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Autore: Yvaine0    16/07/2015    1 recensioni
Questa è la storia di qualcuno che, semplicemente, è distratto; di qualcuno che è disattento e di qualcun altro che invece è fin troppo premuroso. È la storia di chi parla troppo, di chi nuota troppo veloce, di chi ha paura di parlare e di chi, invece, dice sempre le cose come stanno. È la storia di come la disattenzione di qualcuno può portare alla sofferenza di un altro e a volte, di conseguenza, alla nostra. È la storia di errori di distrazione notati un po' in ritardo, ma mai troppo. È la storia di chi ama, di chi ascolta e di chi parla, di chi sbaglia e di chi corregge, di scelte giuste ed errate. È la storia di Michael e Shae-Lee, di Calum, di Debbie, di Ashton, River e Luke.
«River sta con Luke. Ma allora perché sembra avere una cotta per Ashton?»
«È complicato».
«Allora spiegamelo».
«Ho un'idea migliore. Perché non mi spieghi perché Debbie ce l'ha tanto con me».
«Perché sei troppo distratto e non ti accorgi di come stanno le cose».
Michael si acciglia. Questo cosa dovrebbe significare? «E come stanno le cose?»
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton, Irwin, Calum, Hood, Luke, Hemmings, Michael, Cliffors, Nuovo, personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Un grazie alla mia adorata beta, m a y h e m, per aver betato questo capitolo (se per caso ci sono passaggi in rosso, è perché sono scema e non ho notato le correzioni che mi ha fatto). ♥



12.

 

Domenica pomeriggio

 

River cammina a passo lento tra le scansie del supermercato; il cestino a rotelle è ancora vuoto, ma lei, a digiuno dalla sera prima, sente le gambe pesanti e fatica a trascinarselo dietro. I suoi occhi scorrono pigramente la lista preparata da sua madre ma senza davvero metabolizzare alcuno dei prodotti elencati – ecco che, infatti, legge “banane” e supera il banco della frutta.

È stanca. Sono giorni che dorme poco o nulla e il risultato dell'insonnia si ripercuote sul suo umore fisso stabilmente ai minimi storici, che si manifesta con una leggera e involontaria sporgenza del labbro inferiore.

Si sente così sciocca a evitare Luke – ha attraversato metà città in autobus per paura di incontrarlo al supermercato dietro casa –, ma non può proprio farne a meno; l'idea di incontrarlo dopo quello che ha realizzato qualche pomeriggio fa la terrorizza al punto da non voler nemmeno pensarci. Sa che guardandolo negli occhi avrebbe ora una reazione completamente diversa dal solito: niente le impedirebbe di arrossire e balbettare nel parlare con lui, proprio come la sciocca ragazzina che è. Vorrebbe essere più brava a mascherare i propri sentimenti, ma non lo è e non le rimane altra scelta che evitare il contatto diretto con Luke fino a che non sarà strettamente necessario. Non sa ancora con quale scusa salterà il consueto appuntamento per andare a scuola assieme, ma s’inventerà qualcosa di certo.

Sente la testa sul punto di scoppiare. Se almeno potesse parlarne con qualcuno, si dice, sarebbe più facile: e invece è troppo imbarazzata per riferire a chiunque l'accaduto, si vergogna di ammettere di essere stata così distratta da non accorgersi dei propri sentimenti tanto a lungo – da quando, poi, questa storia va avanti? Oltre a vergognarsi, River ha paura. Se Luke scoprisse come stanno le cose probabilmente la loro amicizia cambierebbe e lei non riuscirebbe a sopportarlo. Non solo ha la certezza di essere come una sorella per lui e di non aver concrete possibilità perché il loro rapporto si evolva, ma è consapevole del rischio che corre: se si scoprisse che River è... ha... – ecco, non riesce nemmeno a pensarlo! – un debole per lui, sarebbe costretta persino a rinunciare a quelle attenzioni fraterne che dovrebbe farsi bastare, e di cui ha bisogno.

Sciocca, sciocca, sciocca. Non fa altro che apostrofarsi da ormai qualche giorno e a rievocare tutti gli indizi che si è lasciata sfuggire nel corso del tempo. Non ha la più pallida idea di come sia possibile essere... avere... insomma, come si possa essere legati a qualcuno a quel modo senza rendersene conto. Che razza di stupida.

Sospira prima di svoltare un angolo per percorrere il corridoio seguente, nell'alzare gli occhi dalla lista per controllare il tipo di alimenti esposti in quel reparto trattiene il fiato e perde un battito.

