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Autore: reika82    25/07/2015    6 recensioni
Ciao a tutti! Modern Merthur, la mia prima fanfic su Merlin. Sono sul sito da un pò come lettrice e ho spesso recensito, mi chiamavo Reiko82 prima, ho dovuto cambiare per problemi con la mail.
Mi auguro che questa storia possa piacervi, scrivetemi pure per farmi sapere che ne pensate. L'idea l'ho tratta dalla visione di un film che amo, che non vi anticipo per non togliervi il piacere della lettura. Parte il quiz, tentate di scoprirlo da voi!
Due elementi fondamentali: cerco Beta Readers per scrivere anche in inglese, vorrei avere modo di conoscere altri/e fan della serie, la amo e voglio bene a tutti i fan. Dalla Storia:
"Era una sera molto fredda di dicembre quando lo rivide, di sfuggita, dentro un cinema."
"Per un attimo il cuore di Arthur parve fermarsi, insieme al tempo, e ad ogni singolo movimento o rumore intorno, ora il film scivolava sulla schermo con un suono ovattato, con un'eco sorda, distante anni luce da lui."
"La stava ancora baciando quando vide una figura dietro di loro, alta, slanciata, una sigaretta tra le dita, un lungo soprabito grigio scuro, e quello sguardo blu, che avrebbe riconosciuto tra mille ..."
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Gwen, Merlino, Morgana, Principe Artù, Uther | Coppie: Merlino/Artù
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Nessuna stagione
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"Certo che ti farò del male. Certo che me ne farai. Certo che ce ne faremo.
Ma questa è la condizione stessa dell’esistenza.
Farsi primavera, significa accettare il rischio dell’inverno.
Farsi presenza, significa accettare il rischio dell’assenza."


Il Piccolo Principe- Antoine de Saint Exupéry
 
 
 
 
Era una sera molto fredda di dicembre quando lo rivide, di sfuggita, dentro un cinema.

Arthur stava seduto con Gwen, la sua ragazza, a vedere una commedia romantica piuttosto scadente, era annoiato ma tentava di nasconderlo, le stringeva la mano, così, per salvare le apparenze e darle un'impressione di prossimità e di vicinanza emotiva, in fondo le voleva bene, erano cresciuti insieme, era sempre stata la ragazza più buona e gentile che avesse conosciuto, per questo voleva che passasse una bella serata. Si impegnava sempre con lei, voleva che potesse stare bene, nonostante tutto.

Fu volgendosi  per osservare meglio la sala che all'improvviso lo notò, se ne stava seduto mezzo raggomitolato un paio di file più avanti, in un angolo, da solo, non ne era sicuro all'inizio per via delle luci spente, ma poi scorse sotto la cuffia i capelli mossi scuri e un pò arruffati vicino alle orecchie, e quell'espressione del viso che conosceva bene, che neppure la penombra poteva nascondere, si accorse degli occhi blu oscurati che riflettevano i colori e le luci della pellicola, e si disse che sembrava più magro. O meglio, era sempre stato sottile, ma negli ultimi tempi doveva avere perso ancora peso. Indossava dei jeans e una maglietta troppo grande. Gli era sempre piaciuto nascondersi dentro enormi t-shirt, gliene aveva regalate molte lui stesso, quando si frequentavano, in passato. A quel pensiero un brivido gli corse lungo la schiena, si ritrovò sovrappensiero ad aggrapparsi con forza maggiore alla mano di Gwen, come ultimo appiglio alla realtà che gli stava intorno, che si era costruito con fatica, rinnegando sè stesso, lei lo guardò per un attimo con dolcezza e gli sorrise, senza comprendere. Lui fissò il vuoto dentro sè stesso, per un momento, e ne ebbe timore.

Per un attimo il cuore di Arthur parve fermarsi, insieme al tempo, e ad ogni singolo movimento o rumore intorno, ora il film scivolava sulla schermo con un suono ovattato, con un'eco sorda, distante anni luce da lui.

Non faceva che ripetere a sè stesso che Merlin era lì, vicino a lui, se solo si fosse spostato dal suo sedile, avrebbe potuto avvicinarsi, sfiorargli i capelli, parlargli. Ma questo era impossibile, ne era perfettamente consapevole. Era trascorso del tempo. Entrambi erano cambiati e poi, bè, gli aveva spezzato il cuore, lo faceva sempre. Avvicinarlo sarebbe stata una pessima idea, specie dopo avere fatto tanto per allontanarlo da lui, in modo completo, brutale. Ogni volta che ci pensava gli faceva male, ricordava il suo sorriso, il suo modo di commentare ironicamente ogni sua battuta, la sua gioia. Ora era tutto sparito, cancellato, perduto.

Da quando lo aveva letteralmente scacciato dalla propria vita, Arthur non aveva potuto fare a meno di cercarlo ovunque, in ogni luogo e in ogni tempo, era un pensiero costante, che non aveva il coraggio di ammettere, eppure era una sensazione più potente di ogni altra, più forte della vita stessa, osservava con attenzione ogni passante, per ritrovare i suoi occhi, il suo volto, il suo corpo.

