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Autore: Mavimat    23/07/2015    0 recensioni
Ginevra e Sofia. Un bacio che é stato per due volte un addio.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Arrivarono in stazione più o meno verso mezzogiorno. Ginevra e Sofia. Ginevra doveva partire per un lungo viaggio nelle Indie e Sofia aveva deciso di accompagnarla perché Virginia non poteva. Si erano conosciute proprio lì, in stazione, qualche anno prima. Non avevano stretto una forte amicizia, ma stavano bene insieme, avevano alcuni interessi in comune :nei film, nei libri, nella musica. Ginevra portava i capelli corti, molto corti, era alta e con un fisico slanciato. Quel giorno aveva una maglietta bianca con il colletto rialzato con sopra una striscia rossa, un paio di jeans blu scuro e i mocassini rossi. I suoi preferiti. Sul viso gli occhiali da sole, un paio di Rayban blu. La valigia accuratamente preparata la sera prima, insieme ad una piccola borsa con le cose indispensabili durante il viaggio in treno e in aereo: un libro letto a metà, il portafoglio, la custodia degli occhiali, un pacchetto di fazzoletti, un pacchetto di salviette per le mani, il suo iPod e, ovviamente, i biglietti. E poi c’era un’altra cosa: una busta bianca, chiusa. Sofia, invece, era un po’ più bassa di lei, con un fisico magro, capelli lunghi castani che raramente portava sciolti. Aveva una maglietta dell’Hard Rock Cafè, un paio di pantaloni neri e le CONVERSE.
Il treno stava arrivando.
“Speriamo di trovare un posto per sedersi” disse Ginevra.
“Magari se eviti di salire per ultima” le rispose Sofia.
Ginevra sorrise. Sarebbe ovviamente salita per ultima.
Quando il treno si fermò Sofia fece per salutare Ginevra, ma lei le disse “Aspetta”.
Salì, poggiò la valigia e andò giù. Sapeva che prima che il treno ripartisse aveva pochi secondi per salutare Sofia. Così, estraendo quella busta bianca dalla borsa, disse: “Tieni, questa è per te”
“Mmh bene…”. Teneva gli occhi fissi e bassi sulla busta.
“E questo” disse Ginevra.
“Cosa?”, Sofia stava alzando il viso quando Ginevra lo prese tra le sue mani e le posò un bacio sulle labbra. Sofia, immobile, fu invasa dal profumo Flora che Ginevra amava mettersi a tonnellate.
Dopo quel bacio, Ginevra sorrise timidamente e salì sul treno, senza voltarsi indietro. Le porte si chiusero e il treno partì.
Sofia, lì ferma tra i binari con quella busta in mano e una confusione immensa nella testa. Davvero non riusciva a capire. Si sedette su una panchina, credeva di svenire. Dopo qualche minuto decise di aprire quella busta.
Dentro c’erano un foglio, o due, di carta e una maschera nera. “Non è possibile” pensò. Cominciò a leggere la lettera.
“Carissima Sofia,
quando aprirai questa busta saranno successe tante cose e tu capirai. Immagino che tu abbia già riconosciuto la maschera, quella che ho messo la sera del 30 Giugno alla festa mascherata…”
Sofia pensò alla sera di quel 30 Giugno dell’anno prima. Lei e Virginia erano ad una festa in maschera alla quale erano state invitate. Era stata invitata anche Ginevra, ma all’ultimo secondo aveva detto loro che non andava, il perché non si era ben capito, ma chiedere altre spiegazioni a Ginevra sarebbe stato inutile, sapevano del suo essere abbastanza ermetica a volte. A quella festa, come avevano notato, erano presenti ragazzi molto carini e la maschera dava ad ognuno un tocco di misterioso, irresistibile. Non tutti avevano un costume particolare, ma tutti indossavano una maschera. Sofia e Virginia avevano visto un ragazzo abbastanza alto, sui 23-25 anni, non di più, vestito in modo elegante: una camicia bianca, una cravatta stretta nera, un completo nero con dei mocassini neri, e una semplicissima maschera. Nera. Se ne stava un po’ in disparte con un bicchiere di Martini in mano. Bevve un sorso, poi si voltò in direzione delle due ragazze che lo stavano guardando e sorrise. Sofia, imbarazzata, distolse lo sguardo e Virginia le disse scherzando: “Sofia hai già conquistato il cuore di quel ragazzo…”, “Ma smettila!”. Alzò gli occhi per guardare verso il ragazzo, con l’intenzione di ricambiare il sorriso ma lui non c’era più. Passò una mezz’oretta e dal momento che si stavano annoiando, avevano deciso di andarsene. All’improvviso tutte le luci si spensero e gli invitati caddero nel buio. Tutto quel brusio di voci creava una confusione tale che a stento si sentì la voce al microfono del Dj che disse: “STATE TUTTI CALMI, E’ SOLO ANDATA VIA LA LUCE PER UN BREVE CORTOCIRCUITO. ENTRO CINQUE DIECI MINUTI TUTTO SI RISOLVERA’. APPROFITTATENE PER FARE NUOVE ESPERIENZE MA CON CALMA!”. Risata collettiva.
