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Autore: PerseoeAndromeda    20/01/2009    4 recensioni
Due frammenti di vita distanti nel tempo che, in qualche modo, si intrecciano, perché gli antichi errori non vengano compiuti da chi resta nel mondo. ShiryuXSeiya - DhokoXSion Spoiler per chi non ha visto tutto Hades
Genere: Romantico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Andromeda Shun, Aries Shion, Dragon Shiryu, Libra Dohko, Pegasus Seiya
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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La danza delle foglie morenti trascinate dall’implacabile vento d’autunno mi sta ipnotizzando mentre il mio sguardo si perde o

 

TAPPETO DI FOGLIE SOTTO UN CIELO D’AUTUNNO

 

 

 

 

-STORIE DIFFERENTI-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si perdono in turbini di foglie morenti,

 

le melodie smarrite nelle arcane contrade del tempo;

 

storie differenti intrecciate in antiche trame

 

sulla tela corrosa di rimembranze remote.

 

Mi conducono i passi ad un sogno

 

dettato da vane speranze del cuore,

 

questo cuore che batte mentre tendo la mano,

 

questa mano che un giorno, chissà,

 

forse stringerai nella tua.

 

 

 

La danza delle foglie morenti trascinate dall’implacabile vento d’autunno mi sta ipnotizzando mentre il mio sguardo si perde oltre la vetrata trasparente di questa triste stanza d’ospedale; mi trovo in uno di quegli ambienti che non possono fare a meno di risvegliare nell’animo angosciose visioni di morte e il mio stato mentale non aiuta di certo a vedere la vita in modo più roseo, per quanto mi ci impegni, per quanto io senta che chi mi circonda proprio di questo avrebbe bisogno, temo che presto finirò per crollare io stesso.

L’intero edificio, come quasi tutti i luoghi che i miei compagni ed io frequentiamo abitualmente qui in Giappone, è di proprietà dei Kido e per quando l’opulenta fondazione abbia fatto del proprio meglio per rendere meno gravose queste mura, dotandole di tutti i comfort, erigendo intorno ad esse un maestoso giardino nel quale pullula la vita, si tratta pur sempre di un ospedale e qui dentro si soffre e si muore… si piange…

Non ho fatto in tempo a rendermene conto che una lacrima mi sorprende e solca, timidamente, la mia guancia, andando ad infrangersi sulla fronte del mio compagno, mio fratello, che giace addormentato nel letto accanto al quale sto seduto da ore, immobile, come se avessi paura di lasciarlo, anche solo per un istante… paura di perderlo definitivamente forse, dopo che tanto abbiamo rischiato.

La Guerra Sacra si è conclusa con il ritorno della luce sulla terra ma con nuove ombre accumulatesi sui nostri cuori; i Gold Saint sacrificatisi non sono tornati insieme a noi ed è così difficile sorridere, anche se ci sforziamo di farlo per loro, perché la loro memoria venga onorata, perché non sarebbero lieti di sapere che ciò che ci hanno lasciato è solo questo immenso vuoto che ci opprime…. Un vuoto che Seiya non riesce a fugare dal proprio spirito…

Abbiamo rischiato di perdere anche lui, la sua ferita era mortale; quando ci siamo risvegliati, nel mondo della luce, lui era con noi ma non dava segni di vita… tutti noi abbiamo temuto il peggio ma, fidando in quell’alito vitale che ancora percepivamo, aggrappandoci alla speranza della sua immensa forza interiore che non gli avrebbe permesso di andarsene finché una sola briciola di respiro avesse scosso il suo corpo, gli siamo restati accanto per giorni finché, per la prima volta, non aprì i suoi grandi occhi castani su di noi che, perennemente, eravamo chini su di lui, in attesa di quel momento. Fu Seika, la sua amata sorella ritrovata, ad incrociare per prima il suo sguardo e ad abbracciarlo, inondando di lacrime il suo viso, un viso che non era più lo stesso; il colorito ambrato si era impallidito e la sua espressione da vivace monello era offuscata da un dolore troppo grande perché una mente comune potesse recepirlo…

E ancora adesso è così; la ferita del corpo sta guarendo ma c’è qualcos’altro dentro di lui, come un demone che non se ne vuole andare, non vuole lasciarlo in pace.

Nessuno di noi sta bene in realtà ma, in qualche modo, abbiamo trovato la forza di reagire; io sono fortunato, devo la mia sopravvivenza ad Ikki-Niisan che non mi ha più abbandonato, a Hyoga… a quel sentimento speciale che è sbocciato tra di noi, da sempre esistito, latente, celato dalla nostra timidezza, esploso all’improvviso, con la consapevolezza che per noi sacri guerrieri è talmente facile smarrirsi, svanire in un alito di vento e che non abbiamo tempo da perdere… aprirci l’un l’altro si è rivelato improvvisamente necessario, urgente… e ora siamo insieme, non solo come amici e fratelli.

Shiryu se ne è andato qualche giorno fa; ancora adesso non riesco a comprendere cosa gli frullasse nella testa ma era talmente inquieto, nervoso… ha detto che non ce la faceva più a vedere Seiya in quello stato ed è partito per Goro Ho, ancora prima che il nostro compagno si risvegliasse.

Posso capire il suo stato d’animo; ha perduto un maestro che adorava e non oso pensare come sia stato per lui il ritorno tra i suoi monti, senza Dauko ad accoglierlo, appollaiato su quella roccia di fronte alla cascata. Il vuoto dev’essere stato immenso, ampliato dal gravoso compito di riferire a Shunrey l’accaduto.

So che doveva andare da lei, farle sapere qualcosa, so anche quanto per lui Seiya sia importante e quanta fatica gli costasse osservarlo mentre rischiava di spegnersi definitivamente da un momento all’altro; eppure qualcosa non mi torna… in qualche modo è sembrata una fuga e Seiya sarebbe stato molto più felice di trovare anche Shiryu accanto a sé, quando ha aperto gli occhi. So quanto Shiryu gli manchi e so quanto il Dragone gli sarebbe d’aiuto e conforto se fosse qui… ma non ho nessun diritto di giudicare e biasimare le sue scelte, siamo tutti diversi, reagiamo in modo diverso e solo una cosa è assolutamente certa: stiamo tutti terribilmente male e facciamo del nostro meglio per lottare contro l’oscurità che, giorno dopo giorno, come un tarlo insaziabile, consuma il nostro spirito fino a farlo sanguinare. Rivedremo mai la luce, noi, come l’ha rivista la Terra?

Mi porto le mani agli occhi, soffocando un gemito e stropicciandomeli con foga per cacciare ogni ombra di pianto prima che Seiya si svegli; non voglio mostrarmi così a lui, sta già tanto male per conto suo che non posso riversargli addosso anche il mio malessere.

La porta alle mia spalle si apre, facendomi sobbalzare, a dimostrazione di quanto i miei nervi siano tesi.

Si tratta di Seika; si è appena svegliata, dopo che, quasi a viva forza, l’ho costretta ad andarsi a riposare per qualche ora. Ha resistito davvero molto poco prima di tornare qui.

Si avvicina a piccoli passi, portando tra le mani un bicchiere di the fumante che mi porge delicatamente:

“Ho pensato che ti avrebbe risollevato un po’…”

Annuisco, mormorando un grazie, sforzandomi di sorridere; stringo il bicchiere di plastica tra le dita… è davvero piacevole il suo tepore… non è che faccia freddo qui dentro, anche se fuori tira un vento che fa rabbrividire solo a guardare le foglie strappate violentemente dai rami… eppure ho bisogno di calore… non credo sia un bisogno fisico, quanto morale.

Mi piace tenerlo così questo bicchiere, senza portarlo alle labbra; mi dà un senso di casa, famiglia, un fuoco acceso in un camino mentre all’esterno infuria la tempesta autunnale.

Chino il capo sul liquido ambrato che occhieggia come uno specchio incantato, mentre Seika si siede al mio fianco; percepisco il suo sguardo che si attarda su di me e prevedo ciò che sta per dire… è come una sorella maggiore per tutti noi, non solo per Seiya, da quando ci ha conosciuti:

“Costringi me al riposo quando dovresti fare la stessa cosa con te stesso… perché abusi tanto di te, Shun?”

“Sto bene, non ti devi preoccupare” rispondo, tentando di dimostrarmi convincente.

“Così bene che appena ho aperto la porta sei scattato come se ti avessero aggredito; io questa la chiamo inquietudine dovuta a stanchezza fisica e mentale!”