Attraversando le strade di Londra, il Campus universitario, o la sera al Pub con gli amici, frugava ogni sorriso, sbirciava la forma delle mani, il modo di camminare, di vestire, non si lasciava sfuggire nessun dettaglio pur di ritrovare qualcosa di lui, un semplice tratto del volto, una sfumatura nello sguardo, e allora avrebbe potuto illudersi per un istante che tutto fosse tornato al suo posto, sentirsi in pace. Ma non succedeva mai, lui non era lì, non c'era più stato, non era accanto a lui e, se pure  lo avesse incontrato, avvicinarlo sarebbe stato quanto meno inappropriato, così la rabbia, la solitudine e la disperazione prendevano il sopravvento ed allora beveva, sperando di riuscire a dimenticare, ma anche arrivato a casa, o se rimaneva ospite negli alloggi del Campus, trascinato spesso a forza da Galvano, Parsifal e Lancillotto, i suoi migliori amici, non riusciva a lasciarlo andare neppure nei sogni, che diventavano sempre incubi al risveglio, quando si ricordava che lui non sarebbe più stato al suo fianco.

Da un pò di tempo sembrava che Merlin ci avesse preso gusto a tormentarlo, a dimostrargli quanto soffriva, quanto male gli stesse facendo, si vociferava che si fosse messo ad assumere droghe, che frequentasse dei mezzi teppisti conosciuti in qualche locale e che passasse da un ragazzo occasionale all'altro, peggio di una puttana. Sapeva di cosa si trattava, era un messaggio, per lui, per mostrargli quanto lo aveva ferito, quali potessero essere le conseguenze per averlo trattato in quel modo. Ma in realtà Arthur sperava solo che la smettesse di farsi del male e si facesse una ragione della situazione, era inevitabile, non potevano stare insieme, doveva andare avanti e crescere senza di lui, che gli piacesse o meno. Presto lo avrebbe dimenticato, avrebbe voltato pagina e si sarebbe rifatto una vita, pensava, come per assolvere i propri peccati e cancellarli con un colpo di spugna, questo pensiero di Merlin che si dimenticava di lui, tendeva a suscitargli un misto di speranza e disperazione, ma soprattutto lo atterriva, sapeva che sarebbe stata la cosa migliore per lui, andare oltre. Eppure non riusciva a nascondersi che avrebbe preferito dieci, cento, mille volte che lo odiasse, piuttosto che lo cancellasse del tutto dal suo cuore.  Dopo tutto quanto era accaduto, questo era un pensiero molto egoista.

D'altronde Arthur era così, spesso in passato, dopo che si erano conosciuti, e la loro amicizia era cresciuta a tal punto da sfiorare altri sentimenti più profondi, Arthur non poteva fare a meno di notare quanto Merlin fosse dolce, paziente, divertente, spontaneo, di buon cuore, e si ripeteva che una creatura come lui si meritava di meglio, tutto quanto ci potesse essere di buono e bello in questo mondo, e invece aveva incontrato lui, che non era un granchè a conti fatti,  che lo aveva deluso, lasciato indietro, ferito.

Arthur era così, si vergognava di sè stesso e non poteva esprimersi liberamente, la sua famiglia era importante e proiettava su di lui aspettative e desideri enormi, avrebbe dovuto dirigere una grande azienda appena laureato, i suoi compagni di squadra al College, volevano solo che fosse un campione e vincesse le partite, che ottenesse i migliori risultati sportivi di sempre, e i suoi amici che andasse con loro a caccia di ragazze e a divertirsi. Lui si sforzava di non deluderli, ce la stava mettendo tutta davvero. Ma era difficile, così difficile che a volte, avrebbe voluto urlare, o correre via lontano da tutto, senza dover fare ritorno. Ma la realtà era che non poteva, non era economicamente indipendente ancora, suo padre lo manteneva. E poi c'era Morgana, la sua sorellina. Morgana aveva sempre avuto una salute fragile, e spesso entrava  e usciva dagli ospedali, Arthur era sempre molto preoccupato per lei, e se ne prendeva cura come meglio poteva, il padre lavorava sempre, la madre non c'era più, così Arthur era diventato un punto di riferimento per lei, era il suo eroe. Anche lei lo ammirava e stimava così tanto, che non poteva assolutamente deluderla. Era stata felicissima quando aveva scelto di mettersi con Gwen, era la sua migliore amica, aveva sempre sperato che potesse andare così, aveva fatto di tutto perchè loro due potessero approfondire i rapporti, inoltre conosceva da tempo i sentimenti sinceri di Gwen per Arthur.

 
 


Merlin non era mai stato come gli altri, lui non si aspettava che Arthur fosse altro da sè, che realizzasse grandi obiettivi, che vincesse le partite o dirigesse un'azienda, non si aspettava che avesse successo o che fosse sempre forte. Merlin sapeva che Arthur avrebbe raggiunto grandi risultati solamente e naturalmente per via del suo talento e delle sue qualità, non faceva che ripetergli quanto credeva in lui, qualsiasi decisione avesse preso, e qualunque scelta facesse, purchè fosse sincero con sè stesso e con i propri sentimenti, sarebbe stata una scelta azzeccata secondo Merlin. Niente di più lontano da come si sarebbero evoluti i loro rapporti e da ciò che avrebbe finito per determinare il loro destino. Merlin accettava Arthur per quello che era realmente e la cosa incomprensibile era che gli piaceva sul serio, dal profondo, che lo spingeva ad esprimersi veramente, ad essere spontaneo, a vivere come sentiva. E così, al suo fianco, Arthur era stato felice, se pure per poco. Ma non poteva continuare, Merlin non c'entrava nulla con la sua famiglia, con il suo ambiente, suo padre lo odiava, i suoi amici non lo comprendevano. Morgana era sua amica, è vero, ma solo perchè non era a conoscenza dei loro trascorsi. Aveva dovuto scegliere, non aveva alternative. Era uno sportivo, un vincente, l'erede di un'enorme fortuna, nessuno doveva pensare fosse gay. Suo padre lo avrebbe ammazzato, lo aveva quasi fatto, quella notte di ottobre di un anno prima, quando lo aveva scoperto in camera con Merlin, lo aveva riempito di pugni e insulti fino quasi ad ucciderlo. Merlin si era messo in mezzo, aveva tentato di difenderlo, ricordava la sua disperazione di fronte alla lucida follia di suo padre. Ma lui non aveva saputo che fare, come comportarsi, voleva solo che tutto finisse, la violenza, l'umiliazione, la delusione e il rancore che leggeva negli occhi di suo padre, la vergogna, così aveva cacciato di casa Merlin urlando, con parole impastate di lacrime e sangue, gli aveva intimato di stargli lontano, che non voleva avere più nulla a che fare con lui.

