Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Koa__    23/07/2015    1 recensioni
L'animo umano è di difficile comprensione, John, quello di Sherlock Holmes lo è ancora di più. La verità, però, è che nessuno ha mai compreso per davvero mio fratello, né lei, né io, né nessun altro. Rassegnamoci al destino che ci è toccato, dottore e proviamo a vivere degnamente la vita che ci spetta. Questo è il solo modo affinché Sherlock sia sereno. Sacrificarsi per lui non è nulla se non un dovere.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest, Triangolo
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Prigione di seta'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Parte quarta



Quando John fa il proprio ingresso nel disordinato soggiorno del 221b, quasi non fa caso alla tua presenza. Tu, al contrario, ben lo noti ed anzi, ti soffermi persino ad osservarlo. Ed è così facile leggerlo, che è sufficiente vederlo apparire sulla soglia della porta spalancata, ancora ansante per aver corso su per le scale, perché tu ti renda conto di quello che prova. Non è un John Watson differente da quello che hai incontrato al Diogenes club, soltanto qualche giorno fa. Ancora è teso e nervoso, agitato anche nell’aspetto. Infatti, John appare come sciupato e mal vestito, la barba non fatta, i capelli disordinati e la camicia non stirata. Il che è assurdo per un ex militare che ancora oggi, e dopo anni, mantiene lo stesso diligente ordine e la medesima routine mattutina di quando era sotto le armi. È pertanto impensabile che un individuo preciso e un medico ligio al proprio lavoro, si presenti tanto in disordine. Ti consideri un uomo che dà un discreto peso all’apparenza. Sai che quando qualcuno si presenta vestito in un determinato modo, lo fa per un motivo ben preciso. Un uomo che è da sempre rigoroso e che smette di curarsi praticamente d'improvviso, lo fa per svariate ragioni e dato che il fallimento economico è da escludersi, è semplice imputare la causa di tutto alla sofferenza. John sta male ed anche se ne intuisci a stento le ragioni (così preso come sei a disperarti per la tua imminente perdita) in parte te ne senti responsabile. È come se lui si sentisse così per colpa tua. Anche se… Beh, di certo non hai migliorato la situazione con il tuo comportamento del tutto fuori dal normale. No, John non deve aver dormito molto nell’ultimo periodo, magari anche per colpa tua. Le guance sono appena un poco scavate, gli occhi cerchiati e le labbra martoriate, rendono il suo male quasi di carattere fisico. Non prova dolore soltanto nell'animo, lo sente ovunque, persino nelle ossa. Gli scorre sotto pelle, manifestandosi nelle iridi sconvolte. Può portare fino a simili punti di distruzione, il mal d’amore? No. Quello di John non è il dolore di un ragazzino, non sono le paturnie di un adolescente, quella di John è una paura profondamente radicata. Il suo è il terrore di aver perso tutto. Di aver perduto Sherlock. Non divide più il letto con sua moglie e lo intuisci facilmente dalla mano che massaggia un collo dall’apparenza dolorante; già: il divano non dev’essere un granché comodo. Ecco, in questo momento, il dottore ti appare come la rappresentazione di quel genere di persona distrutta, che tu hai incarnato per tanto tempo, è lo specchio dei propri tormenti interiori e di un perenne pentimento. Non sembra quasi nemmeno lo stesso uomo che hai incontrato anni fa in un magazzino deserto in piena notte. Ora pare l’ombra di quel dottore in cerca di avventure, rimasto folgorato dal fascino di un genio.

