Comunque, piccola precisazione: il David che ad un certo punto (ed in maniera assolutamente peculiare) potrete rinvenire all'interno della narrazione è David Bowie u_u E' un dato di importanza non fondamentalissima, ma io lo specifico per personale pignoleria (l'ho infilato solo perchè si parla pur sempre di Glam Rock... E anche perchè Bowie è il bene anche nei suoi cammei <3).
E ora vi lascio in pace xDDDDD... Enjoy!
Man Anachronism
Il dottor Mosley lasciò planare il foglio sulla superficie
lucida dello scrittoio in mogano, osservandolo atterrare con un fruscio
su altre carte ordinatamente impilate su di esso.
Lo studio quel giorno era tetro, triste. Forse dipendeva dal temporale.
Ogni tanto qualche lampo illuminava l’ambiente, come il flash
di un fotografo, ma per il resto al di là del vetro
c’era solo una ricca gamma di sfumature di grigio,
dall’antracite dell’asfalto stradale al lilla
plumbeo delle nubi temporalesche.
Era una giornata da spendere a casa, e questo forse lo aveva capito
anche il paziente che aveva disdetto il suo appuntamento
all’ultimo minuto : persino la sua segretaria non se
l’era sentita di sfidare il proprio raffreddore, esponendolo
ad un simile nubifragio.
E chi se la sentiva di darle torto, si disse il dottor Mosley, cercando
il fazzoletto nella tasca della giacca per soffiarsi il grosso naso
arrossato.
Con quella sinusite che si ritrovava, l’unico posto al quale
anelava era quello accanto al caminetto del suo appartamento, a
sorseggiare il latte e cognac preparatogli dalla moglie.
Starnutì, l’ennesimo starnuto di quella tremenda
giornata, e attraverso il sonoro “etciù”
che era fortunatamente riuscito a soffocare nel fazzoletto
udì un colpo leggero alla porta dello studio.
L’uomo attese qualche secondo, ma non sentì altro.
Meraviglioso, ci mancavano solo le allucinazioni uditive.
Era proprio ora di piantare baracca e burattini, e correre a casa.
Mentre si stava alzando con cautela sulle sue ginocchia gravate dal
peso degli anni e del ventre prominente, un colpo più forte
risuonò nella stanza.
C’era proprio qualcuno.
Stringendo senza un perché il lucente tagliacarte posto ad
uso decorativo sulla scrivania, l’uomo esclamò : -
Avanti!-
Il pomello ruotò, scattando seccamente subito dopo, e la
porta si schiuse lasciando entrare il visitatore inatteso.
Un ragazzo dall’apparente età di
vent’anni, basso e piuttosto magro, con uno strambo caschetto
di capelli neri ad incorniciargli il viso pallido e delicato.
Un giubbotto imbottito nero punteggiato di macchioline scure di pioggia
gli pendeva largo attorno al corpo smilzo, rivestito di una maglietta e
di pantaloni stretti, entrambi dello stesso color carbone.
Un personale piuttosto stravagante, senza alcun dubbio.
Il giovane alzò lo sguardo sul volto del dottor Mosley,
indicando vagamente un punto dietro di sé : - Il portoncino
era aperto… Non ho suonato per questo.-
Quel portoncino doveva essere riaggiustato da secoli, pensò
il più anziano accigliandosi.
Poi, recuperando l’abituale aplomb, sorrise bonariamente al
nuovo arrivato : - Non si preoccupi… Anzi, si sieda.-
Invece della sedia che l’uomo gli aveva implicitamente
offerto, il ragazzo puntò deciso una delle due poltrone in
pelle dello studio, accoccolandosi su di essa con disinvoltura e
appendendo allo schienale il giubbotto.
Stupito, il dottor Mosley commentò : - Ah… Va
bene.-
Si sedette dietro la scrivania, ed attese che il ragazzo esplicitasse
il motivo per il quale si era recato da lui.
Non ricordava di averlo mai visto prima, e la sua voce gli era
sconosciuta.
- Posso togliermi le scarpe?-
L’uomo si destò dalle proprie congetture.
– Come, prego?-
- Posso togliermi le scarpe? Non vorrei rovinare la pelle.-
spiegò il giovane, battendo un colpetto sul bracciolo della
poltrona sulla quale si era comodamente rannicchiato.