Non poteva dimenticare il suo sguardo quella notte, non credeva di avere mai visto nessuno così ferito e distrutto da qualcun altro, nè prima di quel giorno, nè dopo.

Quella notte pioveva forte, Merlin se ne era andato da casa sua sbattendo la porta con rabbia, piangendo. E da allora non lo aveva visto per giorni all'università, come se fosse sparito nel nulla.

Erano stati mesi terribili, era stato così in pena per Merlin, se pure non poteva fare nulla in proposito, se lo era immaginato a percorrere come un matto la strada fino alla sua auto sotto la tempesta, e poi a correre con la macchina verso casa, dopo avere preso un sacco d'acqua e di freddo, si immaginò che potesse essersi ammalato gravemente o potesse aver fatto qualche incidente, ma non disse nulla, non fece nulla. Non chiese di lui, non lo cercò. Non poteva mostrarsi debole o sentimentale, non in quel momento. Doveva riconquistare la stima di suo padre e la sua dignità perduta. Che avrebbero detto i suoi amici? E i suoi compagni di squadra?! Se si fosse saputo la sua vita sarebbe stata rovinata per sempre, suo padre non faceva che ripeterlo. Si era scusato per avere esagerato pestandolo quella notte, ma cercava di spiegargli spesso quanto le condizioni fossero gravi, quanto quel ragazzino lo aveva raggirato, per sedurlo.

E così suo padre faceva diventare il loro amore qualcosa di sporco, un errore di cui pentirsi. Arthur era a pezzi, fisicamente e intimamente distrutto.
Sapeva come in parte suo padre avesse ragione, che la sua famiglia e la loro cerchia di amici non avrebbe potuto accettare la sua relazione nè una sua presunta omosessualità, che gli avrebbe probabilmente rovinato la carriera.

Non riusciva comunque a pentirsi di aver conosciuto e frequentato Merlin, di averlo amato. Sarebbe stato come pentirsi di esistere, di respirare, di vivere.

E poi, dopo mesi, Merlin riprese a girovagare per il Campus, allo sbando, sempre fuorì di sè, in atteggiamenti intimi con qualche ragazzetto con l'intento neppure troppo celato di farlo ingelosire, chiaramente fatto o ubriaco, con qualche altro amico altrettanto sbandato, ad attaccar briga in giro o a fare casino. Non andava più regolarmente a lezione, aveva mollato il lavoro part time alla mensa, non era più lui, semplicemente quella notte qualche cosa si era spezzato irrimediabilmente, lo sapeva Arthur e lo sapeva anche Merlin. Non sarebbe più potuto essere lo stesso, mai più. Aveva rinnegato il suo amore e aveva scelto suo padre, insultandolo ed urlando che lui non era gay. Era tutto così assurdo da sembrare ridicolo. Eppure non era un brutto sogno, era la sua vita, un'orrenda farsa abitata da bugiardi come lui.

Quando lo rivide in quello stato gli si strinse il cuore, stava seduto in cortile con Mark ed un paio di altri amici della squadra, avrebbe tanto voluto intervenire quando presero a sfotterlo e offenderlo, ma si ritrovò a sorridere semplicemente alle loro battute invece, senza dire nulla, come se non lo riguardassero, come se lui non lo riguardasse. Merlin lo chiamava, lo guardava con stupore, disprezzo, con rancore persino.

Ma Arthur non reagiva, solo se ne stava con quei bulli a sbeffeggiare l'uomo che amava, fingendo che non gli importasse.

Quando lo spinsero a terra, il suo cuore perse un battito, ma tutti lo stavano guardando, ed era bloccato, pietrificato dal loro sguardo. Non poteva mettersi in mezzo, mostrare che cosa provava per lui. E allora era stato Will ad intervenire, a salvare Merlin da quegli stronzetti, era un suo vecchio amico d'infanzia. Poi aveva guardato Arthur con consapevolezza, dispiacere e rancore.

"Ma davvero non ti vergogni? Mi fai schifo." Gli aveva urlato in faccia WIll, sostenendo di forza Merlin per un braccio in modo che si rimettesse in piedi. E avava ragione, gli stava solo dicendo la verità, si meritava quegli insulti, quel disprezzo. Will era una persona sincera, una del team di Merlin di sicuro. Non esisteva onestà nella vita di Arthur, non era mai esistita. Lo guardò rattristato, come se avesse voluto dire qualcosa ma fosse consapevole che ormai qualunque scusa sarebbe parsa ridicola e superflua.

"Andiamo via Will. Lascia perdere."

Era stato Merlin a parlare, con un filo di voce, affilata come il ghiaccio o la lama di un coltello, poi si erano allontanati, senza un'altra parola. Merlin non lo aveva più guardato negli occhi quel giorno, nè il giorno successivo, nè quelli a seguire. Da allora tutto intorno alla loro storia era stato silenzio e muta ostinazione.


