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Autore: akirakirara    18/07/2015    1 recensioni
Sosteniamo per tutta la vita di essere giusti, di riuscire a vedere oltre all'apparenza e valutare una persona per come è veramente. Ma siamo sinceri, tra una tizia che sta bene anche con un sacco di spazzatura per vestito, un uovo spaccato in testa e le pantofole pelose e una che probabilmente sta male anche con anche vestiti di marca, quale sceglieremmo? Io la prima, a patto che si faccia una doccia prima, non per forza vestita. Sono consapevole che possa sembrare una cosa crudele ma è la verità, e per quanto vogliamo fare i perbenisti la nostra è solo ipocrisia se optiamo per la seconda opzione.
Partecipante al contest L'Amore è Roba per Uomini Veri! Yaoi/Bara Contest (Multifandom+Originali)
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Sosteniamo per tutta la vita di essere giusti, di riuscire a vedere oltre all'apparenza e valutare una persona per come è veramente. Ma siamo sinceri, tra una tizia che sta bene anche con un sacco di spazzatura per vestito, un uovo spaccato in testa e le pantofole pelose e una che probabilmente sta male anche con anche vestiti di marca, quale sceglieremmo? Io la prima, a patto che si faccia una doccia prima, non per forza vestita. Sono consapevole che possa sembrare una cosa crudele ma è la verità, e per quanto vogliamo fare i perbenisti la nostra è solo ipocrisia se optiamo per la seconda opzione.
Io lo sapevo e non lo negavo, ero un individuo di un certo livello, sia in carattere che d'aspetto, i miei capelli biondi e gli occhi azzurro ghiaccio aiutavano in molto. E in aggiunta i soldi non mi mancavano. Non fraintendetemi, non mi comportavo come un totale stronzo quando qualcuno non era di mio gradimento esteticamente, ma pretendevo da chi mi circondava.
Ecco perché, mentre un uomo estraneo, di corporatura bassa e tozza, con una barba scura curata e spessi occhiali rotondi, mi si agitava davanti, mi chiesi che genere di scherzo mi stesse tirando il fato. Mi sforzai di mantenere la mia attenzione attiva sulla persona che farfugliava senza scoppiare a ridere. Certa gente non si sapeva proprio comportare in pubblico. Non si può pretendere di non essere derisi quando si entra vestiti di giacca e cravatta in un pub, si interrompe una conversazione e si trascina uno degli interlocutori sotto gli occhi sbigottiti di tutti fuori dal suddetto locale. Osservai dubbioso i passanti cercando spiegazioni ma l'unica risposta furono delle facce decisamente ubriache. Me la sarei dovuta sbrigare da solo.
«Hem, scusa se ti interrompo ma tu sei...?»
«Ah-ahh... h-hai ragione, n-non mi sono pre-presentato. So c-chi sei tu ovviamente, Mark... non dovevo dirla così, suono come un molestatore.» L'ultima parte venne pronunciata borbottando.
«Comunque, mi chiamo Sander Gavirre, lavoro alla casa di riposo vicino all'edificio dove lavori.» E si perse in altri farfugli poco interessanti.
Sì, la casa di riposo. La sua mi sembrava una faccia famigliare.
«Adesso, scusa se ti faccio ripetere le stesse cose ma, sai com'è, l'alcol. Cosa vorresti da me di preciso e come mi conosci?»
«N-no, non lo so, sono astemio.» Di bene in meglio, a quanto pare il ragazzo non si sapeva neppure divertire. Sander sembrò castigarsi mentalmente per la sua risposta ma subito dopo il suo viso si illuminò, aveva capito il nocciolo della questione.
«Palestra, in palestra. La vetrata. Nella palestra che frequenti c'è una vetrata, ti vedo spesso da dove lavoro.»
Ci rifletté un altro po'.«C-cioè, no, non ti pedino. Semplicemente ti vedo spesso. E, ecco, prima ci venivi con una ragazza, adesso non più. V-vorresti uscire con me? Sei figo.»
