Giochi di Ruolo > Dolce Flirt
Segui la storia  |       
Autore: Lovelymoon22    22/07/2015    8 recensioni
[ FANFICTION INTERATTIVA! ]
ISCRIZIONI CHIUSE!
Peggy sgusciò fuori dal suo nascondiglio con un po’ di difficoltà. Premette il tasto del dittafono per bloccare la registrazione, si spazzolò via la polvere dal suo completo verde e dai capelli e sogghignò soddisfatta.
Aveva una notizia più che succulenta tra le mani e non vedeva l’ora di vederla pubblicata sul giornale del liceo.
«Scusi, signora Preside, ma questo scoop non posso proprio lasciarmelo sfuggire.» ridacchiò tra sé e sé sfrecciando fuori dalla sala il più rapidamente possibile e senza farsi vedere.
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Good morning…or not?

(Parte 1)


POV Karole

Si dice che il buongiorno si vede dal mattino. Be, quella era una mattinata decisamente grigia quindi teoricamente il mio umore doveva essere anche grigio.
Come sempre, avrebbe sottolineato candidamente Alexy se fosse stato lì e se fosse stato in grado di leggermi nella mente. Alcune volte sembrava quasi che ci riuscisse, quel ragazzo era spaventosamente empatico con gli altri. Per me, che ero Miss Cubetto di Ghiaccio del Dolce Amoris, il suo rapportarsi con gli altri ad uno schiocco di dita era una cosa sconosciuta ed incredibile.
Mi sollevai lentamente dal mio letto.
06:00, indicava l’orologio sul mio comodino.
Era ancora presto per andare a scuola tuttavia a me piaceva svegliarmi prima per poter andare a fare un po’ di jogging al parco ma quella mattina sembrava impossibile. Le nuvole grigie serpeggiavano nel cielo, non c’era una singola chiazza di azzurro e sembrava che dovesse cominciare a piovere da un momento all’altro.
Maledizione!
Schioccai le labbra, per esprimere il mio disappunto, sbirciando la strada dalla finestra della mia stanza. Il terreno sembrava bagnato. Aveva piovuto durante la notte.
Feci rapidamente colazione e mi diressi verso il bagno, stropicciandomi un occhio. Il bello del vivere da soli era proprio quello: avevi le tue regole, i tuoi orari, i tuoi tempi. Inoltre, passare dall’inferno vissuto con mio padre ad una vita serena da emancipata era un miglioramento consistente.
Castiel sarebbe venuto a prendermi col suo motorino soltanto alle sette e mezza –se tutto andava bene, considerato il fatto che il ragazzo rosso tinto se ne fregava della puntualità, quindi potevo fare con tutta calma.
Mi feci una doccia e poi mi asciugai i capelli con il phon. Mi piacevano i miei capelli. Erano corvini, lunghi fino a metà schiena e vagamente mossi alle punte. Sollevai lo sguardo sullo specchio. Sotto i miei occhi celeste splendente allungati non c’era ombra di occhiaie o altre cose che lasciassero pensare che avessi passato una nottata in bianco. Ero sempre stata una ragazza carina, forse solo troppo alta e troppo magra. La mia statura era considerevole –non prendiamoci in giro, un metro e ottantacinque è parecchio per una ragazza- ma da quando ero stata notata da quell’agenzia straniera –tedesca o inglese? Non ricordavo neanche più- avevo iniziato a diventare sempre più consapevole di come la mia statura e il mio corpo potessero farmi sentire bella.
In poche parole, potevo definirmi una modella alle prime armi.
Sorrisi soddisfatta appena finii di truccarmi e dandomi l’ultima spazzolata sulle ciglia con il mascara. E pensare che la signorina Ambra-Oca-Starnazzante si credeva la Reginetta del liceo.
Mi vestii rapidamente sempre con quel miscuglio tra casual e raffinato che su di me stava molto bene. Fortunatamente al Dolce Amoris non c’erano grandi restrizioni sull’abbigliamento (bastava guardare Melody che veniva a scuola con una gonnellina stretta e corta sperando di poter far girare almeno un po’ la testa al delegato –che illusa, come se Nathaniel il perfettino avesse tempo da perdere a pensare a lei, quel ragazzo pensava solo allo studio, solamente di recente si era svegliato un po’- oppure Kim col suo abbigliamento un po’ trasandato) quindi ogni mattina avevo un’ampia scelta davanti ai miei occhi.
