La cosa più importante
Dedicato ad Heath,
nell’anniversario
della sua morte.
In memoria di un
talento, di un uomo,
di un padre, di un
amico.
Ci manchi.
Vedeva la pecora
squartata sull’erba, ma in realtà non la vedeva. Il suo sguardo si posava sul
macabro spettacolo di selezione naturale, poi passava attraverso, entrava nella
terra umida di pioggia e scavava fino al centro del mondo. Non c’era modo di
controllare le azioni Era come un pazzo che sa perfettamente di esserlo, ma non
può farci assolutamente nulla.
Ennis si sentiva totalmente pazzo.
Pazzo era la parola più calzante in quella
situazione. Perché doveva essere pazzo per aver fatto quello che aveva fatto.
Non riusciva nemmeno a pensarci senza impedire alla vergogna di imporporargli
le guance. Aveva fatto l’amore con un uomo. La parola “uomo” non gli
aveva mai dato quel senso d’inquietudine.
Che poi non sapeva neanche se chiamare davvero amore
ciò che era successo. Probabilmente era più esatto definirlo sesso.
E basta.
Sperando di distrarsi, sistemò la faccenda
della pecora velocemente e promise a se stesso che non avrebbe più lasciato
succedere una cosa del genere. Quella era stata una distrazione, ma non poteva
permettersela.
Per tutto il giorno rimase a fissare nel vuoto
le montagne rigogliose, senza riuscire a levarsi dalla testa la notte
trascorsa. Ripensava allo sguardo di Jack che si toglieva la giacca, alle sue
mani audaci, che avevano ricevuto solo il rifiuto. Erano quegli occhi blu,
luminosi e pieni d’affetto, a tormentarlo di più. Non riusciva ad impedirsi di
sentire una stretta allo stomaco al pensiero di quegli occhi. E anche se non
voleva ammetterlo, percepiva l’irrequietezza sopraffarlo al ricordo di come
aveva preso brutalmente Jack, senza baci, senza carezze, senza amore.
Dentro di sé temeva terribilmente la sera, in cui i loro sguardi si sarebbero
incontrati di nuovo al riparo del buio. Aveva paura di trovare negli occhi di
Jack, in quel momento, il rancore verso quel gesto violento e verso il suo
rifiuto la mattina dopo. Gli aveva voltato le spalle senza una parola, tornando
con il cavallo dalle pecore. Si sentiva malato, infettato da quello che aveva
fatto: non avrebbe potuto rispondere a quella domanda intrisa di speranza. Ci
vediamo per cena? Ennis aveva sentito la terra sprofondare sotto i piedi,
perché non poteva, proprio non poteva promettergli che sarebbe tornato, che si
sarebbero scambiati battute come al solito e che all’ombra della tenda
avrebbero ripetuto quell’atto proibito. Non poteva. E così se n’era andato
semplicemente, lasciando alle spalle l’ignoto dello sguardo di Jack.
Si risvegliò dalle sue riflessioni solo quando
si accorse di essere giunto quasi all’accampamento. La nausea cominciò ad
occupargli la gola, obbligandolo a deglutire più spesso. Ma quando fu in vista della
tenda, si accorse subito che Jack non c’era: di solito era fuori, su un ceppo
accanto al fuoco, a bere.
Le fiamme crepitavano pigramente circondate dai
massi grigi, ma niente stava cuocendo. Del resto Jack non era un gran cuoco,
effettivamente.
Ennis smontò da cavallo e si avvicinò alla
tenda, per poi sbirciare dentro. Sembrava che tutto fosse rimasto come quella
mattina: le coperte, la giacca di Jack in un angolo, il sacco a pelo quasi
distrutto. Pareva che il tempo si fosse fermato in quella notte, come se il
mondo avesse scoperto il loro peccato e li avesse puniti costringendoli a
rimanere per sempre di fronte alle loro azioni.
Scrollando pesantemente la testa, tentò di
allontanare quegli assurdi pensieri. Uscì dalla tenda, si mise in piedi e si
strofinò la fronte con una mano. Il suo sospiro si udì chiaro nel silenzio. Gli
occhi fissi sull’orizzonte passavano dai versanti scuri dei monti, al fiume giù
nella valle, al cielo che stava cambiando lentamente colore. Sarebbe calato
presto il buio ed Ennis faticava ad ammettere che non voleva rimanere solo.
