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Autore: Red_Hot_Holly_Berries    23/01/2009    5 recensioni
Addio, Artù. Sei stata la persona che ho amato di più in questo mondo, e mi vergogno di non essere riuscitoa proteggerti come avevo promesso.
Mi hai accettato per quello che sono, non mi hai odiato quando hai scoperto la verità sul mio sangue, e mi hai baciato anche quando mi hai visto nel mio vero aspetto.
È ora di andare ma, forse, ci rivedremo.
In un'altra vita.
Genere: Romantico, Triste, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Addio

-Sire… Artù…vi devo parlare.-
Mentre percorreva a passo di carica i corridoi del castello, Merlino era deciso ad entrare nella camera del principe ostentando tutta la sicurezza che riusciva a racimolare, con il discorso che si era preparato ben chiaro in mente, ma quando si era trovato di fronte alla porta dei suoi appartamenti il primo proposito era svanito, e aveva finito per sgusciare dentro di soppiatto.
-Quando imparerai che un servo può parlare solo quando il suo padrone glielo concede?- domandò ironico Artù, seduto al tavolo mangiucchiando distrattamente della frutta.
Lo sguardo angosciato del giovane mago incontrò quello incuriosito del principe, e tutte le cose che voleva dirgli svanirono dalla sua mente come una nube di fumo.
Occhi grigi come il ferro, gravi di segreti e di un’inquietudine che non riusciva più a nascondere, fu ciò che Artù vi vide.
Dolore, frustrazione, sentimenti fragili e agonizzanti, fu ciò che lesse in quei pozzi di tenebra, e i suoi occhi di un purissimo azzurro si velarono di preoccupazione.
-Cosa c’è, Merlino? Cosa succede?- gli chiese, alzandosi da tavola.
Ma il servo, temendo ciò che l’altro poteva aver letto nel suo sguardo, guardava con ostinazione verso il basso, rifiutandosi di cedere a quel desiderio spasmodico che lo supplicava di lasciarsi a andare e di confidarsi.
-Io…Voglio che mi facciate una promessa- disse sottovoce Merlino.
-Cosa?- fece di rimando Artù, stupito. No, doveva aver sentito male…
-Voglio che mi promettiate che sarete un buon re.- il ragazzo esitò, indeciso se guardare il suo interlocutore o meno, ma alla fine decise di non rischiare.
Finalmente le parole iniziavano a fluire, e non voleva ritrovarsi di nuovo a balbettare.
-Voglio che mi promettiate che il vostro regno sarà cantato dai bardi come il più grande e il più magnanimo.-
-Voglio che mi promettiate che la vostra pace non si fermerà all’apparenza, alle superstizioni, ma che cercherete di capire la verità che si cela nel cuore di tutti.-
-Voglio che adempiate al vostro destino-
-Voglio che lo facciate per vostro padre che non c’è mai riuscito, per il vostro popolo che se lo merita… e per me che non sono riuscito ad osservare al mio scopo.-
-Cosa vai blaterando? Insomma, Merlino, ciò che dici non ha senso… sembra quasi che tu te ne stia per andare! Sappi che se vuoi dare le dimissioni da mio servo, devi impegnarti di più!-
Artù cercò di metterla sul ridere per celare l’inquietudine che quelle parole avevano destato in lui, ma l’unica reazione di Merlino fu un triste sorriso, pallida imitazione della sua solita espressione.
-Spero che il vostro prossimo servo vi sia fedele come lo sono stato io.-
-Ora basta! Perché parli al passato? Tu non vai da nessuna parte! Te lo vieto! Chiaro?-
Ora il principe era davvero arrabbiato. Perché palava per enigmi in quel modo?
Ma anziché rispondere, Merlino disse: -Molto tempo fa, uno della mia stirpe ebbe una visione. Un giorno, un giovane sarebbe salito al trono sotto il vessillo del Drago Rosso. La sua venuta avrebbe portato pace e prosperità a tutto il popolo, e la magia avrebbe conosciuto una nuova epoca di grandezza e potenza.-
-Fu per questo che, da allora, abbiamo vegliato da sui Pendragon, abbastanza vicini da aiutarli ma mai abbastanza da farci riconoscere.-
-E poi un giorno giunse il segno tanto aspettato: il principe designato dalla profezia era nato! Per la prima volta, a uno di noi fu affidato il compito di prendersi cura dell’erede da vicino.-
Una pausa, ma Artù in cuor suo sapeva già come avrebbe continuato.