Quando sentii suonare al citofono uscii di casa e vidi una moto fiammante parcheggiata proprio accanto al marciapiede di fronte casa mia. A cavallo della moto c’era un ragazzo, seduto scompostamente, che tirava boccate alla sua sigaretta facendo salire aloni di fumo nell’aria. Aveva i capelli rossi ma sapevo che erano semplicemente tinti, il suo colore naturale era il nero scuro.
Mi avvicinai a lui, sorridendo: «Buongiorno, Castiel. Stranamente in orario oggi.»
Il ragazzo mi rivolse un’occhiata annoiata. Prima di rispondermi –da bravo gentleman, diciamo- sbuffò del fumo fuori dalla bocca e poi disse: «Demon mi ha svegliato con i suoi lamenti stamattina, aveva una pisciata urgente. Questi dannati cani e i loro problemi di incontinenza…»
Alzai gli occhi al cielo seccata: «Smettila di fare la parte del burbero scorbutico scommetto che appena hai sentito Demon piagnucolare ti sei svegliato subito e ti sei allarmato, piagnucolando più di lui.»
Castiel mise su la sua tipica smorfia infastidita che però mi fece capire che avevo fatto centro.
Che stupido prevedibile, ridacchiai tra me e me.
«Non me lo faccio dire da te, Ciclope.» sbottò lui irritato.
Il mio sopracciglio ebbe un incontrollabile scatto verso l’alto e gli lanciai un’occhiata furiosa sperando di vederlo sgretolarsi in cenere davanti ai miei occhi per poi voltarmi e fare per andarmene. Detestavo quel soprannome ridicolo e osceno che mi aveva affibbiato!
Lui però mi afferrò il braccio e mi obbligò a montare sulla moto, dietro di lui.
«Che razza di permalosa che sei.» sbuffò, gettando via la sigaretta ancora accesa. «Stavo solo scherzando.»
Stavolta fui io a mettere il broncio. Lui non ci fece caso e mi porse il casco. Era nel tipico ‘stile castieliano’, rosso col simbolo del suo gruppo preferito, i Winged Skull.
«Scusa, e tu?» chiesi guardandolo con cipiglio serio. «Se ci fermano e ti prendi una multa sono cavoli tuoi.»
«Non ci fermano, scema, il liceo è qui vicino.» mi fece notare lui. «Ho scordato il mio a casa e preferisco che sia tu ad indossarlo altrimenti Lysandre chi se lo sente se ti spacchi la testa.»
Al sol sentire pronunciare il nome di Lysandre diventai tutta rossa e sperando di nascondere l’imbarazzo mi ficcai rapidamente il casco in testa e mi aggrappai forte al ragazzo, che mise in moto.


POV Emily

Svegliarsi a suon di richiami non era certo il modo più bello di cominciare la mattinata ma era anche vero che se non fosse stato per gli ‘Emilyyyy!’ della mamma sarei rimasta a letto tutta la mattina –e forse, non lo escludo, anche tutto il pomeriggio.
Mi svegliai aprendo un occhio e sentii l’ennesimo «Emily, sveglia, la colazione è pronta!» della mamma.
La mia stanza era un casino, un vero e proprio casino. Sulla scrivania erano allineate file e file di fumetti, manga e alcune riviste della nonna che rappresentavano vecchie signore con i bigodini. La radio era spenta ma diversi CD erano appoggiati su di essa. L’unica cosa apposto sembrava essere il mio libro preferito, ‘Persuasione’ di Jane Austen, che si trovava sul comò esattamente come ogni sera. Era il libro che avevo letto più volte, una fonte di ispirazione per me. Afferrai i calzini buttati ai piedi del letto, me li infilai –uno me lo misi al contrario- ed entrai in cucina.
Papà non c’era, era al lavoro. Quindi in cucina c’erano solo mia madre che stava preparando il biberon con il latte per il mio fratellino David e mia nonna che stava tranquillamente bevendo il suo cappuccino.
«Buongiorno.» riecheggiò per la cucina.