Lì nel buio ad un certo punto, Sofia si sentì prendere le mani, avrebbe voluto urlare ma una mano le premeva sulla bocca e anche se fosse riuscita ad urlare, nessuno l’avrebbe sentita con tutto quel fracasso. Bloccata. Poi si sentì sussurrare ad un orecchio: “ Non avere paura, non potrei mai farti del male. Ti ho sorriso prima, quando mi stavi guardando e appena hai abbassato lo sguardo mi sono spostato, perché la tentazione di correrti incontro era fortissima…e poi perché non volevo che vedessi i miei occhi colmarsi di lacrime. Speravo ci fossi anche tu a questa festa, sono venuto con la sola speranza di vederti. Mi sono innamorato di te la prima volta che ti ho vista. Tu non hai idea di quanto sia difficile per me amarti, di quanto dolore e di quanto amore ci siano in me, nel mio cuore. Ho cercato di dirmi che non era vero, ho cercato di autoconvincermi che no, non mi stavo innamorando, perché io quando mi innamoro faccio solo scelte sbagliate e con te io non voglio sbagliare, perché quando vedo te, vedo me stesso migliore, vedo un futuro, vedo una vita… e invece stavo dividendo il mio cuore in due e una parte sarebbe stata tua, anzi, quella parte E’ tua, è dall’inizio che è perdutamente tua. Quando non parlo, quando sorrido, quando guardo, io penso a te, ma così facendo sbaglio, sbaglio a non mostrarti la parte migliore di me…perché non ci riesco…perché con te nulla sembra essere bello in me, tutto sembra banale, superfluo, sbiadito. Tu, invece, sei viva. Amore mio. Come vorrei dirtelo in ogni istante della mia esistenza. Come vorrei essere al tuo fianco in ogni momento. Come vorrei vederti dormire ogni notte e svegliarmi vicino a te ogni mattina. Come vorrei che tu fossi mia. Ma non è possibile. Capisci? Capisci che non è possibile? Il destino mi è stato avverso. Parole così non le ho mai dette a nessuno. Non le dirò mai più a nessuno. Addio amore mio.”
Le lasciò le mani e la bocca, la voltò e le diede un bacio sulle labbra. Uno di quei baci casti. Sofia aveva ancora gli occhi chiusi e le labbra calde quando le luci si accesero e vide che davanti a lei non c’era nessuno, se non un’inutile folla di gente. Virginia le arrivò vicino dicendole: “Sofia ma dov’eri? Cos’è successo?”. Sofia fu solo in grado di rispondere: “Niente”.