-Così io, l’ultimo della mia famiglia, fui mandato qui per servire un giovane principe, arrogante e viziato. Mi affidarono a Gaius, un amico di vecchia data, perché apprendessi l’importanza del mio scopo, ossia proteggervi, in quanto sapevamo che la vostra vita sarebbe sempre stata in pericolo.-
Artù avrebbe voluto intervenire, fermare Merlino, per confutare quelle parole, scacciarle, ma era come paralizzato sul posto.
E mentre ogni tassello andava al suo posto e di contro il suo mondo gli crollava addosso, il principe non riusciva ad articolare nemmeno una parola.
Quanto volte aveva avuto l’impressione che ci fosse qualcuno che lo proteggesse?
Non ultima quando la Bestia Errante lo aveva morso… non era forse il suo veleno letale?
Eppure lui era sopravvissuto, contro ogni logica…
-Ma c’era una cosa a cui nessuno aveva pensato.- la voce di Merlino lo riscosse bruscamente dai suoi pensieri.
-Nessuno aveva previsto che mi sarei innamorato di quel pezzo d’asino che mi era stato affidato, al punto di fare di voi il centro del mio mondo. Col tempo, stando al vostro fianco, dimenticai tutti i “perché” e i “per come”. Il mio obbiettivo era diventato unicamente la vostra felicità, e cercai di proteggervi ogni volta come potevo.-
Non era possibile! Merlino lo amava! Ma… come?
E in quel momento Artù capì il perché della costante preoccupazione dell’altro, di tutte le sue premure, di quei piccoli atti di gentilezza che esulavano il ruolo di semplice servo…
-Come sono stato sciocco… il mio dovere era impedire che vi venisse fatto del male, eppure insieme abbiamo affrontato moltissimi pericoli, salvandoci la vita a vicenda… quando siete andato a cercare il Fiore della Morte per farmi l’antidoto, e ancora di più quando per la vostra ultima prova avete bevuto quel veleno… mi sono vergognato come mai in vita mia. Avevo permesso che il mio re, che la persona che più amavo, rischiasse la vita al posto mio.-
Merlino alzò gli occhi e incontrò lo sguardo del suo principe, che lo guardava stordito.
-Ma ora finalmente ho fatto ammenda.-
-Cosa… cosa intendi?- Artù alla fine aveva ritrovato la voce, e intendeva usarla per confutare tutte quei fatti che gli venivano esposti con quel tono così triste, così carico di rimpianto.
-Una vita per una vita. Per salvare la vostra, ho dato in cambio la mia, come non ho mai avuto il coraggio di fare.- spiegò diretto Merlino, ritenendo inutile girarci intorno: sentiva che il suo tempo si stava accorciando.
Nimueh non era certo famosa per la sua pazienza.
-Se è così perché sei ancora vivo? Una cosa simile non è possibile!- disse il principe, cercando di aggrapparsi agli aspetti più concreti di quella storia assurda, in quanto la sua mente si rifiutava categoricamente di compiere l’ultimo collegamento.
-Perché ho giurato di tornare all’altare entro mezzanotte, e sanno che rispetterò la mia parola.-
-Non sono stato io a chiederti un sacrifico simile, perciò non hanno nessun diritto su di te!-
Merlino sorrise davanti a quel ragionamento contorto. -Sire, l’ho fatto per mia volontà.- rispose semplicemente. -Allora darò ordine alle guardie di sbatterti in cella! Ti impedirò di andartene da questo castello!- esclamò il principe, scattando in avanti a facendo per afferrare il braccio di Merlino, ma questi pronunciò una parola, una sola, in una lingua che non conosceva, con tono così secco e autoritario che fece venire i brividi lungo la schiena all’altro.
Quando però cercò di toccare Merlino, Artù scoprì di non poterlo fare, scontrandosi a una spanna dall’altro con una barriera invisibile che, quando cercò di fare pressione, lo spinse violentemente indietro, facendolo barcollare.
-Ma… cosa…? Sei stato tu, Merlino?- balbettò Artù, appoggiandosi al bordo del tavolo.
-Si, mio signore.- rispose pacato l’altro, e solo allora il principe vide gli occhi di colui che da servo era diventato il suo amico più fidato: non erano più di quel grigio così scuro da sembrare nero, no… erano diventati dorati.