A non più di due metri da lei, Ashton Irwin in un'uniforme verde spento sta rifornendo uno scaffale di pacchi di biscotti; la vede paralizzarsi con la coda dell'occhio, quindi si volta curioso a vedere chi sia appena arrivato e nel riconoscerla sorride. «Riv!»

Lei, proprio come ha sempre fatto, arrossisce e si porta una ciocca di capelli rossi – che oggi cadono sulle spalle in ricci scomposti, perché non ha avuto voglia di stirarli dopo la doccia di questa mattina – dietro l'orecchio destro. «Ciao» sussurra, cercando di dimostrare molta più tranquillità di quanta non gliene appartenga.

Ad Ashton basta sentire il suo tono sommesso per ricordare tutto ciò che gli ha detto Calum di lei e uno dei motivi per cui non si fa più vedere in giro tanto spesso. Si sente un po' in colpa al pensiero che lei abbia tanto sofferto a causa sua, motivo per cui sente il bisogno di spiegarle il suo punto di vista – l'ultima cosa che voleva era ferirla. Il problema è: come prendere l'argomento senza risultare indelicato?

«Tutto bene?» le chiede; mentre parla ricomincia a stipare pacchi di biscotti confezionati sugli scaffali, giusto per non farle sentire troppo il peso del proprio sguardo – e non essere vittima del suo, mesto e involontariamente accusatorio al tempo stesso.

River prende un respiro profondo prima di rispondere, dondolando appena sui talloni; non ha assolutamente voglia di parlare con lui, ma al tempo stesso sente il bisogno di parlare con qualcuno di ciò che le sta succedendo – o di qualunque altra cosa, perché sono giorni che non esce dalla propria camera ed evita ogni contatto umano. «Non è un bel periodo» dice solo, accompagnando quelle parole con una lieve scrollata di spalle come a sminuire quell'affermazione.

Ashton si umetta le labbra nervosamente, vittima dei sensi di colpa; le chiede cosa non vada e la ascolta balbettare spiegazioni confuse ed elusive, finché lui non prende coraggio e chiede: «È colpa mia?»

Legge la sorpresa negli occhi di River, che arrossisce e boccheggia in maniera ancora più disorientata di prima. Cerca di andarle incontro, darle una mano, perché ormai ciò che è detto è detto e non può rimangiarselo, dunque tanto vale andare fino in fondo: «Calum mi ha detto... che... mi ha detto che provavi dei sentimenti per me. Quando me l'ha detto non riuscivo a crederci, l'ultima delle mie intenzioni era ferirti, Riv. Non avrei mei portato Nat con me al pub, se avessi saputo di... Cristo, che razza di stronzo. Mi dispiace se stai passando un brutto momento a causa mia». Mentre parla alterna occhiate tra lei e gli scaffali, indeciso se sia meglio guardarla dritto negli occhi o lasciarle il tempo e lo spazio di metabolizzare quella confessione prima di costringerla ad affrontarlo – e contemporaneamente non è sicuro che riuscirebbe a sostenere il suo sguardo, se ricambiato. Infine si decide a guardarla e scopre sul suo viso una maschera di confusione, oltraggio e una vena di divertimento. Oserebbe dire che River sta andando in panico e inizia a chiedere se non sia stato troppo diretto; ad occhi leggermente sgranati per la sorpresa – che cavolo ha fatto? – si volta ad occuparsi del proprio lavoro, mentre le lascia il tempo di ricomporsi.

Occorrono diverse decine di secondi e parecchi respiri profondi prima che lei riesca a dire qualcosa, che non risulta essere ciò che Ashton si aspetta: «Non... tu non c'entri».

Torna a guardarla, accigliato e confuso, ma onestamente anche piuttosto sollevato: «No?»

«No, è... è Luke».

«Oh». Be', questa risposta non se l'aspettava. «Luke? Avete discusso di nuovo?» si informa, ora più disinibito, poiché per lo meno la causa del malumore di River non è lui.

Lei scuote il capo, non troppo convinta. Sul suo viso balenano continuamente svariate emozioni, finché alla fine si decide a parlare: «L'altro giorno ci siamo quasi baciati».

Oh, era ora!, pensa, ma non lo dice. «Quasi?»

«Sì. Si è allontanato».

Ah, ora capisce. Quindi il suo pensiero è sempre stato corretto: tra quei due c'è del tenero. Almeno potenzialmente. «E ci sei rimasta male?» Se così fosse, significherebbe che River ha definitivamente superato la sua cotta per lui – il che sarebbe un gran bel sollievo, se non altro perché potrebbe ricominciare ad uscire con i suoi amici e a parlare con lei come una volta. I ragazzi e River gli sono mancati, tutti e quattro.