Sofia tornò a leggere la lettera:
“Carissima Sofia,
quando aprirai questa busta saranno successe tante cose e tu capirai. Immagino che tu abbia già riconosciuto la maschera, quella che ho messo la sera del 30 Giugno alla festa mascherata. Sì Sofia, ero io quel ragazzo. Non avrei potuto trovare un momento migliore e non avrei potuto fare altrimenti. Baricco dice: “Non c’è nulla che possa, nel buio, diventare vero” e nulla è più vero di questa frase. Quella sarebbe stata l’unica volta in cui sarei stata capace di dirti quello che provo, quello che da sempre provo, avvolta dal buio e dal mistero. Quel piccolo cortocircuito l’ho causato io, lo sai che sono sempre stata abile in queste cose di scherzi, giochi e magie. Avrei mai potuto dirti quelle parole alla luce del sole? Così, a viso aperto? Avrei potuto dirti che il tuo sguardo mi penetrò la prima volta che ci incontrammo, andando a toccare qualcosa che nemmeno io ho quasi mai il coraggio di toccare? Il tuo sguardo mi si stampò addosso, ovunque, in ogni punto del mio essere, anche nel punto più profondo dell’anima, se mai ne avessi una, sentivo caldo e freddo assieme, una sensazione incredibile. Restai sveglia tutta la notte. Ero felice ma allo stesso tempo triste. Sorridevo e piangevo. Ero tutto e niente. I mesi passavano e più ti vedevo, più mi innamoravo amaramente di Te. Sapevo che stavo sbagliando, ma non riuscivo a fermarmi. Cominciai a conoscerti di più, a scoprire il tuo mondo, cosa ti piacesse fare, ascoltare, ballare, leggere…cose normalissime tra due amiche che si stanno conoscendo, ma per me ogni dettaglio era importante, ogni particolare era un qualcosa in più di te in me. Tu, amore, sei la parte migliore di me, tu sei il riflesso che vorrei vedere quando mi guardo allo specchio. Perdonami per averti nascosto tutto questo e per avertelo fatto esplodere tutto d’un fiato oggi. Sapevo che dopo quella sera avresti cercato quella maschera, quel ragazzo, quelle parole, quel bacio. Ed è quello che hai cercato in ogni ragazzo da quella sera ad oggi e non è stato facile vederti cercare me in altri. Perché tu stavi cercando me, alla fine. E non ti accorgevi che ero lì, ad ogni angolo ero lì dietro ad aspettarti e volevo dirti “Non cercare nelle persone che non conosci, non cercarmi dove non ci sono. Eccomi, sono qui vicino a Te, mi vedi? Mi hai trovato?” ma non potevo farlo. Con quelle parole, quella sera, avevo deciso che sarebbe stato il mio addio, il mio “nulla che non sarebbe mai più diventato vero”; se ti avessi parlato, se mi fossi svelata, sarei venuta meno alla promessa che avevo fatto a me stessa, e avevo intenzione di essermi fedele almeno una volta. Mai sono stata tanto disonesta se non con me stessa. Lo siamo un po’ tutti in fondo, ma molti si perdonano il secondo dopo che si sono traditi. Io no. Non riesco a perdonarmi quasi mai ed è difficile convivere con un traditore. Ma stavolta sarebbe stato diverso. Se mi fossi stata fedele stavolta, avrei cancellato tutti i miei tradimenti passati. La mia posta in gioco era molto alta. Ma ho avuto paura in tutto questo tempo sai? Credevo che mi sarei tradita prima o poi, avrei fatto un passo falso, mi avresti scoperto e… Cosa avresti fatto? Saresti rimasta o te ne saresti andata? In qualunque caso sono, per fortuna, riuscita a trattenermi. Non avrei sopportato la tua perdita e se saresti rimasta non avrei sopportato che tu facessi sacrifici per me. Non ti avrei mai permesso di cambiare la tua vita per me. Magari all’inizio avresti potuto essere felice, ma se poi ti fossi pentita? Non sarei mai riuscita a vedere un velo di tristezza che si posava ogni giorno sul tuo viso mentre eri al mio fianco. Mi sarei straziata dal dolore.
Quando avrai finito di leggere la mia lettera, che raccoglie in una volta sola tutte le lettere che non ti ho scritto, io sarò già sul treno che mi porta in aeroporto, pronta a volare via. Via da te, dai tuoi capelli, dai tuoi occhi, dal tuo sorriso, dalla tua bocca, dalle tue labbra, dalle tue braccia, dalle tue mani, dalle tue dita, dal tuo nome.
Non cambiare mai,
Addio,
per sempre tua,
con affetto,
Ginevra. ”
Sofia sollevò gli occhi dal foglio che aveva tra le mani. Lo posò sulla panchina lì vicino a lei e prese la maschera nera tra le mani. La guardò. Ricordò di quanto tempo aveva passato a cercare il sapore di quel bacio e di come, delusa, non l’avesse mai trovato. In nessun ragazzo e su nessune labbra aveva trovato qualcosa che si potesse avvicinare a quella delicatezza, a quell’amore. E per tutto il tempo li aveva avuti vicino. In ogni istante. Quel giorno per lei il tempo si fermò la durata di un bacio. Il bacio che cercava e che, invece, l’aveva trovata. Quel bacio che era stato per due volte un addio. Fece una piccola risata abbassando gli occhi, mista d’amaro e di disperazione. Poi sentì una breccia nel cielo, alzò gli occhi, vide un aereo. Le lacrime cominciarono a scendere calde. Pianse. Di lì a poco passò un altro aereo. Stava ancora piangendo, ma asciugandosi le lacrime guardò in alto, verso le nuvole, dove c’era la scia dell’aereo appena passato. In un flebile e dolce filo di voce disse: “Addio”.
  
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