Non posso fare a meno di ridacchiare per la tenerezza; dopo l’atteggiamento da amica è passata al tono da mammina, con tanto di labbra imbronciate e fronte aggrondata. Si calma quasi subito e distoglie lo sguardo dal mio, per riportarlo sul fratello addormentato:

“E non tirarmi in ballo la scusa che tu sei un guerriero e che puoi sopportare molto più di me la stanchezza… non siete fatti d’acciaio eppure dovete sostenere dei pesi che distruggerebbero qualunque essere umano, senza per questo essere invulnerabili… i più provati siete voi, non io e caso mai sei tu, Shun, ad avere maggior bisogno di riposo per quello che ti è accaduto e che è accaduto a tutti voi… mio fratello è la dimostrazione di come anche il fisico e l’animo di un Santo di Athena, dopo un po’, rischino di infrangersi contro una realtà troppo dura da sopportare…”

Come lei, anche io sto osservando Seiya mentre Seika pronuncia queste ultime parole; fa così male vederlo in questo stato, distante da tutto e da noi… anche quando è sveglio, la sua mente vaga lontano da noi, forse solo Seika riesce ad ottenere qualche sprazzo vitale in più ma sembra quasi che al nostro Pegasus non importi più di nulla… a volte, quando cerchiamo di risollevarlo con le nostre parole e la nostra compagnia, dopo una mancanza pressoché totale di ascolto da parte sua, ci prega di stare zitti, perché non gli va di sentir parlare… e spesso ci chiede di andarcene. A noi mancano tanto i suoi sorrisi solari, la sua gaiezza, la sua capacità di risollevarci il morale nei momenti bui, di donarci la fiera luce del suo cosmo che ci illuminava tutti… adesso è lui a non averla più quella luce e di riflesso, tutti noi la perdiamo…

Mi manca tanto il mio fratellino, lo vorrei indietro, egoisticamente, com’era un tempo. Non so cosa rispondere a Seika, dentro di me so che ha ragione ma non trovo le parole per esprimere i miei pensieri e le mie sensazioni. Mi decido a sollevare il bicchiere e a sorseggiare il liquido caldo, lo sento scorrere in me, forse troppo bruciante ma non mi importa… è buono, dolce e giova al mio spirito come una carezza gentile.

Seiya apre gli occhi, ci scruta, come un cerbiatto smarrito trovatosi d’improvviso in un luogo che non conosce, gli occhi pieni di domande e paure; è così ogni volta… poi ci mette a fuoco e, con un sottile sospiro, si volta verso la finestra e risprofonda in sé stesso, mentre una volta di più, lottiamo per ricondurlo a noi.

 

 

 

 

Un vento fortissimo percuoteva le cime aguzze di quei monti, cinque vette disposte simmetricamente, come per un misterioso disegno della natura che tutto prevede, dalle cui pareti di roccia si protendevano, come braccia ad invocare il cielo, le chiome tondeggianti di evonimi spazzati dal vento.

Faceva freddo in quell’anticipo d’autunno, ma il giovane accovacciato sulla roccia, a petto nudo, non percepiva il disagio fisico dei turbini che gli frustavano la pelle, delle gocce ghiacciate spruzzate dalla maestosa cascata di fronte a lui, mentre le orecchie si nutrivano del suo canto secolare… il canto cosmico delle stelle che pioveva sulla terra, rappresentato da quell’immenso salto d’acqua cristallina, lì, dove l’armatura del sacro Dragone aveva visto la luce, lì dove il ragazzo aveva dimostrato di esserne il legittimo proprietario.

Tornare in quel luogo, che per il Bronze Saint del Dragone significava vita, era stato come morire questa volta, perché nel paesaggio che lo aveva visto crescere come sacro guerriero mancava qualcosa di profondamente radicato in esso e quella mancanza sembrava togliere ai monti, alla cascata, al picco di roccia sul quale Shiryu adesso se ne stava acquattato, il significato profondo che sempre li aveva caratterizzati.

Goro-Ho non era più la stessa cosa senza il suo vecchio maestro che per anni si era trovato in quella medesima posizione in cui stava ora Shiryu, a sorvegliare un mistero palesatosi solo da poco, quello stesso mistero che lo aveva condotto alla morte.

Perché era tornato? Per rivedere Shunrey, certo, la ragazzina meritava di essere messa al corrente, dopo essere stata abbandonata da entrambi gli uomini con i quali era cresciuta, meritava di conoscere la sorte di Dauko e meritava ed aveva il diritto di sapere che lui, Shiryu, era sano e salvo; l’attesa per lei doveva essere stata struggente.

Era questa consapevolezza a rendere il senso di colpa così dilaniante? Senso di colpa perché non era corso subito da lei… ma come avrebbe potuto abbandonare Seiya mentre si trovava tra la vita e la morte? Eppure, ciò non gli aveva impedito di farlo dopo, con la scusa che doveva tornare lì, da Shunrey, trascurata fino a quel momento… una scusa, una fuga perché non gli era più possibile assistere un Seiya in tali condizioni… e così si era reso  due volte colpevole perché, come aveva abbandonato inizialmente Shunrey, ora aveva abbandonato Seiya… e mai si era sentito talmente ipocrita… la consapevolezza del proprio comportamento non lo rendeva più onorevole.

I pensieri si rincorrevano, uno dopo l’altro, ogni istante diversi dai precedenti… forse era troppo severo con sé stesso, si stava dando colpe che non aveva, era solo terribilmente confuso, quella confusione che già si era impossessata di lui all’inizio della Guerra Sacra, trasformatasi in una nebulosa presenza nella sua testa che gli impediva di considerare ogni evento con la necessaria razionalità. Era cambiato anche lui dopo l’atroce avventura negli Inferi, non si sentiva più in grado di rivestire il ruolo della voce della ragione… quale ragione se non era neanche in grado di fare luce nei propri sentimenti?

Convinto fin da bambino di amare Shunrey con una tenerezza infinita, che il proprio destino fosse quello di restare al suo fianco e di trovarla ad attenderlo al ritorno da ogni missione, stava riscoprendo,con profonda amarezza, che qualcosa, in questo rapporto, si era incrinato; Shunrey avrebbe dovuto attenderlo per tutta la vita perché lui non avrebbe mai avuto il coraggio di dichiararsi definitivamente, di prenderla come compagna e il motivo non era solo il timore di non poterle dare la sicurezza della sua costante presenza, di costringerla ad accettare il fatto che lei, in ogni modo, sarebbe sempre venuta dopo… dopo Athena e il servizio della Dea, certo ma anche dopo il legame con i compagni e fratelli, Shiryu non era in grado di nasconderlo ancora a sé stesso… Shunrey non era al centro dei suoi pensieri e forse non lo era mai stata. Non che inizialmente avesse finto con lei ma aveva ritenuto naturale e scontato il loro legame, nulla più che un dato di fatto… improvvisamente, esso si era tramutato in un obbligo… perché? Cos’era accaduto?

Il senso di tutto era solo uno e ciò che gli rimaneva era riuscire a farlo accettare a sé stesso innanzitutto, perché anche coloro che erano i suoi affetti potessero accettarlo: era tornato a Goro Ho per rivedere Shunrey, certo, ma forse soprattutto per fare luce in sé stesso a proposito di un sentimento che gli era sempre più difficile contenere o addirittura comprendere.

Chi era la persona che da molto tempo ormai gli ossessionava anima e cuore, giorno e notte, oscurando tutto il resto? Perché l’aveva negato a sé stesso tanto a lungo? Teneva gli occhi chiusi, il volto leggermente levato verso il cielo e, per quanto cercasse di liberare la mente, per riflettere con serenità, meditando come il suo vecchio maestro gli aveva insegnato nel corso di duri e lunghissimi anni di addestramento, dimostrava di non aver imparato nel migliore dei modi tali lezioni. Quel viso addormentato, quelle labbra che non gli avevano più sorriso dopo il ritorno dall’Ade, quel suo caro compagno, amico, fratello che soffriva senza che lui, Shiryu, fosse là al suo fianco, come sempre aveva fatto… il suo amore…

Gli occhi del giovane si sgranarono, in tutta la loro intensità di essenze e sapori orientali; era quella la rivelazione che attendeva e che ricercava con un tale, disperato bisogno di risposte? Si erse e il suo corpo elegante e vigoroso ad un tempo, spiccò fulgido sotto i raggi del freddo sole d’autunno, riflessi come tante pietre preziose dalle gocce della cascata, frammenti di stelle che carezzavano morbidamente le sue membra abbronzate.

“Se… iya…”

Una parola formulata spontaneamente dalle sua labbra che rigidamente esalarono il fiato per mettere insieme quelle poche lettere… un nome… il nome della persona dalla quale desiderava ritornare, con un’urgenza che si palesò improvvisa alla sua mente, tornata di colpo lucida come da mesi non era più.

Non aveva tempo da perdere, non voleva perderne altro, il cuore gli faceva male; forse perché quel muscolo dispensatore di vita, ricettacolo di sentimenti e non solo di sangue, aveva udito il richiamo di quella persona, sapeva che aveva bisogno di un suo ritorno, il più possibile immediato?

Il suo cuore lo stava rimproverando, ogni singolo battito era una dolorosa parola, come una pugnalata inflitta alle sue viscere:

“Come puoi restartene qui, su questa roccia, perso nei tuoi inutili labirinti mentali, mentre la risposta si trova a Tokyo? Là è la fonte di tutti i tuoi tormenti, dei tuoi ricordi più dolci e forse ti attende, ti chiama, forse brama un tuo ritorno con tutto se stesso!”