Sempre più perplesso, il dottor Mosley acconsentì
con un breve cenno del capo.
Mentre il suo ospite si affaccendava silenziosamente a slacciarsi gli
anfibi, lo psicanalista lo scrutava apertamente, senza resistere alla
propria curiosità.
Quando l’operazione fu completata, il ragazzo finalmente
degnò di un minimo d’attenzione
l’interlocutore, sospirando : - Ok… Veniamo al
dunque.-
Il più anziano poggiò gli avambracci sul ripiano
dello scrittoio, incoraggiandolo : - Mi dica.-
- Credo di essere la reincarnazione di una rockstar appartenente al
periodo del Glam Rock.-
Il dottor Mosley guardò quella pallida, minuta figuretta
rannicchiata informalmente sulla poltrona : le ginocchia puntute ben
strette al petto e trattenute dalle braccia esili, gli occhi verdi fin
troppo grandi che lo fissavano con eccezionale fermezza.
Nonostante l’esperienza accumulata con gli anni, di fronte a
certi soggetti non poteva fare a meno di meravigliarsi.
Sfilandosi accortamente gli occhiali e stringendo i polpastrelli di
pollice e indice contro l’attaccatura del naso, lo
psicanalista cercò di non sembrare troppo scettico
– o derisorio : - E in base a cosa lo ritiene,
signor…-
- Molko.- annuì il giovane, riavviandosi poi i capelli
scivolatigli di fronte agli occhi. – Mi chiamo Brian Molko.-
- Bene. Dicevo… - commentò il dottor Mosley,
alzandosi dalla scrivania con lentezza ponderata e iniziando a misurare
il pavimento dello studio a grandi passi.
- … cosa le fa pensare di racchiudere in sé lo
spirito di una rockstar defunta, signor Molko?-
Il giovane strinse gli occhi, come fosse irritato dalla lieve
irriverenza del tono adottato dal medico, e replicò : - Se
mi promette di ascoltarmi senza pregiudizi e senza gironzolare per la
stanza, le racconterò tutto.-
Aveva un bel caratterino, lo scricciolo.
Divertito da quella considerazione, e tutto sommato dalla situazione in
toto, il dottor Mosley si accomodò sulla poltrona posta in
posizione speculare rispetto a quella occupata da Brian, invitandolo
con un cenno della mano ad iniziare il proprio racconto.
Posando i piedi a terra, il giovane restò per qualche
secondo in silenzio, raccogliendo probabilmente le idee delle quali
servirsi allo scopo di suffragare la propria tesi.
Sorrise, ironico. – Mi sa che sarà una storia
lunga.-
Lo psicanalista scrollò le spalle. –
L’importante è che sia anche interessante.-
Gli occhi del ragazzo riflessero il bagliore di un lampo improvviso al
di fuori delle finestre.
- Non credo che la deluderò, in quel senso.-
- Non disperdetevi,
ragazzi! Rimanete dove gli insegnanti possano vedervi!-
- Porca
miseria… Ma pensano davvero che siamo tanto stupidi da
perderci dentro al teatro?- commentò Miles Davidson, dando
di gomito al ragazzo accanto a lui.
Brian fulminò
il compagno con un’occhiata gelida, distanziandosi cautamente
da lui.
- Oh, scusa…
Tu sei quello che non vuole essere toccato da noi comuni mortali.- lo
apostrofò sarcastico Miles, passandosi una mano grassoccia
fra i ricci capelli rossi e muovendo qualche passo in avanti per
ascoltare di cosa la professoressa discorresse.
-… un teatro
molto famoso, che ha ospitato nel corso degli anni le esibizioni di
diversi grandi artisti…-
L’enorme
facciata dell’edificio si articolava in piccole guglie
sottili ed arzigogolate, il quale ruolo appariva
esclusivamente volto a creare un effetto di lussuosa
solennità, ma apparendo agli occhi di Brian solo come
pesanti ed eccessivamente vistose.
In fin dei conti si
trattava di un teatro, che bisogno c’era di attribuirgli
quell’aria da chiesa barocca?
Il gruppo della sua
classe si incamminò lentamente verso l’entrata ;
percorsero due rampe di eleganti scale in marmo bianco, prima di
arrivare alla sala dei concerti.