Facevo fatica a seguire il suo ragionamento e tutta la situazione mi inquietava non poco. Non riuscì comunque a sentirmi minacciato, l'uomo infatti era molto più basso di me e le spesse lenti degli occhiali gli coprivano metà del viso rotondo. Sembrava inoltre una di quelle persone estremamente impacciate e da quel che riuscivo a vedere non era molto in forma. Gli sorrisi a disagio.
«Senti... Sander, mi fa davvero piacere. Dico sul serio, sembri un ragazzo molto dolce ma, sono etero e anche se non lo fossi... non mi attiri particolarmente.» Si si, sono uno stronzo, ma come ho già detto anche una persona sincera.
Abbassò la testa e le sue spalle tremarono, temetti che si sarebbe messo a piangere. Non sopportavo le scenate, le ragazze me ne facevano già abbastanza, e avevo da sempre riposto una malsana fiducia che gli uomini non ne fossero capaci. Lui prese fiato e sollevò il capo, mi aspettavo il peggio. Con mia sorpresa e sollievo la sua espressione era determinata.
«Solo una volta, esci con me soltanto una volta. Se non ti piace non ti disturberò mai più.»
Seppi in quel momento che non avrebbe mollato tanto facilmente e percepii un sorriso, probabilmente crudele, dipingermisi sulle labbra.
«Anche se ti concedessi questo pseudo-appuntamento cosa mi garantisce che dopo non mi faresti ancora più da stalker. Inoltre, andiamo, non posso davvero pretendere di sapere se mi piaci passando una sola serata con te. Mi hai già confessato di avermi spiato, potresti aver fatto cose anche più inquietanti che io non scoprirei in poche ore. Potresti tranquillamente essere un psicopatico affetto da bipolarismo.» Stavo esagerando molto, non credevo neppure a metà delle mie affermazioni ma i miei commenti lo spiazzarono. Probabilmente aveva spalancato gli occhi perché le sue sopracciglia sbucarono da sopra la montatura degli occhiali, mi turbava ancora non riuscire a vedere i suoi occhi.
Ci fu un momento di incredibile silenzio in cui osservai le sue emozioni mostrarsi sul suo viso come dei pesci in uno specchio d'acqua, era così divertente e anche trasparente. Sorpresa, timore, preoccupazione, oh era rabbia quella? Senso di colpa... e il tutto sfociò in una espressione di pacifica risolutezza.
«S-so che è difficile credere a uno sconosciuto che ti dice di averti sbavato addosso mentre ti alleni senza che tu sapessi niente, ma ti giuro che non ho mai voluto farti del male... insomma, lavoro con gli anziani! Anche se alcuni li trattan- comunque, e se facessimo una settimana? So che è tanto ma questo pub di giorno diventa una specie di ristorante, potremmo incontrarci a pranzo e mangiare insieme così avresti il tempo di conoscermi.» Divenne paonazzo notando la confessione.
«Una settimana... mi sembra ragionevole. Ma senti, se il tuo scopo è di andare a letto con me e basta allora possiamo farlo anche questa sera, mi piace sperimentare.»
Se possibile diventò ancora più rosso e iniziò a torturarsi le dita e scuotere vigorosamente la testa. «No, no no no, non voglio questo, questo no, non mi interessa. Io voglio conoscerti, non ha importanza il resto... cioè sì, ma no. Per favore?»
Stranamente non mi disgustò il tutto come avrebbe dovuto, lo trovai quasi tenero in modo imbarazzante. Dopotutto cambiare aria non mi poteva fare di certo male.

Così i nostri incontri iniziarono, mi sentivo elettrizzato in prospettiva di quella bizzarra esperienza. Sander era un uomo decisamente interessante, o più che altro divertente nei suoi modi di fare impacciati. Ci dovevamo incontrare all'una al pub.