Mi scaldai il latte e feci una sostanziosa colazione. Mio fratello, intanto, aveva deciso che il suo nuovo gioco preferito sarebbe stato lo shake del biberon e non faceva altro che scuoterlo come se fosse una specie di maracas.
«Hai i capelli che sono peggio di un nido di rondini.» mi fece notare mia madre, cercando di appiattirmeli con le mani. In effetti quella mattina i miei capelli ricci avevano deciso di gonfiarsi il più possibile. Avevo i capelli castani e ricci ma non mi piacevano molto quindi me li ero schiariti con lo shatush e me li piastravo ogni mattina.
Sbuffai esasperata, sostituendo le mani di mia madre con le mie.
«Vado a sistemarmeli.» borbottai alzandomi e rinchiudendomi in camera mia. Dopo essermi lavata dedicai una quindicina di minuti ai capelli per piastrarli come si deve e poi mi vestii, gettai un manga a caso nello zaino, così se mi fossi annoiata durante le ore di lezione avrei avuto qualcosa da fare, e poi uscii di casa.
Presi l’autobus. Non mi piaceva per niente l’autobus quando era affollato, ma non potevo farci niente, non abitavo abbastanza vicino alla scuola da poterci andare a piedi. Mi ritrovai schiacciata tra un grassone che odorava di kebab e un uomo smilzo e dal naso aquilino che guardava continuamente l’orologio in una sorta di tic nervoso. Presi il telefono dalla tasca e mandai un rapido messaggio a Kim per avvisarla che ero quasi arrivata e della terribile situazione schiacciata in cui mi trovavo.
Finalmente, scesi dal bus boccheggiando.
«Ariaaa!» invocai, spalancando le braccia, respirando dal naso e gonfiando il petto come una specie di tacchino.
«Ma che accidenti stai facendo, piccoletta?»
Una voce mi fece sussultare. Mi voltai di scatto e vidi il viso di Kim ad un palmo dal mio, che mi fissava con le sopracciglia alzate e un’espressione incuriosita in viso. Si era dovuta abbassare di almeno una decina di centimetri per raggiungere il mio volto.
Kim era incredibilmente alta, la sua pelle era scura e i capelli neri erano corti con dei ciuffi più lunghi in corrispondenza delle tempie. Era davvero bellissima, mi ricordava quasi una sorta di pantera.
«Sei tu, Kim! Buongiorno!» trillai io.
«Buongiorno anche a te. Lieta di vedere che sei sopravvissuta al suino-kebab.»
Diedi in una risatina imbarazzata, grattandomi la guancia con l’indice.
«E Violet?» chiesi, quindi.
«Ci aspetta alle serre, dai, vieni.» Kim mi afferrò per il braccio, trascinandomi con sé. Attraversammo il cortile e svoltando verso sinistra ci siamo dirette alle serre dove si svolgeva anche il club di giardinaggio. Violet era lì, seduta in un angolino, col suo blocco da disegno tra le mani. Violet era più piccola di me e Kim di un anno, era una ragazza davvero graziosa dai capelli viola –il nome diceva tutto, quindi- non troppo lunghi e con alcune ciocche legate in delle treccine.
«Ciao, Violet. E’ molto che aspetti?» chiesi mentre Kim le strofinava gentilmente la mano sulla testa.
«Non molto, no.» rispose lei, col suo solito tono di voce delicato e quasi vago. «Dobbiamo aspettare qui anche Karen e Sky, stanno per arrivare.»
«Voi siete riuscite a fare i compiti della Delanay?» chiesi incerta.
Quella donna era incredibilmente severa, quando passava accanto al tavolo da lavoro mio e di Charlotte diventavo rigida come un pezzo di legno e la mia sudorazione aumentava. Come se non bastasse la mia compagna di lavoro –il mio binomio, come diceva la Delanay- era una delle scagnozze di Ambra.
«L’ho fatto tutto a cavolo.» mi confessò Kim, sistemandosi meglio il berretto sulla testa. «Chiederò a Melody di controllarlo prima dell’inizio della lezione.»
Stavo per ribattere, quando la mia attenzione fu rapita da tutt’altro.
Un ragazzo stava attraversando la serra. La sua chioma verde brillante era impossibile da non riconoscere. Il cuore mi balzò in gola. Era Jade, il ragazzo che una volta, dopo essermi presa una storta proprio lì, alle serre, mi aveva portata in infermeria.
