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Autore: grandR    14/07/2015    3 recensioni
La verità è che Grantaire è davvero, davvero eccitato di andare a Hogwarts, solo che è molto più facile fingere di non esserlo.
[It's like daylight, only magic #1. Les amis, Hogwarts AU]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Enjolras, Grantaire, Les Amis de l'ABC
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'It's like daylight, only magic'
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Prima storia della serie It's like daylight, only magic.
 
Attenzione:
 in questa one shot i personaggi hanno undici anni. Se questo vi disturba, vi consiglio di non proseguire nella lettura. 
Titolo della storia da una frase che l'Undicesimo Dottore dice in un mini-episodio di Doctor Who: And if you take the lift to the top and look up, at exactly 12 minutes past midnight on the 21st of September, 2360, you can see more stars in one sky that at any other moment in the history of the universe. It’s like daylight, only magic.


 

 

It's like daylight, only magic
 


Settembre.

La verità è che Grantaire è davvero, davvero eccitato di andare a Hogwarts, solo che è molto più facile fingere di non esserlo. 
Sospira. Fuori dal finestrino, altre centinaia di auto come quella in cui stanno viaggiando bloccate nel traffico mattutino di Londra. Sono partiti presto, ma adesso, si accorge con una vaga nota d'allarme, sono quasi in ritardo. L'ansia che si sente montare dentro è quasi automatica: gli prende lo stomaco, accartocciandoglielo, salendo rapida fino alla gola. 
Sua madre accanto a lui sta blaterando qualcosa a proposito di un articolo della Gazzetta del Profeta del giorno prima con quell'affettata noncuranza delle donne di elevata classe sociale. Non si accorge che né Grantaire, né l'autista le stanno prestando la minima attenzione. Grantaire non ascolterebbe ciò che ha da dire nemmeno se non fosse troppo occupato a chiedersi che cosa succederebbe se perdesse il treno, in realtà. Scocca uno sguardo al sedile dell'autista, davanti a lui. Nessuna scusa per te, amico. 
Finalmente la macchina ricomincia a muoversi, strisciando nel traffico con un'abilità che tradisce la magia che la guida. Grantaire fa ricadere la testa contro il sedile, rilassandosi leggermente. Ovviamente sua madre fraintende il linguaggio del suo corpo. 
“Suvvia, tesoro,” gli dice. La sua voce è sempre stata una nota troppo alta, quasi sgradevole. “Credevo che avessi smesso di comportarti come un bambino”. 
Grantaire si volta di nuovo verso il finestrino. Quella mattina quando si è alzato dal letto era stato felice di avere almeno il sole dalla propria parte. Adesso invece preferirebbe che il cielo diventasse grigio e nuvoloso, così da avere qualcun altro con cui condividere l'umore improvvisamente tetro. 
“Stai per passare quasi un anno tutto solo in una scuola lontana,” continua sua madre, che chiaramente non ha inteso il fatto che Grantaire non ha intenzione di rivolgerle la parola “Non potrai certo andare avanti a capricci”. Senza attendere una risposta che non arriverà, si volta di nuovo a parlare con l'autista, tentando di estorcergli informazioni sul Ministero. 
Il padre di Grantaire lavora al Ministero – questa è parte della ragione per cui non è lì con loro. È il vice-direttore dell'Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia. Sua madre continua a dire che è un incarico molto importante, e che è per questo che non passa molto tempo a casa. Grantaire non lo vede da una settimana e mezza. Non ha mai sentito la sua mancanza.
Quando arrivano a King's Cross mancano quindici minuti alle undici. L'autista li aiuta a scaricare il baule e la gabbia della civetta e a trovare un carrello per trasportarli, e poi annuncia a sua madre che la aspetterà lì. 
Grantaire sa cosa fare, più o meno. Sa che il binario dell'Espresso di Hogwarts è nascosto tra quelli dei Babbani; sa che il treno li porterà da qualche parte a nord, e che il viaggio durerà tutto il giorno; sa che appena arrivati a Hogwarts lui e gli altri del suo anno verranno divisi in Case. Ma non sa come tutto questo accadrà. L'incertezza del non sapere lo fa esitare. Si chiede come debbano apparire lui e sua madre a uno spettatore esterno: un ragazzino scompigliato con addosso i primi abiti Babbani che ha trovato nell'armadio, i capelli sparati in tutte le direzioni e una traccia di cioccolato sul mento, e accanto a lui una donna in ordine e posata dall'aria aristocratica. All'inizio Grantaire non sapeva cosa volesse dire, aristocratico, ma ha recuperato in fretta le conoscenze mancanti. 
Sua madre lo conduce tra le persone indaffarate che affollano la stazione. Cammina molto velocemente; Grantaire cerca di starle dietro e allo stesso tempo di non spingere il carrello pesante contro la gente che gli sfila accanto, ma non deve riuscirci granché bene, a giudicare dalle occhiatacce che riceve. E perché tutti fissano la sua civetta? Dopo uno sguardo più attento alla folla, si accorge di essere l'unico ad averne una con sé. Aggrotta le sopracciglia. 
Si fermano davanti al muro che separa i binari nove e dieci. 
“Eccoci,” dice sua madre. Fa un gesto verso il muro. 
“Che cosa?” risponde lui confuso. Sono forse le prime parole che le rivolge. 
“Dobbiamo attraversarlo. Dall'altro lato c'è il nostro binario.” Sua madre lo dice come se sia ovvio, come se Grantaire avrebbe dovuto pensarci subito. 
Grantaire guarda la barriera. Sembra avere un aspetto molto solido, resistente. Alza le spalle e inizia a camminarci dritto addosso, spingendo il carrello a fatica, pensando che se è il muro sbagliato e ci sbatterà contro, beh, farà semplicemente una brutta figura davanti a un mucchio di sconosciuti. 