No, non “dorati”… erano due pozze d’oro fuso rimestate senza posa da correnti profonde, erano due soli in miniatura, la cui luce si riversava su di lui, misero profano che aveva osato alzare lo sguardo verso quegli astri incandescenti di potere immenso e antico…
A fatica, compiendo il più grande sforzo di volontà della sua vita, Artù distolse lo sguardo da quell’abbagliante visione.
-Sei uno stregone!- lo accusò con voce irata.
Non poteva crederci, non lui… Non il suo valletto, non l’uomo in compagnia del quale si era salvato innumerevoli volta all’ultimo secondo per un soffio, tanto da generare in lui la convinzione di essere baciato dalla fortuna…
Ma tutti questi pensieri passarono in secondo piano quando vide l’espressione sofferente e tradita di Merlino, pentendosi subito del tono usato.
Non gli importava chi fosse, lui restava sempre il suo Merlino, il ragazzo per cui provava un desiderio così ardente che tratteneva a fatica…
-No sire, non sono uno stregone! Né io né la mia stirpe abbiamo mai tratto il nostro potere dal sacrifico di sangue altrui!- disse Merlino concitato, perdendo la flemma che era riuscito a raccogliere.
Non voleva assolutamente che Artù pensasse a lui come a un negromante.
-Noi siano i figli della Terra, siamo gli ultimi discendenti della religione pagana che vostro padre cerca di sradicare mandando al rogo ogni persona che sospetti avere una briciola di Potere. Io sono un mago, figlio dell’Antico Sangue che continua a scorrere in Britannia, nonostante l’odio e le persecuzioni ingiustificate che ci sono state scatenate contro. Noi usiamo i nostri poteri per fare del bene, per dare fertilità ai campi, per sconfiggere le carestie, per guarire i malati.-
Prima di andarsene, Merlino voleva far capire ad Artù che la Magia non era una cosa cattiva… voleva adempiere almeno a parte del suo compito, dato che non ci sarebbe più stato per proteggerlo.
-La magia è come una spada, capite? Di per sé non è né buona né cattiva: sono gli uomini che la usano a darle uno scopo. La si può usare per aiutare la gente oppure per danneggiarla… la scelta è libera.-
-Aspetta… vuoi dire che per tutto questo tempo tu hai usato la magia su di me?- chiese minaccioso il principe, ergendosi in tutta la sua altezza, aspettandosi di veder Merlino farsi piccolo piccolo davanti alla sua ira.
Ma il mago ormai non temeva più il suo furore.
-No, sire, l’ho usata solo per proteggervi. Sapete cosa mi ha detto mio padre? Ha detto che noi due siamo le due facce della stessa medaglia. Allora non capii, ma adesso… adesso è tutto chiaro.-
-Tuo padre? Ma non mi avevi detto che era morto prima della tua nascita?- lo interruppe Artù, cercando di cambiare argomento.
No, nonostante tutto, nonostante quel voltafaccia improvviso e quel tradimento, Artù non voleva perdere il suo migliore amico.
-In realtà mio padre è vivo e vegeto. E vive in questo castello.- rispose Merlino, impacciato.
Come fare a spiegarglielo in modo semplice?
-Davvero? Vuoi dire che lo conosco? Fa parte della mia corte?- chiese l’altro, stupito.
-No, mi sono espresso male. Lui vive sotto il castello, in una caverna.-
Respiro.
Dai, Merlino, puoi farcela. È l’ultima volta che lo vedi, è ora di dire la verità.
Tutta la verità.
E sperare che non ti disprezzi.
-Mio padre è un drago.-
Il silenzio che si allungò tra loro fu spezzato dalla risata stridula di Artù.
-Stai scherzando, vero?- domandò il principe, basito.
Non poteva essere vero… non solo un mago ma pure mezzo-rettile? Era semplicemente ridicolo.
-No, sire, è la verità. È per questo che i miei poteri sono molto più grandi di quelli di chiunque altro… probabilmente sono il mago più potente vissuto finora, dato che sono l’unico mezzodrago mai nato, per quanto ne so io, e i draghi sono le creature più magiche al mondo.-
Era strano per Artù ritrovarsi a conversare in quel modo – così pacato, così normale – dopo quello che Merlin gli aveva detto.