La ragazza scrolla le spalle e abbassa lo sguardo; lo sporgersi ulteriormente del suo labbro inferiore è del tutto involontario, oltre che infinitamente tenero. Ad Ashton sfugge un sorrisetto, mentre lei mormora la sua imbarazzata conferma: «Be'... sì».

«Sono certo che Luke si stia mangiando le mani per essersi lasciato sfuggire l'occasione» dice nel tono più rassicurante e meno divertito che riesce a sfoderare. «Siete praticamente già una coppia, dovete solo rendervene conto».

«No», River scuote ostinatamente il capo, lo guarda dal basso con stizza e tristezza insieme; la frustrazione che per giorni ha tenuto per sé esplode in un pianto silenzioso, mentre lei continua a parlare senza riuscire ad impedire alle parole di uscire. «No, Ashton, non è vero. Perché una coppia sa di esserlo, essere amici o essere una coppia è completamente diverso. Se fosse come dici tu, non sarei qui a chiedermi che cos'abbia fatto di sbagliato, come sia potuta essere così cieca fino ad oggi. Cavolo, è il mio migliore amico, quale cretina si prende una cotta per il proprio migliore amico?»

«Io». Ashton sbrodola la risposta assieme ad una risatina nervosa; non è abituato a vederla star male, non si sarebbe mai aspettato una reazione del genere e non sa bene come comportarsi. Non è mai stato bravo a consolare le persone, anzi, teme che tutto ciò che dice possa peggiorare la situazione, ma non sa che altro fare e quindi continua a parlare. «Io ero cotto a puntino della mia migliore amica, sapendola innamorata di qualcun altro. Sai qual è la differenza tra noi, Riv? Che Luke non ha occhi che per te. La differenza è che io non avevo speranze e sono andato avanti, mi sono sforzato di cambiare obiettivo, mentre tu puoi raggiungere la meta. Devi solo fare un passo in avanti e taglierai il traguardo. E se proprio non ci riesci, be', se sono felice io puoi esserlo anche tu».

River scoppia in una risata amara. «Che cosa stai dicendo? Sono ad un passo da un bel niente. Luke è innamorato di Debbie, che è guarda caso una delle mie migliori amiche. È una situazione orribile, ecco cos'è. Non c'è via di uscita, qualcuno deve per forza farsi male. Ah, e di che diavolo stiamo parlando? Sono una sorella per Luke, non mi ha mai visto in quel modo».

«Non secondo Calum. Secondo Cal--»

«Al diavolo Calum! Lui non sa un bel niente! E non avrebbe dovuto dirti quelle cose: sono personali».

Ad Ashton sfugge un altro sorriso a quella rivelazione. «Quindi è vero?» chiede; «Hai una cotta per me?» Poi si dà dell'idiota, perché decisamente non è il momento giusto per trattare l'argomento.

Lei, scioccata, arrossisce violentemente e fa un passo indietro, sgranando gli occhi. «Dobbiamo proprio parlarne? In questo momento non so nemmeno come mi chiamo, sono confusa», cerca di eludere la questione.

«Giusto, ma... ti piaccio? Ti piacevo?» Non sa nemmeno lui perché si comporti in maniera così sadica, sa solo che ha bisogno di una risposta definitiva per sentirsi a posto con la coscienza.

Lei indugia qualche istante sotto il suo sguardo insistente e sardonico, poi sbuffa e annuisce. «Sì, mi piacevi» risponde, sottolineando il tempo passato. È una delle poche cose di cui ormai è sicura: ha superato la sua fase Ashton. Ed è un bene, visto che al momento il pensiero di Luke è già abbastanza; non vuole nemmeno immaginare come sarebbe gestire due cotte al contempo. Anche se forse, inconsciamente, l'ha sempre fatto. È strano che la consapevolezza renda gestire questa situazione più difficile.

Lui annuisce, cercando di assimilare l'informazione; quindi Calum aveva ragione: solo lui era stato così sciocco da non rendersene conto. Gli viene da ridere e non si trattiene a lungo; prima che River possa chiedere, un po' indignata, che cosa ci sia di tanto divertente – ammetterlo di fronte a lui le è costato fatica e imbarazzo, nonostante tutto –, Ashton la avvolge in un abbraccio stretto e affettuoso. Le sussurra parola d’incoraggiamento, qualche battutina che la fa ridere appena e le carezza i capelli per rassicurarla quando scoppia in un singhiozzante pianto liberatorio. Non sa bene cosa dirle, motivo per cui si limita ad assicurarle che tutto andrà per il meglio alla fine, che lei e Luke sono fatti l'uno per l'altra, che non deve fare altro che comportarsi come sempre e, appena se la sentirà, affrontare la questione apertamente – cosa che lui non ha mai fatto.