Appena la attraversa vede un attimo tutto nero, e poi eccolo comparire in un binario gremito di gente. Davanti a lui, una luminosa locomotiva rossa rilascia nubi di fumo sulla folla di genitori e ragazzini, pronta a partire. Grantaire sente l'ansia tornare a invaderlo. Questa volta è un buon tipo di ansia. Si morde le labbra per non farsi sfuggire un sorriso. 
In un battito di palpebre sua madre e il suo costoso cappotto svolazzante sono al suo fianco. Non perdono tempo: attraversano la folla, fianco a fianco ma distanti, schivando i gatti e i rospi che si aggirano tra le gambe delle persone nel tentativo di sfuggire ai proprietari, evitando abbracci di famiglia e ultime raccomandazioni gridate da un capo all'altro del binario. Grantaire cerca di non guardare nessuno. Non ha tanti amici. Anzi, quelli che ha si possono contare sulle dita di una mano. Due anni fa ha conosciuto Courfeyrac, durante la festa per la promozione di suo padre, e sa che anche lui deve prendere il treno oggi. Courfeyrac gli piace. Hanno giocato a Quidditch qualche volta, e Grantaire l'ha sempre battuto. La cosa che più gli piace di Courfeyrac è che lui non se la prende quando perde, anzi gli fa delle domande e cerca di migliorare. Si sono scritti qualche volta. Grantaire dovrebbe cercarlo. Però forse è meglio di no, perché Courfeyrac ha tanti amici, a differenza sua, e Grantaire non vuole disturbarli. 
Scaricano il baule e la gabbia all'entrata di una delle carrozze meno piene, poi sua madre si volta a guardarlo. Anche lui la guarda, muto. Sono rare le occasioni in cui sa come parlarle.
Sua madre gli assomiglia molto fisicamente. Ha gli stessi lineamenti del viso e gli stessi capelli scuri, solo che quelli di Grantaire sono sempre disordinati e non hanno una forma ben precisa, e lo stesso modo di abbassare la testa quando non sa cosa dire. 
“Ehm,” fa lui “Penso che dovrei salire.” Fa un gesto vago dietro di sé, verso il treno. 
Sua madre annuisce. La sua testa si muove quasi a scatti. “Certo. Fa' buon viaggio,” gli dice, e poi, come ripensandoci, aggiunge, “Scrivi a casa qualche volta”. 
È il turno di Grantaire di annuire. “Dì a papà che lo saluto,” risponde, perché è la cosa giusta da dire. 
Lo sguardo gli cade su una famiglia poco distante da loro. La prima cosa che nota è che sono tutti biondi: una donna dai capelli biondo chiaro sta abbracciando un ragazzino, sempre biondo ma di un biondo diverso, più scuro, e anche l'uomo che sorride accanto a loro è biondo. Il ragazzino non sembra disturbato dall'attenzione dei genitori. Quando si separa dalla madre dice qualcosa che Grantaire non riesce a sentire, ma dal modo in cui i genitori ridono non sembra stia chiedendo loro di smetterla di metterlo in imbarazzo. Grantaire lo osserva abbracciare il padre. Poi ancora la madre, che adesso ha gli occhi un po' lucidi. 
Quando riporta l'attenzione sulla sua, di madre, si accorge che si sta allontanando lentamente. Gli sorride, ma è uno di quei sorrisi che fa quando saluta gli amici di papà: di circostanza, anonimo. Lui le sorride di rimando, perché anche questa è la cosa giusta da fare. E poi è solo. 
Grantaire è abituato a cavarsela da solo. È sempre stato un po' solitario, anche se gli piace stare con i suoi amici o con il suo elfo domestico. Spera solo di piacere ai suoi futuri compagni, perché sa di essere un po' strano, e sa anche che qualcuno potrebbe conoscere la sua famiglia e giudicarlo di conseguenza. 
Con un po' di difficoltà inizia a trascinare il baule con una mano, tenendo ben stretta la gabbia con l'altra. I corridoi sono pieni di ragazzi urlanti e ragazze che si abbracciano, ma Grantaire riesce a passare sufficientemente inosservato. 
L'improvviso fischio del treno lo fa sobbalzare. 
“Vuol dire che sta per partire,” dice una voce vicino a lui. 
Grantaire si volta. Sulla soglia dello scompartimento che ha appena superato c'è una ragazzina che lo osserva. 
“Ah,” risponde, perché non sa che cos'altro dire. 
Lei fa un cenno di assenso con la testa. Indossa già la divisa di Hogwarts e ha i capelli scuri lunghissimi. 
“Dovresti cercarti uno scompartimento,” continua. Non in modo scortese, ma come se sia un'ovvietà che a Grantaire è sfuggita. 
Dietro di lei lo scompartimento è pieno e caotico. 
“Già,” risponde lui. “Dovrei”. 
“Grantaire!” esclama in quel momento una voce dietro di loro. 
Grantaire si volta di nuovo, più sorpreso che incuriosito, mentre la ragazzina richiude lo sportello del suo scompartimento e torna dai suoi amici. 
Courfeyrac si sta avvicinando a grandi passi con un sorriso da un orecchio all'altro. Non è cambiato dall'ultima volta che si sono visti. Grantaire gli sorride quasi di riflesso. 
“Ti stavo cercando,” inizia Courfeyrac. Non si perde in saluti inutili, questa è un'altra delle cose che a Grantaire piacciono di lui. “Vieni nel nostro scompartimento”. Non è una domanda, ma Grantaire annuisce lo stesso, sollevato. Lascia che Courfeyrac gli prenda la gabbia della civetta e lo segue per i corridoi. 
Ora che è in compagnia il treno gli appare molto più luminoso; Londra sta scomparendo lentamente fuori dai finestrini, sostituita da campi verde scuro che contrastano con l'azzurro limpido del cielo. I ragazzi più grandi non sembrano più così minacciosi. Alcuni di loro sorridono con fare incoraggiante quando li vedono passare. 
“Quanti nuovi amici sei riuscito a farti in questi dieci minuti?” chiede Grantaire, rompendo il silenzio. 