Sospirò; era così semplice in apparenza, così logico ciò che adesso avrebbe dovuto fare. Eppure, risolto quel problema, nuovi dilemmi sorgevano dalle contorte elucubrazioni dei suoi pensieri, primo fra tutti la dolce Shunrey; come metterla di fronte ad una realtà che si sarebbe rivelata per lei, senza alcun dubbio, atroce, sconvolgente, forse distruttiva? Come far fronte al trauma cui la fanciulla sarebbe certamente andata incontro?

Una folata di vento più forte, gli spruzzò in viso una pioggia pungente di gelide goccioline ma non era un problema per lui che dall’acqua traeva la sua forza, soprattutto da quell’acqua che l’aveva battezzato, allorché il suo status di sacro guerriero aveva significato, per la sua anima, una sorta di rinascita… la fine dell’infanzia, mai realmente conosciuta e l’inizio di un’esistenza finalmente pregna di significato, un’esistenza che gli aveva recato risposte a lungo cercate, gli aveva rivelato il perché di una nascita fino ad allora considerata da lui inutile e senza scopo.

Non ce l’avrebbe mai fatta senza un maestro al quale doveva tutto ma dal quale ancora tanto aveva da imparare. Il ricordo di Dauko fu come uno schiaffo violento che accentuò prepotentemente la sua angoscia.

Cosa ne avrebbe pensato, lui, di una tale situazione? Lo avrebbe forse rimproverato di futilità… quale senso potevano mai avere, in fin dei conti, i suoi problemi personali se paragonati ai vasti drammi del cosmo?

“Shiryu… Shiryu…”

La cascata cantava; aveva una voce quel canto e tale voce chiamava il suo nome, il nome di un figlio indegno, sussurrato lievemente nel vento:

“Shiryu…”

Vibrazioni troppo conosciute in quella voce che prendeva vita, scuotendolo sin nel profondo, commuovendolo fino alle lacrime.

“Ascolta il tuo cuore, Shiryu, solo lui saprà suggerirti al meglio; non temere per Shunrey… è forte più di quanto sembri la nostra piccola. Ma tu, figlio mio, non commettere il mio medesimo errore… tu sai mettere il cuore davanti alla mente… io non ne sono stato in grado…”

Una risata sottile sigillò, stranamente, la malinconia di cui erano impregnate le ultime parole e poi si spense, lasciando nuovamente spazio al boato insensato e confuso della cascata.

Shiryu si sentì, di colpo, più leggero, come se una pietra dall’incommensurabile pesantezza gli fosse stata estirpata dal cuore; sul volto corrucciato, sui lineamenti fini tra i quali ombre senza nome avevano preso, da tempo, fissa dimora, si accese una nuova luce, suggellata da un sorriso apparso sulle labbra fino a quel momento rigide e tese in una linea sottile.

“Grazie roshi, mio Vecchio Maestro; ora so che non lascerai mai realmente questi luoghi e che non abbandonerai mai neanche me…”

In uno scintillio fulmineo tra i rifulgenti festoni di acqua cadente, due occhietti vispi ammiccarono, in un volto raggrinzito di vecchio, per scomparire tuttavia quasi subito; si era trattato di un miraggio, una visione, una semplice proiezione del suo cuore che sembrava volergli esplodere in petto? Forse no… no, non ne era affatto convinto… La voce era stata reale, ne era certo… perché non avrebbe dovuto esserlo quell’apparizione? Non sarebbe stata la prima volta che un sacro guerriero riusciva a manifestare la propria presenza oltre la morte, Aioros in primo luogo… e lui stesso… quando era sulla soglia dei cancelli dell’Ade, aveva comunicato con Seiya… non c’era nulla da stupirsi. Se il dubbio si era insinuato nel suo animo, ciò era dovuto esclusivamente ad una gioia incredula, al timore che il desiderio di rivedere Dauko fosse così forte da materializzare la sua figura tra le acque, la sua voce nel boato della cascata… ma non era così… Dauko era con lui e non se ne sarebbe mai andato realmente.

Il sorriso di Shiryu si accentuò; si sentiva pronto a parlare con Shunrey. Non l’avrebbe mai abbandonata a sé stessa ma ciò che li legava andava rivisto e modificato; una vita di coppia, per loro, era impossibile ed avrebbe recato unicamente infelicità ad entrambi. Il senso del dovere, in questo caso, era inutile e deleterio e neanche alla stessa Shunrey avrebbe giovato.

Una metà del suo cuore apparteneva alla persona che lo attendeva a Tokyo e dalla quale desiderava tornare, immediatamente… aveva bisogno di lui.

 

 

 

 

Un’altra settimana è passata, scandita tra queste quattro mura, accanto ad un letto dal quale Seiya non vuole saperne di alzarsi. Seika e io non lo lasciamo mai solo troppo a lungo e anche Saori-san viene spesso, ogni volta che può; il suo senso del dovere non le permette di trascurare nulla, anche se io so che il suo cuore vorrebbe essere sempre qui.

C’è tanta tristezza nei suoi occhi; più volte l’ho supplicata di concedersi un po’ di tregua nella sua spola continua  tra il Giappone e la Grecia, dove i suoi obblighi di Dea la chiamano a presiedere alle faccende di un Grande Tempio ora privo dei Gold Saint, supremi custodi e di un Sommo Sacerdote.

Posso quasi percepire fisicamente i pensieri che, ne sono certo, opprimono la sua mente stravolta; si è anche confidata con me a proposito di quanto si senta inadeguata, lei, Athena, tornata sana e salva dagli Inferi senza essere riuscita a ricondurre con sé la maggior parte dei suoi sacri guerrieri.

Per quanto mi impegni nei miei tentativi di rassicurarla, mi sento inutile, perché so di non riuscire a fugare del tutto i suoi tormenti; non le sono sufficienti le mie parole e, quando osservo la profondità che i suoi occhi hanno acquistato negli ultimi mesi, quei cerchi cinerei sotto le palpebre che offuscano la perfezione del suo volto, rivelando le notti insonni popolate da incubi e lacrime, non posso fare a meno di dire a me stesso quanto sia dolorosamente maturata. Guadagnando in umiltà, ha cancellato tutta la superbia di un’infanzia trascorsa nella morbida protezione di un’alcova immacolata. Non ha nulla da rimproverarsi, ha vinto una battaglia anche contro una parte di sé stessa, rinnegandola quasi e, ancora bambina, come tutti noi, ha accettato con dignità estrema il proprio destino; l’abbiamo accettata come nostra guida, tutti, anche coloro che per lei hanno dato la vita e questo perché lei ha saputo rapportarsi a noi come la Dea che amiamo… non dovrebbe disprezzare così il proprio ruolo, ma in fondo posso capirla… ognuno di noi ha il proprio fardello, ognuno di noi si sente colpevole per qualcosa e dice a sé stesso che, forse, qualcosa di più si poteva fare… perché potessimo tornare tutti e non soltanto in sei dall’estrema battaglia.

Vorrei aiutarla di più, come vorrei aiutare gli altri e anche me stesso ma, per quanto mi sforzi di cercare le parole adatte, tutto mi sembra estremamente vano.

Hyoga ed Ikki-Niisan vorrebbero venire qui più spesso ma non ce la fanno; sono convinto che pensano a Seiya giorno e notte e assisterlo mentre è in queste condizioni alimenterebbe unicamente i loro incubi. Ikki-Niisan è cambiato tanto… non riesce neanche più a fingere quella durezza che prima ostentava e ogni cosa in lui emana angoscia quando sta chiuso in questa stanza d’ospedale che, con la sua presenza, si impregna dei suoi fremiti spirituali così tormentati, del tutto simili a quelli di un uccello in gabbia che vorrebbe scappare… Sì, Ikki-Niisan vorrebbe fuggire dall’oppressione di questa stanza quando si trova qui. E’ combattuto; l’affetto che prova per Seiya, ormai da lui accettato come un nuovo fratellino da proteggere, gli suggerisce che qui, dove può assolvere il proprio compito di fratello maggiore, dovrebbe restare… ma al tempo stesso l’atmosfera che si respira qui dentro lo soffoca e, ne sono certo ormai, lo terrorizza.

Da parte mia, non riesco invece ad allontanarmi, non perché sia migliore degli altri, intendiamoci, o più responsabile o generoso, al contrario… io credo si nasconda un profondo egoismo nel mio modo di agire. Trascorro la mia esistenza con la sensazione, eterna compagna, di non riuscire a compiere nulla di buono e tale sentimento, dopo il ritorno dall’Ade, si è accentuato… la mia attitudine, quella di sentirmi un peso per tutti, lungi da affievolirsi, si accentua perché… per il mio legame, seppur inconsapevole fino all’ultimo istante, con il re degli Inferi, responsabile di tutto ciò che ci è accaduto…

Questo mi porta a ritenermi dolorosamente un peso, una sorta di parassita che non merita il loro amore. Esagero? Sì, forse, esagero anche nel rimproverarmi ma non è una novità… io esagero sempre, nel campo dei sentimenti, mi hanno ammonito spesso.