Che era un mago, che era figlio di un drago – anche se in realtà non gli credeva molto.
Ma soprattutto che lo amava.
Chissà perché, quella rivelazione, in qualche modo eclissava le altre.
Merlino, il ragazzo che l’aveva sfidato – senza sapere che fosse figlio del re – e che l’aveva quasi vinto.
Merlino, il servo pasticcione che si lamentava senza remore con lui per la mole di lavoro che gli affibbiava, così, quasi per dispetto per l’aver monopolizzato in quel modo al sua mente.
Merlino, il suo miglior amico e confidente che non esitava mai a contraddirlo, colui che piano ma inesorabilmente si era insediato nel suo cuore.
Solo in quel momento Artù si rese conto di amarlo.
Da fuori giunse il suono della campana del campanile del paese.
Il principe accolse con sollievo quell’intermezzo, lieto di aver la possibilità si raccogliere in pensieri.
Ma Merlino, che li aveva contati distrattamente, sobbalzò.
Undici rintocchi!
Era tardissimo, mancava solo un’ora all’appuntamento con Nimueh!
Era ora di giocare il tutto per tutto.
-Devo andare, Sire. È quasi ora.-
-No! Tu non andrai da nessuna parte!- esplose nuovamente Artù, ma invece di gettarsi addosso all’altro come prima, gli si avvicinò solo di alcuni passi.
-Merlino, rimani con me. Per favore.- gli chiese con dolcezza, facendo tremare il mago.
Lo stava supplicando.
Lo leggeva nei suoi occhi azzurrissimi, che glielo stava chiedendo umilmente come mai aveva fatto in vita sua.
-Non andartene. Ti amo con tutto me stesso… non sopporterei mai di perderti. Ti prego, Merlino-
L’altro barcollò sotto l’impatto di quella dichiarazione.
E per la prima volta lo chiamò per nome, perché tra loro non c’era più bisogno di titoli.
-Non posso, Artù. Se non andrò, lo scambio sarà annullato. Devo ristabilire l’equilibrio, o non oso immaginare cosa potrebbe succedere.-
Da quegli occhi d’oro scendevano silenziose lacrime cristalline, simili a sfaccettati diamanti.
Lacrime che non smisero di scorrere quando Artù gli cinse la vita con le braccia, stringendolo forte, incurante di ogni possibile barriera, ma che, anzi, raddoppiarono.
Merlino ricambiò l’abbraccio, passando le mani dietro il suo collo e attirandolo più vicino.
Ma non poteva finire così, Artù non l’avrebbe mai permesso.
Fu per questo che il principe cercò la bocca del servo e vi premette contro la sua.
Quando non vi fu reazione, prese delicatamente tra le labbra il labbro inferiore di Merlino, mordicchiandolo piano e passando la punta della lingua su quella invitante fessura che, sotto le sue carezze sensuali, si dischiuse per lui.
Ad occhi chiusi, il giovane mago si lasciò coinvolgere in una danza erotica di lingua, saliva, denti e labbra, gustando il sapore dei loro gemiti mischiati.
E all’improvviso, si decise.
Mormorò alcune parole magiche, alitandole in bocca all’altro.
Improvvisamente Artù sentì un gran calore, in bocca e tra le mani, come se la persona che teneva tra le braccia avesse preso fuoco.
Sorpreso, riaprì gli occhi e un ansito gli rimase bloccato in gola.
Era Merlino… eppure non lo era.
La forma del viso, il taglio di capelli, i vestiti, il corpo magro – quasi androgino – erano quelli di Merlino, ma il resto…
Corti capelli dell’oro più puro incorniciavano il volto del ragazzo che amava, la cui pelle aveva assunto la sfumatura dorata del sole, esaltata dalla luminosità di quelle iridi incandescenti.
Titubante, Artù tese una mano verso di lui e gli sfiorò il collo, tracciando poi il contorno della mandibola, degli zigomi, delle tempie, scoprendo che la sue pelle, oltre a essere innaturalmente glabra, era anche calda in modo innaturale.
-Questo è il mio vero aspetto- stava spiegando nel frattempo Merlino.
-Negli ultimi anni mi sono nascosto dietro un’illusione, ma non sai quante volte ho desiderato potermi disfare di questa finzione e rivelarmi per quello che sono…-
Alla fine Artù gli passò le dita tra i capelli, morbidi e fini come quelli di un bambino – chissà perché, si era aspettato che fossero rigidi come la criniera di un cavallo – indugiando dietro le orecchie.