Courfeyrac gli scocca un sorriso da sopra la spalla sinistra. “Solo due, ma ho piani più grandi”. 
Il suo scompartimento si trova quasi in coda al treno. Ci sono solo due persone dentro: un ragazzino dall'aria ansiosa che ha le braccia tuffate nel baule accanto a lui e, dall'altro lato, un altro ragazzino dai tratti indiani con il naso immerso in un libro. 
“Grantaire, loro sono Marius e Joly. Marius e Joly, lui è Grantaire, ossia il nuovo componente della banda dei meno popolari del primo anno.” 
“Credevo che dovessimo mirare alla popolarità,” dice Joly, apparendo vagamente perplesso. Chiude il libro e se lo posa sulle gambe, poi procede a osservare Courfeyrac con un misto di confusione e divertimento. 
“Nah,” replica lui. “La popolarità è sopravvalutata. Giusto, Grantaire?” 
“Giusto,” concorda Grantaire. Con l'aiuto di Joly e Courfeyrac riesce a sistemare il baule accanto agli altri. Si siede vicino a Joly, la gabbia della sua civetta sulle gambe, e insieme agli altri guarda con interesse Marius, il quale non sembra essersi accorto di ciò che sta succedendo e continua a rovistare nel suo baule. 
“Trovata!” esclama alla fine. Estraendo la custodia di una bacchetta, poi alza lo sguardo sui nuovi arrivati e batte le palpebre. “Oh, ciao,” saluta Grantaire. “Io sono Marius Pontmercy.”
Grantaire ha già sentito parlare dei Pontmercy, naturalmente. Il nonno di Marius era Ministro della Magia quando era piccolo. Adesso è in pensione e si occupa di Marius, che non ha più i genitori. Grantaire ha sentito parlarne suo padre anni prima, quando ancora si nascondeva per origliare le conversazioni dei suoi genitori in salotto. 
Anche Courfeyrac, accanto a Grantaire, tira fuori la sua bacchetta. “Alloro e Corda di cuore di Drago, dieci pollici e mezzo,” recita orgoglioso. Muove il braccio in un gesto casuale e dalla bacchetta sprizzano scintille bianche. 
“Wow”, mormora Joly. Tutti si voltano a fissarlo e lui arrossisce. “S-scusate,” balbetta “È che non ho mai visto qualcuno fare delle magie”. 
Grantaire lo guarda. Non ha mai incontrato un Nato Babbano prima. Si chiede come sia scoprire improvvisamente di appartenere al mondo della magia, a un mondo di cui non hai mai sentito parlare e di cui non sapevi nemmeno l'esistenza. 
“Quella non era una magia,” risponde Marius. “Erano solo un po' di scintille”. 
“Quindi non-non siete già capaci di fare magie?” 
“No,” sospira tristemente Courfeyrac, riponendo la bacchetta. “Cioè, una volta ho rubato la bacchetta a mia madre e ho provato a fare qualcosa, ma, ehm, non è andata granché bene”. 
“Siamo tutti allo stesso livello,” aggiunge Grantaire. Il suo tono dovrebbe essere incoraggiante, e forse riesce nell'intento, perché Joly gli fa un sorriso sollevato e si rilassa sul sedile. 
“La mia è fatta di legno di quercia e crine di unicorno”. Marius sta ancora esaminando la sua bacchetta. 
Anche Joly, cautamente, tira fuori la sua. “Rigida, legno di ontano e crine di unicorno, undici pollici”. 
Tutti guardano Grantaire, adesso. Lui alza le spalle e borbotta, “Salice e piuma di fenice, dieci pollici e tre quarti, mi sembra.” In realtà lo sa a memoria. “Piuttosto flessibile”. Accarezza distrattamente la sua civetta sulla testa. Sua madre gliel'ha presa il mese prima mentre facevano compere per la scuola a Diagon Alley. 
Sono immersi in un'intensa discussione sul Quidditch, tentando di spiegarne le regole a Joly e mangiando le Cioccorane di Marius, quando sentono qualcuno bussare alla porta dello scompartimento. 
“Ehi!” Courfeyrac saluta i nuovi arrivati con un gran sorriso. Sono in due, visibilmente del primo anno. “Volete unirvi anche voi al nostro club?”. 
Il ragazzino che ha bussato, un tipo dall'espressione seria e gli occhiali rettangolari, ricambia il sorriso. L'altro non si muove: è troppo occupato a osservare le figurine delle Cioccorane sparse sul pavimento. A fissarle, anzi, le sopracciglia aggrottate e la bocca che si sta spalancando lentamente. È lo stesso ragazzino che Grantaire ha visto prima di salire sul treno, quello con la famiglia felice. 
“Quale club?” chiede quello con gli occhiali. 
“Il club dei meno popolari del nostro anno,” dice Joly. Courfeyrac annuisce con aria vagamente solenne. 
A quanto sembra anche i nuovi arrivati non vedono l'ora di farne parte, perché presto sistemano le loro cose nello scompartimento, sedendosi insieme a loro. Quello con gli occhiali, Combeferre, spiega che lui e Enjolras, quello biondo, si sono incontrati in corridoio e che non hanno trovato posto da nessuna altra parte. 
“Siamo sempre felici di accettare nuovi membri,” dice Courfeyrac. Sembra aver preso la faccenda del club piuttosto sul serio. “L'imbranato accanto a voi è Marius, quello vicino al finestrino con l'espressione che ho io quando è Natale è Joly, quello accanto a me che sembra essere appena sopravvissuto a un tornado è Grantaire. E io sono Courfeyrac”. 
Enjolras è seduto esattamente davanti a Grantaire. Così da vicino, Grantaire può affermare con sicurezza che i suoi capelli sono biondo dorato, anche se non capisce perché sia così importante. Sono divisi in ordinati riccioli biondi, quasi elaborati, l'opposto dell'intruglio che ha Grantaire. Ha anche gli occhi blu. È un tipo di blu che non ha mai visto da nessuna parte. È strano, perché Grantaire è sempre stato bravo con i colori. Perso nei suoi pensieri, non si accorge che proprio Enjolras sta cercando di rivolgergli la parola. 