Lui dovette sentirsi osservato perché voltò il capo nella nostra direzione e i nostri occhi si incrociarono. Arrossii senza poterne fare a meno ma non feci né un cenno di saluto né niente. Jade, invece, mi sorrise e poi riprese a camminare, uscendo dalle serre.
Che figuraccia!


POV Alina

Quei nuvoloni grigi non promettevano niente di buono.
Era Dicembre e di conseguenza ogni mattina era sempre la stessa storia. Mi affacciavo alla finestra con la speranza di vedere un piccolo spiraglio di sole e poi mi ritrovavo davanti un cielo morto che prometteva soltanto pioggia. Ed io detestavo quando pioveva perché per me nuvoloni più pioggia è uguale fulmini. E io avevo paura dei fulmini, se sentivo un singolo fulmine ero capace di nascondermi nell’armadio finché non finiva tutto. Agguantai il cellulare poggiato sul comodino e premetti freneticamente i pollici sui tasti, andando a controllare il meteo di oggi. Niente temporale, solamente una lieve pioggia.
Cacciai un sospiro di sollievo e mi alzai, rapidamente. Andai in cucina ed ingurgitai il mio latte il più velocemente possibile.
«Lilla, mangia con più calma!» mi ammonì mia madre, temendo probabilmente che mi strozzassi. Io le indicai in un gesto disperato l’orologio; avevo perso tempo con tutta la storia della fifa per i temporali quindi dovevo sbrigarmi. Ren era già nella sua stanza a vestirsi.
Mi preparai anch’io e quando uscii dalla mia camera mi ritrovai davanti Ren che con le braccia incrociate e il piede che picchiettava nervosamente sul pavimento mi rivolse una smorfia contrariata.
«Sono pronta, sono pronta.» borbottai.
Diedi un rapido bacio a mia madre e poi scesi di casa. Da quando papà era morto mi sentivo come in dovere di occuparmi meglio di mia madre, di dimostrarle più affetto e di essere responsabile. Era una delle poche persone con cui ero sempre dolce, a parte Iris, la mia migliore amica, ma con Iris non potevi non essere gentile visto che ti rivolgeva sempre quel gran sorriso radioso. E poi ovviamente ero molto aperta anche con i gemelli, Alexy e Armin, ma con loro non potevi fare altro che divertirti.
Anche Ren, dopo la morte di mio padre, era diventato molto più responsabile. Forse perché si sentiva un po’ l’uomo di casa ed inoltre era il più grande tra noi due –io quindici anni, lui diciannove. Mi faceva ancora male parlare della perdita di mio padre ma probabilmente sarebbe stata l’unica ferita che non sarei mai riuscita a ricucire. Faceva troppo male.
Mentre camminavo, affiancata da mio fratello, che mi stava dicendo qualcosa sul compito di storia che aveva avuto –materia che tra l’altro odiavo con tutta me stessa- mi soffermai per alcuni istanti sulla mia immagine, riflessa sulla vetrina di un negozio. Ero una ragazza abbastanza alta per la mia età e avevo lunghi capelli castano mossi ma la cosa che più mi piaceva di me erano gli occhi grandi e azzurri. Tutto sommato potevo ritenermi una ragazza carina, ero piaciuta a diversi ragazzi nella mia vita. Eppure ero andata ad innamorarmi del ragazzo più cretino sulla faccia della Terra. 
«Alina?»
«Eh?»
«Buongiorno.» commentò mio fratello, per sottolineare quanto avessi la testa tra le nuvole. «Eri di nuovo nel tuo mondo?»
«Non sei il solo che può permettersi di avere un suo universo, sai?» ribattei io, piccata. «E poi lo sai che a me storia fa schifo.»
«Penso che dovresti rivalutarla, è una materia molto interessante.» disse Ren.
Mi permisi di inalberare un’espressione più che scettica a cui lui rispose con una risata. Chiacchierando, chiacchierando –o meglio discutendo sui pro e i contro della storia, che a mio parere erano tutti contro e non esisteva alcun pro- arrivammo davanti al Dolce Amoris.
Mio fratello mi scompigliò affettuosamente i capelli: «Ci vediamo all’uscita, Alina, e sta tranquilla per il tempo.» disse, accennando al cielo grigio. «Niente temporali, oggi.»