L’atteggiamento di Seiya nei miei confronti non mi aiuta certo a non pensare tali brutte cose di me, anche se, nell’intimo, io so che si comporterebbe così con chiunque e che non lo fa per insofferenza nei miei confronti in particolare, che è il suo malessere a spingerlo verso una durezza che non è assolutamente tipica di lui… ma in me c’è sempre quel lato irrazionale, forse malato, il quale continua a ripetermi, con un’insistenza opprimente: è colpa tua, è solo colpa tua, sei un essere inutile ed incapace che non è neanche in grado di fare qualcosa per alleviare le sofferenze di coloro che ama e forse sei la causa prima di tali sofferenze!

Sono uno stupido, ne sono consapevole e tali pensieri mi rendono ancora più stupido ma perché non riesco a farli tacere? Non sono un mostro, lo so, soffro tanto assorbendo in me il dolore di Seiya e degli altri, non lo lascio un attimo il mio fratellino, perché non me la sento… io devo restare al suo fianco. Che tale determinazione sia dettata dal senso di colpa o meno, alla fine non importa; farei qualunque cosa, gli darei la mia vita se ciò potesse bastare a restituire al mondo intero il Seiya di un tempo, il Seiya che per questo mondo ingrato compie miracoli con il suo cosmo e la sua inestinguibile forza d’animo!

“Stai ancora elucubrando sui tuoi assurdi sensi di colpa, Shun?”

Come è ormai d’abitudine quando sono qui dentro, è la voce di Seika a ricondurmi, con materna dolcezza, alla realtà. Ci siamo appena conosciuti ma già credo di poter dire con certezza che il suo sostegno è per me fondamentale; è tanto forte, la degna sorella di un sacro guerriero quale è Seiya… il sacro guerriero che Seiya era un tempo… colui che io e tutti gli altri rivogliamo disperatamente indietro!

“Scusami” come al solito mi sento avvampare mentre le rispondo, in pieno imbarazzo, maledicendomi tra me, perché ogni cosa che faccio mi dà l’impressione di essere sbagliata “Non devo essere una piacevole compagnia… mi dispiace…”

“E’ proprio vero che non conosci affatto te stesso, Shun, e l’ascendente che hai su coloro che ti circondano; ti rimproveri per qualunque cosa, come se tutto il male dell’universo fosse da te perpetrato… non capisco questa tua attitudine, sai? Se tu fossi una creatura negativa, allora nulla di buono esisterebbe al mondo… un mondo che tu rendi migliore con la tua sola presenza…”

Non so mai cosa rispondere quando odo simili parole nei miei riguardi e so con assoluta certezza che le mie guance, già imporporate, stanno assumendo le vivide tinte di una fiamma ardente; rintano la testa tra le spalle, concentrandomi sul respiro regolare di Seiya-kun, quasi fingendo di non avere udito. Proprio in questo istante, mio fratello apre gli occhi, salvandomi dall’obbligo di formulare una qualunque risposta, dandomi la possibilità di far vertere il discorso verso altre mete.

E’ da poco passata l’ora di pranzo e, in attesa che Seiya si svegliasse, gli abbiamo preparato cibo e bevande nella stanza; per questo, non appena i miei occhi incrociano i suoi, mi tendo verso di lui, sfoggiando il sorriso più limpido di cui sono capace, sforzandomi di parlargli gaiamente, nonostante la mia forzata allegria risulti alquanto fuori luogo in questa stanza d’ospedale… e di fronte a questo ragazzo spento che non riesco più a riconoscere:

“Ben svegliato, Seiya-kun, giusto in tempo per l’ora di pranzo! Ti abbiamo portato delle cose che adori, formaggi, onigiri e anche il tenpuri vegetariano che ti avevo fatto assaggiare tempo fa! E, soprattutto, una meravigliosa torta, cucinata da Seika-Neesan! I bambini dell’orfanotrofio l’hanno divorata ma ti hanno lasciato una fetta, per concederti di assaggiarla…”

Le ultime parole mi muoiono sulle labbra; l’espressione immobile di Seiya mi scoraggia… nulla di ciò che gli ho detto sembra avere minimamente attirato la sua attenzione, neanche superficialmente. Si volta anzi dall’alta parte, mormorando in un soffio:

“Non ho fame…”

Ricado indietro, sulla sedia; anche se è la tipica risposta di questo nuovo Seiya, il male al cuore che provo ogni volta si rinnova, rendendo ancor più opprimente la nostalgia per il mio fratellino vivace e goloso, abituato a non lasciare nel piatto neanche una briciola, facendo a gara con la famelicità di Akira, il bambino grassottello dell’orfanotrofio…

E non è solo questo il problema… io bramo un sorriso da lui, una parola gentile…

Un movimento fulmineo al mio fianco mi costringe a voltarmi, perplesso, in direzione di Seika; si è alzata, furente come un gatto pacifico improvvisamente offeso da una seccatura indesiderata. E’ talmente maestosa e severa che mi viene spontaneo raggomitolarmi su me stesso, facendomi tanto piccolo fin quasi a voler scomparire, anche se non sono io il bersaglio di una tale furia esplosiva.

Afferra un lembo del lenzuolo, strappandolo dal letto e, dopo averlo gettato a terra, si avventa su Seiya, con una violenza tale da darmi l’impressione che voglia fargli del male; la sua somiglianza con Marin-san è ancora più palese in questo momento. Stringe tra i pugni il colletto del pigiama di Seiya e lo strattona, tanto che la testa di suo fratello si solleva dal cuscino; si cela una forza sorprendente sotto quelle spoglie di delicata fanciulla… eppure non dovrebbe stupirmi da parte di una ragazza costretta a fare da madre al fratello fin quasi dalla nascita.

“Non vuoi mangiare, Seiya? Fai come vuoi…” Non sta urlando ma il gelo della sua voce, vibrante e tesa, rivela la rabbia disperata impadronitasi di lei “Ma non ti permetterò più di trattarci come se non esistessimo! Dopo che ci siamo ritrovati, dopo le lacrime di gioia piante dai tuoi e dai miei occhi, quegli istanti sono svaniti e non hanno più alcun significato per te? L’abitudine di avermi al tuo fianco ventiquattr’ore su ventiquattro ha cancellato ogni sollievo, ha cancellato anni di nostalgia e disperate ricerche della sorellina scomparsa? E cosa ti dà il diritto di rispondere a Shun come se fosse nessuno, a lui che sta giorno e notte chiuso in questa stanza per non lasciarci soli?”

Solo a questo punto la sua voce si alza, trasformandosi in uno strillo acuto:

“Non sei il solo a stare male, Seiya, c’è gente altrettanto provata, traumatizzata, gente che fa del proprio meglio per esserti comunque d’aiuto e dovresti ritenerti fortunato ad avere un tale affetto intorno a te, quando meriteresti di rimanere solo!”

Le ultime parole si spengono in un singhiozzo e Seika lo lascia, abbandonandosi sulla sedia, il volto basso, le mani nervose in grembo, soffocando i successivi singhiozzi.

Seiya ha accolto lo sfogo sgranando gli occhi, ora immensi, fissi sulla sorella accasciata accanto a lui; adesso sì che assomiglia al nostro vecchio Seiya, il ragazzino dagli sguardi colmi di infantile stupore.

Io non so che fare, mi sento smarrito quando intorno a me c’è tensione; il mio sguardo, in quest’attimo di silenzio assoluto, corre alternativamente da Seiya a Seika, ora immobili, in una sospensione totale, rotta solo dal pianto sommesso che scuote le spalle della ragazza. E’ la mano di Seiya che, muovendosi, spezza lo strato di ghiaccio instauratosi tra noi; la tende verso di lei, come in una scena al rallentatore e, in perfetta armonia con quel gesto, le sue labbra hanno un tremito leggero che arriva a noi tradotto in sofferenti parole, appena sussurrate:

“Neesan… mi dispiace tanto… non piangere…”

E’ la perfetta immagine di un bimbo mortificato, improvvisamente conscio di aver fatto soffrire qualcuno di estremamente caro per lui e finalmente, ciò mi permette di intravedere uno scorcio di speranza… la speranza che forse, pian piano, il nostro Seiya tornerà ad essere il nostro sole luminoso, la nostra stella guida al servizio di Athena.

I singhiozzi di Seika si spengono ma la sua posizione rimane immutata, il viso basso, drappeggiato da quei riccioli rossi che le ricadono davanti agli occhi come una fulgente cascata color sangue, le mani strette tra le ginocchia; forse attende che sia Seiya a compiere ancora un passo… basta un piccolo passo verso di lei, un minuscolo gesto, una parola… devo ammettere che anche io sto attendendo.

Il fratellino che Seika e io abbiamo in comune, si sporge dal letto più che può; il suo corpo non gli permette ancora movimenti troppo sicuri. La sua mano giunge a sfiorare il braccio di Seika, ottenendo l’effetto di una scossa che la riscuote dall’apatia nella quale sembrava essere precipitata. Si fissano per qualche istante ed è di nuovo Seiya a strappare un ulteriore tassello dal muro dell’ostinato silenzio… è solo un soffio, debolmente esalato, ma quale, energico significato in questo sottile sospiro:

“Perdonami… ti voglio bene…”

Un abbraccio suggella il ritorno di Seiya dalle tenebre… forse davvero l’incubo sta per finire? Non posso fare a meno di aggrapparmi a tale speranza, mentre osservo la scena con le lacrime agli occhi io stesso; non è tutta negatività, adesso, quella che percepisco intono a me… finalmente.