“Eh?”, dice stupidamente. 
Enjolras gli dà un'occhiata impaziente. “Come si chiama?” Indica la civetta. 
“Atena.” Senza volerlo, Grantaire dice il suo nome come se avrebbe dovuto essere ovvio. 
Si guardano per un istante infinito. 
“Io avrei voluto un gatto,” mormora Joly in tono lugubre “Ma sono allergico”. 
Tra loro solo Marius e Grantaire hanno un animale. Quello di Marius è un inquietante gufo reale che non fa altro che inchiodare tutti al loro posto con il suo sguardo penetrante da un angolo. 
“Nelle vostre famiglie sono tutti maghi?” domanda Enjolras. Non sembra esattamente a disagio al pensiero, ma è in qualche modo esitante, come se stia cercando di fare i conti con qualcosa che non conosce o comprende pienamente. 
Grantaire, Courfeyrac e Marius annuiscono. Joly spiega che no, non c'è magia nella sua famiglia, e che lui è stato il primo ad aver ricevuto la lettera da Hogwarts, e Enjolras gli sorride. Combeferre, che sta leggendo un libro con aria assorta, si limita invece a dire di essere un Mezzosangue. 
“Mezzosangue? Che significa?” 
“Che provieni da una famiglia in cui ci sono sia maghi che Babbani.” 
“Ed è una cosa brutta?” insiste Enjolras. 
“Certo che no!” dice Courfeyrac. “È una cosa fantastica. Anche nella mia famiglia probabilmente ci sono dei Babbani, anche se di generazioni e generazioni fa. Ma gli altri maghi ci considerano Purosangue lo stesso.” 
“Purosangue?” 
“Quando nella tua famiglia ci sono solo maghi,” chiarisce Grantaire. 
“Solo che alla maggior parte delle famiglie Purosangue piace eliminare gli antenati Babbani dall'albero genealogico, per sentirsi più puri,” aggiunge Courfeyrac. La sua voce allegra lascia trapelare la sua disapprovazione per questo comportamento. 
È carino il fatto che né lui, né Marius accennino al fatto che quella di Grantaire è proprio una di quelle famiglie. 
Uno dei motivi per cui Grantaire e Courfeyrac hanno passato così poco tempo insieme è che la famiglia di Grantaire non approva la loro amicizia. La famiglia di Courfeyrac è Purosangue, certo, ma alcuni considerano la sua tendenza ad essere così aperta a fare amicizia con Mezzosangue e Nati Babbani una vergogna. La famiglia di Grantaire, in particolare, è piuttosto intransigente su questo aspetto. 
La faccia di Enjolras sta facendo qualcosa di piuttosto bizzarro. Sembra arrabbiato. Senza volerlo, di nuovo, Grantaire si lascia sfuggire uno sbuffo di risata, guadagnandosi un'altra occhiataccia. 
“È una cosa incredibilmente sbagliata,” dice Enjolras. “Perché mai dovrebbero farlo? Cosa c'è di male nell'essere Babbani, o nell'essere imparentati con noi- voglio dire, con loro?”. 
C'è qualcosa di profondamente soddisfacente nel vedere Enjolras arrabbiato – fatto piuttosto curioso, poiché fino a qualche minuto prima Grantaire non sapeva nemmeno chi fosse. 
“Lo so,” sta dicendo Courfeyrac. “Solo che alcune famiglie lo fanno.” 
“Certe cose non si possono cambiare,” aggiunge Grantaire, leggero, perché è la verità. 
Enjolras lo fissa con sguardo risoluto. “Certo che si può. Bisogna solo crederci.” 
“Beh, allora io non ci credo.” 
È salvato dall'irritazione di Enjolras grazie a una donna sorridente che fa scorrere la porta dello scompartimento, chiedendo loro se vogliono comprare qualcosa da mangiare. Grantaire e Courfeyrac si sbizzarriscono. Marius prende un po' di Zuccotti di zucca e di Bacchette di Liquirizia, e anche Combeferre, che sembra il più serio e posato di tutti, si concede qualche caramella mou. 
Joly fino a quel momento aveva fatto conoscenza solo con le Cioccorane, ma fa l'errore di accettare una Gelatina Tuttigusti+1 da Courfeyrac. Enjolras guarda con sospetto l'Ape Frizzola offertagli da Grantaire, ma Marius, accanto a lui, annuisce incoraggiante tentando di nascondere il sorriso. Grantaire pensa che non dimenticherà mai l'urlo che lancia Enjolras appena inizia a levitare. 
I campi fuori dal finestrino lasciano presto spazio a una natura più selvaggia. Boschi e colline sfrecciano accanto a loro mentre parlano ancora di Quidditch, delle loro creature magiche preferite, dei libri pesanti che hanno dovuto comprare per le lezioni, e presto Hogwarts diventa l'argomento più gettonato. 
Enjolras e Joly ascoltano, più che parlare. Enjolras fa un sacco di domande. Combeferre è l'unico tra loro – e probabilmente dell'intero corpo studentesco – ad aver letto Storia di Hogwarts. Courfeyrac si diverte a fargli domande assurde sulla scuola, ma Combeferre sa rispondere a ciascuna di esse. 
“Quindi ci sono quattro Case, giusto?” ricapitola Joly. “Grifondoro, Tassorosso, e...?” 
“Corvonero e Serpeverde,” annuisce Combeferre, alzando lo sguardo dal suo libro. 
“Perché ci devono dividere in Case?” domanda Enjolras. Quando nessuno risponde, aggiunge, “Non favorisce la divisione degli studenti, essere così staticamente separati?”. Grantaire ha imparato che a Enjolras piace parlare bene, usando parole grandi. 
