Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |       
Autore: Ornyl    17/07/2015    0 recensioni
Anno 2040: le poche risorse energetiche rimaste sono in mano ai potenti delle varie Regioni, i cosiddetti Migliori. Nella Regione Thebe il regime pare vacillare alla morte improvvisa dei governanti Oedipus e Giocasta, che hanno lasciato orfani i quattro Principi Ereditari: due maschi, Eteocle e Polinice, e due femmine, Antigone e Ismene. La loro morte pare l'occasione giusta per i ribelli per instaurare la Prima Repubblica, ma si insedia al trono Kreon, fratello della defunta regina, e per i sovversivi parono complicarsi le cose. In loro soccorso però giunge, inaspettatamente, il principe Polinice, animato da ideali di libertà e giustizia per la popolazione, ma si contrappone a lui il fratello reazionario. I due muoiono durante uno scontro e Kreon concede onori funebri solo al nipote Eteocle e ordina di abbandonare all'oblio il cadavere del traditore, pena la morte. Ma una delle due Principesse, Antigone, dopo aver letto di nascosto le riflessioni del fratello e animata dall'intenzione di garantirgli giusta sepoltura, si allea ai ribelli del gruppo di lotta clandestino "Sfinge Rossa" e decide di combattere un regime che anche lei considera opprimente. Anche il suo animo però è in lotta, diviso tra famiglia e nuovi ideali di libertà.
Genere: Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
14


Cercò di far trascorrere in fretta l'intera giornata. All'ora di pranzo incontrò zio Kreon, lo ringraziò per la colazione portata in stanza e delle sue premure. Le rispose con un sorriso dolce e un buffetto sulla guancia: era uguale a mamma quando sorrideva, forse soltanto più virile a causa dei suoi tratti maschili. Il pranzo in effetti passò velocemente, con zio Kreon pieno di una strana adrenalina che li incitava a partecipare al tè delle cinque.
-Dovete sgomberare la mente dai brutti pensieri- continuava a ripetere tra un boccone e un altro-Ho invitato personalmente quei ragazzi, che peraltro sostengono di avere una gran voglia di vedervi. Non ve li ricordate? Quando eravate piccoli giocavate tutti insieme!-
In effetti ricordava poco di loro, erano vaghi fantasmi lieti e colorati che infestavano la sua mente e giocavano tra i suoi ricordi, come forse un tempo aveva giocato insieme a loro, chissà in quale casa, chissà in quale stanza dei giochi, addirittura prima delle barricate di zio Kreon e di papà. Ricordava solo Herakles e Medeia, quelli che Ismene aveva nominato: Herakles era un bimbo massiccio, con la testa fitta di riccioli biondi e un paio di occhi azzurro, mentre Medeia aveva sempre lunghe trecce nere e un vestitino viola. Forse ai tempi della grande dittatura non avevano ancora i Giardini Reali, anzi ne era certa: forse si erano conosciuti in villeggiatura, quando mamma invitava i vicini di casa alla villa al mare e spesso questi provenivano da altre regioni. Poi papà e mamma erano saliti al potere e al Gran Ballo aveva invitato tutti i nuovi Migliori, e forse c'erano anche loro con tutti gli altri.
-Ricordo a stento Herakles Dios e un altro, Theseus Egeios- rispose Emon -Una scena in particolare: Herakles Dios voleva la piccola spilla a forma di lambda che indossavo all'incoronazione di Oedipus e Giocasta e mi aveva rincorso per tutti i Giardini. Che bambino odioso-
Il dopo pranzo passò velocemente. Zio Kreon ebbe l'idea di preparare una canzone da suonare al pianoforte e chiese a lei e ad Ismene di trovarne una da cantare al tè delle cinque. Alla fine, fu solo Ismene a proporsi come cantante del pomeriggio e in poco tempo riuscì a trovare lo spartito della canzone di Hallelujah, rendendo felice anche lo zio, e ad impararne le parole. Quelle due orette che servirono a farla esercitare passarono velocemente, e poi ognuno corse in camera a prepararsi per il piccolo ristoro.
-Poi mi servi per scegliere il vestito!- Ismene si congedava da lei così, a gran voce, sparendo oltre la soglia della propria stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
Si spogliò lentamente, deponendo la vestaglia dentro il guardaroba e la camicia da notte sotto il letto. Avrebbe scelto una gonna lilla e una camicetta bianca, con la solita spilletta a forma di lambda appuntata sotto il colletto. Guardò per qualche istante i suoi bagliori rossastri: forse quella spilla equivaleva al guadagno di un anno, per un operaio della Città Bassa.