Da che è entrato, pertanto, se ne sta rigido e teso. Non accenna a voler entrare e rimane in corridoio, quasi avesse il timore che un banale scricchiolio del legno, possa mettere fine a qualcosa che nemmeno è iniziato. Paura. C’è ed aleggia nell’aria, la percepisci tanto bene, che sai che persino Sherlock se n’è accorto. Anche respirare, teme. Tiene lo sguardo inchiodato su Sherlock, ed anzi, già da diversi istanti pare non avere occhi che per lui, al punto che quando si accorge della tua presenza, si ritrae impercettibilmente ed arrossisce un poco. In quel momento quindi, cogli l’occasione per spezzare almeno in parte l’atmosfera così troppo nervosa.
«Buon giorno, dottore» lo saluti, con fare cordiale. Tuttavia il tuo modo di fare accogliente, non poi tanto differente da quello che sei solito utilizzare, ti accorgi che ha suscitato più di una reazione negativa. È come se John avesse paura anche di te, oltre che di perdere Sherlock. E non lo biasimeresti nemmeno, dato il tuo esagerato sproloquio di qualche giorno fa. Tuo fratello, al contrario, si irrigidisce. Quasi la tua voce avesse avuto il potere di spezzare il silenzio e di frantumarlo in una miriade di piccoli attimi d’incertezza. Si tende e non si volta. Ma piuttosto rimane immobile, con lo sguardo fintamente perso ad una Baker Street dai tratti estivi e con una brezza leggera che entra dalla finestra, cingendogli il viso. Tiene le dita incrociate dietro la schiena. Inevitabilmente o meno, si lascia guardare. E John non sta facendo altro se non fissarlo, in effetti sembra non volere fare altro nella vita e probabilmente è proprio per lo sguardo che gli sta rivolgendo, che tu già ti senti di troppo. Dovrai andartene prima o poi da quella casa, ed anche se ripeti a te stesso di volerti accertare di chissà che, sai bene che stai soltanto rimandando l’inevitabile. Lui ha già scelto. Lo ha fatto qualche istante fa.

«C-ciao, Sherlock» balbetta John, pochi attimi più tardi, dopo averti salutato con un leggero cenno del capo. Già si sta avvicinando a lui e nemmeno se ne rende conto, ci fai caso per davvero solo ora che lo senti parlare. Prima eri troppo concentrato a dedurlo per accorgerti che, quasi per istinto, cerca colui che considera come il proprio compagno. Lo vuole. John desidera Sherlock e non è nulla di platonico od etereo, lui brama anche il suo corpo. Rivuole indietro quella vita insieme che lui stesso si è negato. John vuole sposarlo. Ha bisogno di lui, per sempre. Finché avranno vita. Come hai fatto a non rendertene conto? A capirlo soltanto adesso? Cielo, realizzarlo ti spezza il fiato in una maniera che fatichi a nascondere loro. Non sei mai stato tanto lento ad assimilare un concetto, e ciò ti sconvolge, così come quel: “per sempre” che ancora aleggia fra tutti e tre voi e che appesantisce l’aria rendendola irrespirabile. Rende frenetico il battito cardiaco e ti offusca la vista. Lo perderai finché avrai vita, arrenditi quindi
«Come stai, Sherlock?» Per assurdo è proprio lui, quell’ex militare che faceva anche il medico e che era sempre in cerca di un brivido in più, a salvarti. Alla sua voce ti ancori e t’aggrappi come ad un salvagente. Lui che te lo sta portando via, ora è la tua grazia. Quella che fa sì che il contegno che è imperativo mantenere, non diventi irrecuperabilmente rotto. John che si fa ancora più vicino, sempre di più e che t’ignora perché non conti nulla. Non ti vede nemmeno. Per lui ora esiste soltanto Sherlock. Quello stesso Sherlock che ti ha confessato di amare. Quello stesso Sherlock che vuole riprendersi. Te lo sta portando via ed invece che fare qualcosa, tu rimani seduto e li guardi. Osservi John, che con occhi liquidi e respiro corto, non gli toglie gli occhi di dosso. Ed osservi tuo fratello, il quale, stoicamente teso, resta voltato verso la finestra. Probabilmente sentir pronunciare il proprio nome dal suo John, di nuovo e con la consapevolezza che tutto sta cambiando, deve aver suscitato una violenta reazione emotiva. Uno sconvolgimento che fatica a trattenere e che lo rende al pari di una statua di sale. Sherlock, che ti fa quasi tenerezza nel suo leggero tremare. Un lieve vibrare, una dimostrazione di tempesta quasi insignificante da tanto è minuscola. Il tuo Sherly, che è tanto dolce… a cui quasi sicuramente traballano le iridi, perché impregnate di lacrime. Cosa deve fare, si sta domandando ora. Come si deve comportare con te. Lui, lui, lui… oh, è così poco abituato a gestire i sentimenti. Per tutta la vita li ha messi da parte e rifiutati, ed ora si ritrova a dover gestire tutto questo. In fondo, Mycroft, anche di questo t’incolpi. Avresti potuto rendergli l'esistenza molto più semplice ed invece non hai fatto altro se non complicargliela ulteriormente. Ciò non dovrebbe imbarazzarti, eppure lo fa. Perché il vero Mycroft, quello che a stento tuo fratello conosce, è un tripudio di sentimenti. Il vero Mycroft è un melodramma di Puccini: esagerato e teatrale, truccato come una Butterfly, ma così bello da togliere il fiato. Quindi te ne vergogni e mentre lui trova in sé il coraggio di cambiare tutto, tu ti alzi di scatto e fuggi.