- … e questa
è la famosa sala, della quale le mai abbastanza decantate
qualità di rifrazione del suono…-
…
contribuivano a propagare l’irritante voce
dell’insegnante in tutto il luogo.
Distratto dalla
solitaria esplorazione che stava portando avanti, Brian si
ritrovò di fronte al palcoscenico in penombra, attratto
dalle cortine di polveroso velluto porpora tirate ai lati di esso,
dalla nappe dorate che pendevano alle loro estremità.
Senza motivo,
posò un piede sul primo dei sei scalini che portavano sul
palco, riflettendo vagamente sulle centinaia di calzature famose e meno
famose che avevano calcato la scena del posto in questione ;
in quel momento si sentì afferrare da quattro mani energiche
e decise.
- Che
diavolo…!- proruppe in un urlo soffocato di sorpresa,
ricevendo come risposta due risolini maliziosi.
- Tranquillo, non ti
facciamo nulla…- sussurrò una voce che Brian
riconobbe proprio come quella di Miles Davidson, e un'altra
ancora fece eco : -… ma pensavamo che ti sarebbe
piaciuto esibirti davanti a noi, cara la nostra primadonna snob del
cazzo…-
Lo avevano trascinato
sul palco, spintonandolo e ridacchiando divertiti della sua palese
irritazione.
- Davidson! Ramsay!
Molko! Che state facendo?-
I due giovani energumeni
si bloccarono, congelati dal richiamo perentorio della professoressa, e
quasi in coro mugugnarono sommessamente : - Scusi, prof…-,
iniziando a scendere dal palco.
- Ehi… Ma che
gli prende?-
- Starà male?-
- Ma no, sarà
uno dei suoi attacchi di protagonismo…!-
L’insegnante
della classe si avvicinò al palco, ammutolendo con un cenno
della mano i commenti degli alunni e domandando con tono circospetto :
-… Molko? Che succede?-
Ma Brian non rispose.
In seguito di
quell’esperienza avrebbe ricordato solo qualcosa
legato… Ad un gran rumore in testa, e ad una grande luce
proveniente dal soffitto.
Applausi? Erano applausi
quelli?
Mentre cercava di
vederci chiaro in quella faccenda, non riusciva a muoversi dalla
posizione centrale che aveva assunto sul palcoscenico.
I piedi si erano fatti
di piombo, la fronte si era imperlata di sudore freddo.
Poi, senza un
perché, sorrise, e di fronte agli sguardi sconvolti dei
compagni di scuola e della professoressa si piegò in avanti
in un profondo ed aggraziato inchino.
Il dottor Mosley fissò il giovane, meditando sul racconto
appena conclusosi.
- Ebbene?- sillabò alla fine, stiracchiandosi appena appena
le gambe .
Riuscì a guadagnarsi un’altra occhiataccia da
parte di Brian : - “Ebbene” cosa, scusi? Non le
sembra un fenomeno un po’ strano?-
Ridacchiando, lo psicanalista si passò una mano sulla
fronte, replicando : - Potrebbe essersi trattato di un attacco di
panico, di un abbassamento di pressione…-
- Ma io ho sentito gli applausi!- protestò con veemenza
Brian, enumerando con le dita : - Gli applausi, il riflettore,
l’inchino… Ho sentito tutto come se
fosse… Familiare, ed estraneo al tempo stesso.-
Ributtandosi all’indietro contro lo schienale della poltrona,
il ragazzo affermò con tono quasi di sfida : - Pensi quello
che vuole, ma io non ero più io, dottore. C’era
qualcun altro, con me. E non mi riferisco a quei decerebrati dei miei
compagni di classe.-
- Senta, signor Molko… Io sono qui per aiutarla, ok?-
cercò di ammansirlo il dottor Mosley, nonché di
farlo ragionare : -… ma un singolo episodio risalente ad una
gita scolastica al liceo non può veramente…-
- Un singolo episodio? Pensa davvero che la faccenda sia tanto
semplice?- lo interruppe Brian, sfoderando un sorrisetto sarcastico e
furbo.
- C’è dell’altro?- si informò
il più anziano dei due, nonostante non fosse più
tanto sicuro di voler avere a che fare con quel piccolo folle scalzo e
scorbutico che si ritrovava in studio.