Non appena varcai la soglia del locale notai una metamorfosi sorprendente. Il George la sera era un piccolo pub con atmosfera soffusa, ottima musica e intrattenimento. Di giorno invece sembrava un qualunque caffè poco illuminato, caratteristica che lo rendeva un paradiso fresco in quel periodo dell'anno, ma decisamente accogliente e intimo.
Le pareti, il cui colore non ero mai riuscito e definire, si rivelarono essere di un verde acqua profondo con chiazze più chiare dipinte a regola d'arte. Sulle pedane delle ballerine erano state stese eleganti tovaglie intonate alle pareti e i divani neri di pelle erano spariti. Su tutto lo spazio disponibile, compresa la pista da ballo, era stati disposti dei tavolini con sedie e la postazione del barman trasformata in una normale cassa. Mi sorpresi persino nel riconoscere una delle cameriere, solitamente in minigonna e top (o anche senza), chiacchierare amabilmente con una famigliola indossando abiti molto più decorosi.
Seduto a uno dei tavolini l'irritazione mi montò dentro, stavo aspettando. Odiavo aspettare, in qualunque situazione, la puntualità era una caratteristica fondamentale che a quanto paro lo smidollato che mi aveva chiesto di uscire non aveva. Sospirai e chiesi a un cameriere di portarmi degli antipasti, per due. O il tizio si muoveva o per sua gioia avrei dovuto passare più tempo in palestra.
Finalmente Sander si presentò, affannato e rosso in viso, sedendosi con un sorriso al tavolo.
«Scusa, ho avuto un imprevisto al lavoro.» Poggiò la borsa e si guardò attorno in cerca del cameriere.
«Ah si? C'entra per caso con anziani, merda e incontinenza?»
Il sorriso scomparve, il viso parve sgonfiarsi come un palloncino, e i suoi occhi mi guardarono tristi. Non compresi perché non si fosse arrabbiato ma un sentimento pungente attacco dolorosamente i miei pensieri. Senso di colpa, quanto lo odiavo.
Un silenzio pesante scese sul tavolo e Sander chinò la testa impedendomi ancora di più di leggere le sue emozioni. Già erano seccanti gli occhiali, se poi voleva fare anche il prezioso faceva prima a mettersi un burqa. Il cameriere si avvicinò con i miei antipasti e si ritrovò a fissarci imbarazzato senza capire se andarsene o aspettare l'ordinazione del mio accompagnatore. Sander mormorò qualcosa di incomprensibile che però il giovane ragazzo parve capire, forse più che altro per spirito di conservazione. Annotò l'ordinazione e se ne andò velocemente.
Mi chiesi cosa dovevo fare. La sensazione sgradevole non se ne era andata e premeva sempre di più. Sander pareva trovare incredibilmente interessanti le proprie dita, e non mi forniva nessun aiuto mentre se le torturava. Erano entrambe poggiate sul tavolo e mi decisi ad agire, dopotutto la cosa più imbarazzante che potesse succedere era che uno dei miei amici mi vedesse con quel tipo. Grazie al cielo nessuno dei miei conoscenti frequentava quel genere di posto.
Protesi la mano e presi la sua, sorprendentemente fresca e sudata allo stesso tempo. Non mi sentii schifato dal sudore, che mi fece capire quanto fosse nervoso. Era una cosa divertente, sorrisi compiaciuto. Guardai dritto verso le lenti sperando in qualche modo di intercettare il suo sguardo.
«Senti, non volevo, era solo nervosismo. Cercherò di trattenermi.»
Lui ridacchiò nervoso. «No, in realtà ci hai quasi azzeccato... non importa, potrei farti perdere l'appetito. Non volevo davvero essere in ritardo, scusami tu.»
Mi domandai perché le presone come lui chiedessero scusa anche quando non erano in torto. Generalmente era una cosa che mi dava fastidio, era stupida e da deboli, ma non sembravo riuscire a percepire sensazioni sgradevoli nei suoi confronti, forse perché mi ricordava Olaf, il pupazzetto di neve di quel film sulla sorellanza che mi avevano costretto a guardare i miei nipoti.