Oltre al fatto che era effettivamente preoccupato.
Risalì sul cavallo e lo guidò verso ovest, dove
sapeva esserci una radura in cui Jack amava fermarsi a dormire. Non era mai
andato laggiù, ma Jack si avviava sempre in quella direzione quando diceva
“Vado a farmi un sonnellino”. Ennis sperò vivamente di non perdersi e cominciò
a seguire il sentiero che vedeva delinearsi davanti agli zoccoli del cavallo.
Il percorso s’inoltrò nel bosco e iniziò a curvare con più frequenza man mano
che avanzava; a poco a poco si fece anche un po’ ripido mentre saliva
attraverso il verde.
Quando ormai temeva di aver sbagliato del tutto
strada, la vegetazione divenne più rada, gli alberi più bassi, finché sbucò
nella radura che stava cercando.
Era un’enorme distesa d’erba di un verde
luminoso e fresco. Si estendeva per metri e metri in ogni direzione. Verso
ovest terminava presto, iniziando a scendere verso valle. Proprio nel punto in
cui la pianura si tramutava in versante, voltato di spalle verso il sole rosso
intenso, Jack stava seduto con le gambe piegate e un braccio abbandonato sul
ginocchio davanti a sé.
Sembrava una scultura di una perfezione
sovrannaturale posta in quel luogo incantevole dalla mano sbadata di un dio. Illuminato
dalla luce del disco di fuoco calato tra le montagne, pareva splendere
irrealmente.
Ennis rimase a guardarlo senza una parola.
Sopraffatto dalla pace del luogo, non riusciva a muovere un passo. Poteva
vedere la mano Jack dondolare oltre il suo ginocchio e, nonostante fosse di
spalle, anche una parte del suo volto era visibile: le labbra sottili, la pelle
chiara, un occhio azzurro incatenato all’orizzonte, il sopracciglio arcuato,
rivolto verso il basso.
Ma fu il dolore del suo sguardo, la sofferenza
che vi lesse, a sconvolgere Ennis. L’attimo di serenità andò in frantumi contro
il freddo dell’espressione di Jack ed Ennis si ritrovò braccia e gambe libere,
come se fino ad un attimo prima le avesse avute legate da fili invisibili.
Anche se ad Ennis sembrava che il proprio
respiro facesse molto rumore, troppo per la pace del luogo, Jack non si era
ancora girato e sicuramente non sapeva che fosse lì. Mosse un passo verso
l’amico e si fermò di botto subito dopo.
Cosa gli avrebbe detto, una volta che lo avesse
raggiunto?
Ennis si morse un labbro, indeciso, mentre
inconsapevolmente si tormentava un’unghia con un dito della mano destra.
Jack era arrabbiato con lui per il gesto di
quella mattina?
Sospirando, più silenziosamente possibile,
decise di tentare. Male che fosse andata, si sarebbe ritrovato di nuovo solo
come all’inizio dell’estate e in fondo era sempre sopravvissuto. Nonostante la
convinzione che mise in quel pensiero, non riuscì ad impedirsi di essere preso
dal panico gelido e soffocante che si prova davanti alla solitudine.
L’urgenza di arrivare da Jack si fece più
forte. I piedi si mossero da soli, con falcate silenziose ma svelte. Quando
raggiunse la schiena dell’altro, fermandosi nemmeno un metro più indietro, era
ancora certo che non sapesse della sua presenza. Sorrise, intenerito dal suo
aspetto infantile, e senza rendersene conto avanzò e si sedette accanto a lui
sull’erba.
Jack trasalì, fissandolo con occhi spalancati.
Ennis sorrise alla sua reazione, ma non disse nulla. Rimase a guardarlo riprendersi
dallo spavento e sussurrare qualcosa che non afferrò. Poi lo vide spostare
ancora lo sguardo incupito verso l’orizzonte e corrugare le sopracciglia
nervosamente.
Ennis non osò fare alcun movimento per i minuti
successivi. Sperava che fosse Jack a prendere l’iniziativa, come sempre. E con
tutto il suo cuore desiderava che lo rassicurasse, che gli dicesse che non era
arrabbiato e che lo voleva ancora con sé.