- Devi proprio uscire
con Patsy, stasera?- mugolò frustrato Brian
all’indirizzo di Barry, che stava finendo di innaffiarsi con
la sua colonia preferita in camera sua.
Il fratello gli
gettò una breve occhiata, prima di passarsi la lingua sugli
incisivi con il naso a pochi centimetri dallo specchio
dell’armadio : - Mi spiace di lasciarti da solo con mamma e
papà stasera, ma ho promesso a Patsy che l’avrei
portata in un posto speciale…-
Non sapendo bene cosa
fare, Brian si gettò a peso morto sul letto di Barry,
chiudendo gli occhi e pronunciando indifferente : - Ah, vale a dire che
stasera andrete fino in fondo.-
L’altro
arrossì, sempre rimirandosi allo specchio : - …
forse, forse.-
Abbracciandosi
strettamente il cuscino Brian si tirò a sedere, esclamando
indignato : - Non posso credere che stasera dovrò starmene
in casa a far finta di essere felice di dividere il tetto con loro
quando voi due vi darete alla pazza gioia!-
- Magari se avessi degli
amici con cui uscire il venerdì sera non saresti costretto a
cotanto abominio…- ribattè pungente Barry, e
Brian incassò senza proferir parola, ben sapendo che il
fratello non aveva tutti i torti.
Nonostante
ciò, quest’ultimo gli si avvicinò,
chinandosi a sollevargli il mento con un dito e sorridendo : -
Ehi… Ti prometto che se stasera le cose andranno in porto
con Patsy domani festeggeremo con un uscita fra soli uomini, intesi?-
- Va bene… -
acconsentì fievole Brian, mentre dopo avergli assestato un
buffetto sulla testa Barry usciva dalla stanza per andare in garage a
prendere la macchina.
Sua madre era
giù in soggiorno a guardare un film, suo padre stava
leggendo nel suo studio.
Che magnifico ritratto
familiare, pensò Brian leggermente sprezzante, salendo le
scale per andare in bagno.
Ecco, la prospettiva di
stare a mollo per mezz’ora in una profumata nuvola di
bollicine e acqua calda non era per niente sgradita.
Si svestì
velocemente, e aprì il rubinetto della vasca da bagno.
Mentre aspettava, si
guardò allo specchio con attenzione acuita dalla voglia di
trovare un passatempo decente.
Si passò le
dita sugli zigomi, scrutando il colore delle proprie iridi
attentamente, disegnandosi con un dito il profilo del naso fino ad
atterrare sulla fossetta al di sotto di esso, proprio sopra le sue
labbra.
Distolse lo sguardo dal
suo riflesso a fatica per controllare il livello dell’acqua.
Perfetto…
Mancava solo il bagnoschiuma.
Aprì
l’armadietto accanto allo specchio, e il suo sguardo fu
attirato dalla familiare vista di un astuccio color azzurro penetrante.
Lo afferrò e
fece scorrere la zip, svelandone il contenuto.
Il beauty-case di sua
madre.
Subito riconobbe il
rossetto color carminio che soleva darsi sulle labbra tutti i
giorni – tranne la domenica, perché
andare a messa con le labbra rosse era irrispettoso.
Curioso, Brian
roteò la base del tubetto, osservando il cilindro consumato
di cosmetico venir fuori dalla sua custodia di plastica.
Era un bel colore.
Il ragazzo
avvicinò il naso all’oggetto.
Aveva anche un buon
odore, un odore che non aveva mai sentito, forse
perché soffocato dal pessimo profumo francese che sua madre
amava tanto – o forse perché erano anni che lei
non gli dava un bacio.
Si guardò di
nuovo allo specchio, e considerò di aver ripreso la forma
della bocca proprio dall’ “adorata”
genitrice.
E come se fosse un
gioco, un divertissement come un altro, Brian vi passò il
rossetto con cura, ma con aria assente e gesto meccanico, che sapeva di
routine consolidata.
In virtù di
quel senso di già vissuto, rovistò nel
beauty-case, trovando una matita nera e il tubetto del mascara e
cominciando a pittarsi gli occhi con tranquilla
professionalità, canticchiando qualcosa nel frattempo.
Quando ebbe finito la
sua opera, il volto che gli si presentò davanti gli diede un
senso di vertigine.
- Non piacerà
al pubblico… - mormorò affranto allo sconosciuto
nello specchio.