«John» dice, anzi no, sussurra. Non ha altre parole, Sherlock Holmes. Proprio lui dalla lingua sciolta e svelta, lui dal discorrere rapido ma acculturato, ora non ha termini per esprimere ciò che prova. Perché è tutto così troppo esagerato ed eccessivo, che il solo modo per non soccombervi è a stento parlare. Ed infatti mormora, lo fa a voce bassa e con la vista che vacilla appena, scalfita dal tornado che ha dentro. John. Dice questo soltanto e forse non ha nemmeno bisogno di altro. Quel nome è già ogni cosa, è una dichiarazione d’amore che tu mai, con tutte le energie che hai speso per lui, sei riuscito ad eguagliare. Solo John, pronuncia a mezza bocca e sì, adesso ancor più di prima, ti senti di troppo.

Pertanto ti alzi e scappi in cucina. Tè. Perché hai bisogno di berne. Assurdo è il fatto che tu ancora non te ne vada.
«Preparerò del tè» dici, riferendoti a chissà chi, dato che nessuno dei due pare essere intento a starti a sentire.
«Sì, un tè è l’ideale, grazie» ti risponde inaspettatamente John. La tua incredulità si manifesta perfettamente nel semplice annuire che fai. Sei ammutolito, dal fatto che ora il dottore ti presti attenzione e che, anzi, si avvicini a te.
«Mycroft, io… mi dispiace averla messa in mezzo a questa faccenda.»
«Non si deve scusare, anzi, sono io a doverle porgere le mie scuse. Ho esagerato l’altro giorno, ma il benessere di Sherlock è ciò a cui più tengo. Avevo torto, lei ha subito dure sofferenze. Tanto dure che avrebbero messo in crisi il più stoico degli uomini, io sono stato ingiusto e lei aveva tutto il diritto di rifarsi una vita.»
«Aveva ragione invece. Aveva ragione su tutto. Io ho sbagliato, ho sbagliato ogni cosa e ora tutto ciò che ho di più caro al mondo rischio di perderlo, ed è solo colpa mia.»
«Non deve temere questo, John. Non abbia paura dei suoi silenzi, Sherlock è lento nel gestire le emozioni» aggiungi, in una precisazione che ritieni necessaria giunto a questo punto «per lui il riaverla qui è spaventoso.»
«Lei» sussurra John, indeciso sul proseguire o meno «gliel’ha detto? Gli ha riferito della nostra conversazione?»
«Ho dovuto» affermi, con fare deciso, ma pacato al tempo stesso. «Ma, mi creda, dottore, non l’ho fatto con intenti malevoli. Sherlock doveva rendersi conto di quella che potrebbe essere la sua vita futura, ma è ugualmente molto spaventato all’idea che lei sia qui in questo momento.»
«H-ha paura di me?» domanda ora, lievemente balbettante e con un fare vivamente incredulo.
«Non di lei, dottore. Mio fratello teme di illudersi. La speranza non è un sentimento che è abituato a gestire. Tra tutti è la più irrazionale delle emozioni, è la meno applicabile con la logica. Sperare non ha senso quando sai già come andrà a concludersi una vicenda. Sherlock Holmes non ha mai avuto bisogno di fare un qualcosa come “sperare”. Perché quando affronta un caso o un nemico, già sa ciò che accadrà e soltanto perché ha previsto molteplici e differenti scenari. Lo sa per logica e deduzione. Adesso però è tutto ribaltato, le regole della ragione non valgono. Non oggi. Simili sentimenti di panico, sono alimentati dall’idea di poter avere ciò che desidera da tempo. Se, mettiamo il caso, dovesse fantasticare su di voi e poi lei lo lasciasse di nuovo?»
«Questo non avverrà» dice John, con voce ferma e decisa. Tu sorridi in rimando perché per un momento, quasi rivedi il cipiglio austero del soldato tutto d’un pezzo, quello che appare assente osservandone l’aspetto trasandato. È fuoriuscito in un lampo e subito è rimasto sopraffatto dai troppi timori che ancora ha. Ecco che riemerge il sorprendente Watson.
«Credo alla sincerità delle sue intenzioni» affermi «tuttavia il rischio è davvero troppo elevato e lo è specialmente per un uomo estremamente sensibile come mio fratello. Le sue emozioni sono molto più profonde di quanto non possa sembrare. John, lei deve solo avere pazienza.»
«Sembra conoscerlo meglio di me» risponde lui, con un fare amaro che azzarderesti a definire come geloso.  
«È solo che noi Holmes siamo notoriamente criptici, quando avrà trovato la chiave di lettura, avrà modo di incontrare uno Sherlock Holmes che a malapena conosce. E ora mi scusi, la teiera mi aspetta» concludi, prima di sparire in cucina e darti da fare con il bollitore. Non gli hai dato modo di ribattere e, anzi, hai fatto sì che tuo fratello sentisse le tue parole. Che avesse modo di ascoltare tutto ciò che vi siete detti. Hai, in pratica, messo le carte in tavola. Non sai quanto potrai fare d’altro, ma perlomeno hai dato il via a quella che sarà la conversazione più dolorosa alla quale assisterai.