Nel momento stesso in cui capì di volere davvero
che Jack gli chiedesse di stare ancora con lui, Ennis sentì la gola secca e
la mente gli si annebbiò. Perché comprese finalmente che non era la parola Jack
a disgustarlo, ma quella Ennis: Ennis Del Mar che bramava con
l’intero corpo e l’intera anima l’intero corpo e l’intera anima di Jack Twist.
-Ennis-.
Jack aveva rotto il silenzio ed Ennis non se
n’era nemmeno accorto, preso dalle rivelazioni che, alla fine, aveva fatto a se
stesso.
Si voltò allarmato, con un senso di repulsione
verso di sé che non aveva mai sperimentato prima. L’espressione di Jack era
quella che aveva sperato di trovare solo pochi minuti prima: distesa, con un
accenno di sorriso e gli occhi luminosi. Ma allora quella vista gli diede il
voltastomaco.
-Ennis…-, ripeté
Jack.
La preoccupazione e l’urgenza con cui caricò
quell’unica parola sferzarono l’aria. Facendosi coraggio, avvicinò una mano al
viso di Ennis e lo sfiorò. Ennis trasalì, tirandosi indietro e mettendo le mani
davanti a sé come per proteggersi, gli occhi spalancati.
-Non mi toccare-.
Jack ebbe un sussulto; il dolore lo attraversò
come una scarica, accumulandosi negli occhi.
-Ma, Ennis…-, sussurrò disperatamente.
-Stammi lontano-.
Ennis sentiva la paura passargli da una parte
all’altra del corpo, lasciandolo stordito. Non capiva di cosa avesse paura, se
di se stesso o di Jack, ma non aveva intenzione di farsi travolgere dalle
emozioni come la sera prima. Non poteva, non poteva proprio.
Negli occhi di Jack Ennis vide scorrere il
dolore, forte e distruttivo, e poi la rabbia. Giunse come un’onda, pronta a
travolgerli entrambi.
-Io dovrei starti lontano?-, ringhiò.
-Non ti avvicinare-.
Jack digrignò i denti.
-Mi sembra che ieri sera non fossi dello stesso
parere-.
-Non parlare di ieri sera-.
-Oh, certo-, ribatté Jack, -Ti sei divertito
come volevi e ora neghi tutto?!-
-Stai zitto-, sibilò Ennis.
Un lampo attraversò gli occhi di Jack: con una
forza incredibile, che Ennis non avrebbe mai immaginato in lui, lo prese per il
colletto della camicia e lo gettò a terra. Ennis si tolse le sue mani di dosso
e lo colpì direttamente in faccia.
Jack si portò una mano sulla guancia colpita,
asciugandosi il sangue che gli usciva dal labbro, e lo guardò con rabbia.
-Tu mi hai convinto-, ringhiò Ennis.
-Non mi pare che ti sia dispiaciuto così
tanto!-
-Vaffanculo, brutto frocio-.
Jack incassò il colpo: gli occhi si velarono di
lacrime che tentò di dissimulare. Strinse le palpebre, ma il labbro inferiore
gli tremò, per la collera e l’umiliazione. Ennis rimase in silenzio, respirando
affannosamente, conscio di aver oltrepassato il limite.
-Tu-, mormorò Jack, cercando la voce che
s’incrinava, puntandogli contro un dito, -Ennis Del Mar, sappi che io non
sono un giocattolo da usare come vuoi e poi buttare il giorno in cui te ne
stufi-.
Ennis non rispose; restò con gli occhi puntati
verso l’orizzonte e la rabbia nell’espressione, sperando solo che tutto finisse
in fretta.
Jack ansimava e lo guardava fisso, aspettando
che si voltasse. Ma Ennis non fece un gesto.
-Figlio di puttana-, sibilò a denti stretti
l’altro.
Ennis scorse con la coda dell’occhio Jack alzarsi
e voltarsi dall’altra parte, per andarsene. Fece qualche passo verso la
foresta, poi si fermò di spalle. Ennis lo vide stringere i pugni e piantarsi le
unghie nei palmi delle mani. Rimase immobile, fremente di rabbia, e quando si
voltò le lacrime avevano invaso i suoi occhi, offuscandone l’azzurro intenso
delle iridi. Aprì la bocca per parlare, ma sembrò ripensarci. Strinse i denti,
furente, e alla fine se ne andò, sparendo tra gli alberi.