Continuano così finché, dopo parecchi minuti, un suo superiore non reclama l'attenzione di Ashton con colpi di tosse impazienti e occhiate eloquenti. Lui prende tempo ancora un paio di minuti, poi si scosta e asciuga le lacrime di River con i pollici, sorridendo nella maniera più rassicurante che riesce: «Ora devo proprio tornare al lavoro o mi cacceranno a calci nel sedere» le dice. «Stai un po' meglio?»

River accenna una risatina e abbozza un sorriso; nel suo sguardo si legge tanto sconforto, ma anche una sincera gratitudine nei confronti di Ashton. «Sì, un po'» risponde, anche se è vero solo in parte. Le sue sensazioni pessimistiche non corrispondono alle parole di conforto che le sono state rivolte, ma per lo meno ha avuto l'occasione di sfogarsi con qualcuno, recuperando un'amicizia che le era mancata come l'aria anche se si è sempre rifiutata di ammetterlo, accecata com'era da convinzioni del tutto sbagliate riguardo ai propri sentimenti.

Ashton intuisce i suoi pensieri, ma non insiste ulteriormente. «Se hai bisogno di qualunque cosa, chiamami, d'accordo?»

La ragazza annuisce lentamente, mentre si asciuga gli ultimi residui di lacrime e cerca di ridarsi un contegno. «Grazie, Ash. Sei stato... sei stato molto gentile» sussurra, senza trovare la forza di guardarlo negli occhi; è strano esporsi così tanto davanti a qualcuno che non sia Luke, ma allo stesso tempo era necessario che accadesse. Tra tutti, è felice che sia successo proprio con Ashton: è come se lo speciale legame che la connetteva a lui si fosse confermato; in maniera diversa da quella che credeva, certo, ma è comunque un rapporto speciale. «Grazie davvero».

Lui le regala uno di quei suoi sorrisi larghi e infantili, gli occhi brillanti e le fossette sulle guance: «Sei la mia migliore amica, voglio il meglio per te» commenta.

Lei arrossisce, ma ride: «La tua unica amica femmina, vuoi dire!» lo prende in giro.

Ashton si unisce alla risata e scuote il capo: «Vero, ma comunque la migliore».

Così si salutano, dopo essersi scambiati un ultimo abbraccio, e River dopo aver percorso tutte le scansie si avvia verso la cassa con la metà dei prodotti indicati sulla lista. Torna a casa con il cuore più leggero del previsto, proprio come il carrello.

 

«Pronto?»

«Ehilà, qui Calum Hood!»

«Stai scherzando?»

«Sorprendente, eh? La mia voce è sconvolgente al telefono, in effetti. Respira a fondo, non andare in iperventilazione».

«Come hai avuto il mio numero?»

«Me l'hai dato tu, no?»

«Hood. Come l'hai avuto?»

«Melvin!»

«Hood».

«Melv--»

«Hood!»

«E va bene, l'ho rubato dal cellulare di River, contenta?»

«Sei inquietante. Perché devo avere a che fare con te?»

«Oh, in realtà mi adori», una risatina. «Allora, quando?»

«Che cosa?»

«Quando usciamo. Stasera? Stasera sarebbe perfetto. Ho due buoni per un aperitivo in un pub del centro – »

«Uscire? Quale parte di “è quello che racconterai e non quello che faremo” non ti è chiara? Posso rispiegartelo, se serve» .

«Oh, no, non serve. Esci con me, Deborah».

«Hood, te lo sogni».

«Ogni tanto, sì. Dicevo: ho due buoni per un aperitivo in un pub del centro, è un bel posto, a due passi dal cinema. Quindi potremmo bere qualcosa, mangiare e poi– »

«Non abbiamo l'età per bere, Hood».

«Analcolici! E poi possiamo andare al cinema, sta per dare la replica di un film che mi piacerebbe un sacco vedere. Non ti spaventano troppo i film horror, no?»

«Spaventarmi? Evviva gli stereotipi: sono una donna, quindi– »

«...oppure possiamo optare per qualche film strappalacrime, sarei felice di lasciarti piangere sulla mia spalla».

«Piangere?!»

«Che dici, ti passo a prendere stasera alle sette?»

«Che ne dici delle sette del ventinove febbraio? Prima di allora la mia agenda è sempre piena».