Intanto, però, tu prepari il tè. Lo fai come se si trattasse della cosa più importante della tua vita. I gesti che compi sono meccanici e spicci, ti permettono di non pensare a ciò che sta succedendo e al dolore che cresce, mano a mano che passano i minuti e che diventa eccessivamente opprimente. Sherlock è sempre più lontano da te, e John ancora più vicino a lui. E no, non intendi fisicamente, quanto piuttosto mentalmente. Sherlock e John sono già tornati ad essere quelli di un tempo. Sai che avranno di che discutere, ma al momento non importa perché si percepiscono l’un l’altro e questo ti basta. La chimica che scorre fra loro impregna l’aria di una tensione che si taglia con il coltello, e che t'investe come una marea. Perché no, questo non è e non sarà mai un gioco a tre. Il tuo tempo è scaduto. Per il momento però, invece che disperarti, ti concentri sull’acqua che bolle e sulla miscela di erbe che reputi più adatta. Alla fine, dopo istanti di insulsa indecisione, opti per uno ai frutti di bosco mentre nell’altra stanza, loro già iniziano quel balletto che avrà inevitabili contorni tragici.

«Lo saprai già, ma voglio che tu lo senta dalla mia voce: ho lasciato Mary.» La prima confessione arriva da John ed è brutale, sfacciata e diretta. Pare essere interamente il John di un tempo, sincero e schietto, tuttavia senti che è carico di una diversità di fondo. Sì, perché questa è l’immagine di un uomo che non nega e volta la testa, ma di qualcuno che guarda in faccia il suo sentimento. Magari ne ha paura, certo, ma non rifiuta di accettarlo. Sono andati oltre, John e Sherlock, entrambi lo hanno fatto; tu invece? Tu sei fermo ad una notte di quindici anni fa e da lì non hai intenzione di smuoverti. Ora non ti importa quanto tutto questo sia patetico, non ci pensi, su di te rifletterai dopo: quando sarai solo e nessuno potrà guardare in faccia il tuo dolore.
«Ho commesso un errore sposandola, ma ne ho commesso uno ben più grave dicendo d’averla perdonata. Ho voluto credere che fosse vero, Sherlock, lo volevo tanto. Anche se… beh, in parte è stato proprio grazie a quel che le dissi a casa dei tuoi genitori, che ho capito ciò che provo per te. Mi sono reso conto che reputavo il tuo tradimento, il tuo avermi lasciato e mentito, ben più grave delle sue bugie. Ora vedo Mary per quella che è davvero, una donna disperata che ha commesso azioni disperate. Una persona che tenta da anni fuggire da una vita che non le ha graziato nulla. Ciononostante non sono riuscito mai a perdonarla sino in fondo, e per quanto le sue menzogne siano umanamente comprensibili e giustificabili, non riesco a fidarmi di lei. È questa la chiave di tutto, Sherlock, perché tu ti sei suicidato davanti ai miei occhi ed era tutta una balla. Ogni cosa era finta e io ho pianto di fronte alla tua lapide, quella con su scritto il tuo nome. E poi invece un giorno te ne ritorni, spuntando dal niente e con quella faccia da stronzo che ti ritrovi. Come se nulla fosse, eccoci di nuovo a risolvere casi. Tu schiocchi le dita e io ti corro appresso. Non importano i tuoi silenzi, il tuo carattere insopportabile, il tuo parlare in modo contorto e incomprensibile, io ti devo comunque correre dietro e adorarti con il medesimo sguardo di sempre. Quello che ti fa fare la ruota come un pavone. Sai cosa avrei dovuto fare? Pestarti e mandarti al diavolo. Non l’ho fatto e ho perdonato te, ma non Mary. Tuttavia, per quanto mi sia sforzato, non sono riuscito a cancellare due anni in un secondo. Io so che tu l’hai fatto, ma non te ne faccio una colpa perché tu viaggi ad un’altra velocità rispetto al resto del mondo e se mi piaci, se mi sei sempre piaciuto, è anche per