 
 
Uscendo dal cinema quella sera, si accostò al muro di schiena, il vento tra i capelli biondi, a sfiorargli il viso, chiuse gli occhi assorbito dal passato, immerso in una nube di oscuri pensieri, quando Gwen lo raggiunse, gli infilò le mani nelle tasche della giacca con delicatezza:
"Fa davvero freddo stasera, non trovi?" Disse.

Poi si avvicinò con tutto il corpo abbracciandolo, lui rimase immobile. Come schiacciato da un peso enorme, che non sapeva più come gestire, lo intuiva, stava arrivando il prezzo da pagare per averle mentito. Ora lei se ne sarebbe accorta, di tutte le sue bugie, lo avrebbe preso a schiaffi o insultato.

Ma Gwen non stava pensando a nulla di tutto questo, e prima che potesse farci caso gli chiese:
"Che hai?" E di fronte alla sua esitazione lo baciò delicatamente sulle labbra, poi approfondì il bacio, con trasporto, lo sguardo nocciola rivolto solo a lui, con quella tenerezza profonda che solo lei sapeva rivolgergli. Per un attimo ricambiò quel bacio, dimenticando ogni cosa, ogni dolore. Poi lei si strinse solidamente al suo corpo, le mani tra i capelli, sui fianchi di lui. Arthur si trovò a ritrarsi impercettibilmente e la guardò. Era bella davvero. I capelli ondulati e soffici lungo le spalle profumavano di viole, aveva un vestito color panna che metteva ancora più in risalto la sua pelle ambrata. La luna si rifletteva nei suoi occhi color cioccolato e uno sguardo dolce, delicato, accompagnava ogni suo bacio. Eppure tutto in quel contatto era sbagliato. Il peso del suo corpo. Le sue labbra, così carnose e femminili. Il colore degli occhi. Le sue mani sulle proprie o tra i capelli. Per tutto questo tempo lei aveva scambiato la goffaggine di Arthur nell'avvicinarla per dolce timidezza, la sua mancanza di passione per paziente attesa, la sua distrazione quando la toccava per gentilezza. La verità era che stava prendendo in giro quella ragazza meravigliosa, promettendole una gamma di emozioni che non poteva darle e fingendo di provare qualcosa per lei. Ma non era il suo corpo quello che desiderava, nè i suoi baci, le sue mani si perdevano in capelli troppo lunghi e soffici, il suo seno gli premeva sul petto mettendolo a disagio, il suo respiro troppo caldo gli bruciava sulle labbra, e avrebbe solo voluto sprofondare nel nulla, cancellare quel contatto, restare solo, andarsene.
 
 
La presenza di Gwen era una consolazione dolce eppure terribile al tempo stesso, come un veleno che lentamente si insinua nell'organismo, la certezza dell'amore di lei era una maledizione, che costantemente aumentava il peso della sua colpa, la crudeltà dei propri errori.
 
 
La stava ancora baciando quando vide una figura dietro di loro, alta, slanciata, una sigaretta tra le dita, un lungo soprabito grigio scuro, e quello sguardo blu, che avrebbe riconosciuto tra mille, si bloccò sospeso in quel bacio strano, indesiderato, e colse il suo sguardo. Era ironico. Sorrideva appena. Merlin lo sapeva. Sapeva che stava mentendo, a lei, a sè stesso, che la sua vita era solo una farsa, lo aveva sempre saputo.
 
Avrebbe voluto corrergli incontro e abbracciarlo, chiedergli perdono, sentire la sua voce, piangere, tutto insieme, tutto in un istante. Ma poi si ricordò perchè era lì con lei. Che cosa era accaduto e quale fosse il suo posto. Sapeva cosa doveva fare ora. La strinse con forza, mostrando una passione inesistente e approfondì quel bacio.
 
Vide lo sguardo dell'altro incupirsi, sbiadire dietro un velo di lacrime. Il sorriso ripiegarsi in una maschera di sofferenza. Gli aveva spezzato il cuore, di nuovo.
 
Allora Arthur decise di completare l'opera, ma quando rialzò lo sguardo per fingere anche un sorriso soddisfatto, la sua sigaretta ancora a metà stava sul terreno e Merlin era sparito. Una folata di vento gli spezzò lo sguardo, congelandogli le mani e il viso, si staccò dalle sue labbra e strinse il capo di Gwen sulla sua spalla, ripiegò il volto di lato, in modo che non si accorgesse che il suo viso tremava, che si stava mordendo il labbro inferiore nervosamente e non riusciva a trattenere le lacrime.
 
Realizzò che era la prima volta che Merlin lo guardava nuovamente negli occhi, da circa un anno, e questo pensiero, nonostante tutto, gli scaldò il cuore. Fu allora che cominciò a piovere, come se anche il cielo quella notte, non potesse trattenere la propria tristezza.
 