Gli rivolsi un sorriso per rassicurarlo e poi dissi: «Tranquillo, fratellino, tu piuttosto, non farti beccare ancora a pomiciare con Angelique.» ebbi appena il tempo di vedere le guance di Ren andare a fuoco che mi dileguò con una risatina.
Mi piaceva tantissimo metterlo in imbarazzo –sì, che amore di ragazza…
Trovai Iris ad aspettarmi in un angolino del cortile: «Buongiorno, Iris.»
«Oh, buongiorno, Alina.» salutò allegramente Iris.
Iris aveva dei meravigliosi capelli arancioni legati in una treccia e nonostante fosse più grande di me di un anno era più piccola di statura.
«Buongiorno, Alina!» una voce mi fece accapponare la pelle.
Mi voltai e vidi molto distante, circondato da un gruppo di amici, Dake, il nipote di Boris, che si era trasferito da poco alla nostra scuola. Tuttavia, io lo conoscevo già, poiché lo avevo incontrato durante un viaggio in Australia. Dake aveva la pelle abbronzata e i capelli biondi legati in una coda dietro la testa. Il ragazzo aveva il braccio alzato e mi stava rivolgendo un sorriso.
«B-buongiorno.» borbottai io, arrossendo, forse anche troppo piano perché lui potesse sentirmi.
Il ragazzo ridacchiò, mi fece l’occhiolino e poi si allontanò con gli amici che mi lanciarono occhiate confuse.
«Era il nipote di Boris, vero?» chiese perplessa Iris. «Siete amici?»
«No, no, no, affatto!» gracchiai io terrorizzata, gesticolando e scuotendo freneticamente il capo. «C-conoscenti.» le agguantai il braccio ed esclamai, tirandola via. «Dai, Iris, vieni, andiamo a cercare Alexy e Armin!»


POV Sheila

«Ahio!»
Sentii un’improvvisa fitta alla guancia che mi obbligò a spalancare gli occhi e a strizzarli forte. Sobbalzai, mettendomi a sedere. Ero sul mio letto. Nella mia stanza. Ma c’era qualcosa che non andava. Sentivo una strana presenza alla mia destra. Spostai lentamente lo sguardo e vidi il viso di mio fratello, vicino al mio e mi stava pinzando la guancia con pollice ed indice.
Rimasi zitta a fissarla per alcuni secondi e lui ricambiò l’occhiata, restando in silenzio. Dopo essere stata certa che quello non era un sogno ma era veramente quell’idiota di Erik lanciai un grido stridulo e gli sferrai un calcio sotto il mento che lo fece ribaltare all’indietro con un gemito di dolore.
«Che cavolo fai, cretina!» mi gridò lui.
«Ti pare normale svegliarmi in una maniera del genere?!» strillai io in risposta, coprendomi col piumone.
Lui mi fissò dal pavimento, massaggiandosi la mandibola. Sbuffò seccato e si alzò. Si portò una mano al fianco mentre con l’altra si sistemava i capelli castani. Solo in quel momento notai che era già vestito di tutto punto e aveva persino lo zaino in spalla.
«Dove vai?»
«Ad una conferenza stampa.» mi fece lui, ironico. «Secondo te, scema? Vado a scuola, mi incontro con un mio amico.»
Battei le palpebre mentre lui usciva rivolgendomi un ghigno: «Ti conviene sbrigarti.»  picchiettò l’indice sul polso destro come ad indicare un orologio immaginario. «Sono già le sette e trenta e Armin e Alexy saranno sotto casa tra dieci minuti. Buona fortuna, sorellina.» dopodiché uscì ridacchiando tra sé e sé.
Brutto stron… no, le imprecazioni era meglio lasciare per dopo. Mi alzai di scatto e raccattai in fretta una brioches, ficcandomela in bocca. I miei non c’erano, erano entrambi al lavoro. Solitamente era la sveglia a dirmi di alzarmi, ma probabilmente quel giorno non l’avevo sentita e Erik aveva deciso di divertirsi un po’. Mentre mi lavavo i denti alla velocità della luce, facendo un miscuglio tra acqua, collutorio e dentifricio lanciai un’occhiata fuori dalla finestra.