- E non
piacerà neanche a lui… A lui non piace tutto
questo nero.-
Si accorse di stare
piangendo solo quando vide l’estraneo con le guance inzuppate
di mascara colato.
- Mi sta dicendo di non aver riconosciuto il suo volto?-
articolò confuso il dottor Mosley, e Brian lo corresse
atono, lo sguardo fisso in un punto imprecisato della stanza : -
No… Non era proprio la mia faccia. E tutto quello che
riuscivo a fare era piangere, e dirmi che a lui tutto quel trucco scuro
attorno agli occhi non sarebbe mai piaciuto…-
- “Lui” chi?- chiese lo psicanalista, sempre
più perplesso di fronte agli sviluppi che stava prendendo
quella stramba storia.
Brian gli puntò di nuovo gli occhi verdi addosso,
rispondendo quieto : - Lui… David.-
Era in ritardo, come
sempre.
Il solitario
palcoscenico del teatro navigava in un buio denso ed avvolgente, ed un
solo, bianchissimo fascio di luce si preoccupava di discioglierne la
cupa omogeneità.
Un pianoforte a coda era
tutto ciò che faceva compagnia ad un uomo, ritto ed immobile.
Avvicinandosi
percorrendo lo stretto sentiero fra le poltroncine della platea, Brian
si sentì rabbrividire.
L’uomo lo
guardava con vuota impassibilità, le braccia conserte e la
testa inclinata da un lato in un gesto che sarebbe potuto risultare
quasi vezzoso, se non fosse stato accompagnato da uno sguardo tanto
rigido nella propria freddezza.
Brian salì le
scale che portavano sul palco cautamente, come se il minimo rumore
prodotto da un suo passo potesse provocare una reazione inconsulta da
parte dell’altro.
- Una primadonna. -
scandì quest’ultimo all’improvviso,
scuotendo il capo senza smettere di fissare il giovane, che lo
ricambiò con un silenzio confuso.
- … sei una
dannata primadonna in tutto e per tutto, compresa questa tua abitudine
di farti attendere.-
Allora aveva ragione
prima… Era davvero in ritardo.
… per cosa,
però, rimaneva un mistero.
- Mi spiace, David.- si
sentì mormorare Brian, quasi non riconoscendo la propria
voce.
Quel timbro suonava
estremamente familiare al suo orecchio, nonostante fosse certo di non
averlo mai sentito prima.
E però era
suo. Indubbiamente suo.
- Ti prego…-
lo motteggiò David con tono languido, gli occhi rivolti al
cielo. -… le scuse proprio non ti si addicono.-
Sedendosi al piano,
David gli voltò le spalle, iniziando a suonare.
Conosceva quel motivo. O
forse no.
Forse Brian non lo conosceva… L’altro sì.
Ed infatti le parole che
gli sovvennero erano talmente nuove e fruste allo stesso tempo che si
sentì preda di un capogiro, cercando con tutte le forze di
non svenire.
David se ne accorse, e
smise di suonare.
- Che ti succede? Stai
male?-
Senza attendere una
replica l’uomo si alzò in piedi, raggiungendo
Brian e sorreggendolo per le spalle.
- Ehi? Va tutto bene?-
Brian riuscì
ad annuire debolmente, ancora frastornato.
Si sentiva stanco,
all’improvviso, e avvertiva una sensazione sorda non
riconducibile a niente che avesse già sperimentato in
passato risalirgli dal ventre ad ondate regolari.
Poi quella sensazione fu
cancellata - o almeno messa da parte - da un'altra ancora, ben
più piacevole.
Se sentirlo suonare era
stato stordente, baciare David era come tornare a casa e trovarla a
soqquadro.
Era ancora il posto caro
di sempre, ma ogni oggetto aveva perso la propria posizione di
partenza, andando a far parte di un caos indistinto e disturbante.
Nonostante
ciò, Brian rispose al bacio come era solito fare –
cioè, come era solito fare l’altro.
Le mani di David intanto
erano risalite lungo i suoi avambracci, portando con loro la stoffa
della camicia adorna di fronzoli che indossava il ragazzo e
arrotolandola grossolanamente poco sopra i suoi gomiti.
Interruppe il suo bacio,
e afferrò un polso di Brian, esponendo l’interno
del suo braccio alla luce dei riflettori.