Arthur recuperò il controllo di sè lentamente, e sussurrò a Gwen che l'avrebbe riaccompagnata a casa, quando salirono sull'auto il suo pensiero era già distante, dalla ragazza, da quella sera, eppure Gwen lo fissava perplessa e tormentata, come se non riuscisse a spiegarsi che cosa potesse essere accaduto che aveva reso Arthur così cupo. Era abituata da tempo ai suoi silenzi. Aveva imparato a rispettare i suoi spazi, anche quando le costava fatica. Aveva scelto di non fare domande e di accettare i sentimenti che l'altro poteva concederle, senza fargli pressioni, ma solo rimanendogli accanto. Ma a volte aveva l'impressione che tutto ciò non bastasse. Che lui non fosse lì con lei, che non potesse ricambiare sul serio i suoi sentimenti. Allora il pensiero di Lancillotto la sfiorava, si sentiva molto in colpa per questo, quasi fosse un reale tradimento, si ritrovava a chiedersi se non avrebbe potuto ricevere un tipo di amore diverso con lui, sentiva che i suoi sentimenti erano profondi, passionali. Quando le si rivolgeva, era come se non esistesse nient'altro al mondo, come se lei fosse veramente speciale. Sapeva che anche Arthur le era affezionato, ma spesso lo sentiva distante, come se si celasse dietro un enorme muro che nessuno era autorizzato ad attraversare, neppure lei. Allora si sentiva sola, anche tra le sue braccia o mentre lo baciava. Si sentiva lasciata indietro, abbandonata. Sapeva che non le avrebbe mai fatto del male, non volontariamente almeno. Ma sentiva di essere arrivata ormai ad un punto nella sua vita, in cui necessitava delle risposte. Anche se avessero significato perdere il ragazzo che amava. Era stanca di illudersi e di mentire a sè stessa.

Quando l'auto si fermò a pochi passi dall'area del Campus dove Gwen abitava con la sua coinquilina, Arthur la fissò con noncuranza, distratto, e con un cenno del capo ed un casto bacio sulla guancia le augurò la buonanotte dicendo che si sarebbero di certo risentiti l'indomani aprendole la portiera, ma con suo grande stupore Gwen non si mosse, lo sguardo basso.

Arthur poteva percepire una certa tensione nell'atmosfera che si era creata tra loro, era come se lei fosse in attesa, ma non comprendeva bene che cosa stesse aspettando, poi, quando pensava di dire qualcosa di nuovo per congedarla, lei parlò all'improvviso, sempre senza guardarlo.

"Arthur ... io, scusa ma, ho bisogno di sapere una cosa. Io ... mi chiedevo se tu, cioè ... tu mi ami?! O meglio, pensi di amarmi?!"

Quella domanda risuonava nell'abitacolo dell'auto di Arthur come una minaccia, ed era arrivata dal nulla, colpendolo come uno schiaffo sulla faccia, aveva un suono ridicolo e sentimentale, quasi patetico. Non era da Gwen, non si era mai lasciata andare ad insulsi e banali sentimentalismi prima di allora. Arthur sorrise, più per scacciare la tensione che perchè si sentisse allegro.

"Bè, non è molto che stiamo insieme Gwen, tu mi piaci molto lo sai, ma ... non so, è una domanda complicata adesso."

"A me sembra una domanda molto semplice." Aveva risposto lei, la voce fredda, senza inflessioni. L'espressione rigida del volto e lo sguardo lucido che adesso era rivolto verso di lui.

Dio, si sentiva un tale mostro. Come poteva mentirle sapendo di mentire?! Come avrebbe potuto farlo di nuovo?!

 
 

Poi all'improvviso il tempo gli sfuggì tra le mani e non era più lì, era in biblioteca all'Università, a preparare l'esame di economia, mentre Merlin studiava storia dell'arte, erano entrambi distratti. La loro amicizia era cresciuta ormai, e la conoscenza reciproca si era approfondita. Merlin sapeva delle reticenze di Arthur a mostrarsi in pubblico in atteggiamenti intimi, o semplicemente per quello che era, dei problemi con il padre, eppure, dopo quel primo bacio a fior di labbra di una settimana prima al parco, nascosti dietro un albero, non riusciva a trattenersi dallo stargli il più vicino possibile. Anche ora Arthur lo rimproverava dolcemente, cercando di mantenere le distanze. Ma la verità era che Merlin voleva abbracciarlo e lui avrebbe voluto lasciarglielo fare. Così, per evitare che gli altri li notassero, si era limitato a sedergli il più vicino possibile, letteralmente attaccato al suo braccio, mentre sotto al tavolo, le loro mani erano passate dallo sfiorarsi allo stringersi, incastrando dolcemente le dita e strofinadole tra loro. Merlin gli sorrideva soddisfatto, era la sua piccola vittoria, che lui non potesse ritrarsi da quel tocco, neppure se avesse voluto, che gli accarezzasse i capelli appena non lo stavano guardando, e stringesse ancora di più la sua mano, il suo polso. Ora avevano le guancie arrossate, gli occhi dilatati, e il respiro accelerato. Eppure Arthur continuava ad obiettare sulla loro relazione, a non concedersi di lasciarsi andare. Merlin sorrideva allora comprensivo, e gli si rivolgeva come parlando ad un bambino capriccioso, poi si nascondevano da qualche parte; dentro un laboratorio vuoto, negli spogliatoi di ginnastica, in uno dei bagni maschili, e incominciava a baciarlo, sapeva che le resistenze dell'altro sarebbero crollate non appena le loro labbra si fossero sfiorate, ed in parte quel segreto, quella reticenza, quel mistero, rendeva tutto quanto più eccitante, più carico d'emozione.

Ma Arthur non voleva spingersi oltre, perchè doveva dimostrare a sè stesso di essere sulla strada giusta, quella tracciata per lui da tempo dalla sua famiglia, dai suoi amici e compagni di squadra, quella necessaria alla sua carriera, e questi sentimenti per Merlin lo spiazzavano, confondevano e terrorizzavano. Merlin d'altra parte non aveva alcun dubbio su di loro, se mai lo aveva avuto era scivolato via nei primi tempi della loro frequentazione, ed ora lo amava con il candore, la lealtà e la purezza di un bambino, insieme alla forza, al desiderio e alla determinazione di un uomo maturo. Sapeva comprenderlo, riusciva sempre a trovare le parole giuste, e sebbene lo rattristasse molto, che spesso Arthur dovesse utilizzare l'alcol per lasciarsi andare con lui, per superare tutte quelle difese e resistenze che erano state alimentate in lui fin da ragazzino, sapeva che i sentimenti dell'altro erano sinceri, sentiva il suo amore con la stessa sicurezza con cui percepiva il suo timore. Era diventato difficile per Merlin, non lo ammetteva mai, non con lui, ma soffriva di quelle sue reticenze e difficoltà ad aprirgli il suo cuore, a mostrare in pubblico i suoi sentimenti. A volte si sentiva come un terribile segreto che Arthur dovesse nascondere, come una colpa da cancellare.