Il cielo era completamente scuro, la città era ombrosa e fredda. Sorrisi spontaneamente. Amavo il freddo. Mi piaceva, forse perché si addiceva abbastanza al mio carattere. Controllai l’ora dal telefono, poggiato in bilico sul lavandino.
Le sette e trentasette. Solo altri tre minuti!
Sputai con malagrazia ciò che c’era nella mia bocca, mi sciacquai e poi spalancai l’armadio. Agguantai i primi vestiti che trovai, mi ficcai un cappello sui capelli biondi e lisci, lunghi fino alle spalle.
Appena ebbi finito di infilarmi le scarpe suonò il citofono. Scesi le scale e mi ritrovai davanti Armin e Alexy. Il primo aveva il naso incollato alla sua console portatile mentre il secondo mi rivolse un gran sorriso e agitò la mano nella mia direzione.
Armin e Alexy erano gemelli. Entrambi molto allegri e simpatici. Tuttavia erano anche molto diversi tra di loro. Armin aveva i capelli scuri e gli occhi azzurri mentre Alexy aveva i capelli celesti e gli occhi di un fucsia brillante. Inoltre, ad Alexy piacevano i ragazzi e non le ragazze –un vero peccato, visto che aveva diverse ammiratrici.
«Buongiorno ragazzi.» dissi con voce neutra lanciando, però, un’occhiatina di sfuggita ad Armin che continuava a giocare.
Mi piaceva molto Armin, era un ragazzo divertente. Ero letteralmente cotta di lui ma non avevo il coraggio di dirglielo, inoltre col mio atteggiamento sempre acido e aggressivo ero certa che non gli sarei mai piaciuta.
«Buongiorno, Sheila!» trillò Alexy, strizzandomi contro di lui.
Ad un gesto del genere, normalmente, mi sarei irritata ma se era Alexy a farlo non potevo proprio commentare con qualche battuta cattiva, soprattutto sapendo quanto fosse sensibile.
«Alexy, lasciala un po’ respirare.» disse Armin, infilandosi in tasca la console e sorridendomi sghembo.
Io amavo le giornate invernali, soprattutto se cominciavano col malizioso sorriso di Armin.
«Sheila, non indovinerai mai cos’è successo ieri!» esclamò Alexy, saltellante.
Mi limitai a prendere il mio telefono e a dire un «Mh?» distratto per invogliarlo ad andare avanti.
«Una cosa stratosferica!» disse lui.
«Orrida.» si intromise Armin con una smorfia.
«Sensazionale!»
«Terribile.»
«Mitica
«Atroce
«Armin è venuto a fare shopping con me!» disse alla fine Alexy, sollevando le braccia al cielo per rendere più evidente il suo entusiasmo.
Io, che fino a quel momento, avevo concentrato lo sguardo sul mio telefonino, sollevai lo sguardo e sgranai gli occhi grigi.
Possibile che avessi appena sentito le parole Armin e shopping nella stessa frase?
Mi voltai verso l’interpellato per chiedere conferma con lo sguardo.
Lui annuì, tetramente.
Si portò una mano al cuore e sollevò l’altra: «Ebbene sì. Un momento di silenzio per la morte dell’Armin che conoscevate, dopo un’esperienza tanto spaventosa non sarò più lo stesso.»
Non riuscii a resistere e mi scappò una risata.
«Sei sempre il solito esagerato.» sbottò Alexy infastidito, incrociando le braccia.
«Come cavolo hai fatto a convincerlo?» chiesi io guardando Alexy ancora con gli occhi troppo curiosi ed interessati. Aveva sicuramente utilizzato metodi di tortura altamente sofisticati, anche se immaginare un tipo carino e coccoloso come Alexy che torturava qualcuno era difficile.
«Gli ho sequestrato la PSP, sai quanto ama quell’aggeggio.» disse Alexy soddisfatto. Poi, però, guardò contrariato il telefonino che reggevo tra le mani. «Be, forse non sei la persona più indicata a cui dire questo tipo di cose.»
Permalosa com’ero, reagii subito, gli afferrai il cappuccio della felpa e glielo infilai sulla testa costringendolo a chinare la nuca: «Ed io non me lo faccio dire da uno che va in giro con le cuffie!»