Finalmente scoprì perché Merlino aveva le orecchie a sventola: dietro di esse, infatti, vi era una coppia di lunghi corni ossei, uno piccolo e arrotondato all’attaccatura della mascella e uno più allungato e appuntito dietro i padiglioni auricolari – lungo poco più di una spanna, a spirale stretta – che si incurvava leggermente per seguire la curva del cranio.
-Assomigliano al corno di quell’unicorno… Vuol dire che devo dare la caccia anche a te?- mormorò Artù, facendo sorridere Merlino… mettendo tuttavia in mostra un’impressionante chiostra di denti molto afflati per nulla umani.
-Niente mi darebbe più piacere che farmi prendere da te, ma purtroppo non posso. Devo andare.-
La sua voce era decisa, ma da essa trapelava un grande dolore, e Artù lo sentì.
-Non te ne andare. A me non importa cosa sei, se un mago o un drago. Senza di te non ha senso vivere.- gli disse il principe,
abbracciandolo di nuovo, sentendo sul collo quel fiato così caldo da sembrare emesso da un vulcano.
Sentendo tremare Merlino tra le sue braccia, come se la sua risoluzione si stesse sfaldando, insistette.
-Se davvero il tuo scopo è proteggermi, rimani con me. Non voglio stare senza di te, e devi impedirmi di compiere qualche atto estremo. Rimani, non so nemmeno io cosa potrei fare.-
Il biondo lo baciò, con passione, con disperazione, ma l’attimo di debolezza era passato.
-No Artù, il tuo coraggio è il più grande che abbia mia conosciuto, non sarai mai così codardo da prendere una simile scorciatoia. La vera forza è quella che si mostra davanti al dolore, e so che tu lo supererai. Fa sì che il mio sacrificio non sia stata inutile.- disse, sottraendosi alla sua stretta e avvicinandosi alla vetrata che dava sulla campagna immersa nella notte.
-Non mi dimenticare- mormorò, aprendo con un gesto secco la grande finestra, spalancando le due grandi ali di cuoio dorato che aveva sulla schiena e piegandole leggermente come un uccello che si appresti a spiccare il volo.
-No! Merlino! Non farlo!- urlò Artù, gettandosi verso di lui in preda a una furiosa disperazione.
-Mi dispiace- sussurrò il mago, pronunciando poi alcune altre parole in quella strana lingua.
Con le lacrime agli occhi, osservò il suo principe accasciarsi a terra, profondamente addormentato, cercando di imprimersi bene in mente quei lineamenti dolci.
-Ci rivedremo, Artù. In un’altra vita, dove sarò in grado di amarti con tutto me stesso, senza segreti né bugie.-
Merlino si voltò e, dopo una lieve esitazione, si gettò nella notte, aprendo le ali con uno schiocco secco, lasciandosi poi trasportare da una lieve brezza che sapeva di fiori, diretto verso la sua morte.
-Addio.-

La mattina dopo, Artù si sarebbe svegliato per terra, tutto indolenzito.
Avrebbe fissato con sguardo vacuo la finestra aperta, investito dalla luce del sole ormai già alto.
Nello spazio di un istante, tutti gli eventi della sera prima gli sarebbero tornati in mente, facendolo scattare in piedi.
A lungo avrebbe chiamato il nome di Merlino, ma la sua supplica non avrebbe ricevuto risposta.
Si sarebbe fiondato per i corridoi del castello, cercandolo dappertutto in modo quasi febbrile, tanto da far credere di aver avuto una ricaduta per via del veleno.
Si sarebbe fermato poco oltre il ponte levatoio, lo sguardo perso in lontananze vero le montagne, le lacrime che gli scorrevano lungo le guance senza pudore.
Avrebbe inconsciamente ripetuto le ultime parole pronunciate dal suo amato: “Ci rivedremo”.
Ma Merlino non sarebbe mai tornato da lui.








temo che la fine della storia sia stata seriamente influenzata dall'ascolto di "So volare", di Ivana Spagna.
sapete, la canzione finale de "La Gabbianella e Il Gatto"... è così triste....

http://www.imeem.com/phormytesa/music/U9vGly9E/ivana_spagna_so_volare/
  
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