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Autore: Eiko Quinn    20/07/2015    0 recensioni
"In un'altra mezzanotte, d'altri tempi, stanco e affranto, poiché sono certo che, fino a pochi istanti fa fosse mezzogiorno, ricevetti una visita peculiare, in sogno; forse fu il sogno ad essere peculiare, e non la visita, almeno, così pensai.
Ma poi, parlò. Ed io piansi."
Saga di Gemini e Madonna Solitudine.
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Shion, Gemini Saga, Saori Kido
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Pioveva, quel giorno. Pioveva su Atene, pioveva nel cuore. Piove spesso, ultimamente, quando il tuo male è la solitudine. Non la solitudine amica, quella in cui ti rifugi per non essere ferito, ma quella soffocante e malvagia che ti porta a rinchiuderti, in te stesso e nei tuoi mondi; ecco, quella, Madonna Solitudine ama essere chiamata, quel giorno era tornata a fargli visita.

Saga stava guardando fuori dalla finestra. Con la precisione pittorica di un artista e osservatore, diremo che Saga stava studiando ciò che avveniva fuori dalla finestra, fuori da casa sua. Fuori dal mondo, quindi.

Quel giorno, indossava un'elegante veste da camera borgogna, mentre i capelli, liberi, dipingevano un'impressionistica cascata sul suo corpo.

Si sentiva solo, quel giorno. La pioggia cadeva, e lui rimaneva; l'acqua scorreva, e lui non mutava. Si sentiva triste, quel giorno, ma non piangeva: neanche le lacrime provavano compassione per il suo cuore.

“Sì?”, fece, quando, alla porta, bussarono.

Tutti noi abbiamo ben presente quelle grigissime giornate nelle quali non accadrà nulla, in alcun modo, dovessimo pregare; Saga si aspettava di sentire la voce di nessuno di grado superiore al fattorino delle consegne, poco ma sicuro.

Raramente aveva dovuto ammettere di essersi sbagliato così tanto.

“Saga”.

Tacque, immobilizzandosi. Si convinse di essere ancora sotto l'influsso malefico di sostanze ed incensi psicotropi, mentre il suo visitatore varcava la soglia, nonchalante, solido.

Saga deglutì, con discrezione. Era lì, al confine. Come sempre. Era sempre sul confine del troppo o del niente.

“Sei... tu?”, emise Saga, flebile, timido, quasi.

L'altro annuì. “Sono sempre stato io”.

L'uomo, di bianco vestito e dal volto celato, si mosse per la stanza di Saga quasi danzando, scegliendo e soppesando le zone migliori.

“Allora, Saga, possiamo sederci qui?”.

Saga annuì, ciocche bionde scomposte che si arruffavano sul petto ormai nudo, poiché, si sa, le vesti da camera non hanno un gran potere celatore.

Entrambi sedettero. Entrambi tacquero.

Si guardarono, e a lungo, anche. Nessuno parlò prima che l'orologio sul tavolino ricordasse ad entrambi che erano trascorsi trentadue minuti.

“Saga”, iniziò, nonostante l'evidente reazione provocata dalla sua voce in Saga. “Sai cosa sta accadendo, non è vero?”.

Saga sorrise, sghembo e disperato. “Certo che lo so. Sto sognando, dopotutto, no?”.

L'uomo in bianco rise. Rise d'una risata cristallina, ma profondamente malinconica. Bella. Decisamente bella.

“Può essere”, ammise, infine, riacquistando il self-control che l'aveva distinto fino ad ora... almeno in apparenza.“Ma non è detto. Tu cosa ne pensi?”. E, di nuovo, sorrise amaro.

“Io gradirei essere lasciato alla mia solitudine. Cosa stia succedendo lo ignoro. Lasciata ch'io torni a dormire, e voi tornate alla notte da cui provenite.”

L'uomo guardò la finestra. Curioso: non più tardi di appena trentadue minuti prima, c'era il sole eccome. Era giorno, pieno giorno. Ora, la notte maligna, la notte sua sposa.

“Saga”, proseguì l'altro. “Tu proprio non capisci. Sono venuto qui per parlarti di un fatto importantissimo, sai?”.

“Parlatemene, dunque. Aspetto.” Saga si sistemò sulla poltrona, pronto a cogliere il frutto, dorato o marcio che fosse.

“Saga, tu sai che io ho visto molto. Anni e anni trascorsi su questo mondo, e durante questi anni ho visto sorgere e crollare, nascere e morire. E ora, sto guardando te, che mai nascesti e mai moristi.”

Saga respirava ormai affannosamente. Istintivamente, cercava di tenersi a grande distanza da quell'uomo, ma quell'uomo sapeva, e fuori era buio, e quell'uomo era morto.

“Sai chi ho ricevuto in visita, oggi?”, proseguì l'uomo con le bianche vesti, serafico e grave. “Una fanciulla.”

Saga non batté ciglio.

“Tua figlia.”

 

Saga scattò in piedi, urtando il tavolino e ciò che vi era appoggiato. Il bicchiere di cristallo cadde in pezzi sul pavimento, macchiando di rosso anche la bianca tunica dell'uomo. Dello Spettro.

Di Shion.

“Saga, non ti rendi conto di trovarti in un sogno?”, sorrise Shion, che non aveva avuto bisogno di muoversi per spostarsi.