Ennis rimase solo nella radura e assurdamente
provò un incredibile senso di sollievo: il sole era quasi sparito dietro la
montagna e la luce prendeva toni tenui e avvolgenti che ferivano gli occhi.
Cercò di non pensare a nulla. Svuotò la mente riempiendola solo di quel
magnifico tramonto quasi al termine. C’era qualcosa di affascinante nella morte
della luce: ad Ennis sembrava quasi che una mano dannata stesse afferrando il
sole per portarlo negli inferi; non c’era alcuna certezza che sarebbe tornato a
sorgere, la mattina dopo. I dannati avrebbero potuto decidere di tenere la
palla di fuoco per loro, lasciando gli uomini al buio.
Eppure Ennis sapeva
che non gli sarebbe dispiaciuto: la notte eterna avrebbe nascosto le colpe e i
peccati di cui si era macchiato. Perché ormai era certo che il suo sole
non sarebbe sorto mai più.
Tornò all’accampamento che era notte fonda.
La luna era piena quasi come la sera prima,
anche se cominciava pian piano a sciogliersi nel cielo nero, e fu grazie alla
luce chiara da questa emanata che Ennis evitò di perdersi. Rischiò di sbagliare
strada una volta o due, ma dopo ogni passo falso riusciva a tornare subito sul
sentiero.
Era rimasto nella radura fino a quando aveva
iniziato a sentire i piedi, le mani e il volto completamente congelati: i denti
avevano cominciato a battere incontrollati ed era dovuto tornare. Il cavallo lo
aspettava ancora sul bordo della radura, legato ad un albero.
Giunto alla tenda, si ritrovò di nuovo
impreparato. Ormai non poteva tornare dalle pecore, ma del resto non poteva
nemmeno entrare nella tenda come se niente fosse e far spostare Jack per
dormire al caldo. L’unica soluzione alla fine era salire comunque dalle pecore
e cercare di dormire nella cosa malconcia che fungeva da tenda. Non gli
sembrò un pensiero malvagio o particolarmente difficile da attuare, eppure non
si mosse.
Una sensazione indefinibile lo tratteneva. Gli
occhi rimanevano incollati alla tenda: c’era qualcosa di strano nell’aria e
nella terra.
Il fuoco era spento, ma
non sembrava che si fosse consumato pian piano come al solito, anzi: era più
facile che qualcuno ci avesse gettato sopra qualcosa per soffocarlo. La tenda
poi era aperta leggermente ed Ennis sapeva che Jack era solito chiuderla
accuratamente prima di addormentarsi.
Insospettito da quei segnali, decise di
rimandare il suo ritorno dalle pecore e si diresse verso la tenda semichiusa.
Cosa stava combinando Jack?
Con prudenza Ennis mosse un piede davanti
all’entrata e con una mano scostò il telo che nascondeva l’interno.
Subito non capì.
I suoi occhi delinearono i contorni del sacco a
pelo e delle coperte, per poi passare al corpo muscoloso di Jack.
Ma quando entrò dentro la tenda completamente e
la luce della luna illuminò lo spazio angusto, ciò che vide gli gelò il sangue.
Fu incredibile: i muscoli si immobilizzarono, la gola si seccò, il sangue smise
di scorrere. Solo la mente continuò a funzionare, elaborando pensieri
affannati, ragionamenti accavallati, panico.
Jack era quasi completamente nudo, disteso
supino sul fondo duro della tenda, lontano dalle coperte e dai vestiti
abbandonati in un angolo. Il suo viso era contratto in una smorfia di dolore,
gli occhi chiusi e le labbra strette, le lacrime cristallizzate sulle guance. I
capelli spettinati erano incollati alla fronte.
Per un momento Ennis non riuscì a far altro che
fissare sconvolto la scena, con il terrore che gli illuminava lo sguardo
spalancato.
Poi le mani agirono di propria iniziativa: si
posarono sul ventre di Jack, scuotendolo.
-Jack…-
La voce uscì roca e bassissima.
A poco a poco lo shock si sciolse e il panico
aumentò.