«E dai, Debbie. Dammi un'opportunità».

Un sospiro. «Perché dovrei?»

«Perché abbiamo degli amici in comune e voglio dimostrarti che non sono male come credi. Sono un ragazzo normale, non del tutto idiota».

«Be', in buona parte».

«In buona parte, sì», ridacchia. «Mi darai una possibilità, quindi?»

«No».

«E dai!»

«No, non ti do un'opportunità: ci vedremo per discutere la situazione e per dare una prova in più a quella testa vuota di Luke. E perché voglio rivedere La Madre».

«Quindi è un sì?»

«È un no! Verrò, ma non sarà un appuntamento, Calum».

«Davvero?», emette uno squittio di gioia e ride forte.

«Non è un appuntamento. Hai capito? Non è un appuntamento

«No, no, certo che no». Ride di nuovo. «Ti passo a prendere alle sette, al massimo alle sette e cinque sono lì! Sei allergica ai fiori?»

«Fior– ? Non è un appuntamento, Hood!»

«A più tardi, tesoro

«Tes– ? Oh, santo cielo».

 

*

Domenica sera

 

«Vuoi prenderli?»

«No, ti ho detto che non li voglio».

Sono le otto e ventisette di sabato sera e, nella sala d'ingresso del cinema, Calum Hood e Debbie Melvin stanno osservando le locandine dei film che verranno proiettati in replica per quella sera; stanno in piedi a qualche metro l'uno dall'altra, gli sguardi ostinatamente puntati in direzione differenti in seguito all'ennesimo dibattito da cui il ragazzo è uscito miseramente sconfitto e imbronciato. Mancano solo tre minuti all'inizio delle proiezioni e sarebbe davvero giunto il momento di acquistare il biglietto per entrare in sala, ma, in maniera per nulla sorprendente, non riescono a mettersi d'accordo su quale film guardare. Inoltre, durante la discussione tra un'opzione e l'altra, Calum non smette di insistere affinché lei accetti il mazzo di fiori che ha rubato dal cortile del suo vicino di casa – anche se questo non lo specifica; è davvero ridicolo che Deborah si intestardisca nel rifiutarli. «Okay, facciamo così» tenta: «se accetti i fiori, possiamo guardare Dragon Trainer 2».

«Ma io non voglio vedere Dragon Trainer 2!» protesta lei con le mani sui fianchi e lo sguardo severo fisso sulle locandine. «Piuttosto...»

«Piuttosto?» la incita Calum, che inizia ad essere davvero impaziente: ha già visto tutti i film in programmazione, ma l'idea di entrare quando quello che sceglieranno sarà già iniziato non gli piace per niente. O lo si guarda tutto o non lo si guarda per niente, un film, no?

«Io e Marley» sussurra Debbie, passando in rassegna i cartelloni; «è uno dei miei film preferiti, ma l'ho visto mille volte, ecco perché forse sarebbe meglio guardare La Madre». Mentre parla è del tutto assorta, tanto che Calum non saprebbe dire se si stia rivolgendo a lui o meno. Dal momento in cui l'ha ascoltata, tuttavia, decide di rispondere: «Io e Marley» decreta in un tono che non ammette repliche; per sottolineare la propria decisione, oltre tutto, estrae il portafogli e si dirige verso la biglietteria.

«Come? Cosa fai?» Debbie è allarmata, quando lo raggiunge al bancone; vorrebbe tirargli il braccio e allontanarlo da lì: l'ultima cosa che vuole è che le paghi l'ingresso, ma si scopre restia al contatto fisico. Fino a quel punto non è stata affatto una brutta serata, è costretta ad ammetterlo, e molto più divertente del previsto, ma da qui a permettergli di trattarla da fidanzatina sprovveduta ne corre d'acqua sotto i ponti. «Quanto ti devo?» gli chiede, non appena lui le consegna il suo biglietto.

Calum alza gli occhi al cielo e sogghigna: la rapidità – assieme all'effetto sorpresa – ha giocato un punto a suo favore e ora può vantarsi di essere riuscito a fare per lei qualcosa di vagamente riconducibile ad un appuntamento: non lascerà che Debbie riporti la serata ad un livello amichevole restituendogli i soldi. «Un mazzo di fiori» replica, mentre getta quelli che le ha portato, e ormai sono appassiti, nel cestino dei rifiuti. «Perché è stato davvero un peccato doverli raccogliere per niente».

Deborah ha ancora il portafogli in mano e l'aria insistente quando borbotta la sua giustificazione: «Ti avevo detto di non portarmeli».