questo. Però… è che è così difficile starti vicino! Potevo scordare anni di sofferenze solo perché mi avevi sorriso di nuovo? L'ho voluto, ma non ci sono riuscito e per quanto lo sapessi, per quanto sapessi di amarti, sono scappato. E l'ho sposata. Perché io non funziono come te, Sherlock. Perché ti ho perdonato, è vero, ma sono incazzato. Lo sono da morire. E ti detesto per quello che mi hai fatto, per avermi lasciato da solo. Prima mi cambi la vita e poi muori… io non ho mai pianto per nessuno, nemmeno per mia madre. Solo per te. E, cazzo, nonostante tutto il male che mi hai fatto, non ce la faccio a starti lontano. Non riesco a non fidarmi di ciò che dici o a pendere dalle tue labbra come facevo un tempo, quando Moriarty mi definiva “il tuo cagnolino”. Sei un bastardo, Sherlock Holmes e il dolore che mi hai provocato… il senso di impotenza per aver visto l’uomo che sì, amavo, gettarsi da un tetto, nessuno…» Il suo, quello di John, è un discorso spezzato da parole rotte, lacrime trattenute e un male che traspare ancora da un paio di occhi stanchi. John si arrabbia e freme, quasi come se avesse saputo che è vivo soltanto adesso. Vibra di ira e sofferenza. E sono proprio quei due anni, che di tanto in tanto ha nominato come il simbolo di un dolore che non ha cessato di esistere, a pesare terribilmente sulle sue spalle. Anni trascorsi a tentare di mettere in sesto una vita che non aveva quasi più senso d’essere vissuta. Parole trattenute ed un perdono incondizionato concesso forse troppo presto, si riversano ora in un fiume di risentimento che pare essere in piena. E mentre lui è costretto a fermarsi e a mordersi le labbra per non scoppiare in quel pianto che già sta trattenendo in un modo eccessivo, tu ti soffermi a pensare a lui e quanto sorprendente si sia rivelato.

John Watson.

Ora sai come mai piaccia a Sherlock. Ti eri convinto di sapere tutto di lui e che le poche volte in cui riusciva a stupirti, non erano che eccezioni dettate da un animo irrequieto. Adesso però non ne sei più tanto sicuro. Perché no, non ti aspettavi che John reagisse in questo modo. Lo hai sempre creduto un uomo sincero, incapace di tenersi dentro i sentimenti ed emozioni. Ti eri sbagliato. Era quello che avrebbe dovuto essere, il soldato valoroso e che obbedisce agli ordini, il dottore che ha scritti in faccia compassione e rabbia, lui però non è affatto così. Non lo è per niente. E non pensavi, non lo ritenevi possibile, che esistesse un qualcosa di così forte e dirompente, nascosto dietro l’aspetto pacioso e bonario da medico di provincia. Ma adesso eccolo: un vulcano attivo e pronto ad eruttare. Un uomo che era un soldato e che ha visto in faccia la morte tante e tante volte, ma che si ritrova a piangere perché sconvolto da un trucco per allocchi avvenuto anni fa. È forte a tal punto il suo amore? Così tanto grande è stato il suo dolore? Possibile che siate così simili? No, non siete simili e non lo sarete mai. Non devi dimenticare che il tuo non è amore, ma un’ossessione e che non esiste nulla di naturale o normale nel tuo rapporto con Sherlock. Quello che hai di fronte è tutt’altra cosa ed è il principio della felicità di tuo fratello. Tu non puoi in nessun modo permettere che gli sfugga. Senti, quindi, di dover intervenire e pertanto ti prepari a farlo. Dopo aver versato l’acqua nella teiera ed aver preparato le tazze, torni in soggiorno e posi il vassoio sul tavolino. Un tè, lasciato in infusione per tre minuti esatti. Perfetto ed impeccabile come al solito, Mycroft. Complimenti. Sì, perché anche nella tragedia resti ligio ai tuoi doveri di ospite. Persino in mezzo alla tormenta più indiavolata rimarresti in piedi.