“Ehm... non ne ho idea?” fa Marius. 
“Voi in che Casa vorreste andare?” incalza Joly. 
Marius scrolla le spalle. “A me va bene tutto.” 
“La maggior parte della mia famiglia è stata in Grifondoro, quindi forse andrò lì anche io,” dice Courfeyrac. Dà una pacca sulla spalla a Grantaire. “Tu che ne dici, R?” 
Courfeyrac ha coniato quel soprannome da meno di due ore, ma Grantaire sa già che gli rimarrà attaccato a vita. 
“I miei genitori erano in Serpeverde. Alcuni miei nonni sono stati in Tassorosso, e qualcuno in famiglia è stato anche in Corvonero,” elenca. “Quindi non saprei”. 
“Che differenza c'è tra le Case?” chiede Enjolras. 
“Ognuna richiede delle qualità diverse,” spiega Combeferre. “Corvonero, ad esempio, richiede creatività, intelligenza, voglia di imparare.” Per qualche motivo, annuisce a se stesso. “Serpeverde richiede tanta ambizione ed efficienza, ma anche una certa astuzia. Grifondoro vuole coraggio, lealtà e nobiltà d'animo. E Tassorosso richiede tolleranza, pazienza, duro lavoro. I Tassorosso sono molto corretti.” 
“Ma non possiamo decidere noi dove vogliamo andare?” 
“No, ma ho sentito che il giudice tiene conto della tua scelta, se gliela dici.” 
“Ho sentito che ci faranno affrontare delle prove difficilissime,” dice Marius rabbrividendo. Joly lo guarda terrorizzato. 
“Davanti a tutta la scuola?” chiede Grantaire. 
“E che succede se non le superiamo?” aggiunge Enjolras. 
Ma Courfeyrac si rizza di scatto, gli occhi fissi fuori dal finestrino. Il cielo si è scurito sempre di più mentre parlavano, tingendosi di viola. Si vedono delle luci in lontananza. “Forse ci siamo,” mormora. 
Silenzio. 
“Okay,” dice Joly con voce stridula. “Non. Devo. Andare. In panico.” 
L'ansia monta di nuovo in Grantaire. Una voce rimbomba per tutto il treno, avvisandoli che saranno a Hogwarts nel giro di qualche minuto e di lasciare i bagagli negli scompartimenti. Tenta di deglutire, ma è come se ci sia qualcosa nella sua gola che non gli permette di farlo correttamente. 
Si infilano le uniformi in un caos di bauli spalancati, vestiti tirati da tutte le parti e raccomandazioni a se stessi di stare tranquilli. Atena emette un verso irritato all'improvviso baccano. 
Grantaire ricorda poco di ciò che è successo dopo che sono scesi dal treno. Ricorda di aver sentito freddo, nel buio della sera. Ricorda Joly incespicare e finire dritto contro un altro del primo anno. Ricorda della meraviglia di vedere il castello di Hogwarts stagliarsi contro la notte, tutte le finestre illuminate di una calda luce gialla, le torri che si innalzano verso il cielo stellato. Ricorda anche della traversata dell'enorme lago nero fino alla scuola, ma solo perché Enjolras era accanto a lui sulla barca, il viso illuminato dalle stelle. Ricorda di aver pensato che sotto quella luce i capelli di Enjolras sembravano molto più chiari. 
L'ingresso del castello è forse la sala più maestosa che Grantaire abbia mai visto. È calda e accogliente, illuminata da torce fiammeggianti, con il soffitto altissimo e una scalinata di marmo davanti a loro che conduce ai piani più alti. Si radunano tutti ai piedi della scala. Non sono in tanti, ma hanno tutti la stessa identica espressione. 
Un professore – quando è arrivato? – li saluta con un sorriso caloroso e spiega loro che a breve sosterranno lo Smistamento, la cerimonia con cui saranno divisi nelle quattro Case. Il professore dice altre cose, cose a cui Grantaire dovrebbe fare attenzione. Ma è troppo occupato a osservare gli altri del suo anno. Combeferre e Enjolras ascoltano con aria seria, la schiena dritta. Courfeyrac sta ancora osservando la stanza, a proprio agio nonostante tutto. Marius guarda il professore con fare incerto. Accanto a lui, Joly pare intento a evitare un attacco di panico. Grantaire cerca di intercettare il suo sguardo, senza successo. 
C'è anche la ragazza che ha incontrato sul treno prima che arrivasse Courfeyrac. I capelli le arrivano ai fianchi. Ha gli occhi scuri fissi sul professore, ma in qualche modo Grantaire capisce che non sta ascoltando davvero. Sebbene sembri a proprio agio, qualcosa in qualche modo la tradisce, e Grantaire sa che in realtà è intimorita come tutti loro. Accanto a lei c'è un'altra ragazzina, anche lei dai capelli scuri. La sua pelle color caramello contrasta con quella pallida dell'altra. 
Si accorge troppo tardi che tutti si stanno muovendo. Seguendo le parole del professore, si stanno disponendo in fila indiana. Grantaire, il cuore che sembra star impazzendogli nel petto, si intrufola tra Marius e Courfeyrac all'ultimo minuto. Dietro di lui sente ragazzini che bisbigliano piano, e Enjolras sta dicendo qualcosa a Courfeyrac da davanti, ma non riesce a trovare la forza di ascoltare. 
In un attimo stanno oltrepassando delle pesanti doppie porte, ed eccoli nella Sala Grande, che, anche se sembra impossibile, è ancora più splendida della Sala d'Ingresso: migliaia di candele sospese a mezz'aria illuminano l'intero ambiente, dai quattro lunghi tavoli degli studenti, al tavolo leggermente innalzato degli insegnanti, al soffitto incantato che riflette il cielo e il tempo che c'è fuori, all'aperto; ai muri sono appesi grandi stendardi con gli stemmi delle quattro Case. Grantaire riconosce quello di Serpeverde, l'ha già visto a casa. 