L'addetto alla biglietteria strappa i loro biglietti lungo la linea tratteggiata e si dirigono verso la sala numero tre, senza smettere di discutere l'accaduto – “Come ti sei permesso di pagarmi l'entrata?”, “Sto solo cercando di essere gentile!”, “No, tu stai cercando di trasformare questa serata in un appuntamento!”, “E se anche fosse?”. Prendono posto su due sedili laterali, molto in alto perché vogliono essere sicuri di vedere bene e al tempo stesso di non disturbare nessuno con le discussioni che senza ombra di dubbio sorgeranno durante la proiezione.

«Non ti azzardare a denigrare il mio film preferito, Hood, non te lo permetterò», Deborah mette le mani avanti, sulla difensiva, mentre si siede.

Calum nel buio sghignazza e la guarda di sottecchi, il volto orientato verso lo schermo nella speranza che lei non se ne accorga. «Non succederà, tranquilla».

Lei non sembra convinta: «Come faccio ad esserne sicura?»

Oh, avanti, Deborah è davvero incredibile. Possibile che non abbia la minima fiducia nei suoi confronti? Non è una persona così orribile! «È anche il mio film preferito» risponde; poi si chiede se quella risposta non sembri troppo “da femminuccia” e cerca di riparare al danno, arrossendo: «Insomma, è uno tra i miei tanti film preferiti. Tantissimi».

Deborah rimane in silenzio, segno che quella rivelazione l'ha colpita. Tace per qualche istante, poi ancora un po', finché Calum non si volta a controllare che non si sia addormentata e la sorprende a mordicchiarsi il labbro inferiore per nascondere un sorriso sornione: «Non dirmi che ti piacciono i cani?»

Qualcuno in sala sibila per intimare loro il silenzio, dunque Debbie si raddrizza sul sedile e prende una posizione più comoda, fingendo di non essere appena stata rimproverata da uno sconosciuto.

«Invece mi piacciono» sussurra Calum in tutta risposta, sporgendosi un po' verso di lei, per poter comunicare facilmente anche a bassa voce. «Ti sorprenderà, ma sotto questa scorza da macho ho un cuore tenero».

«In realtà mi stupisce che tu abbia rispetto per gli animali, idiota come sembri» mormora lei senza sbilanciarsi – fisicamente e tanto meno emotivamente; anche se è la verità, Calum glielo legge in viso per quel po' che riesce a vedere: è davvero stupita da quella scoperta.

Sorride e rimane in silenzio per un po', mentre i personaggi si muovono sul maxi schermo. Dopo aver tentato per qualche minuto di tenere la bocca chiusa, un moto d'orgoglio lo costringe a comunicarle: «Ne ho tre». Oh, i suoi cuccioli! Papà non può proprio non raccontare a tutti quanto siano belli e adorab– no, no, questo non lo dirà: per niente virile.

«Tre anni?» suggerisce lei, senza riuscire a trattenere una leggera risatina che suona come una lusinga per l'ego del ragazzo, vista la freddezza mantenuta fino a quel momento. Forse sta funzionando, forse non lo odia più così tanto.

«Tre cani!» la corregge senza lasciarsi scoraggiare. Gli sembra di scorgere un sorrisetto sul viso di Deborah, ma non vuole illudersi: potrebbe anche essere stato uno scherzo della penombra nella sala.

Per un po' non proferiscono parola, salvo qualche battuta del film recitata a memoria, sottovoce, da Deborah, poi lei si volta lentamente verso di lui e dice piano: «Io ne avevo uno. Un Golden Retriever proprio come Marley, solo di qualche tono più scuro. Ci sono praticamente cresciuta insieme».

Calum viene pervaso da un moto di gioia vittoriosa: sembra proprio che Debbie stia cominciando ad ammorbidirsi! Quasi non riesce a crederci ed è nella foga di non sprecare questa occasione per parlare con lei senza intermezzi sarcastici che si lascia sfuggire la domanda più cretina che potesse porre: «E poi?»

Lei fa per rispondere, poi sembra rendersi conto della stupidità di quella questione e gli rivolge un'occhiata perplessa; lo sorprende a fissarla con aspettativa e dunque, un po' confusa, dice: «Poi è morto» con ovvietà.

«Oh». Il commento deluso di Calum è più causato dalla propria inadeguatezza che dalla morte del cane – con rispetto parlando, è ovvio –, ma preferisce non dare troppo peso alla questione per non sembrare ancora più scemo di così. «Come si chiamava?» chiede invece, sperando che quella sciocca domanda non abbia disperso quell'atmosfera di confidenza.