Seiya non sorride quando si scioglie dalla soffocante stretta ma ciò che dice è come una carezza concessa al mio cuore:

“Forse… vorrei fare una passeggiata…”

Non finisce la frase che già sono in piedi, accingendomi a spingere la sedia a rotelle verso il letto; purtroppo è ancora necessaria, in quanto Seiya non riesce tuttora a reggersi bene sulle gambe… sono convintissimo che si tratti soprattutto di una questione di volontà e mi auguro con tutto me stesso che questa situazione volga al termine, il prima possibile. Lo ripeto a me stesso per farmi coraggio, mentre stringo Seiya tra le mie braccia, sostenendolo, fino a farlo sedere, si aggrappa a me con fiducia estrema e, spero di non sbagliarmi, con un affetto che per troppo tempo mi è mancato.

Non ho alcun problema a sorreggerlo, con le mie capacità di sacro guerriero, ma Seika non sa fare a meno di darmi una mano e insieme lo aiutiamo ad adagiarsi, più comodamente possibile.

Dopo pochi minuti, siamo fuori, a passeggiare lungo il viale del parco, sotto una pioggia di foglie morenti che, oscillando, lievi, si posano tristemente a terra… sembra quasi di udire il loro ultimo sospiro, emesso prima di accartocciarsi definitivamente: gusci vuoti e secchi senza più anima.

Quest’esplosione di colori, giallo, rosso, marrone, crea un tale contrasto con il messaggio di immensa tristezza che porta con sé; i rami degli aceri e dei meli sembrano tendersi mestamente verso il suolo, per porgere l’ultimo saluto a ciò che rimane delle loro chiome rigogliose.

In perfetta sintonia con una simile atmosfera, il nostro cammino è lento e silenzioso; Seiya si è spento di nuovo e noi con lui, lungo quel tappeto naturale che rende i nostri passi ovattati, colmando le orecchie di solitari fruscii e scricchiolii provocati dal contatto delle nostre scarpe e delle ruote della carrozzina con il suolo ammantato di morte.

E’ innegabile la bellezza del paesaggio autunnale, una bellezza intensa e struggente propria della malinconia che avvolge l’animo e ammorbidisce il cuore, fino a far lacrimare a causa del troppo soffocante contrasto tra differenti emozioni in lotta tra loro, senza che nessuna di esse ne risulti vincitrice… dolcezza e dolore fusi in un’incontrollabile tempesta di sentimenti.

Dopo un po’, un nugolo di uccellini curiosi e impavidi comincia a svolazzare intorno a noi, forse sfidando l’ignoto in cambio di qualche briciola che permetta loro di affrontare la fame; hanno bisogno di nutrirsi, per affrontare il freddo che giungerà presto, impietoso.

Seiya tiene in grembo una fetta di torta che ha accettato di portare con sé, per mangiarla durante la passeggiata; ma se lo conosco bene so cosa si appresta a fare e di quel dolce, in bocca a lui, non ne arriverà neanche un frammento. Infatti, dopo averne spezzato una consistente porzione, la sbriciola intorno a sé, con mosse studiate, invitando in tal modo passeri e colombi a banchettare qui accanto a noi.

Non si fanno pregare troppo e la loro gaiezza, la gratitudine che ci dimostrano concedendoci la loro fiducia, illuminano un po’ i nostri visi cupi. Smetto di spingere la sedia a rotelle e anche Seika si ferma al mio fianco, mentre Seiya continua a dispensare briciole, ponendo attenzione affinché anche i più lenti e deboli abbiano la loro parte di cibo.

Sorrido di stupore e gioia allorché un passero più audace degli altri spicca un breve voletto, per venire a posarsi dolcemente sulle ginocchia di Seiya; probabilmente ha individuato l’allettante fonte delle leccornie che hanno allietato il suo becco e vorrebbe attingere direttamente ad essa.

Tutti e tre rimaniamo immobili, quasi trattenendoci dal respirare, per non correre il rischio di spaventarlo; lui saltella circospetto fino alla fetta di torta e, quando ritiene di essersi avvicinato abbastanza, inizia a sbocconcellare avidamente.

Il sorriso di Seiya aggiunge un tocco di luce ad una scena già incantevole; il suo viso è quello di chi crede di assistere ad un miracolo ed effettivamente non oso negare che sia così. Quell’innocente uccellino ha probabilmente compreso, come tutti noi, quale magia emani l’animo di Seiya e, al tempo stesso, questo minuscolo passero ha donato a Seiya il suo cuoricino, il calore puro della semplicità, la bellezza della vita…

Perché quel passero, tutti i suoi compagni, sono qui a volteggiare, a bisticciare per ogni singola briciola, a giocare tra di loro, grazie a lui; questi alberi perdono le loro foglie ma una nuova primavera giungerà a restituirgliele, dando un senso al ciclo della vita, grazie a lui; ogni soffio vitale del mondo, anche l’alito in apparenza più semplice, può rinnovarsi ancora, e ancora, grazie a lui… come grazie a lui il giorno si alterna ancora alla notte e durante il giorno il sole ritorna, mentre di notte si accendono le stelle… grazie a lui, a noi, soprattutto grazie a coloro che non sono tornati con noi. Nulla è stato invano, nessun sacrificio dovrà essere pianto in eterno, bensì glorificato, onorato con la manifestazione eterna della vita che ringrazia, la vita che continua nonostante tutto a vivere, che ci chiama.

Forse Seiya lo sta comprendendo, grazie ad un passero innocente e gentile, forse lo sto comprendendo io stesso, forse è giunto il momento di ricominciare a vivere.

Con circospezione, il mio fratellino raccoglie qualche briciola in una mano e, dopo pochi istanti di esitazione, l’animaletto saltella sul palmo teso; dopo aver mosso un po’ la testolina da una parte all’altra, forse il suo modo per ringraziare, affonda il becco tra le dita di un Seiya a dir poco estasiato.

In questo modo passa ancora qualche minuto, prima che tutti i volatili, soddisfatti e sazi, comincino a diradarsi; dopo pochi istanti rimane solo quel singolo passero sulla mano di Seiya, ancora intento a becchettare, imperterrito e rilassato, mentre noi lo contempliamo, completamente rapiti. Infine, quando ha evidentemente placato il proprio appetito, arruffa le penne, sbatacchiando vivacemente le ali e, dopo aver rivolto un’ultima occhiata a Seiya, spicca il volo; un compagno gli viene incontro, unendosi a lui in eleganti volteggi e graziosi cinguettii, finché, rincorrendosi, non scompaiono tra gli alberi. In questo boschetto, tra qualche ora, forse si addormenteranno vicini, con le testoline sotto le ali.

Tutti e tre rimaniamo fermi, rigidi a causa di un bizzarro torpore impadronitosi di noi; poi la magia si estingue, pian piano, nell’ultima eco di un cinguettio, lasciando dietro di sé solo il fruscio delle foglie che, come ogni cosa al mondo, vanno incontro serenamente al proprio destino. Basta così poco, a volte, perché ogni situazione, anche la più triste, venga percepita sotto una luce nuova, quasi opposta… un minimo particolare può essere sufficiente a far cogliere il senso dell’esistenza da un’altra prospettiva, non più così distruttiva e drammatica.

Che altro manca perché tutto vada realmente meglio? Quale tassello, in questo complicato puzzle che è la nostra vita, può restituirci ciò che sembra essersi irrimediabilmente spezzato? E’ ovvio… Seiya deve guarire e tornare ad essere il fulcro indiscusso del nostro gruppo, la nostra anima, colui che ci sprona, giorno dopo giorno, istante dopo istante, ad andare avanti, sempre e comunque, pronto a dimostrarci, quando ogni cosa sembra crollarci addosso, che le nostre battaglie hanno un senso e questo senso risiede nel trionfo della vita stessa.

Un passo, forse piccolo, nella giusta direzione, è appena stato compiuto ma io so leggere un po’ nel cuore dei miei fratelli e sento che in lui si cela un’ombra, un tormento… solo fugare quell’ombra lo aiuterà definitivamente ad accettare ciò che ci è accaduto e le dolorose perdite che abbiamo subito.

Di quale genere di medicina abbia bisogno, non riesco esattamente a scoprirlo ma in questo momento mi sento ottimista, come mai lo sono stato dopo il ritorno dall’Ade… e tutto grazie ad un piccolo, immenso spettacolo che la natura benevola ci ha appena concesso. Forse, prima o dopo, anche io tornerò quello di un tempo? Forse, quella speranza che chi mi conosce ha sempre sostenuto di scorgere nei miei occhi, ricomincerà, lentamente, a brillare?

Dopo un evento pari a quello cui abbiamo appena assistito è difficile tornare a parlare normalmente, come se nulla fosse accaduto; sembra di turbare qualcosa di intoccabile, troppo insignificanti e futili risulterebbero le parole di fronte ai sacri doni della natura.