«Perché mi hai allontanato?» chiede John, a voce traballante.
«Lo sai già» risponde invece Sherlock che, per la prima volta decide di parlare. Ancora però non si muove, ancora il suo tono rimane freddo e duro e la sua schiena, resta una barriera contro la disperazione.
«Voglio sentirmelo dire.»
«Perché…» tentenna, tuo fratello, tentenna e indugia. Prova a rimangiarsi quel principio di spiegazione, ma invano. Ormai ha parlato e non può più tornare indietro. Sai che sta sondando il proprio coraggio, che ci sta provando davvero, a venir fuori dal guscio. D’altra parte non si è mai mostrato a nessuno, mai con qualcuno ha aperto sé stesso e no, tu non fai testo perché voi due mai avete parlato. Dicevi che sapevate, ma la verità era che non siete mai stati niente.
«Perché era più facile.» La sua voce è un sussurro, impercettibile e impalpabile, ma entrambi lo sentite. Entrambi sussultate pericolosamente e ne restate sconvolti.
«Facile fare cosa?»
«Vivere, John» esclama lui, trovando finalmente il coraggio di voltarsi. Lo fa in un tumulto di riccioli. Lo fa in modo sfrontato e passionale. Lo fa con nello sguardo una rabbia viva che si accende e che lo fa bruciare di quell’amore che non ne può più, di tenere nascosto. «Ho sentito la tua mancanza in questi mesi, ma nulla poteva esser peggio se paragonato a quello che l’averti attorno avrebbe comportato. Ti guardavo e l’idea che tu non avessi scelto me, mi faceva bruciare. Ho bruciato, John, l’ho fatto così tanto a lungo che temevo mi sarei consumato. Ero geloso. E la odiavo. Odio lei e anche tua figlia e sono un mostro per questo, sono una bestia nera, un diavolo che detesta una neonata e a cui non importa di farlo. Vorrei che non l’avessi mai sposata e che quella bambina non fosse mai nata, avrei voluto che non ci avessi mai fatto l’amore o che non l’avessi mai baciata. Ma lo hai fatto e sì, ho finito con l’accettarlo. Eppure la odio, John. La odio con la stessa forza con cui... con cui... amo. Proprio io, che non ho mai avuto bisogno di odiare nessuno. Sai, così come l’amore, l’odio è un sentimento profondo, che a sprecarlo si fa quasi peccato. Non mi interessava amare, non mi interessava odiare. Buffo è che ora, io li provi entrambi. L’idea di riaverti con me e di sentirti dire che mi accetti per quello che sono, perché sono un uomo e non una donna (perché no, non sei gay), è…»
«Sherlock» afferma John, protendendosi verso di lui come a volerlo abbracciare. Cosa che non fa, perché ancora si trattiene, tendendo le braccia e stringendo le mani a pugno.
«C’è un’altra cosa» aggiunge tuo fratello, questa volta però si concede il lusso di sollevare lo sguardo su di te. Tu che, dalla parte opposta del soggiorno, lo osservi con fare imperioso. Tu che hai sentito ogni sua parola come fosse una stilettata nel petto. Tu, che seppur fiaccato e stanco, mantieni il tuo stoico contegno. Il suo occhieggiarti non ti colpisce, te lo aspettavi, ma nonostante il male che senti dentro, annuisci appena. È il tuo sì. La tua parola definitiva. Sì, può farlo. E lo sapevi, eri pronto e preparato, eppure lo senti lo stesso, quel lento dramma che ti scorre nelle vene, crescere come fosse un’aria d’opera.
«In questo tempo c’è stata un’altra persona.»
«Capisco» annuisce John, chinando lo sguardo.
«Lui ha visto parti di me che non avevo mai concesso a nessuno. E l’idea di perdere quei piccoli dettagli che lo rendono così adatto a me, è…»
«Sherlock, non è il caso che tu scenda nei dettagli» afferma il dottore.
«Lo sai, John? Lo sai che quando è distratto e pensieroso mi accarezza lo zigomo con la punta del pollice? E che quando legge romanzi, la sera, io fingo di dormire perché mi piace quando mi rimbocca le coperte. E il modo in cui mi guarda, John, mai nessuno mi ha guardato come se fossi un essere divino o un Dio sceso dall'Olimpo.»
«Ho capito, Sherlock, non è il caso che prosegui.»
«Sappiamo benissimo» intervieni ora tu, mal celando una nota amarognola nei modi di fare «che la tua relazione con quella persona è finita.»
«È vero?» domanda un John, ora più speranzoso mentre gli occhi di voi, anime perdute, si posano su Sherlock.  
«Sì, è quanto mi ha detto. Che è finita. Ma ciò non significa che io non gli abbia…»
«Lo sa, Sherlock» annuisci, con fare rassicurante. «E sono certo che lo saprà sempre. Vede, dottor Watson, ad un certo punto delle loro vite le persone compiono delle scelte e, nel bene o nel male, ci devono convivere. Sherlock ha scelto di proteggerla e di combattere Moriarty da solo. Non ne era obbligato, ma lo ha fatto. Lei invece poteva decidere di non sposare Mrs Watson. Però quello che ha al dito è il segno di una fede levata da poco. Ciò però non cambia lo stato delle cose. Vi siete persi su quel tetto, dottore e vi ritrovate ora. Siete così molto più deboli e con troppi ed immensi dolori alle spalle, che pare incredibile che siate ancora vivi. Eppure eccovi, siete qui. Non a tutti viene concessa una seconda possibilità, pertanto chiedo a lei, col cuore in mano, dottore, di mettere da parte risentimenti e rabbia e di perdonare mio fratello per ciò che ha fatto. Così come chiedo a Sherlock di lasciarsi il passato alle spalle e di concedersi quella vita che ha tentato in tutti i modi di negare di volere, ma che ha bramato e brama tutt’oggi. Se non lo faceste, vorrebbe dire che Moriarty avrà vinto per davvero. Questo, signori, non lo possiamo permettere.»
«Mycroft» sibila Sherlock e c’è un’evidente incrinatura nella maniera con cui ha pronunciato il tuo nome. Una sfumatura che cogli all’istante e che ti stringe il cuore di compassione.
«Vi auguro tutta la felicità di questo mondo» pronunci, con fare drammaticamente serio, prima di imboccare corridoio e scale e scendere al piano di sotto. Lasci John e Sherlock che si abbracciano e si baciano. Lasci un tè per due, caldo e fumante, su un tavolino. Lasci tutto perché è finita. Ora nemmeno Puccini ti può aiutare.
 