Lui ribatté, ridacchiando e levandosi il cappuccio di dosso: «Quella è moda, mo-da! Non puoi capire, nanetta!»
«Attento Alexy, questa qui è una ragazza violenta.» disse Armin, circondando le spalle del gemello con un braccio ed indicandomi col pollice. Io, per tutta risposta, cercai di azzannargli quest’ultimo neanche fossi un piranha.
Armin riuscì ad evitare il mio falso-attacco ed esclamò: «Oh-oh! Che i pollici mi servono, come credi che abbia completato tutti i livelli di tutti i videogiochi presenti su questo gioiellino?» mi fece, uscendo la PSP dalla tasca e sventolandomela sotto il naso.
Le sue solite domande retoriche.  
«Piuttosto preferisco quando usi le tue energie per farla pagare ad Ambra, la rissa dell’altra volta è stata grandiosa.» commentò, ridacchiando e rinfilandosi la PSP in tasca.


POV Victor

Sin da piccolo ero sempre stato facilmente influenzato dal clima e dalla temperatura. Se era una giornata soleggiata il mio volto appariva inevitabilmente più luminoso e sorridente, nonostante il mio aspetto ‘vampiresco’, con quegli occhi rossi e i capelli neri leggermente spettinati, mi facesse stonare con l’ambiente luminoso circostante. Mentre se il cielo era scuro e nuvoloso le mie labbra sarebbero state più propense a prendere una piega all’ingiù.
Ecco, quel mattino di Dicembre, il cielo era cupo e deprimente ed era un po’ come mi sentivo io.
Mi vestii in maniera lenta e annoiata, per poi prendere la mia fidata Nikon, la mia macchina fotografica, e attaccarla alla cintura dei jeans. Per me la mia Nikon era un po’ come la PSP per Armin o le cuffie per Alexy o la chitarra per Castiel: senza mi sentivo incompleto, non c’era un singolo giorno in cui non la portassi con me. Avevo ereditato questa passione da mia madre, californiana trasferitasi in Francia per amor di mio padre, il suo lavoro era la fotografa.
Mi diressi in camera di mia sorella e bussai diverse volte. Stranamente non mi rispose nessun mugolio. Quindi entrai.
La scena che mi si parò davanti era assurda.
Andrea, la mia sorellina più piccola di me di un anno, era sdraiata a terra davanti al televisore –sì, quella matta s’era fatta comprare un televisore da mettere in camera. Era addormentata, la bocca spalancata, gli occhiali storti sul naso e tra le mani aveva ancora il joystick.
La prima cosa che feci fu…no, non fu svegliarla. Sollevai la macchina fotografica e le scattai una foto. Il flash, tuttavia, le fece aprire gli occhi. La ragazza si guardò intorno, poi balzò a sedere strillando: «No! Avevo quasi terminato la partita con Haruki!»
Andrea era una vera fissata di videogiochi e, soprattutto, di dating-game. In qualche modo, mi ricordava parecchio una versione femminile di Armin.
«Non è giusto, non è giusto, non è giusto!» stava gridando mia sorella, maledicendo tutto ciò che le capitava a tiro.
Io sospirai e poi dissi, con la mia voce più calma: «Andrea, preparati per la scuola. Veloce.» ed uscii.
Andrea era abbastanza obbediente. Non rispondeva più di sé stessa soltanto se la allontanavi dai suoi amati videogame o dal computer, in quel caso poteva diventare quasi letale.
Fortunatamente io non ero un ragazzo che amava i conflitti quindi mi limitavo semplicemente ad ignorarla quando diventava troppo lagnosa.
Prendemmo l’autobus. Mi parve di vedere una ragazza della mia classe schiacciata tra due signori. Emily, se la memoria non mi ingannava. Tuttavia, in mezzo a tutta quella folla non riuscii a salutarla. Pazienza.
Io e Andre scendemmo alla fermata, proprio davanti alla scuola. Era una fortuna che per arrivare al Dolce Amoris ci fossero parecchi autobus che si fermavano proprio di fronte, altrimenti non saprei proprio come avremmo fatto a frequentare l’istituto visto che casa nostra era troppo distante e i nostri genitori non potevano accompagnarci.