“Nei sogni, solitamente, si ha un conforto”, bisbigliò Saga, le mani a coprirgli il viso, il corpo tremulo.

“E io non offro altro che conforto.”

“Non posso credere che tu non sia qui per punirmi, Sh...Padre”, si corresse, mordendosi la lingua.

Shion gli sfiorò la mano, un gesto effettivamente paterno e affettivo. Ma Saga proseguì ad irrigidirsi.

“Che ne fu di lei, Grande Padre?”. Gli occhi di Saga, ora, erano taglienti, ma brillanti come gemme.

“Lei ti muore in sogno da anni, ormai. Che risposta attendi al tuo quesito?”.

“Lei, la Bianca Vergine, troppo pura per questo mondo, lei fu portata lassù, ascesa nei cieli come Dea quale fu... lei.” Pianse, Saga, al suo nome. Mai donna aveva amato come lei, mai nessuno aveva desiderato quanto bramava lei. Mai nessuno era parso prezioso, ai suoi occhi, quanto lei. Oh, se solo amore non fosse stato...!

“Lei è morta”, asserì Shion. “Liberati dal suo spettro, Saga. Mai più avrai il seme suo fecondo.”

“Ma hai parlato di una figlia.”

Shion annuì. “Oh, sì. La tua.”

Un colpo al cuore, e poi un altro. Saga temette di non reggere la lucidità necessaria. Si ripiegò sulle proprie ginocchia.

“Di chi fu figlia, Shion?”

“Fu frutto del tuo seme, e dei tuoi lombi, altro non saprò”, fu la risposta. “L'ho incontrata, oggi.”

Saga piangeva cristalli. Gli tagliavano gli occhi nel lasciare le palpebre, facendolo lacrimare anche sangue.

“Come sai che è proprio lei? E dove, dove l'hai incontrata, da dove è giunta?”.

“In un punto di questo grande cosmo, tu sei felice. Hai rinunciato al tuo dovere di guerra, hai preso moglie, e avete creato una famiglia. Lei è splendida.”

Saga sprofondò in una poltrona che neanche sapeva di possedere.

“'Lei' mia... figlia?.

Shion annuì. “È quasi l'alba”, notò, “presto ti sveglierai.”

“Dimmi, allora”, fece Saga. “Parlamene.”

Shion si sedette su di una bella sedia d'arredamento art-dèco, mai vista prima, e prese a raccontare.

Raccontò che la bambina era vivace e intraprendente, e che aveva i capelli biondi.

“Ha i tuoi occhi”, osservò Shion, il tono di voce era cambiato, repentino. A quella frase, le lacrime presero a scendere prepotenti sulle guance di Saga: erano puro argento liquido, forse mercurio, e macchiavano il tappeto e i suoi abiti.

“E sta... bene?”, volle sapere Saga. Shion, comparendogli dall'alto, seduto accanto ad un busto della dea Athena posto accanto all'uscio, sorrise, ma i suoi occhi esotici si stavano sciogliendo in rosa cristalli. Toccò Saga come se lo volesse abbracciare, ma non lo fece.

“V'è Speranza, laggiù”, sussurrò, e Saga tremò.

“Sta bene”, aggiunse. “È perfetta. Ha chiesto di poter incontrare suo padre, ma...”

Saga scosse la testa. “Lo comprendo.” E fu sincero, ma quel nodo di vetro che non gli lasciava la gola gli stava facendo molto male.

Shion era di nuovo in piedi sulla soglia dell'uscio.

“Tu mi hai perdonato, Shion?”.

“Io non ho mai serbato rancore, Saga.”Si sistemò le Ali. “Torno da dove sono venuto, nella Notte dell'Averno.”

“Tu sei ben altrove.”

E Shion fece per volar via.

Ma Saga lo trattenne.

“Dimmi solo... dimmi solo se avrò Balsamo, laggiù”.

Ma Shion, di nuovo, sorrise. E la sua bocca era bella, piena di pezzi di vetro e pietre dure ingoiate.

“Qual'è il suo nome?”. Gli occhi di Saga, come una supplica.

Si guardarono, e Shion, stavolta, sorrise piangendo. Lacrime, gemme e sangue.

“Si chiama Isabel.”

 

Quando Saga si svegliò, indefinibili momenti più tardi, dovette controllare di non aver effettivamente pianto sangue, o ingoiato frammenti di vetro. Per un attimo, ebbe l'istinto di chiamare suo fratello, ma aveva ancora paura delle proprie reazioni.

Si mise a sedere sul letto, e, ripensando al sogno, si perse nel ricordo, fino a che una voce, la conosciuta voce di un Maestro, giunse quasi ad assaporare la pelle del suo orecchio.

“Mai più, ora.”


















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Due piccole noticine: ho dovuto scriverla, perché l'ispirazione mi ha colto come si coglie in pieno un bicchiere di vodka pieno in mezzo ad una sala gremita, nel clou di una festa... Comunque sia, one-shot veloce ma non indolore. Ho inserito AU tra gli avvertimenti, dal momento che l'Universo è lo stesso che ho creato con "Question!" Spero abbiate apprezzato. Io amo il surrealismo, amo Poe, al cui Corvo questa shot è palesemente ispirata, e amo il nonsense nelle opere. Saluti a tutti, copritevi che fa caldo.

   
 
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