Lasciai andare la sua mano e mi in mezzo i piatti con gli antipasti.
«Mangia e raccontami.» Lui sembrò voler protestare. «Sono ancora di buon umore, parla prima che inizi io con le pratiche e su quanto voglia infilare il mio capo nel trita-carte.»
Lui finalmente sorrise, per la prima volta da quando avevo parlato, e il suo viso divenne ancora più rotondo. Mi domandai se fosse effettivamente così morbido come sembrava ovunque e un misto di disgusto e aspettativa mi percorse la schiena. Il primo provocato da anni di scherno e la seconda per motivi che ancora non riuscivo a identificare. Mi spaventò.
«La signora della stanza 12, Di Pietri, si è sentita male e ha dato di stomaco. Ero uno dei responsabili di quel piano ed ero l'ultimo rimasto così non ho potuto fare altro che starle accanto. Poverina, adesso starà a letto per un po'.» Un'espressione di pura preoccupazione gli si dipinse in viso, percepii in bocca un gusto amaro.
«Ci sei affezionato? Sembra che ti importi.»
Ispirò sorpreso, pensandoci. «Si, mi preoccupa, non è ancora poi così tanto anziana. Non lo è sicuramente abbastanza da non convincere ogni volta metà del personale a giocare con lei, molto cocciuta. E fa spesso i biscotti, anche se non dovremmo li accettiamo, sembra sempre sfornarne per un esercito. Doveva essere molto bella da giovane e sua figlia le assomiglia molto, visita spesso con i nipoti. Credo che l'unico motivo per cui quella donna non sia a casa a vivere tra le cure dei parenti sia perché il genero non sopportava di averla attorno. Uomo stupido e poco attraente, egoista direi.» All'improvviso si blocco, anche se sembrava voler dire altro. Il suo viso assunse una smorfia e distolse l'attenzione da me. «Scusa, stavo divagando. Non voglio annoiarti con questi discorsi, avrò di sicuro perso molti punti nella tua classifica.»
«No di certo, è interessante. E poi cosa ti fa pensare che io abbia una classifica?»
«Ecco... mi sembri una persona che sceglie bene con chi avere a che fare.»
«Quindi, seguendo il tuo ragionamento, se sono ancora seduto qui significa che nella mia classifica tu non sia poi tanto messo male. È bello che ti piaccia il tuo lavoro.» E intendevo tutto davvero, mi interessava.
«Beh, si, molti credono che le case di riposo siano tristi, e a volte potrà anche essere vero. Ma ti assicuro che moltissimi di questi anziani sono ancora così pieni di vita che mi fanno invidiare la loro energia. Prendiamo ad esempio il signor Smittherson, ha una vita amorosa e sessuale più intrigante delle mia e tua messe insieme... Ok, forse questa informazione non ti serviva.» Un rossore intenso si diffuse sul suo collo. Gli piaceva proprio parlare.
«E come sai quanto è intrigante la mia vita sessuale?» Si, ero un po' sadico ultimamente, sopratutto con lui.
«Io, no, non intendevo. Solo che lui è davvero... Uffa, sei impossibile.» E gonfiò le guance rendendo la sua faccia ancora più rotonda se possibile, era così divertente.
Il cameriere ritornò con un vassoio pieno di cibo mentre lui era ancora tutto rosso. Solo allora mi ricordai che eravamo lì per un motivo e io non avevo toccato gli antipasti. Osservai curioso il piatto che mi veniva posto davanti, Sander con il suo borbottio doveva aver ordinato anche per me.
«Scusa se mi sono permesso, solo che vengo qui molto spesso e volevo farti provare alcune cose. Pago io.» Fu una cosa carina ma il suo tentativo di essere galante venne rovinato dal nervosismo nella sua voce e dal volto ancora rosso, ma io non riuscì a non sorridere.