Eppure, anche quando si desidererebbe restare eternamente immobili e in contemplazione, come bambini stupiti, la sospensione perenne dei sensi è impossibile, perché quella stessa vita che amiamo ci impone il movimento incessante da uno stato all’altro, proprio in funzione della vita stessa, allo scopo di non abbandonarsi alla morte.

E’ Seika la prima a rispondere a questa necessità, posandomi una mano sul braccio e sforzandosi, perché tornare a parlare di cose comuni le costa, evidentemente, fatica… la capisco…

“Vado a prendere da bere; voi volete qualcosa?”

Annuisco, sorridendole con gratitudine:

“Mi farebbe piacere un succo d’arancia..”

“Lo stesso per me” si accoda Seiya, dando l’impressione, con il tono di voce quasi estatico, di trattare un argomento molto più intenso e profondo. Non sono convinto che in questo momento, per lui, la bevanda richiesta rivesta una fondamentale importanza, anche perché lo conosco abbastanza bene da sapere che il succo d’arancia non è ciò che sceglierebbe di solito… semplicemente gli andrebbe bene qualunque cosa e ha lasciato scegliere a me. La sua mente è ancora sospesa su un livello superiore a quello prettamente materiale e forse, la lotta interiore tra l’ombra e la luce, in lui, è giunta ad un momento cruciale… sento che questo, per Seiya, è un momento delicato… basterebbe poco a farlo uscire dall’incubo, ma altrettanto poco per perderlo definitivamente.

Seika si allontana, a passi leggeri, non prima di aver sfiorato, con una leggera carezza, i capelli castani e arruffati di suo fratello e, prima di scomparire dietro ad un gruppo di alberi, si gira ancora una volta verso di noi, con sguardo quasi enigmatico, come se lasciarci soli fosse una mossa premeditata, rispondente a un qualche misterioso piano che le è frullato in testa. Non nascondo che credo di comprendere i suoi intenti: vorrebbe che Seiya ed io ci ritrovassimo, forse desidererebbe che Seiya si confidasse con me… ha forse capito che, nel corso della nostra intima comunione di spiriti guerrieri, io sono sempre stato il suo confidente, lui il mio… forse perché siamo coetanei, forse perché i nostri compagni ci hanno sempre considerato i loro cuccioli, in un certo senso, i fratellini minori…

Perché, allora, adesso mi sento talmente in imbarazzo nel ritrovarmi su questo viale, sotto l’autunnale pioggia di foglie, da solo con lui, quasi sentissi che abbiamo da dirci qualcosa di importante, senza tuttavia trovare il modo di dirlo?

L’istinto fraterno, la mia naturale propensione alle coccole, mi spingono, senza doverci pensare, a stringere affettuosamente le spalle di Seiya; ho bisogno di un contatto tra noi, uno qualunque e spero che non reagisca malamente o che non mi respinga… è così imprevedibile ultimamente!

Rimane immobile, senza irrigidirsi ma senza neanche mostrare particolare interesse per il mio gesto; cosa darei per sapere cosa pensa, cosa prova il suo cuore così chiuso, cosa darei perché si confidasse con me come un tempo!

“Shun…”

Inizialmente temo che le mie orecchie mi ingannino e che la mia immaginazione crei da sola situazioni che desidero accadano realmente; nulla è mutato nell’atteggiamento di Seiya e niente in lui sembra confermare che mi abbia realmente chiamato…

“Shun…”

Il tono è più deciso questa volta e fuga da me ogni incertezza; ha davvero pronunciato il mio nome, nonostante non si sia mosso più di una statua di pietra.

Il suo volto è basso, i capelli castani lievemente mossi dal vento leggero, le mani inerti posate sui braccioli della sedia… ma mi sta chiamando, con una triste dolcezza che mi stringe il cuore.

Abbandono la mia posizione e vado ad accosciarmi davanti a lui, appoggiando le mani sulle sue gambe e ricercando il suo sguardo. Lui sposta un po’ il viso, accettando senza reticenze quel muto scambio di occhiate; i suoi grandi specchi d’ambra tremolano come limpide e tranquille fonti increspate dalla brezza… si tratta di lacrime che vorrebbero uscire? Gli immensi occhi da bambino sembrano chiedere aiuto e io vorrei tanto darglielo ma lui deve aprirsi a me, deve permettermelo… io non chiedo altro.

Con una solennità che potrebbe far sorridere le persone incapaci di comprendere ciò che lega noi fratelli, sacri guerrieri in nome di un comune ideale, porta le sue mani a stringere le mie; le dita gli tremano, sembrano i fremiti di una persona malata ma io so che sono dovuti ad emozioni troppo intense e forse un po’ anche ad una paura senza nome, incapace di lasciarlo definitivamente libero. E’ come un cucciolo sperduto in un universo nel quale ha smarrito la strada.

Per un po’ non parliamo e lascio che fluisca in me l’estrema dolcezza del suo tocco sulla mia pelle; da quando non mi concede una cosa del genere? Una tale apertura mi colma il cuore di una nuova ondata di fiducia e speranza nel futuro. Probabilmente, essendo i miei occhi fissi nei suoi, può vedere quanto io sia commosso ma lo percepisce di sicuro dai tremiti che ora scuotono anche le mie membra, come altrettanto tremanti sono le sue, vibrazioni di emozione e amore che ci uniscono in un confortante abbraccio spirituale; vorrei che questi istanti non avessero mai fine.

Non so se dall’esterno qualcuno potrebbe percepire quest’aura che ci circonda, come un piccolo sole che ci illumina entrambi ma sono certo di una cosa: nei suoi occhi, ora, come un tempo, posso scorgere le sconfinate distese di quel cosmo che è solo suo, caldo, ardente e il mio cosmo, attingendo ad una tale fonte, si accende in risposta, nutrendosi di quell’alito vitale, pulsante, emanato dall’anima di Seiya.

Mi scruta lungamente ed esita, come se parlare gli costasse una grande fatica; gli sorrido, per tranquillizzarlo ed infondergli coraggio, quello stesso coraggio che lui ha donato a me poco fa, glielo restituisco, in un reciproco scambio di spiriti in sintonia perfetta. Non ricambia il sorriso ma sospira, abbassando un poco lo sguardo e intanto, le sue labbra esalano le prime, sofferte parole:

“Io… credo di doverti delle scuse, Shun… non potrò mai perdonarmi il fatto di averti ferito, per tanti giorni, senza mai rendermene conto, proprio tu che…”

Lo interrompo, quasi bruscamente, posandogli due dita sulle labbra e rincorrendo nuovamente i suoi occhi, che si sgranano ancor più grandi al mio gesto; quando sono sicuro che può vedermi, scuoto il capo, sperando che gli giunga il messaggio che vorrei trasmettergli: non mi ha detto ciò che avrei voluto sentirmi dire, anche se gli sono grato e non nego che il suo bisogno di giungere al mio cuore, come una volta, mi ha fatto stare meglio, mi ha tolto un peso enorme dal petto… ma c’è qualcosa che mi preme di più.

Mi tendo di più verso di lui, i nostri visi si sfiorano e posso percepire l’alito del suo respiro un po’ affrettato sulla mia pelle e la mia voce, quasi una disperata supplica, esce fuori ancor prima che possa rendermene conto, così flebile che io stesso fatico ad udire ciò che dico… come può udire lui?

“Se solo io potessi aiutarti, Seiya-kun… se solo mi indicassi la strada per poterlo fare…”

Un fremito più forte è il segnale che le mie parole gli sono giunte e che lo hanno profondamente colpito, ma un attimo dopo sprofonda nuovamente in sé stesso, smettendo persino di tremare; per qualche secondo mi chiedo se si stia ricordando di respirare… è come se non fosse più qui e, anche se le nostre mani sono ancora intrecciate, mi sembra di essere solo, in mezzo al viale, un sottile arbusto scosso dal vento che da qualche minuto sta soffiando più forte. Distrattamente, mi chiedo se non sia il caso di rientrare; comincia a fare freddo e Seiya è ancora debilitato… ma forse i dubbi che mi pongo sono ridicoli… per quanto sia debole, un forte vento autunnale può costituire un pericolo per lui? Davvero credo che stia male a tal punto?

Scuoto mestamente il capo; no, non voglio crederlo; aspetteremo Seika e rientreremo solo se sarà lui a volerlo.

“Perché non è qui?”

Sto fissando le mie mani e le sue, immerso nei miei pensieri, quando il sussurro mi giunge alle orecchie, condotto a me da un leggero sospiro; rialzo il viso di scatto, per portarlo sul suo. Cosa ha detto? Di cosa sta parlando… di chi?

“Seiya-kun?” mormoro, in una domanda che non ha una vera forma, forse perché non so esattamente cosa chiedergli, ma non ce n’è bisogno, in quanto è lui a scrutarmi, quasi volesse scandagliarmi l’anima con la disperata intensità del suo sguardo; la stretta sulle mie dita si fa spasmodica e anche la sua voce si fa udire, più alta ed acuta, incrinata dal pianto:

“Perché Shiryu non è qui? Perché non vuole più saperne di vedermi?”