Entrò nel bagno lentamente, quasi con svogliatezza, come se non fosse interessata a quel pomeriggio passato davanti ad un tavolino da tè e al pianoforte. Il marmo e il granito rosa brillavano di pulito e ricchezza, ricchezza nella quale era nata e cresciuta. Anche quella mattina la vasca brillava come un gioiello, linda come non mai, pronta ad accogliere una principessa di quel rango. Con un battito di mani azionò il sensore per aprire i rubinetti e regolare la temperatura dell'acqua: non aveva nemmeno bisogno di abbassarsi per riempire la propria vasca e addirittura scottarsi o provare i brividi prima di rilassarsi. Entrò piano, si sedette e prese la boccetta che conteneva il suo bagnoschiuma preferito, roba preziosa in un contenitore altrettanto prezioso, e si insaponò per bene. L'odore di magnolia le riempiva le narici e il bagnoschiuma faceva assumere all'acqua una colorazione dolce e gradevole, piccole sfumature di lilla e rosa. Ismene diceva sempre che il bagno ideale per una ragazza avrebbe dovuto durare un'ora e mezza, giusto il tempo per permettere alla pelle di assorbire il profumo dei bagnoschiuma: l'aveva letto in una rivista di moda e una volta mamma l'aveva addirittura confermato.
Si raggomitolò su di sè, stringendo le ginocchia con un braccio e giocando con l'acqua con l'altro. Il suo indice creò vortici rosati sull'acqua che assumevano le forme più strane e curiose, quasi fossero nuvole mosse dal vento mattutino, spettacolo dell'alba che solo all'Acropoli poteva essere ammirato.
La sua figura gettava un'ombra grigiastra su quell'acqua che voleva ritrarre il cielo e d'un tratto si sentì sporca. Si alzò di scatto, uscì dalla vasca e afferrò l'accappatoio: puro cotone, morbido come un abbraccio. Tra tutti i suoi vestiti, forse l'accappatoio era il suo preferito; eppure quella morbidezza non le era mai sembrata così dura e terribile, e a passi veloci corse alla zona letto. Si asciugò velocemente, gettò l'accappatoio sul letto e indossò con gesti rapidi, quasi violenti, mutande e reggiseno. Li odiava, li aveva odiati improvvisamente, forse avrebbe preferito andar nuda al pomeriggio da tè. Forse odiava anche quella gonna di cotone e quella camicetta di seta, ma non aveva nient'altro. Nient'altro di più semplice, quando in quel momento odiava quei tessuti che il resto del mondo non poteva più permettersi, frutto di quelle piantagioni di alberi nati in vitro, troppo costosi per essere accessibili anche ai poveracci che vi lavoravano.
Scivolò morbidamente dentro i vestiti, prima nella gonna e poi nella camicetta. Osservò nuovamente la spilla, rigirandola più volte nelle mani: non aveva mai provato tanto disgusto per un oggetto così piccolo e allo stesso tempo così prezioso. Se fosse stata mandata alla fonderia, e il materiale ottenuto fosse servito a coniare delle monete, dalla spilla sarebbero nate almeno due dracmes, sufficienti ad un abitante della Città Bassa per mangiare abbondantemente per una settimana. Tra le dita stringeva una settimana in più per uno sguattero dello Sky Needle, per sua madre, per qualcun altro simile a loro, e quei pasti abbondanti finirono sulla sua camicetta per decorarla, per farla apparire più bella, per affermare che era un membro di quella famiglia potente che decideva della vita e della morte dei più poveri e ingrassava i più ricchi.
 
Medeia Eliou era proprio come se la ricordava: alta e slanciata, con le lunghe trecce corvine, adesso striate di blu e oro, e la pelle leggermente olivastra. Medeia le aveva fatto sempre una strana impressione, esercitando in lei paura e stupore: quegli occhi giallastri, da gatta, cerchiati com'erano di kajal blu e eyeliner blu, brillavano su quel viso appena bruno, con quelle spesse labbra tinte di nero e gli splendidi orecchini a forma di sole che decoravano il suo ovale perfetto. Medeia faceva avanti e indietro con la sua tazzina tra le mani inanellate e sottili, ondeggiando sulle note della vecchia canzone che zio Kreon aveva messo alla videoradio per allietare il pomeriggio.