Si chiamava Miss Adelaide e secondo suo padre avrebbe dovuto essere la sua bambinaia, ruolo che poi il cane avrebbe sorprendentemente impersonato di sua spontanea volontà. Da bambina Debbie ha passato tutte le sue giornate a giocare con Miss Adelaide: le acconciava la pelliccia con mollette ed elastici per capelli, le faceva indossare occhiali da sole, cerchietti e fiocchetti colorati; qualche volta la trasformava in un drago, altre nella lady a cui servire il tè del tutto incurante della puntuale sparizione di qualche tazzina all'interno della sua bocca – allora la piccola Debbie scoppiava in un pianto disperato che spingeva la sua compagna di giochi ad accucciarsi con aria mesta e il papà ad accorrere per estrarre l'utensile smangiucchiato dalle sue grinfie.

Calum ride, sorride tutto il tempo, mentre il suo cuore corre una gioiosa maratona verso, o almeno spera, un nuovo tipo di relazione con Debbie. Non si aspetta che lei gli apra le porte della sua vita, certo che no: spera solo che dopo quella bella – bellissima! – serata lei sia disposta a concedergli per lo meno il beneficio del dubbio, che non sia un totale idiota e meriti un minimo di considerazione. Ma anche se così non fosse, si dice, è disposto a insistere. Lo trova divertente, assillarla così affinché passi del tempo con lui. Lo trova così divertente che forse preferirebbe saltare le prove con la band per un mese intero pur di farla arrabbiare e poter guardare quelle sue espressioni scandalizzate diventare sempre più esasperate battuta dopo battuta. Potrebbe davvero farlo, se lei gliene desse la possibilità – e anche in caso contrario, probabilmente.

Le racconta dei suoi cani, di tutti quelli che ha amato nella sua vita, con il tipico entusiasmo infantile che non riesce mai a controllare quando si tratta di quell'argomento; cerca di parlare a bassa voce, ma ogni tanto gli sfuggono certi toni acuti che provocano sempre una pioggia di sibili spazientiti da parte del pubblico e qualche sorriso, o almeno così s’illude, strappato a Debbie.

Ne parlano per tutto il film; guardano distrattamente le immagini, troppo immersi nella conversazione per poter davvero seguire il film – che in ogni caso conoscono già a memoria, quindi non si perdono molto. Calum si aggrappa a quell'argomento come se fosse l'unico – e forse lo è – che potrà mai condividere con Deborah, anche se spera sia solo il primo di una lunghissima serie che vorrebbe aver la possibilità di scoprire.

Sgattaiolano fuori due minuti prima della fine del film, su suggerimento di lei, per evitare che all'accendersi delle luci qualcuno decida di rimproverarli apertamente per l'ininterrotto disturbare; raccattano le loro cose ed escano in punta di piedi, per poi andare a gettarsi sulle poltroncine nella sala d'attesa ostentando l'aria annoiata di chi sta aspettando di entrare per la seconda proiezione di qualche film, invece che essere appena uscito.

«Sei un genio del male!» esclama Calum con entusiasmo; in compagnia dei suoi amici, nessuno sarebbe riuscito a mantenere quella pantomima per più di un minuto, ma con Debbie è diverso, lei è abbastanza sveglia da riuscire a reggere uno scherzo.

Lei ride e si stringe nelle spalle, prima di replicare con una vena di orgoglio: «Ho i miei momenti!» Con ancora lo spettro di un sorriso sulle labbra, lancia un'occhiata fuori dalla vetrata del cinema e scopre l'auto di suo padre già pronta ad aspettarla. Vederlo lì la colpisce come una secchiata d'aria fresca: è uscita con Calum Hood. È uscita con Calum Hood e si è persino divertita, nonostante abbia cercato in tutti i modi di rendere quella serata il più fredda possibile. Nel solo pensarlo sprofonda in una specie di febbrile paranoia, un panico appena accennato, che le causa un sovraccarico di energia: comincia a torturarsi le mani, aggrottare le sopracciglia e a battere un piede sul pavimento macchiato del cinema.

Calum non sembra accorgersi di niente, scambia quell'improvvisa ansia per un'interpretazione provetta di impazienza pre-film. «Quindi, alla fine sei uscita con me».

Lei rabbrividisce a quella conferma: perché deve a tutti i costi essere così inopportuno in ogni circostanza? Non aveva certo bisogno di sentirselo dire, non ora. «Solo per pulirti la coscienza e darti qualcosa da raccontare ai tuoi amici» risponde in tono monocorde.