«Non ti preoccupare, tendo comunque a essere indeciso in questo genere di circostanze. Mi hai tolto un peso.»
Sander mi sorrise incoraggiato.
«Comunque, mi stavi dicendo del tuo lavoro. Sembri molto dedito, ti piace lavorare tanto con gli anziani?»
La sua espressione divenne ancora più gioiosa, come se gli avessi fatto un regalo. Ma io stavo solo indagando.
«Si, le persone di una certa età hanno davvero tanta esperienza e anche nel caso di un cattivo carattere sono sempre interessanti da ascoltare.»
«Cosa intendi per cattivo carattere?»
«A volte sono davvero indisponenti, tendono a non mangiare o a prendere in giro. Alcuni sfociano nella cattiveria ma so che è solo perché si sentono in gabbia e io sono l'unico su cui possono sfogare la rabbia.» La sua espressione divenne dolce-amara.
«Devi essere davvero bravo se la pensi così, mia madre venne trattata peggio. Questo sabato è il suo... scusa, passiamo ad altro.» Al diavolo, non mi aprirò così con questo tizio al primo incontro. E ora che ci penso nemmeno al sesto, devo ricordarmi chi sono e chi è lui.
Si, pensieri decisamente stupidi e anche un po' snob ma come ho già detto l'uomo mi confondeva. Irradiava al contempo serenità e dolcezza ma anche agitazione, come se la mia presenza smuovesse il laghetto delle sue emozioni. Mi sentii ancora di più un idiota, quel tizio non era mica un acquario con dei pesci rossi e io non ho mai preso la licenza poetica.
Tanto per distrarmi e per sembrare una persona più educata di quanto non fossi assalii il cibo. Era stranamente buono per quel genere di posto e Sander aveva scelto davvero bene. Cominciavano ad irritarmi le sue molteplici abilità concentrate in un tale corpo. E in quel momento mi ricredetti, mi ricadde perfino il pollo nel piatto e io amo il pollo.
Sander si tolse gli occhiali per pulirseli con la maglietta e alzò lo sguardo verso di me. I suoi occhi erano una delle cose più belle che io abbia mai visto. Profonde pozze blu striate di ghiaccio, con ciglia non troppo folte e che davano ai suoi occhi una parvenza di stupore, come di un bambino che scopre il mondo. Delle rughette ai lati li rendevano ancora più espressivi e contraddittori e constatai due cose: sarei stato il primo molestatore al mondo di laghetti con i pesci e avevo la bocca spalancata. Ah, e Zoe mi stava chiedendo qualcosa.
Un attimo, Zoe? Che cosa c'entra... «Ah, ciao Zoe, come stai? Non sapevo frequentassi questo posto.»
Bene, il pulsante delle pubbliche relazioni del mio cervello si era riacceso.
«Ma Mark, sciocchino, è proprio quello che ho chiesto io.» Odiavo quando mi chiamava così. «Sono qui per la prima volta in effetti, mi ci ha portato Sander.» E lo indicai con la mano.
Con mio immenso dispiacere e anche sollievo per il mio cuore si era rimesso gli occhiali. Annuì in modo nervoso alla ragazza.
Zoe lo osservò con occhio critico, come qualcuno che passa accanto a un edificio ogni giorno ma si rende conto della sua esistenza solo in quel momento. Dopo diversi minuti si voltò verso di me con fare cospiratorio. Non credo si fosse resa conto di averlo messo a disagio.
«Oh, so chi è lui, è quel tipo che aiuta gli anziani. Davvero molto dolce, peccato per il fisico.» Mi resi conto che erano le stesse mie parole e gli stessi pensieri ma un fiotto di gelo si riversò nelle mie vene, la furia mi invase. Fui sbigottito io stesso quando la afferrai per il polso e la tirai giù ancora più in basso verso di me. Si sarebbe concluso tutto molto male nel giro di poco se la conclusione non fosse già arrivata. Sceglievo i miei amici in base a un criterio, e non era l'intelligenza. Sapevo di essere superficiale ma era più semplice così, o almeno era quello che pensavo fino a quel momento.