 
Un bel dì, vedremo
levarsi un fil di fumo
sull’estremo confin del mare.
E poi la nave appare.
Poi la nave bianca
entra nel porto,
romba il suo saluto.
 
 

Continua


La frase finale è la prima parte dell’aria: 'Un bel dì vedremo' della Madama Butterfly di Giacomo Puccini. L’aria racconta della speranza di Cho-Cho-San, la quale nonostante Pinkerton l’abbia lasciata, spera che questi ritorni e che la ami. La speranza è ovviamente vana perché quando farà ritorno, Pinkerton avrà un’altra moglie e le porterà via il figlio. Qui il link. Quest’aria non rappresenta soltanto una vaga similitudine con lo stato d'animo di Mycroft, sia qui che in 'Prigione di seta' (perché l’idea del: aspetto che ritorni, è ciò attorno a cui ruota quella storia). Ma l’intero capitolo porta queste atmosfere, anche nella struttura di aria-recitativo (tipica dell'opera cantata) qui traslato in termini narrativi. Le 'arie' sono i momenti di Mycroft, i recitativi sono i dialoghi tra lui e John e tra John e Sherlock. Ok, la smetto di sparare stronzate…

Comunque sì, c’è ancora un altro capitolo. Che sarà l’ultimo (e che ho già scritto).
Grazie a tutti.
Koa
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Koa__