
Resisti.
Una sola goccia cadde a terra, prima
che lei potesse
realizzare ciò che era accaduto.
Il Dottore aveva parlato nella sua
mente, o forse la sua
voce era risuonata tra gli alberi – non era importante
– e lei sentì la
speranza crescerle nel petto.
Il Signore del Tempo era da qualche
parte lì fuori e la
stava cercando, solo di
questo le importava. Poteva sopportare tutto, perché non era
veramente sola.
Dopo il conforto che questo pensiero
le suscitò si mise a
riflettere, seduta a gambe incrociate contro uno dei tronchi tutti uguali.
Non sapeva dove si trovava
né in che tempo storico – sempre
che quel posto ne avesse uno – ma, ovunque fosse, era
connessa al Tardis, su
questo non c’erano dubbi.
Che fosse dentro
o
lontano anni luce, la nave spaziotemporale sapeva dove si trovava,
probabilmente era solo impossibilitata a raggiungerla.
Il collegamento, però,
restava stabile, dato che era certa
di non aver immaginato quella parola, ma di averla sentita
distintamente nella
sua anima. Qualcuno avrebbe detto si trattava della voce
della coscienza – non poté trattenere un
mugugno misticheggiante a quel
pensiero – ma lei
non ci credeva.
Sarebbe stato illogico,
ad ogni modo, se l’elemento razionale della sua anima avesse
parlato con la
voce dell’essere più irrazionale
che
conosceva.
Qualsiasi fosse la verità,
non aveva nessuna intenzione di
abbandonare quella flebile speranza, perciò vi si
aggrappò con tutte le sue
forze, concentrandosi prima di sussurrare quella parola.
Dottore.
*
Il Signore del Tempo
sgranò gli occhi stupito,
allontanandosi dalla console, quando contro ogni aspettativa
sentì un bisbiglio
in risposta.
Rose,
tentò, non
troppo fiducioso nel risultato. Poteva benissimo esserselo immaginato,
una
reazione alla sensazione di mancanza
che gli attanagliava lo stomaco da quando si era svegliato senza di lei.
Come previsto, il nulla.
Abbassò lo sguardo sconsolato,
cercando con gli occhi il pulsante blu che aveva dato inizio a tutto.
Lo sfiorò
con le dita e la voce di Rose riemerse nella sua testa.
Sono qui.
Qui dove?
I controlli del Tardis stabilivano il
contatto, realizzò,
ben attento a non spostare le dita dal bottone.
Non lo so di
preciso.
Il Dottore si spazientì.
Il sollievo aveva presto lasciato
il posto alla smania di informazioni.
Per favore Rose!
Sono in un
bosco, ma
non sono poi così sicura sia solo questo.
Cosa intendi
dire?
Nessuna risposta.
Rose!
Il collegamento si era interrotto ad
uno scossone del
Tardis, ed ora una scritta in gallifreyano lampeggiava sullo schermo.
MANOVRA
AVVENUTA CON
SUCCESSO!
Il Tardis aveva abbandonato il tunnel
dimensionale.
*
Note
dell’Autrice:
Ciao a tutti! Sono di nuovo qui ad
allietare le vostre
giornate con del sano angst,
sperando
che voi non vogliate uccidermi dopo la fine dell’ultimo
capitolo :’) Come vedete
sono ancora vivi, ed è questo quello che conta!
A parte gli scherzi, ho finito il
capitolo prima di quando
vi avevo detto (Mercoledì) perché oggi
è martedì, perciò spero di riuscire a
pubblicare stasera (il mio PC per chi non lo sapesse non ha internet)
così da
darvi l’aggiornamento in anticipo.
La prossima settimana dovreste avere
il prossimo, ho tempo
per scrivere ma dato che voglio anche vivere
preferisco aggiornare una volta a settimana :’)
Detto questo, vi informo che mancano
pochi capitoli (chi mi
conosce sa che non sono prolissa), perciò stay
tuned e recensite, mi raccomando!
Baci,
L.