Lui sorride raggiante, allunga le mani verso il soffitto per stiracchiarsi e parla con la voce distorta da quel gesto: «Così non avremo bisogno di mentire. È stata davvero una bella serata» conclude, il braccio che, come da copione, va a posarsi sullo schienale della poltroncina di Debbie, invece che tornare sul bracciolo della propria.

Deborah si irrigidisce e stringe le labbra in un misto di ansia e disapprovazione – pensava che certe scene succedessero solo nei film adolescenziali di terza categoria. «Dovrai mentire comunque, perché questo non è un appuntamento» dice in tono duro.

Calum sorride e le posa un bacio sulla tempia. «Grazie per questo non appuntamento allora, sono– »

Non riesce a concludere la frase, però, perché Debbie è scattata in piedi e sta già camminando verso la porta in preda al panico; gli rivolge appena un'occhiata che non riesce a nascondere la sua angoscia, prima di abbozzare una smorfia a mo' di saluto e varcare la porta, lasciandolo lì come un baccalà, la bocca aperta e il braccio sullo schienale dell'altra poltroncina.

Una volta fuori, Deborah si ferma a prendere una boccata d'aria; respira a fondo una, due, tre volte, ma ha l'impressione che l'ossigeno non raggiunga i polmoni. Ha voglia di piangere, ma nemmeno lei saprebbe dire il perché – non vuole saperlo, non vuole pensarci, no. Cerca di darsi un contegno prima di aprire la portiera dell'auto del padre il quale, intuendo al volo che qualcosa non va, non può che sporgersi in avanti per fulminare Calum con lo sguardo attraverso il finestrino. Lui, che sta uscendo con le mani nelle tasche e le sopracciglia aggrottate dalla confusione, trasale e si affretta ad allontanarsi da lì.

 

 

Ore: 11:42 PM
Da: Malum ;)
“Allora?? Com'è andata, rubacuori??? ;3 ”

 

Ore: 11:49 PM
A: Malum ;)
“Non ne ho idea.”

 

Ore: 11:51 PM
Da: Malum ;)
“Come sarebbe che non ne hai idea?”

 

Ore: 11:53 PM
A: Malum ;)
“Non ho voglia di parlarne”.

 

Ore: 11:56 PM
Da: Malum ;)
“E va bene, come vuoi. A domani, luce dei miei occhi!”

 

Ore: 00:22 AM
Da: Malum ;)
“Amo i tuoi saluti calorosi!
Comunque, UPDATE: domani dopo scuola siamo da Ashton, ha qualcosa da dirci riguardo alla band. Sembra importante. Notte”.


 


Hello!
Scusate il solito ritardo, ormai non dovrei nemmeno più chiedervi scusa, perché sapete che sono lentissima negli aggiornamenti ç_ç vi ringrazio se ancora siete qui e non avete abbandonato la storia, ve ne sono infinitamente grata!
Una precisazione, anche se penso sia ovvio: quel "Malum" nei messaggi finali, sta per "Michael", perché ho immaginato che Calum abbia salvato i suoi amici in rubrica con il nome della ship tra lui e loro (Cake, Cashton, Malum, ...Criver?). Niente di importante, comunque.
Poi, ho una domanda molto sciocca da porre a chi mi sta ancora leggendo. Il fatto è che ho avuto qualche problema con la scaletta (l'ho cambiata, riscritta e poi perduta). Avendo scritto la storia in un ampio lasso di tempo, non ricordo più tutti i dettagli e in certi casi ho dimenticato anche avvenimenti potenzialmente importanti, ed è per questo che ho bisogno d'aiuto: mi servirebbe sapere quali sono le questioni che sono rimaste in sospeso, che voi ricordiate. 
Ovviamente ricordo la questione River/Luke (e quella River/Ashton, che dovrei aver sistemato con questo capitolo), Debbie/Calum e Debbie/Luke. E anche quella delle gare di nuoto. Ce ne sono altre, anche piccole, che ho dimenticato di affrontare fino ad ora e pensate sia necessario/interessante approfondire? E, già che ci siamo, ci sono argomenti che vi piacerebbe fossero trattati (così cogliamo la palla al balzo)?
Se qualcuno deciderà di rispondere, lo (la?) ringrazio in anticipo.
Ho un piccolo periodo di vacanza, per cui cercherò di occuparmi, tra le altre cose, di questa storia, in modo da darle una degna conclusione. Come promesso, non l'ho abbandonata :)
Auguro una buona estate a tutti! Spero che mi ritroverete presto tra queste file. :)

  
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