 Arthur più di una volta l'aveva visto piangere, quando credeva di non essere visto.

Poi arrivò quella domanda, erano in biblioteca appunto, come facevano spesso, a tentare di studiare, quando Merlin, che di solito parlava e scherzava in continuazione, smise di sorridere e si fece silenzioso, distante, era strano vederlo così ed Arthur parve preoccuparsi.

"Che ti prende?" Gli chiese.

Merlin alzò i suoi occhi blu su di lui e si accorse che erano lucidi, poi gli sorrise, ma era un sorriso triste.
"Arthur tu ... ci pensi mai a noi? Voglio dire, a me, pensi mai di potermi amare davvero?"

Sapeva che domande del genere mettevano Arthur in enorme difficoltà, non solo perchè si ostinava a rinnegare sè stesso e la propria omosessualità, ma perchè, anche se voleva nasconderlo, ci teneva sul serio a lui, tanto che a volte si sentiva scoppiare il cuore nel petto. E se non erano chiusi in una camera a fare sesso, era solo perchè Arthur era terrorizzato, letteralmente terrorizzato da quello che provava per lui, non perchè non lo desiderasse. Eppure a volte Merlin si sentiva indesiderato, respinto, non riusciva ad impedirselo.

"Merlin io ..." si era schiarito la voce Arthur, con le guancie arrossate per l'imbarazzo e l'emozione.

Ma Merlin si era subito pentito di quella debolezza, che metteva l'altro in difficoltà e si intromise interrompedolo, con un sorriso gli colpì il braccio affettuosamente, dicendo che stava scherzando, che non era una ragazzina sentimentale, di non preoccuparsi.

La tensione si era raffreddata e si erano messi a parlare d'altro, come nulla fosse accaduto, ma il peso della domanda di Merlin era ancora tra loro ed Arthur sapeva che presto o tardi avrebbe dovuto affrontarlo.

Quella domanda trovò una risposta qualche mese dopo, quando alla fine il desiderio e qualche bicchiere di troppo presero il sopravvento sulle resistenze di Arthur, e dopo aver guardato dei film sul divano di casa sua, approfittando della casa libera per via di un viaggio di lavoro del padre, avevano perso il conto dei baci e delle carezze che si erano scambiati e si erano lasciati andare ai propri sentimenti, fino a quando si erano ritrovati nudi in camera di Arthur, l'uno incastrato nel corpo dell'altro, in una perfetta armonia di gemiti e movimenti ritmici, si sentivano letteralmente come se si stessero sciogliendo l'uno nell'altro, pelle contro pelle, labbra contro labbra, le mani scivolavano senza fretta disegnando muscoli, contorni e lineamenti, e i loro occhi si fissavano come se non potessero staccarsi dallo sguardo dell'altro. Fu quando il piacere divenne inarrestabile che Arthur scoppiò a piangere, già, come una ragazza, suo padre l'avrebbe detestato, ma Merlin invece lo accolse tra le sue braccia, comprendeva il suo dolore, sebbene non potesse impedirsi di essere felice come non era mai stato, donando tutto sè stesso alla persona che amava per la prima volta. Sapeva che cosa passava per la mente di Arthur, quanto si vergognasse di ciò che era e che stava provando, e si sentì così in pena per lui, che non riusciva semplicemente a godere di quello che avevano senza vergognarsi di sè stesso o sentirsi in colpa. Lo strinse forte a sè, sperando di poter cancellare almeno in parte quei sentimenti sbagliati, che lo facevano stare male, di confortarlo.

Arthur lo guardò, gli occhi ancora lucidi, e non riuscì a fare a meno di baciarlo languidamente, di ricambiare la sua stretta, poi gli disse:
"Merlin io ... io penso di amarti"

Ma Merlin non voleva che dicesse qualche cosa di cui poi si sarebbe pentito il mattino dopo.

"Non importa Arthur, non devi dire niente, non devi dirlo per forza". Lui da parte sua, gli aveva confessato di amarlo mesi prima, dopo un solo bacio, senza paura.
Ma Arthur voleva dare voce a ciò che stava provando per una volta:" No, voglio dirlo. Devo dirlo. Merlin io ti amo. Ti amo così tanto ..."

E mentre lo diceva alcune lacrime gli scivolavano sulle guancie e nonostante questo sorrideva, come se si sentisse felice, e per una volta se lo potesse concedere.  
"Lo so Arthur, l'ho sempre saputo, davvero. Ti amo anche io, lo sai."

E la felicità per quella confessione era così grande che non poterono impedirsi di ricercare di nuovo il piacere l'uno nelle braccia dell'altro, avvinti da un desiderio misterioso, insaziabile.
Fu allora che suo padre, rientrato d'improvviso in anticipo dal suo viaggio d'affari e attirato dai loro gemiti e probabilmente da alcuni rumori, si era precipitato nella stanza, aggredendo suo figlio, sbattendolo letteralmente giù dal letto e strappandolo dalle braccia di Merlin, il resto era storia nota. Aveva pestato Arthur a sangue e aveva distrutto la loro relazione sul nascere, per mantenere il controllo sul figlio, o come preferiva ripetere: "Per assicurarsi la sua felicità".