-Sembri farti più bella ogni minuto che passa, Antigone- le disse avvicinandosi a lei e sorridendole-E questo pomeriggio sta andando alla grande! Ma poi, avanti, fa' una piccola giravolta .. Questi abiti sono splendidi! Lo stile della Magoon si nota e si apprezza da chilometri!-
Medeia non pareva seguire la moda, con la morbida tunica blu che le scendeva lungo i fianchi e la sciarpa porpora che le avvolgeva le spalle, ma risultava affascinante come non mai, se non addirittura più adulta dei suoi diciotto anni.
-Grazie, Medeia- le rispose con un sorriso- Ed io non posso fare a meno di notare l'anello che porti all'anulare! Un regalo di Jason?-
Medeia sorrise e avvampò, poi sorseggiò del tè dalla propria tazza.
-Non male per un vicino di casa, giusto?-
Herakles ed Emon parlottavano poco lontano. Herakles era rimasto sempre identico, se non addirittura più massiccio. La sua pelle abbronzata, la camicia di lino leggermente sbottonata e i jeans lo facevano assomigliare ad un cittadino dell'Acropoli ritornato appena dalla villeggiatura sul Satellite 54. così come il suo tono divertito e accattivante, in confronto al quale Emon sembrava un ragazzino entrato da appena nell'adolescenza.
- Vecchio mio!- Herakles teneva in una mano un pasticcino e con l'altra dava una forte pacca sulla schiena ad Emon, lanciandole contemporaneamente occhiate ammiccanti - Mi fa piacere che chiacchierare con me ti abbia risollevato un po'! Quest'estate mi verrai a trovare al Satellite 54, giusto? Mio padre ha fatto sistemare una riserva di chissà quanti ettari, vecchio mio, con un campo da golf da urlo .. Per non parlare della spiaggia, è piena di belle ragazze..!-
Lo sguardo di Emon si incrociò col suo e sorrisero entrambi.
-Herakles, avanti, lo sai che sono impegnato ..-
-Sei impegnato? Oh! La tua principessa è in questa stanza? In effetti hai ragione, Ismene è una gran damigella..!-
-No, Herakles, i miei occhi si son posati su Antigone .. Vieni a salutare Herakles, Antigone!-
Lasciò Medeia a parlare con Ismene e Eliza Snakes, la figlia di Morrison Snakes, il carceriere. Se  il padre era un omone gigantesco diventato uno dei protetti dello zio per sbaglio o per caso, con un ciuffetto di capelli corvini sulla testa ad uovo e una strana barba tutta intorno alla piccola e sottile bocca contratta in un perenne sorriso da furbastro, Eliza era una ragazzina di sedici anni dai tratti dolci e delicati, con i capelli nerastri raccolti in una crocchia, grandi occhi scuri circondati da lunghe ciglia e un delizioso abitino color menta che metteva in risalto la sua pelle pallida, appena rosata sulle guance. Eliza Snakes non si vedeva quasi mai in giro e strane storie circolavano su quella creaturina innocente: dicevano fosse la figlia di una delle tre mogli segrete che Snakes manteneva, ed era raro che il padre la facesse venire in città, preferendo il collegio per ragazze alla Colonia Lunare. Eliza osservava la scena che si svolgeva davanti ai propri occhi con curiosità e terrore insieme, ma bastò una sua parola a tranquillizzarla.
-Come ti senti, Eliza-
-Bene .. Vostra altezza..-
-Quante volte te lo dovrò dire di chiamarmi Antigone?-
Il piccolo ricevimento seguì fino all'ora di cena. Herakles tentava di mostrare a tutti i muscoli e l'abbronzatura, facendo prima occhiatine ammiccanti a lei e poi alla povera Eliza Snakes, fattasi di mille colori. Medeia riceveva un'olochiamata da parte di Jason e quest'ultimo mostrava come si stesse divertendo nel proprio yacht, Ismene finalmente cantò la propria canzone e tutti andarono via. Non le sembrava di aver vissuto appieno quel pomeriggio, e nonostante il giudizio di Medeia il ricevimento l'era parso abbastanza noioso: troppe chiacchiere, troppe notizie trite e ritrite sulla vita di ragazzini fortunati, cibo troppo raffinato per un pomeriggio tra vecchi amici. Forse l'unico particolare che riusciva ad apprezzare era la canzone di Ismene e il momento in cui tutti avevano applaudito all'esibizione: se li meritava davvero, non solo perchè era sua sorella e era stata molto brava, ma soprattutto perchè quella canzone era stata improvvisa, decisa e preparata appena due ore prima e tuttavia riuscita egregiamente ugualmente. La canzone aveva rotto quella monotonia fatta da tazzine scintillanti, carrelli di pasticcini che facevano avanti e indietro, chiacchiere raffinate di Medeia ed Herakles, sorrisi imbarazzati di Eliza. Quella canzone le aveva permesso di dimenticare tutte quelle chiacchiere da ragazzini troppo fortunati e le aveva tolto dalla mente l'idea di lasciare la stanza e ritornare in camera a star tranquilla. Magari a leggere il diario di Polinice. E a cercare di togliere il chip.