Se Cloe fosse stata mia amica per ragioni diverse dal suo lignaggio o l'adattabilità, il suo sussurro di sprezzo sarebbe effettivamente stato un sussurro. E invece no, Sander aveva sentito tutto, gli si era dipinto il panico e la vergogna in viso ed era fuggito. Inutile dire che io non riuscì a raggiungerlo, anzi nemmeno di alzarmi dalla sedia. Ero uguale a lei e non avevo il diritto di dire niente.

Inutile dire che i pranzi dei giorni successivi non li passai con lui. E anche che passai un tempo spropositatamente lungo in palestra. Davanti alle vetrate. A fissare la casa di riposo.
Era un circolo vizioso di pensieri: sono uguale a loro, devo scusarmi, non se lo merita, lui è diverso, sono un idiota e non mi piacciono tipi come lui... NON MI PIACCIONO I TIPI, ma chi voglio prendere in girio, lui avrebbe trattato meglio mia madre, Sander, Sander, Sander...
In poche parole potevo essere tranquillamente io lo stalker tra i due, e qualcuno doveva spiegare al mio cervello che non tutte le parole con la S erano necessariamente il suo nome. O con dentro la A, o la D, e nemmeno la M dopo la quale c'era la N. Le persone non avevano inventato un nuovo modo di parlare.
Ma ammettiamolo, che possibilità avevo che mi perdonasse, mi ero comportato male con lui. E nonostante tutto era stato tenace, mi aveva incantato con la sua gentilezza e un solo pranzo. Un odioso ritardo e uno sguardo mozzafiato. Stava diventando un'ossessione.
Non ci eravamo scambiati il numero di telefono e non potevo irrompere in una casa di riposo. Inoltre, per peggiorare ancora di più la mia depressione, Zoe non tenne la bocca chiusa. Non so esattamente che cosa disse in giro ma di certo niente di buono, quando passavo nei corridoi degli uffici o vicino a certi gruppetti al pub le iene ridevano. Alcuni gridarono anche commenti su come fossi caduto in basso o di visite oculistiche. Ma la cosa strana è che non mi feriva, non mi importava, era tutto solo molto triste. Mi sembrava di essere cambiato, che il mondo fosse cambiato, ma i miei amici erano gli stessi. Non percepivano il mutamento, non li capivo più. Non mi capivo.

Parte del segreto dell'autoconservazione è non perdere la routine, bisogna continuare a ripetere le stesse cose di un tempo fino a che la famigliarità non prende il sopravvento e non ci si sente di nuovo normali. Non mi ricordai bene chi lo avesse detto in quale libro, ma da qualche parte l'avrò presa questa stronzata. Mi domandai di quale codardo dovevo dissotterrare la tomba per quella stupida perla di saggezza. A patto ovviamente che fosse già morto, perché avevo giurato a me stesso che le case di riposo non si toccavano. Sarebbe stato protetto il bastardo.
Il George era affollato il sabato sera, le luci stroboscopiche mandavano riflessi rossastri sui corpi ammassati che ti muovevano sinuosi sulla pista da ballo. L'effetto era quello di tante piccole fiammelle che lottavano per farsi notare in un forno gigante, e ne aveva anche il calore. Aggiunsi un altro nome alla mia lista: il tizio che aveva deciso l'assenza arbitraria dell'aria condizionata dentro alla maggior parte dei pub.
Attorno a me sui divanetti era seduta la solita compagnia, che faceva le solite chiacchiere e e beveva le solite costose bevande. Desiderai ardentemente che irrompesse di nuovo un Sander impacciato per trascinarmi via mentre Zoe faceva scivolare la mano in un posto davvero poco interessato.