«Andrea, io aspetto Alexy e Armin, tu che fai?» chiesi, verso la mia sorellina che si stava guardando freneticamente intorno, forse in cerca di qualche amica. «Aspetti con me?» domandai, e non potei non fare un piccolo sorrisetto. Sapevo che Andrea aveva una specie di cotta-venerazione per Armin, infatti, a quella proposta arrossì imbarazzata.
«No, no, Victor. Vado a cercare qualche mia amica.» diede in una risatina nervosa e poi mi salutò, scappando via.
Chissà se Armin era consapevole dell’effetto che faceva su alcune donne. Io non ero particolarmente interessato alle ragazze. Mi interessavano solo per puro scopo ‘estetico’, quando vedevo una bella ragazza non potevo non scattarle una foto ma finiva lì. Armin e Alexy arrivarono poco dopo insieme ad un’altra ragazza, Sheila, una ragazza bassina, con le lentiggini ed i capelli biondi. Era anche una tizia piuttosto aggressiva e sicura di sé e quindi completamente incompatibile con il mio carattere che era tutt’altro che aggressivo.
«Buongiorno, Victor!» salutò Armin. «Hai visto Xavier, per caso?»
«Non ancora, no.» risposi io, scuotendo il capo.
Sheila mi rivolse un’occhiata annoiata. Probabilmente non rientravo molto nelle sue simpatie. La cosa era abbastanza reciproca, anche se io non avevo né nemici né persone che detestavo particolarmente lì al Dolce Amoris.
«Victor, ti prego, puoi farmi vedere un attimo i tuoi compiti di chimica?» implorò Alexy, congiungendo le mani. «Non puoi rifiutare la richiesta d’aiuto del tuo binomio.»
«Nessun problema, caro binomio.» dissi io, estraendo il compito dallo zaino. «Ecco qui.»
«Non parlate di binomi.» sbottò Armin esasperato. «La Dilonay ha qualcosa che non va per aver accoppiato me con Ambra.»
«Delanay.» lo corresse Sheila piccata. «Forse ha trovato qualcosa in voi in comune. Pensaci bene, Armin, ti sei comportato come una brutta rospa ricciuta ultimamente?»
Armin la scrutò, con il sopracciglio inarcato: «Non provare a stuzzicarmi, nanetta.»
Lei simulò uno sbadiglio: «Che paura.»  
Osservai quei due, interessato, mentre Alexy mi chiedeva alcune cose sul compito. Ecco, Sheila era un altro tipico esemplare femminile completamente perso per Armin.
Il ragazzo se n'era accorto? Probabilmente no.
A guardare quei due che litigavano giocosamente mi venne in mente la piccola figura di Violet ed inspiegabilmente mi chiesi se fosse già arrivata a scuola.



_____________________________
Tadaaaaa! ^^
Salve a tutte ed ecco a voi il primo capitolo della FF interattiva che ho intenzione di realizzare. Come potete vedere, in questo capitolo NON ci sono tutti i vostri personaggi ma solamente cinque, poiché, essendo voi undici iscritte, il capitolo sarebbe stato troppo lungo e ho deciso quindi di spezzarlo in due per cui nel prossimo capitolo compariranno gli altri sei.
L’ordine con cui compaiono i vostri OC non è casuale ma ho scritto di ciascuno in base all’ordine in cui mi sono arrivate le schede.
I primi OC che sono comparsi e che abbiamo conosciuto sono Karole, Emily, Alina, Sheila e Victor. Spero vivamente di aver reso i vostri personaggi come ve li eravate immaginati, per me è molto importante ^__^
Se avete degli appunti da farmi fatemeli presente :D 
Questo è stato soltanto un piccolo capitolo introduttivo in cui c’è una sorta di ‘morning routine’ dei vostri personaggi e il prossimo capitolo sarà simile ^^ xD Ho citato la Delanay e il fatto dei ‘binomi’ perché è una cosa che mi ha davvero scioccata specie la coppia Armin/Ambra che non vedo in quale universo potrebbero essere compatibili per fare squadra in qualcosa ma vabbé xD
Un ringraziamento speciale a tutte voi che vi siete iscritte e a coloro che seguono la storia farò del mio meglio per scrivere una ff carina e divertente. **
A presto,

Lovely
   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Giochi di Ruolo > Dolce Flirt / Vai alla pagina dell'autore: Lovelymoon22