Ismene era corsa via ai Giardini, come al solito. Gli ospiti avevan da poco lasciato la stanza e anche Emon stava per andare via.
-Vado in palestra ad allenarmi un po'. Vuoi accompagnarmi?-
-Sono stanca, Emon, mi dispiace. Giuro che domani sera mi faccio perdonare-
Emon si chinò su di lei, le prese il viso tra le mani e la baciò. Le sue labbra sapevano ancora di tè e pasticcini.
-Promesso?-
-Promesso-
Si allontanò dolcemente dal suo viso e le diede un buffetto sulla guancia.
-Non ti annoierai a guardare la domestica pulire?-
Sorrise. Emon aveva indovinato ancora una volta. Era talmente stanca di quella frivolezza da voler osservare il lavoro di una domestica.
-Vado via fra un po', davvero-
Emon si allontanò sorridendole e sparì dalla stanza. Poco dopo udì un lento rumore di rotelle provenire verso la stanza. Una piccola domestica pallida, con i capelli color topo e le occhiaie, veniva avanti trascinando pesantemente il carrello dei detersivi. L'uniforme le stava male, sembrava grande quasi due taglie in più, accentuando maggiormente quel viso scarno e quei polsi deboli che gridavano fame. Appena la vide, i suoi occhietti scavati si inabissarono ancora di più e la ragazzina fece un lieve, tremante inchino.
-Non è necessario- le sussurrò - Hai fame? Prendi qualcosa prima di pulire, sei magrissima!-
La domestica non le rispose e rimase a guardarla impaurita. Antigone si alzò di scatto, prese un piattino, lo riempì di biscotti e glielo porse.
-E' un peccato buttarli, avanti. Mangiane un po'. Non preoccuparti di nulla, la responsabilità è mia-
-P- posso .. Posso davvero?-
-Non te li avrei offerti altrimenti, non credi?-
La donnina sorrise. Divorò il primo biscotto, poi anche il terzo e il quarto, e in pochi secondi svuotò il piattino. Vide nei suoi occhi una riconoscenza e un rispetto che non aveva mai osservato in nessuno sguardo.
-Prendine quanti vorrai. Ne hai bisogno più tu che me. E se qualcuno ti becca coi biscotti in tasca, io correrò a prendermi le mie responsabilità. Ci siamo intese?-
Non rispose ancora, ma accennò un sorriso.
-Dimmi di sì, avanti. Non mi vedi? Sono una persona tale e quale a te. Buon lavoro, non affaticarti-
Si lanciarono sguardi finchè ella non uscì dalla stanza, lasciandola lavorare. Percorse in silenzio il corridoio, a passi lenti, quasi volesse perder tempo per riflettere e rielaborare le proprie idee. Quei capelli color topo e quelle braccia magre erano tipici particolari presenti negli abitanti della Città Bassa, proprio come aveva avuto modo di vedere nei ribelli e anche negli sguatteri che spazzavano i Giardini e trasportavano enormi sacchi di foglie secche e fiori recisi. Quella donnina, insieme a Rebecca, insieme ai ribelli impiccati prima, insieme al ragazzino che Polinice aveva aiutato quella sera allo Sky Needle erano le urla figurate che Thebe Bassa mandava all'Acropoli per essere ascoltata e finalmente aiutata. E più rimuginava questi pensieri, più i battiti del suo cuore acceleravano e così i suoi passi, sempre più veloci, diretti verso la sua stanza. E più si avvicinava alla stanza, più si sporgeva nella sua mente e nel suo cuore un'idea folle e audace, un'idea forse miracolosa per gli altri ma terribilmente pericolosa per se stessa: quella notte sarebbe scappata. Quella notte, le tenebre le avrebbero consentito di fuggire dal palazzo. C'era un altro mondo che l'attendeva fuori e gridava il suo nome, come lo gridava Polinice insepolto, come lo gridava Rebecca uccisa, come lo gridavano gli sguatteri delle periferie. E non era più possibile far finta di non sentire.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Ornyl