E quando pensai che peggio non poteva andare il peggio accadde. Tutte le luci si spensero facendo cadere in un panico eccitato la maggior parte della clientela mentre si sentivano rade voci urlare di vero panico. La musica si spense e tre delle luci si riaccesero accecandomi.
Non appena i miei occhi smisero di bruciare mi accorsi che queste erano puntate proprio verso di me e una lenta e dolce musica iniziò a diffondersi tra i presenti confusi. Una grande torta su un carrello si dirigeva verso di me e quando si fermò un uomo impacciato e con gli occhi bassi ne uscì dietro. Prima che potessi capire qualunque cosa lui si profuse in un piccolo discorso sconclusionato.
«Ecco... So di starti di nuovo mettendo in imbarazzo e probabilmente questa cosa te la ricorderai nei secoli e racconterai ai tuoi nipoti di come un grassoccio tizio gay ha fatto una torta per tua madre.» Prese fiato. «Lo avevi solo accennato ma sembrava un fatto importante e io me ne ero andato in quel modo maleducato. Non dovevo prendermela, non lo hai detto tu, anche se probabilmente lo pensavi. Ma non dovevo davvero andarmene e sono stato io a implorarti una possibilità che ho rovinato del tutto. Adesso, questa cosa oltre a metterti in imbarazzo potrebbe anche farti arrabbiare, forse ho male interpretato. Volevo solo chiederti scusa per il disturbo e come ti ho fatto sentire con la tua amica, e per il ritardo,... e adesso puoi anche colpirmi o tirarmi questa cosa in testa.»
Alcune risatine divertite si levarono dai presenti, molte ragazze fecero quel verso odioso di quando vedono un gattino coccoloso. Io non me ne curai, avevo tra le mani la cosa più tenera di tutte e me la sarei portata a casa. I miei occhi erano umidi.

Non appena chiusa la porta del mio appartamento ci spinsi Sander contro scacciando via il gatto. Probabilmente gli feci anche un po' male perché squittì ma mi importò poco, premetti le mie labbra contro le sue. Erano incredibilmente morbide ma la barba attorno mi ricordò che non stavo baciando una donna. Mentre cercavo l'accesso alla sua bocca qualcosa spinse contro il mio torace. Capì che qualcosa non andava e allentai la presa allontanandomi di poco. Il mio respiro era irregolare come il suo e i due suoi di fusero in un'armonia eccitante mentre lui cercava di balbettare qualcosa.
Ne capii solo poche frasi: «N-non così, piano... non scappo, non sono pronto per farlo così.»
Compresi che dovevo essere meno egoista, essere più delicato, lui non era come le altre con cui ero stato.
«Scusa tesoro, sono stato troppo violento. Possiamo riprovare?»
Lui annuì piani e mi piegai su di lui, catturando tra le mie le sue labbra tremanti. Accarezzai le sue gote e saggia con il pollice la morbida ruvidezza dei peli sotto il labbro.
Chiesi di entrare dentro a quel bocciolo dolce, lo tentai leccando finché con esitazione non lo schiuse. Mi allontanai quel poco che bastava per guardarlo e sorrisi di piacere. Lo avevo sconvolto.
Intreccia le sue dita alle mie e lo tirai un poco, mi seguì strisciando i piedi. Ci dirigemmo piano verso la mia camera da letto e arrivati lì lo spinsi a sedersi sul copriletto. Avvicinai le mai al suo viso e sfilai rapidamente gli occhiali. Lo spettacolo più bello si aprì davanti ai miei occhi.
Le profondità più nascoste mi fissarono piene di stupore e desiderio, le guance erano arrossate e aveva il fiato corto.
«Hey, non ci vedo!» Si allungò nel tentativo di riprenderseli. Li appoggiai sul comodino più vicino.
«Quanto è poca la tua vista?»
«Tanto, non ci vedo a un palmo dal naso.»
Ridacchiai. «Non ho intenzione di starti così lontano.»

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