Con uno scrollane, tentò di svegliare Jack, ma
sembrava essere caduto in uno stato di incoscienza perenne.
-Jack!-, gridò.
Il suo corpo era freddissimo, coperto da uno
strato sottile di sudore gelido.
Ma cosa gli era saltato in mente? Aveva forse
intenzione di ammazzarsi?
Trasalì. E se Jack avesse davvero tentato
di uccidersi?
Sentì un nodo stringere in gola e il cuore
cominciare a battere più forte.
Jack non si muoveva: rimaneva rigido, come
congelato da una sorta di incantesimo, ma ora tremava.
Ennis lo mosse ancora, preso a un’urgenza
terribile. Jack non reagiva.
Rassegnato, gli afferrò le spalle e cercò di
sollevargli il busto. La testa di Jack scivolò all’indietro ed Ennis dovette
tenergliela con una mano. Cautamente lo appoggiò ad una parete della tenda, sperando
che non si accasciasse, e lo lasciò per prendere i vestiti. Nella confusione e
nel panico ci mise un po’ a trovarli e ogni secondo che passava gli sembrava di
dare Jack in pasto alla morte. Quando tornò da lui, il tremore del suo corpo si
era fatto più violento, ma quello era per Ennis l’unico segnale del fatto che
fosse ancora vivo. Vestirlo gli costò molta fatica: Jack era pesante e tremando
rendeva tutto più difficile. Si concesse di respirare solo nel momento in cui
gli ebbe infilato anche la giacca.
Ma Jack non accennava a riprendersi. I suoi
occhi erano immobilizzati in quell’espressione di muto dolore e il suo corpo
non si scaldava.
Si lasciò sfuggire un gemito disperato.
Lanciò un’ultima occhiata a Jack e corse fuori
dalla tenda. Poco più in là i ceppi carbonizzati giacevano sparsi a terra.
Cercando di fare più veloce possibile, accese un fuoco modesto. Impiegò il
doppio del tempo perché le mani gli tremavano. Quando le fiamme iniziarono a
scoppiettare, con la loro solita incurante calma, Ennis prese il pentolino in
cui facevano cuocere il poco che avevano e lo riempì d’acqua; lo mise sul fuoco
per farla bollire e tornò dentro la tenda.
Jack era scivolato a terra. Ennis si avvicinò
appena e notò che non tremava più. Il terrore lo assalì.
Prese il colletto della giacca di Jack e lo
scosse più forte delle volte precedenti.
-Jack!-, gridò.
Poi la paura gli bloccò le parole in gola,
quasi soffocandolo. Le lacrime arrivarono agli occhi e trovarono la via libera
per gettarsi sulle guance.
-Cazzo, Jack!-
Lo sbatté contro la tenda disperatamente, con
le forze che gli restavano e poi lo abbandonò, staccando le mani dalla giacca.
Perché aveva fatto una cosa del genere? Perché?
Seguendo la sua ultima possibilità, uscì ancora
una volta dalla tenda, prese il pentolino con l’acqua ormai bollente e tornò
dentro, dopo aver lanciato uno sguardo carico di rassegnazione al tondo bianco
della luna. Senza guardare Jack, si procurò un panno frugando tra gli oggetti
sparsi sul pavimento e lo tuffò nell’acqua, tirandolo fuori dopo averlo
strizzato accuratamente.
Voleva tentare, anche se sentiva di non avere
più possibilità. Voleva credere che Jack si sarebbe salvato, che gli
avrebbe sorriso, o che anche solo gli avrebbe permesso di guardare ancora in
quei luminosi enormi occhi blu.
Si avvicinò tenendo lo sguardo basso e appoggiò
lo straccio sulla fronte di Jack. Fu in quel momento che vide i suoi occhi: le
palpebre si erano leggermente sollevate e sembrava che Jack lo stesse
guardando.
Rimase interdetto. Il cuore tornò a battere
velocemente, la speranza si fece strada a fatica, ma con forza nuova.
-Jack…-, sussurrò.
E stupì persino se stesso per l’amore e la
commozione con cui intrise quella parola.
Jack parve capire: il suo sguardo vacillò un
attimo confusamente, poi gli occhi gli si chiusero ancora.