Sussulto, maledicendo me stesso, perché avrei dovuto capire, avrei dovuto intuire quale fosse la mancanza che, colmata, aiuterebbe forse a guarire lo spirito di Seiya; e adesso mi sento male, perché non so cosa rispondergli…. La verità? Che Shiryu non si è sentito abbastanza forte per vegliare su di lui? Che, dopo essersi sacrificati l’uno per l’altro tanto a lungo, uno dei due non ce l’ha più fatta, perché non è stato in grado di affrontare un sacrificio morale, come un tempo aveva sacrificato il proprio sangue e la vita?

Gli potrei dire che Shiryu gli vuole troppo bene e proprio per questo il suo cuore non ha retto nell’assistere giorno e notte al dolore di una persona per lui così fondamentale? E cosa fare, poi, per arginare i sensi di colpa dai quali sicuramente Seiya si sentirà soffocare, in seguito ad una simile rivelazione?

Il silenzio che si prolunga sta diventando snervante; so che Seiya si aspetta qualcosa da me e io mi sento impotente… e, tanto per non smentirmi, una completa, incapace nullità…

Dopo aver desiderato aiutarlo con tutto me stesso, dopo aver cercato in tutti i modi di leggergli dentro per carpire la soluzione che avrebbe potuto trascinarlo fuori dall’incubo, ora che ho capito tante cose, non so come affrontare questa realtà che mi è piovuta addosso… non sono neanche abbastanza pronto da riuscire a trovare una sola parola che possa dare sollievo al mio fratellino… e lui continua a guardarmi… fanno troppo male quegli occhi che supplicano… chiedono una verità ma al tempo stesso implorano, perché quella verità non sia troppo dolorosa… e io lotto contro me stesso per non mentirgli e ugualmente per non farlo soffrire, pur essendo ben consapevole che troppo spesso le due cose non vanno affatto d’accordo tra loro.

“Chi state aspettando, tutti soli, lì fuori con questo tempaccio?”

Alla nuova presenza che si rivela con una voce ben nota, Seiya reagisce come se avesse appena ricevuto una pugnalata al cuore e io stesso non rimango immune alla sorpresa improvvisa; mi alzo e fulmineamente mi volto, in tempo per scorgere l’elegante sagoma che avanza, talmente leggera e quasi incorporea da dar l’impressione di fluttuare, in mezzo alle foglie, come esse trascinata dal vento verso di noi. La memoria mi gioca uno strano scherzo, riconducendomi ad un evento di circa un anno fa, quando la stessa identica figura avanzava, non altro che spirituale essenza, tra le nebbie del Fuji, portando in spalla l’armatura di Seiya appena riparata… allora giungeva dal Pamir… oggi da Goro-Ho… ma è sempre lui… allora era unicamente spirito… anche adesso la prima impressione è questa, ma non ne sono convinto… forse è la materializzazione di un sogno che Seiya ed io stiamo vivendo in comune?

Si ferma, a pochi metri di distanza e sembra più tangibile quando piega lateralmente il capo, mostrandoci il sorriso cordiale che tanto si addice al suo nobile volto:

“Che vi succede? Non siete contenti di vedermi? Sembra che abbiate di fronte un fantasma…”

Solo a questo punto riesco finalmente a sorridere anche io e il vento che mi getta i capelli sul volto non sembra più così freddo, mentre l’aria intorno si illumina della mia esclamazione di gioia:

“Shiryu! Sei tornato!”

La mia esultanza è un segnale anche per Seiya che, riscuotendosi un pochino dal torpore mormora:

“Shi.. ryu… Shiryu-kun…”

E’ solo un sussurro, che a malapena giunge fino a me, quindi non credo che Shiryu abbia udito; ma lui sta guardando Seiya, il movimento delle sue labbra non gli è certo sfuggito e infatti, in risposta, il suo sorriso si accentua, mentre ricomincia a muoversi, per avanzare ancora.

Una voce dentro di me mi suggerisce di farmi da parte, per lasciare libera la scena alle emozioni che sento vibrare intorno a me… emozioni che riguardano solo loro due, che devono riguardare solo loro due. Rimango ad assistere dall’esterno, gli occhi umidi ma i loro sentimenti sono anche i miei… percepisco quelli di Seiya mentre, in silenzio, tende le braccia tremanti, assorbo quelli di Shiryu che risponde con un gesto esattamente speculare, chinandosi sul nostro fratellino. Le lacrime che mi pungono gli occhi non hanno più argine quando Shiryu lo solleva dalla sedia, con una dolcezza che, io lo so, esplode in tutta la sua intensità solo con Seiya… e Seiya si aggrappa a lui, nascondendo il viso sulla sua spalla. Shiryu lo stringe a sé e per un po’ lo contempla, come se tra le braccia tenesse qualcosa di fragile ed estremamente prezioso per lui. Osservandoli adesso, il significato estremo del loro rapporto assume connotazioni nuove, forse latenti da sempre, ignote a loro stessi.

Ho capito.. è tutto chiaro, tutto ha un senso… così dev’essere e forse così è da sempre, senza che nessuno, né io, ne alcuno dei miei fratelli, loro due compresi, se ne sia mai reso conto. Una parte del mio pensiero non può che andare a Shunrey, alla sofferenza che deve provare in questo momento ma ne sono certo, troverà le sue risposte, anche lei… ciò che ora sto vedendo è, al tempo stesso, ciò che è giusto, ne sono convinto, le stelle me lo suggeriscono.

Non riesco a conferire una quantità materiale al tempo che passa, potrebbe essere un istante, come pochi minuti… quale importanza ha la materia adesso? Infine, Shiryu si decide a staccare per un po’ il proprio sguardo da Seiya, il quale invece non ha mutato la sua posizione, e si rivolge a me… come sa essere rassicurante, alcune volte, il nostro Dragone… c’è tanta serenità in quell’occhiata e nelle sue parole:

“Da questo momento molte cose cambieranno, Shun… te lo posso promettere… ricominceremo a vivere…”

Mi limito ad annuire, grato e lieto; ormai disperavo di potermi sentire ancora così… eppure, questa giornata non è sembrata, fin dall’inizio, davvero speciale? Non l’avevo intuito da quando un piccolo passero ci ha portato il messaggio: anche una condizione dolorosa che sembra dover durare in eterno subisce, prima o poi, una svolta?

Shiryu solleva lo sguardo al cielo, alle nubi che si rincorrono, agli alberi che donano alla terra le loro foglie, volteggianti in una danza turbinosa che non mi fa più pensare alla morte, ma al tripudio incessante della vita; mormora qualcosa tra sé, parole che riesco ad udire, il cui significato è ignoto alla mia mente, ma il mio cuore non può esimersi dal carpirne la recondita profondità, come un ricordo fondamentale, antico eppur vicino… cosa vorrà trasmettermi una tale sensazione?

Metti il cuore davanti alla mente… io non ne sono stato in grado… cosa intendevi, mio vecchio maestro?”

 

 

 

 

 

 

 

 

GRANDE TEMPIO DI ATENE, 243 ANNI PRIMA

 

 

L’elegante mano bianca raccolse tra le dita sottili la foglia appena caduta; quella piccola appendice, ciò che restava di una chioma un tempo rigogliosa, sembrava grondare sangue, come il cuore dell’uomo che tanto malinconicamente la osservava.

“L’autunno è una stagione così triste” pensava Sion di Aries, gli occhi sensuali e belli, colmi di un languore che, in certi momenti, lo conduceva ad uno struggimento insopportabile. Eppure non lo dava a vedere; solo imperturbabile serenità trasmetteva il Gold Saint della prima casa a coloro che entravano in contatto con lui.

“Quanto può ingannare la percezione umana” osservò, stringendosi nelle spalle, lasciando aleggiare sulle labbra fini un rassegnato sorriso; la pacatezza, la pazienza, quelle davvero non gli mancavano ma alcune volte, sentirsi talmente incompreso era troppo doloroso. Non da parte di tutti desiderava tale comprensione, in fondo non aveva mai voluto rivelarsi agli altri come un libro aperto… era anche e soprattutto una sua scelta quell’enigmatica, statuaria attitudine di cui si era ammantato… ma almeno lui… quella persona che, ne era certo, molte cose aveva recepito ma testardamente continuava a fare finta di nulla; gli offriva la sua amicizia, l’affetto di fratelli d’arme uniti nello stesso ideale, pronti a dare la vita per questo ideale, pronti anche a sacrificarsi l’uno per l’altro se ne fosse giunta l’occasione… ma oltre quel punto, Dauko non voleva andare, di più non si sentiva di offrirgli, non importava quali fossero i sentimenti di entrambi.