Perso a osservare la Sala, si accorge a malapena delle centinaia di studenti che bisbigliano intorno a lui. 
Quelli del primo anno si raggruppano davanti al tavolo degli insegnanti, rimanendo un po' distanti. Lo stesso professore di prima riappare con uno sgabello e un vecchio cappello da mago, collocando il primo di fronte a loro, e il cappello su di esso. Nella Sala scende il silenzio. Grantaire si guarda intorno, vagamente confuso, ed è sollevato quando vede di non essere il solo. Ma gli altri studenti sembrano tutti concentrati a fissare il cappello, e a lui non resta che seguire l'esempio. 
Per qualche secondo non accade nulla. Sente qualcuno dietro di lui mormorare “Ma che cosa dovremmo...” ma, chiunque sia, non ha il tempo di finire la frase, perché il vecchio cappello rattoppato si muove improvvisamente. Si contorce per qualche secondo. Poi si apre uno strappo, e dallo strappo esce una voce che inizia a cantare. 
Grantaire lo fissa a bocca aperta. Il cappello, sorprendentemente intonato, canta delle quattro Case di Hogwarts, spiegando le qualità che ricercano come ha fatto prima Combeferre, e che sarà lui a decidere dove i nuovi arrivati andranno a finire. Dice anche che non potranno nascondergli nessun pensiero, e conclude invitandoli ad andare lì e a indossarlo senza paura. Appena il Cappello Parlante termina di cantare tutta la Sala Grande scoppia in un applauso assordante, che cresce a dismisura quando il Cappello si inchina a ciascuno dei tavoli. Quando torna immobile, il professore dà istruzioni su che cosa dovranno fare adesso i nuovi arrivati e apre un rotolo di pergamena. 
“Prove difficilissime, eh?” sussurra Grantaire a Marius, ma sta sorridendo. Marius ricambia debolmente. 
Il primo a essere chiamato è un ragazzino dall'aria sicura di sé. Si siede sullo sgabello e indossa il Cappello senza esitazione, e qualche secondo dopo il Cappello lo assegna a Serpeverde urlando il nome della Casa. Il tavolo all'estrema sinistra esplode in un applauso mentre il nuovo arrivato toglie il Cappello e si aggiunge a loro. 
Grantaire inizia a rilassarsi leggermente. Non gli importa molto in quale Casa finirà. Se l'è chiesto tante volte, ma non è mai riuscito a capire quale sia quella che fa davvero per lui. Non sa se si troverebbe bene in Serpeverde. Non si sente particolarmente astuto o ambizioso, non vuole fama o gloria. Tassorosso gli piace. Corvonero gli sembra troppo difficile, sa che non ce la farebbe. Grifondoro non l'ha mai presa in considerazione, perché la sua famiglia non ha mai avuto un Grifondoro e non si sente particolarmente coraggioso o dai grandi ideali. 
Quando è il turno di Combeferre, il Cappello ha appena il tempo di sfiorargli la testa che sta già urlando, “Corvonero!”. Grantaire, Marius, Enjolras, Courfeyrac e Joly applaudono insieme agli altri. 
È il turno di altri due ragazzini, che finiscono rispettivamente a Tassorosso e a Serpeverde, e poi Courfeyrac viene chiamato. Si avvicina al Cappello con un sorriso trepidante, sedendosi sullo sgabello. Il Cappello impiega solo qualche secondo a decidere. Appena sente urlare “Grifondoro!”, Courfeyrac fa un grande sorriso e, nell'impeto dell'emozione, abbraccia il Cappello, scatenando le risate degli studenti ai tavoli. Grantaire batte forte le mani, ridendo anche lui mentre Courfeyrac si unisce al tavolo di Grifondoro. 
Il professore chiama Enjolras. Grantaire si zittisce di colpo. 
Enjolras cammina a testa alta e si siede sullo sgabello con innata compostezza, posandosi il Cappello sui riccioli biondi. Ha l'espressione solenne, come se si stia preparando per una missione difficile e pericolosa. Grantaire lo osserva. Sembra star sostenendo un'elaborata conversazione nella sua testa con il Cappello Parlante, ma rimane impassibile. Solo una volta annuisce leggermente e aggrotta la fronte. La Sala è silenziosa, gli occhi di tutti puntati su Enjolras.
Grantaire è un po' preoccupato. E se il Cappello non riesce a decidere in che Casa mandare Enjolras? Che cosa accadrà? Si sente di nuovo pervadere dall'ansia. Dovrà tornare a casa? Ma prima che riesca a sporgersi per condividere i suoi pensieri con Marius e Joly, la bocca del Cappello si spalanca ancora una volta. “Grifondoro!” annuncia. Il tavolo di Grifondoro applaude nuovamente. Grantaire vede Courfeyrac alzarsi e salutare l'arrivo di Enjolras con un abbraccio. 
Ma certo che Enjolras è stato assegnato a Grifondoro. I membri di quella Casa sono coraggiosi e rispettosi, i custodi della giustizia. Da ciò che Grantaire ha capito di lui durante le ore passate insieme, Enjolras è tutto questo, e anche di più. 
Dopo di lui vengono chiamate altre due persone: un ragazzino alto, dai capelli color carota, e la ragazza del treno. O meglio, Éponine Thénardier. Grantaire la guarda infilarsi il Cappello, venire smistata in Serpeverde e correre a unirsi ai suoi nuovi compagni, un sorriso soddisfatto e i capelli svolazzanti. 
Quando sente chiamare il proprio nome deglutisce, le gambe pesanti. Riesce a trascinarsi verso lo sgabello con espressione impassibile, cercando di non tradire l'emozione e l'ansia che prova. Appena indossa il Cappello e sente una voce iniziare a sussurrargli nell'orecchio, però, sobbalza. 