Ennis, allarmato, riprese a sfregarlo con
l’acqua calda sul viso. Passò il panno umido sulla fronte, sulle guance, sulle
labbra secche e poi sul collo. Tentennò un momento, ma poi gli slacciò giacca e
camicia e tentò di scaldargli anche il petto e il ventre.
-Ennis…-
Alzò di scatto la testa e si scontrò con lo
sguardo ceruleo degli occhi di Jack, ora completamente aperti. Sembrava che
avesse ripreso un po’ di colore. La sua espressione era addolorata e ancora
confusa.
Quando si accorse che lo stava guardando, Ennis
si affrettò a chiudergli la camicia, ma Jack corrugò le sopracciglia e si
oppose debolmente con una mano.
Ennis lo guardò senza sapere cosa fare. Jack
chiuse gli occhi, voltandosi di lato.
-Mi dispiace…-, mormorò.
Ennis sorrise non visto. Se Jack riusciva a
trovare la forza di scusarsi e non si preoccupava di se stesso, allora
probabilmente stava bene. Incuriosito dal suo silenzio, Jack si voltò a
guardarlo, ma Ennis continuò a sorridere teneramente, ammirando il suo volto
dai lineamenti morbidi. Jack arrossì.
-Scusa-, ripetè, -Per quello che ti ho detto
oggi…-
Ennis scosse la testa. -Ne avevi tutte le
ragioni-.
Jack tentò di sorridere in modo sghembo,
ottenendo un discreto successo.
-Forse…-, mormorò, -Ma non m’interessa-.
Ennis chiuse gli occhi e sospirò.
-A me sì. Mi dispiace per quello che ho fatto…-
Sentì una mano posarsi sulla sua guancia e aprì
di nuovo gli occhi.
-Ti amo-.
Ennis sentì il cuore fermarsi. Fissò senza
parole Jack, che sorrideva con quegli occhi blu nuovamente luminosi e sereni.
Non riuscì a rispondere. Ma Jack non meritava
un ennesimo rifiuto, un’altra umiliazione. Aprì la bocca e cercò le parole
giuste, ma Jack gli posò un dito sulle labbra.
-So che non te la senti-, sussurrò, -Tutto a
suo tempo…-
Ennis percepì le lacrime pungere e offuscare
tutto, ma cercò di asciugarle sbattendo le palpebre.
-Lo sai che quando fai così sembri una
ragazzina?-
Jack sorrideva divertito, anche se ancora
provato dal congelamento.
-Non mi provocare…- rispose Ennis, scherzosamente.
-Perché altrimenti cosa mi fai?-
-Questo, per esempio-, sussurrò.
Gli prese il volto tra le mani e lo fissò negli
occhi blu. Vide Jack deglutire, sorpreso e spaventato. Quegli occhi liquidi
furono l’ultima cosa che guardò, prima di chiudere i propri ed avvicinarsi alle
labbra di Jack. Quello sospirò, lasciando che la tensione arrivasse sulla bocca
del compagno. Ennis inspirò il profumo di Jack e poi decise di sentire il suo
sapore. Appoggiò con delicatezza le labbra su quelle dell’altro, mangiandole e
lasciandole con movimenti veloci. Quando Jack non resistette più e premette
sulle sue labbra con la lingua, Ennis lo lasciò passare. In quel momento fu
certo di non aver mai assaggiato nulla di più dolce.
C’era in Jack qualcosa che non aveva mai incontrato
in nessuno. Era una forza gigantesca capace di scuoterlo, placarlo, tormentarlo
e donargli la pace mai assaporata. Era qualcosa di nascosto nel suo sguardo,
nei suoi sorrisi, nel suo modo di fumare e di passarsi la lingua sulle labbra,
nei suoi pugni. Jack era in grado di opporsi al suo carattere e allo stesso
tempo di completarlo.
Jack era l’unica persona che lo avesse mai
amato davvero, mai amato così tanto.
-Ti amo-, sussurrò sulle labbra del compagno.
Sentì Jack fremere di emozione e gratitudine, sorridere
contro di lui.
E pensò che non c’era niente di più importante
al mondo di quel sorriso.
Ed ecco tutto.
Spero vi abbia fatto piacere. Lasciate un
commentino, ok?
Per tutti quelli a cui Heath manca come a me.
Aki