Era la frase più assurda che Arthur avesse mai sentito, perchè non c'era più stata alcuna felicità per lui su questa terra, non senza Merlin nella sua vita.


 
 
Gwen stava ancora aspettando una risposta e lo guardava trattenendo le lacrime a stento ma senza mutare espressione. Arthur riemerse dai propri pensieri con un sospiro e dopo aver guardato fuori dal finestrino verso il cielo per alcuni minuti che erano parsi eterni, si ritrovò a parlare con sincerità, per la prima volta da mesi.
"Gwen tu sei ... sei una ragazza splendida, davvero. Sei dolce, gentile, affettuosa e mi fai sentire importante. ..." E così dicendo la guardava negli occhi senza esitazioni o ripensamenti.

"Ma?" Aveva aggiunto lei, con aria consapevole.

Non si era mai accorto che fosse anche così intuitiva e intelligente, o forse aveva preferito non vederlo perchè gli faceva comodo pensare che potesse credere a tutte le sue bugie.

"Ma non sono innamorato di te. Mi dispiace." Ammise, senza il coraggio di aggiungere altro o di guardare l'effetto di quelle parole sul volto di lei. Non sopportava di continuare a spezzare il cuore a coloro che non facevano che amarlo. Se solo avesse potuto rivelarle quanto odiava sè stesso, si detestava profondamente, da tempo, per quello che aveva fatto a Merlin, per come stava trattando lei, per non avere avuto il coraggio dei propri sentimenti, quando ancora potevano essere reali.

"Wow, è davvero difficile sentirsi dire la verità, specie quando fa così male. Ma nonostante ciò ti ringrazio, per essere stato sincero".  La voce di Gwen a questo
 punto, anche se cercava di mantenersi calma, era rotta dal pianto e tremava. Ironia del destino, lei lo ringraziava e pensava che fosse sincero, non immaginava quanto si sbagliava.

Arthur la guardava, il senso di colpa che lo stava letteralmente divorando dall'interno, non sapeva che cosa avrebbe potuto dire o fare per alleviare il suo dolore, per chiedere ancora scusa per averla illusa, per consolarla, temeva che qualunque cosa potesse aggiungere, avrebbe peggiorato la situazione.

"Perdonami, se puoi." Disse solo.

"Arthur, non ho nulla da perdonarti, non guardarmi così, lo so che ti senti in colpa, te lo leggo negli occhi. Non devi. Hai fatto bene ad essere sincero. E poi ..."
E così dicendo scosse il capo come per allontanare un pensiero e si mosse per uscire dalla macchina e tornare al suo alloggio. "Non importa. Buona notte!"

Quando stava per andarsene Arthur le prese delicatamente un braccio ricercando il suo sguardo: "E poi?" Insistette, come se per la prima volta cercasse le risposte invece di sfuggire le domande.

"E poi, io ci tengo sul serio a te, lo sai, a parte la nostra relazione, siamo amici da sempre e ... so che c'è qualche cosa che ti fa stare male, puoi fingere con gli altri, ma non con me, te lo leggo sempre nello sguardo, e poi tutto quel bere, le serate prive di scopo coi ragazzi ... Come se stessi fuggendo da un fantasma. Probabilmente se non ne parli e perchè non puoi, non ti chiederò di rivelarmi ciò che non riesci ad ammettere neppure con te stesso, ma ti prego, prova ad essere felice. Se c'è qualcuno ... qualcuno a cui tieni davvero, sii coraggioso, non rassegnarti a perderlo. Combatti per ciò in cui credi, per i tuoi sentimenti. Io l'ho fatto, ed ho inseguito il tuo amore fino all'ultimo, fino a quando ho potuto, anche se fa male. Ma non ho rimpianti. Non avere paura di rischiare, non temere neppure il giudizio degli altri. Hai un cuore buono, io lo so, restagli fedele, e non potrai sbagliare ..." E dopo quel fiume di parole dette senza fretta, con affetto, gli sorrise di un sorriso dolce e privo di rancore, Arthur sentì di aver fatto la prima cosa giusta, dopo tanto tempo. E fu stupito nel cogliere nelle parole di lei un'infinita comprensione, non immaginava che fosse arrivata a leggere così a fondo dentro di lui, ad intuire quello che non faceva che ostinarsi a nascondere, l'aveva sottovalutata, non c'erano dubbi. Se le cose fossero state differenti, sarebbe di certo stata la donna per lui, era meravigliosa, lo pensava davvero, ed ora desiderava solamente che potesse essere felice, anche senza di lui.

"Ti ringrazio Gwen, sei tanto cara, davvero. Hai ragione, mi trovo in una situazione complicata, non posso parlartene ma, ho sbagliato tutto ed ora temo che sia troppo tardi ..."

Lei gli carezzò delicatamente il braccio: "Non puoi saperlo. Non è mai troppo tardi per i sentimenti veri. Non arrenderti a perdere ciò che ami, non senza lottare prima per riconquistarlo. "

"Probabilmente hai ragione, grazie ..." Disse lui, e tornando ad un gesto che non si permetteva più da quando erano bambini  le carezzò uno zigomo sorridendo. Lei incrociò il suo sguardo con un sorriso caldo e nell'espressione del suo viso, dopo le lacrime, si era fatta spazio la serenità e la certezza di avere ritrovato un vecchio amico che non vedeva da tempo.