“Oh, un'altra sfida!” mormora il Cappello, apparentemente deliziato. “Vedo molte insicurezze in te... paura di non essere abbastanza, e una paura del giudizio degli altri molto ben nascosta.” Grantaire fa un respiro profondo. “Ma vedo anche voglia di lavorare duro. Tanta lealtà verso i tuoi amici, tanta dedizione. Staresti molto bene in Tassorosso, sì.” Sembra meditabondo. Grantaire stringe forte le mani in grembo. Se il Cappello sembra così convinto, perché non lo assegna a Tassorosso? Non gli dispiacerebbe starci. “Perché in te c'è molto altro,” gli risponde la voce nell'orecchio. “Hai poca autostima ma un cervello brillante. Forse saresti capace di dare il meglio di te, se messo alla prova a dovere. Hai una grande creatività, un'intelligenza che cerchi tanto di tenere nascosta ma che è qui, davanti a me.” Il Cappello sospira. È un suono strano. Grantaire si fa sfuggire una risatina che rimbomba nel silenzio dell'intera Sala, e improvvisamente ricorda dove si trova e che cosa sta succedendo. Lo sguardo gli cade sul tavolo di Grifondoro. Courfeyrac e Enjolras sono seduti fianco a fianco e lo stanno osservando, come tutti gli altri. Enjolras ha il mento appoggiato al palmo della mano. “Mmm,” riprende il Cappello dopo qualche secondo. “Sì, se messo alla prova a dovere daresti il meglio di te. Sono proprio d'accordo. Quindi che ne dici di... Grifondoro!” L'ultima parola echeggia nella Sala affollata. Grantaire batte le palpebre, incredulo. Si alza dallo sgabello con fare incerto. Ancora a bocca aperta, si toglie il Cappello e si avvia verso il tavolo di Grifondoro – il suo tavolo – dove Courfeyrac abbraccia anche lui. Enjolras, ancora una volta di fronte a lui, gli fa un piccolo sorriso. Grantaire tenta di ricambiarlo, ma non sa se gli riesce bene. 
Com'è possibile che sia stato smistato in Grifondoro? 
“Benvenuto,” lo salutano parecchi ragazzi vicini. 
Non riesce a capire. Nessuno della sua famiglia è mai stato in Grifondoro. Grantaire non sarebbe dovuto finire lì. Non è audace. Non ha ideali nobili. 
“Sto morendo di fame,” dice Courfeyrac. Nessuno sembra notare il conflitto interiore che sta avvenendo nella testa di Grantaire in quel momento, anche se potrebbe giurare che Enjolras gli stia lanciando delle occhiate dubbiose. 
Sono in pochi gli altri assegnati a Grifondoro. Un ragazzino sottile dai capelli di un colore tra il rosso e il castano lunghi fino alle spalle si lascia cadere sulla panca accanto a Grantaire, le guance rosse dall'imbarazzo per l'applauso. “Il Cappello non riusciva a decidere se mettermi qui o in Corvonero,” dice. Li fissa. “Credo che abbia scelto a caso.”
“Non sei l'unico,” mormora Grantaire a se stesso. 
Presta abbastanza attenzione al resto dello Smistamento per vedere Joly assegnato, con suo apparente stupore, a Corvonero. Marius sorride quando il Cappello grida “Tassorosso!” e si unisce zelante alla sua nuova Casa. 
Al termine della cerimonia la Preside si alza in piedi dal tavolo degli insegnanti, emanando autorità, e tutti si zittiscono. Tiene un breve discorso, salutando i nuovi arrivati e raccomandando loro di non avventurarsi nella Foresta Proibita al limitare del territorio della scuola. Dice qualcosa a proposito delle squadre di Quidditch e Grantaire si illumina. 
“Possiamo giocare?” chiede a nessuno in particolare. 
Il ragazzo accanto a lui scuote la testa. “Gli studenti possono presentarsi alle selezioni solo dal secondo anno in su,” spiega. 
“Ma noi ci intrufoleremo nel campo qualche volta e giocheremo lo stesso,” gli bisbiglia Courfeyrac da sopra il tavolo. Grantaire gli sorride. È felice di avere qualcuno come Courfeyrac al suo fianco. 
Appena la Preside finisce di parlare e si risiede c'è un momento carico di attesa. Poi, dal nulla, i piatti davanti a loro si riempiono di cibo di ogni genere. 
“Finalmente,” esclama Courfeyrac soddisfatto. Inizia a riempirsi il piatto di pollo arrosto, aggiungendo un'incredibile quantità di patatine fritte e poi, come ripensandoci, si fa passare da una ragazza più grande anche il piatto delle salsicce. 
Grantaire segue presto il suo esempio, affamato dopo la giornata piena di emozioni, e quello del primo anno accanto a lui fa lo stesso, anche se sembra un po' sbalordito alla vista di tutto quel cibo tutto insieme. Enjolras, vicino a Courfeyrac, è ancora immobile, gli occhi fissi sui piatti. 
“Da dove è arrivato il cibo?” chiede a nessuno in particolare. 
Grantaire alza le spalle. “Non lo so. Dalle cucine? Ha importanza?” 
Enjolras batte le palpebre una, due volte. Sembra in soggezione. Lentamente, anche lui inizia a riempirsi il piatto. 
Durante la cena fanno amicizia con i loro compagni di primo anno. Quello seduto accanto a Grantaire si chiama Jean ma si presenta come Jehan e coinvolge lui e Courfeyrac in una complicata conversazione su... nemmeno loro sanno bene cosa. Courfeyrac cerca di trascinarlo nel loro club immaginario. Enjolras sta parlando delle lezioni con altre due ragazze. Quando il cibo davanti a loro viene sostituito da decine di dolci diversi, sono tutti molto più tranquilli e rilassati, seduti comodamente sulle panche. Molti di loro mascherano gli sbadigli. Grantaire non lo ammetterà mai, ma non vede l'ora di andare a letto. 
Alla fine la Preside si alza ancora una volta, ricordando che le lezioni inizieranno la mattina dopo e dando loro la buonanotte con un sorriso. 