Incuriosito, anche il
giovane si sporse a dare un’occhiata a quanto messo in mostra
dall’altro.
L’incavo dei
suoi gomiti era liscio, bianco, tranne per le sottili striature blu
delle sue vene sotto l’epidermide sottile… E due
puntini rossi, uno a poca distanza dall’altro.
David non disse nulla.
Scosse il capo, sospirando, e rimise le maniche della camicia al loro
posto.
Mentre questi si
dirigeva dietro le quinte del palcoscenico, quasi fondendo la propria
figura nel buio di esse, Brian gridò : - Sto cercando di
smettere… David! David, sto cercando di smett…!-
Poi il dolore
all’addome cancellò ogni sua volontà di
richiamare a sé il compagno ; si accasciò a
terra, digrignando i denti e gemendo debolmente.
Quel male tremendo
adesso aveva un nome : astinenza.
- Questo è stato il risultato della mia prima e ultima
seduta d’ipnosi.- terminò il racconto con piglio
asciutto Brian.
Si alzò, mettendosi a cercare qualcosa nelle
tasche del giubbotto ; tirò fuori un pacchetto di sigarette,
e dopo che glielo ebbe chiesto il dottor Mosley accordò il
permesso al ragazzo di fumare.
Mentre Brian soffiava una nuvola di fumo con metodica accuratezza,
l’anziano psicanalista cercava invano delle risposte
all’enigma che quel suo improvvisato paziente era venuto a
fornirgli in quel giorno di pioggia.
Una reincarnazione… Ma lui a quelle cose non aveva mai
creduto!
Eppure, quel testardo ragazzino era riuscito a mettergli in testa
strani concetti e strane domande alle quali sentiva di non poter dare
una risposta razionale.
Nonostante ciò, decise di dar voce alla più
semplice di esse : - Come mai “prima e ultima”?-
Brian si sporse a scuotere la cenere dalla sommità della
sigaretta nel posacenere che l’altro gli aveva fornito : -
Perché ho avuto paura. Più paura di quanto
credessi.-
Continuò, pensoso : - E poi… Non lo so. Non credo
che il senso di queste esperienze sia guardare al passato
dell’altro…
Ma al futuro. Il mio futuro.-
Probabilmente notando l’espressione poco convinta del
dottore, Brian spiegò con calma : - Vede, io ho intenzione
di mettere su una band. Ho due amici… Non vedono
l’ora di iniziare a fare qualcosa di serio, come me. Mi sono
rotto dei localini dove ti pagano in consumazioni. Voglio sfondare,
voglio essere qualcuno. Perché, vede, io credo che
l’altro aspiri a questo. Credo voglia tornare sul
palco…-
Spiaccicò il mozzicone con il pollice contro il fondo del
posacenere, abbassando il tono di voce : -… magari da David.-
- Dunque… Non intende cominciare un trattamento…?-
mormorò il dottor Mosley, e Brian sorrise : - No.-
- Ma perché allora è venuto a raccontarmi questa
storia, se non desiderava il mio consulto?- sbottò irritato
lo psicanalista, sentendosi preso in giro ; in tutta risposta, Brian
scoppiò in un’allegra risata : - Perché
se lo raccontassi a Stef o Steve mi prenderebbero per matto! E visto
che lei – e gli altri suoi colleghi ai quali ho confessato il
mio “segreto” - con i matti siete abituati a
trattare, non ho paura di sfogarmi. Perché ogni tanto ne ho
bisogno… È come se mi portassi addosso un peso, e
devo parlarne con qualcuno, a volte.-
Infilandosi il giubbotto ancora umido, Brian si congedò
cortesemente : - La ringrazio di averci ascoltato. Non so se
l’altro sia d’accordo, ma io l’ho trovata
molto disponibile e gentile… Non come quello che mi aveva
proposto l’elettroshock, per dire!-
Infilando l’uscio, si voltò un’ultima
volta per dire : -… e ascolti la radio, nei prossimi
mesi… Potrebbe captare una voce familiare,
chissà.-
Il dottor Mosley restò con gli occhi incollati alla porta
dello studio per molto tempo, prima di alzarsi ed infilarsi il
soprabito in tutta fretta, desideroso di tornare a casa al
più presto.
Ne aveva abbastanza della sua professione, per quel giorno.