Sion si sollevò stancamente; i piedi nudi rabbrividivano al contatto con l’erba resa gelida dal clima ormai autunnale, ma lui insisteva nel passeggiare scalzo nel bosco, quasi in questo modo potesse entrare meglio in contatto con l’infinita essenza del tutto. Liberò nel vento la foglia che, dopo qualche volteggio, si lasciò cadere mollemente nella gorgogliante acqua dell’affusolato torrentello a pochi centimetri di distanza da lui; quindi si chinò a raccogliere i sandali ma si limitò a tenerli in mano, senza indossarli. Scacciò dal proprio viso un ciuffo dei suoi capelli, biondi e lunghissimi che, trascinati dal vento in una folle danza, gli frustavano con fastidiosa insistenza le guance, la fronte, gli occhi, ma non mise alcuna rabbia in quel gesto, nessuna noia terrena lo avrebbe costretto ad abbassarsi a plateali gesti di puro nervosismo, di sicuro non una cosa così futile: chi era mai lui, misera creatura mortale, per adirarsi senza reale ragione contro i fenomeni naturali innescati da meccanismi superiori? Non pretendeva certo di sfuggire a tali meccanismi, neanche lo sperava ma quanto avrebbe desiderato che almeno una piccola soddisfazione gli fosse concessa in questa vita. Non poteva negare a sé stesso l’angoscia che si celava nella consapevolezza di una fine ormai prossima, era sicuro che anche Dauko presentisse l’approssimarsi di ineluttabili eventi di morte… perché l’amico della Settima Casa non si rendeva conto di quanto fosse necessario risolvere in vita ciò che rischiava di restare irrimediabilmente incompiuto?

“Forse sono solo un egoista” pensò, mentre il sorriso svaniva dalle sue labbra per mutarsi in una smorfia di disappunto. Andò con gli occhi lungo la strada che conduceva al Santuario, a quelle mura nelle quali ora esplodeva la vita, tra gioie, dolori, rancori piccoli e grandi, tormenti, paure… presto tutto questo sarebbe scomparso, lasciando dietro di sé solo il vuoto, il silenzio atroce della morte…

I sacri guerrieri di Athena sapevano fin dalla nascita ciò che rischiavano ma c’era qualcuno al Santuario, oltre a lui, a Dauko, qualcuno che realmente avesse presentito quanto prossima fosse la fine di tutto?Lo sapeva il suo piccolo Etienne, Santo di Virgo, che di lì a poco…

Sion si morse le labbra, imponendosi di scacciare quell’ondata di sofferenza che gli procurava un’insopportabile fitta al cuore; erano così giovani alcuni di loro, per quanto preparati e pronti a tutto; non si sarebbero tirati indietro, questa era l’unica certezza ma faceva comunque così male!

Socchiudendo gli occhi, nell’accogliere un furtivo raggio di sole che si faceva strada tra le nuvole, esalò un lieve sospiro verso il cielo tinto delle incerte gradazioni, tra il sereno e il prossimo a inattese tempeste; chi avrebbe vinto? Il sole o la pioggia?

Una singola goccia rispose alla sua muta domanda, mentre il sole nuovamente scompariva, arrendendosi all’autunno che avanzava, annunciato da saette luminescenti, distanti sulle colline; fulgidi lampi ferivano la volta celeste, come dardi scagliati da qualche divinità in collera ed alla prima goccia ne seguì un’altra, a solleticare il naso del Santo di Aries, ancora sollevato, a scrutare qualcosa di vago, che si perdeva lontano, senza possibilità di essere riafferrato dal pensiero confuso.

Ben presto i capelli si appesantirono, impregnandosi d’acqua, gocciante sul viso, immobile, estatico, indifferente al gelo che saliva dai piedi ormai fradici; un tuono possente urlò, rabbioso, dalle vastità dell’empireo sconvolto. C’era qualcosa di terribilmente bello e spaventoso, nell’aria, qualcosa che travalicava i semplici fenomeni di una natura travolta dal temporale d’autunno; questo pensava il giovane, riabbassando il volto, riportandolo dal Paradiso alla Terra… il medesimo percorso che avrebbe voluto lasciar intraprendere ai suoi stessi pensieri ma non gli era facile; tutto intorno a lui era più che materia, la fisicità non aveva senso, in quegli istanti impregnati di magia, come quella figura che avanzava, solenne, leggiadramente fluttuante in una qualche dimensione incorporea eppur visibile al suo occhio umano profondamente imperfetto.

Sion scosse il capo, come a cacciare il velo di incoerenza che si era posato sulla sua consapevolezza e si rimproverò, mentalmente; uno stato d’animo poco razionale condizionava le sue percezioni. La figura si fermò a pochi passi da lui, osservandolo, con un sottile strato di durezza ammorbidito dall’evidente benevolenza che inteneriva i lineamenti orientali e bruni del nuovo arrivato. Il santo di Aries avrebbe riso di se stesso; quale genere di sentimento poteva mai deformare in tal modo il suo rapporto con la realtà?

“Sion” le labbra del giovane dai capelli scuri e la pelle abbronzata si schiusero e la sua voce faticava a sovrastare il ticchettio ormai quasi assordante della pioggia, sempre più fitta “La tua bizzarria rasenta la puerile incoscienza a volte; a piedi nudi in mezzo ad un bosco nel mezzo di un temporale… servo io a ricordarti quanto possa essere pericoloso?”

Il custode della prima casa non poté trattenere il sorriso che gli sfuggì, messo in risalto da un lampo più vicino. Cosa poteva mai rispondere all’amico che dimostrava tanta premura nei suoi confronti? “Dauko, se io sono così folle è in parte colpa tua…”

Non disse nulla invece e camminò verso il compagno della Settima Casa; solo quando i loro visi furono prossimi fin quasi a sfiorarsi Sion lo apostrofò, tentando di esternare un’ironia che il suo cuore non provava:

“Ma a quanto pare, tu sei bizzarro al pari di me; non stavi forse passeggiando nel bosco?”

L’altro rimase impassibile, serio:

“In realtà venivo a cercarti; il tuo atteggiamento, prima al Santuario, non mi piaceva… quando la malinconia avvolge in tal modo la tua persona, non nutro molta fiducia nei tuoi desideri di solitudine… la razionalità non ti appartiene quando il tuo umore è stabile… non oso pensare quando…”

“Oh basta!” esclamò Sion, intimandogli con la voce e con un gesto imperioso della mano di tacere “Credi di avere a che fare con un bambino da accudire?!”

“Alcune volte ho questa sensazione, lo ammetto.” Dauko accompagnò l’osservazione con un cenno negativo del capo e intanto corrugò le sopracciglia, assumendo un cipiglio che probabilmente avrebbe intimorito chi non lo conosceva bene… ma non Sion, suo pari e suo amico, a lui legato da sentimenti così forti, benché solo in parte accettati dal Saint di Libra, così ripiegato nel suo guscio di virile realismo.

Aries chinò il viso, chiuse le palpebre, riducendo gli occhi a due fessure e, senza guardare davanti a sé, prese a camminare, in direzione del compagno; solo nel passargli accanto, nel momento stesso in cui lo superava, parlò ancora, a voce talmente bassa che Dauko poté udire unicamente perché il sussurro aveva preso vita troppo vicino alle sue orecchie per non raggiungerle:

“Non farmi la morale, Libra… credi di averne davvero il diritto? Ascolta la tua coscienza invece di scandagliare quella altrui…”

Dauko rimase impietrito, per alcuni istanti ma, quando Sion si era già allontanato di qualche passo, si voltò di scatto, per afferrargli un braccio, con una tale foga che l’equilibrio di Aries ne fu, per un attimo, destabilizzato; ma non cadde e rimase lì, immobile, percependo il pesante sguardo degli occhi castani fissi sulle sue spalle.

I successivi, interminabili momenti, furono scanditi solo dalla pioggia che tambureggiava intorno a loro, sferzando la terra e i due corpi, infreddoliti senza che se ne rendessero realmente conto. Poi Sion ruppe quel silenzio estremo che si era instaurato tra loro, senza voltarsi, senza cambiare la propria posizione, l’avambraccio che li doleva, imprigionato dalla stretta possente di Dauko:

“Vuoi dirmi qualcosa… amico mio?”

Il tono era teso, colmo di un’ignota speranza, una speranza così fragile che non osava liberarla in tutta la sua sconfinata potenzialità; le dita di Dauko si allentarono, lasciandolo libero… Sion fremette, consapevole di come quello non fosse un buon segno… la speranza era già svanita quando riuscì ad udire, per quanto flebile, il sussurrò che accompagnò quel gesto:

“No… scusami…”

Sion si limitò ad annuire e nessuna emozione trapelò, se non un tremito appena percettibile, quando rispose:

“Torniamo al Santuario… tra un po’ ci sarà molto da fare laggiù…”

Senza accertarsi che l’altro lo seguisse, Sion si era nuovamente avviato; non si voltò più indietro e probabilmente non poté udire le ultime parole che Dauko pronunciò prima di imboccare, a sua volta, la strada di casa:

“Perdonami… l’errore è mio perché non ne sono capace… mi è così difficile permettere al cuore di innalzarsi al di sopra della ragione… ho imparato tante cose da quando sono nato, ma in una cosa sono la più ignorante delle creature: non riesco a mettere il cuore davanti alla mente… neanche quando lo vorrei…”

 

 

 

   
 
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