Grantaire e gli altri del primo anno seguono uno dei Prefetti di Grifondoro fuori dalla Sala Grande e su per la scala di marmo nell'ingresso, il naso per aria, tentando di non perdersi nessun particolare del castello. Enjolras trattiene il fiato quando i ritratti appesi ai muri li salutano con la mano al loro passaggio. Salgono innumerevoli rampe di scale, ne scendono qualcuna, svoltano in decine di corridoi. Fuori dalle finestre è ormai notte. Il Prefetto segnala loro alcuni utili passaggi segreti. E poi, finalmente, giungono davanti al ritratto di una donna molto in carne che indossa un vestito rosa. 
“Qui siamo al settimo piano. Lei è la Signora Grassa,” spiega il Prefetto appena si radunano tutti davanti al ritratto. “Svolge un ruolo molto importante, perché fa la guardia all'entrata della nostra Sala Comune”. 
La Signora Grassa annuisce. “Parola d'ordine?”
“Api frizzole,” risponde il Prefetto. Grantaire si gira verso Enjolras, che scuote la testa, ma si sta mordendo il labbro nel tentativo di non sorridere. 
La Sala Comune di Grifondoro è una stanza calda e accogliente, di pianta circolare, tutta rossa e oro. Una parete è quasi completamente occupata da un grande camino di marmo, mentre le altre sono coperte di arazzi. Il Prefetto indica alle ragazze la porta che conduce al loro dormitorio e ai ragazzi quella che conduce a quello maschile. 
“Siamo in una torre,” osserva Courfeyrac, mentre salgono stancamente una scala a chiocciola. “Che figata”. 
Trovano la stanza degli studenti del primo anno senza fatica, in cima alla scalinata: ci sono quattro letti a baldacchino dalle tende rosse, con un baule davanti a ciascuno. Una porta laterale conduce probabilmente al bagno. 
Courfeyrac ripete “che figata!” e si butta sul suo letto. Grantaire è troppo stanco per parlare o meravigliarsi ulteriormente. Lui e Jehan estraggono i loro pigiami dai bauli e li infilano in silenzio. Enjolras è inginocchiato sul tappeto rosso che ricopre parte del pavimento, il suo baule spalancato davanti a lui. Sembra intenzionato a disfare i bagagli. Estrae il suo pigiama e lo posa sul letto. Alcuni libri finiscono in una borsa, probabilmente pronta per le lezioni dell'indomani, e un altro volume dall'aria pesante viene poggiato sul comodino. Infine, con cautela, Enjolras prende anche la sua bacchetta. La maneggia con cura, come se non sappia bene che cosa farci. Anche quella viene posata sul comodino, accanto al libro. 
“Di che cosa è fatta?” gli domanda Jehan. 
Per qualche motivo, Enjolras arrossisce. “Legno di ebano e piuma di fenice, molto flessibile,” risponde. 
“Mmm. Buonanotte,” bofonchia Courfeyrac, già mezzo addormentato. 
Grantaire si mette a letto senza una parola. Non ha voglia di disfare i bagagli, anche se sa che domani mattina si pentirà di non averlo fatto. Rimane lì, sotto le coperte morbide e calde, a osservare le stelle fuori dalle finestre con i respiri dei suoi nuovi compagni in sottofondo e contemplare l'inizio della sua nuova vita. 




 

note poco importanti: 
Sono mesi e mesi e meeesi che voglio scrivere una storia del genere. Una volta iniziata, non sono più riuscita a fermarmi. Penso proprio (anzi, ne sono piuttosto certa) che questa diventerà una serie, perché devo scrivere di più su "les amis à Hogwarts", e devo definitivamente scrivere di più su Enjolras e Grantaire a Hogwarts. Quindi sì, è deciso. Questa è la prima Hogwarts AU di una lunga serie. In effetti potrei aver già iniziato la prossima. Insomma, devo solo trovare un nome figo per tutta la serie adesso uwu 
Grazie di cuore per aver letto, spero vi sia piaciuta almeno un po'! Non sono mai soddisfatta di ciò che scrivo (l'ultima mia fanfiction che mi piace davvero risale al 2013, uhm) ma sono /davvero/ felice di aver scritto questa. 


note lunghe e importanti: 
Parlando dello Smistamento aka l'argomento che mi preme di più: nella mia testa Grantaire oscilla tra Corvonero e Grifondoro, anche se non lo vedrei male nemmeno in Tassorosso (+ il Capo Supremo Blagden lo mette in Tassorosso, quindi va bene). Qui ho deciso di metterlo in Grifondoro per ragioni di trama. Tra tutti gli amis (ossia tra quelli che Grantaire ha conosciuto durante la giornata - perché naturalmente qui da qualche parte ci sono tutti gli altri, a meno che qualcuno non arrivi l'anno prossimo), Eponine è l'unica a mantenere alto l'orgoglio Serpeverde. Parlando di Enjolras: nella mia testa, Enjolras è sempre stato un Grifondoro. So che alcuni potrebbero vedere delle caratteristiche da Serpeverde in lui, e posso anche capirlo, ma io non sono d'accordo con la scelta di assegnarlo a quella Casa. 
Terminando il discorso sullo Smistamento, nelle prossime storie (leggete le note poco importanti qui sopra) Enjolras e Grantaire torneranno di sicuro sull'argomento. 
Ho grandi piani per l'evoluzione del rapporto e/R. Questa storia non è una vera e/R, ovviamente, perché, beh, hanno undici anni lol
E... sì, Enjolras è un Nato Babbano perché è adorabile

EDIT: Ho dimenticato di parlare delle bacchette! Mi sono divertita parecchio a scegliere le bacchette per gli amis. Mi sono informata sul legno, sul nucleo, sul grado di flessibilità, sulla lunghezza (scoprendo un sacco di cose a cui non avevo mai pensato prima, tra l'altro), quindi le bacchette di ognuno non sono state scelte a caso, ma hanno tutte un loro perché.

 

   
 
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