"Oh Arthur ... certo che ho ragione. Ho sempre avuto ragione con te, fin da ragazzina." Disse ironica, poi aggiunse: "Allora è ancora lì da qualche parte, c'è ancora il ragazzino con cui sono cresciuta, è confortante. Abbi cura di te. Ci vedremo poi con gli altri. Notte."

E così dicendo lui la seguì con lo sguardo mentre si allontanava verso casa. Rimase per un secondo a fissare il vuoto oltre la strada, avrebbe dovuto preparare un esame, avrebbe dovuto allenarsi molto per il torneo di fine anno e aveva anche in previsione una riunione di famiglia, ma tutto questo non lo interessava per nulla, non più. Sentiva che c'era qualche cosa di molto importante, di urgente, che doveva fare. Sarebbe potuto tornare a casa, oppure poteva andare a trovare i suoi amici al Campus, ma invece accese il motore e diresse l'auto fuori città.
 

 
La stanza era asettica, le pareti tutte nei toni del bianco e dell'azzurro chiarissimo, il bip dell'apparecchio elettronico scandiva i battiti cardiaci e teneva sotto controllo la pressione, mentre un silenzio quasi surreale accompagnava i passi ovattati di alcune infermiere lungo i corridoi. La clinica privata non era male, Morgana aveva persino una stanza singola e dei fiori sul comodino, insieme alla possibilità di guardare la tv o ascoltare la radio se avesse voluto. Anche questa volta suo padre non aveva badato a spese, peccato non andasse a trovarla da oltre una settimana, non fosse stato per Arthur, Gwen e i loro amici, non osava immaginare quanto avrebbe potuto sentirsi sola. Aveva avuto una specie di piccolo collasso, un paio di settimane prima, e per l'ennesima volta l'avevano dovuta ricoverare d'urgenza, ma ora stava davvero meglio, la tenevano ancora un pò sotto osservazione, ma era questione di giorni e avrebbe potuto riportarla a casa.

Si era seduto accanto al letto e fissava silenzioso l'espressione serena di Morgana mentre riposava, le aveva preso una mano tra le sue e nonostante questo quel posto lo metteva a disagio. Non importava quanto fossero lussuosi, tutto ciò che aveva a che fare con dottori e ospedali gli trasmetteva un'impressione spiacevole, un senso di depressione e infelicità. Probabilmente era legato alla sua primissima infanzia, quando sua madre moriva lentamente, giorno dopo giorno, attaccata ad un respiratore, tanto che l'unico ricordo certo che aveva di lei era l'odore del disinfettante. Era una sensazione orribile, che non riusciva a scacciare da sè neppure volendo, e quell'antico spiacevole sentimento si ripeteva da sempre per sua sorella, ogni qual volte il terrore di perderla, come era accaduto con sua madre, prendeva il sopravvento. Col tempo era diventato più coraggioso ed aveva imparato a fingere meglio, ma il terrore era lo stesso, non lo lasciava mai.

"Ehi ...  Arthur?! E' quasi notte fonda, che ci fai qui?" La voce dolce di sua sorella aveva interrotto i suoi pensieri. Lo guardava stupita, come se non capisse, ma si vedeva che era felice che fosse lì.

"Ehi dolcezza, come stai?" Le disse lui, sfiorandole uno zigomo con il pollice, la pelle bianca di lei si era fatta sempre più pallida col passare degli anni, eppure ora sembrava avere recuperato un pò di colorito per fortuna. "Per fortuna in queste cliniche non sono troppo rigidi sugli orari, o non mi avrebbero permesso di vederti ..." Aggiunse sorridendo.

"Sono sempre contenta di vederti, lo sai. Ma che succede? C'è qualche problema?" Disse Morgana, con lo sguardo che adesso si era fatto preoccupato.
Arthur provò subito l'impulso di rassicurarla, carezzandole il viso le diede un bacio sulla guancia e le sussurrò: "No, no, stai tranquilla, è tutto a posto, è solo ... solo che avevo bisogno di stare con la mia sorellina."

Gli occhi grigio-azzurri di lei lo fissarono meravigliati e brillanti, sorrise incredula, e con affettuosa ironia disse: "Certo come no, perchè non venire all'ospedale ad annoiarti con tua sorella quando puoi invece uscire con la dolce Gwen?! Non era la serata cinema questa?"

Arthur si rabbuiò. "A proposito di Gwen ... ecco io, noi ... ci siamo lasciati." Ammise. "Ma non è per questo che sono qui, io ... non mi annoio mai con te, lo sai."

Morgana parve rattristarsi per la notizia, ma subito si riprese: "Oh ... mi dispiace.  Bè comunque grazie per avere detto che vuoi passare del tempo con me, anche se ti tocca startene qui dentro. Ti conosco da sempre, sei il mio caro fratellino, e so quanto odi gli ospedali."

Ah quindi lei lo sapeva? E dire che si era impegnato tanto per cercare di non darlo a vedere: "Non amo gli ospedali, è vero, ma voglio starti vicino, non importa il luogo." Disse candidamente.

Lei ora lo guardava comprensiva, sapeva perfettamente che quella visita era stata dettata da qualcosa di più del semplice desiderio di stare in sua compagnia, ma suo fratello non era abituato a poter essere sincero e aperto sui propri sentimenti, ed era sempre un cammino lungo e difficile quello che portava al suo cuore.

"Ti va di parlarne?"

"Di cosa?"

"Come di cosa? Hai appena rotto con la tua fidanzata ... non è una cosa da nulla immagino."

"Oooh ... di quello, sì bè, non so se me la sento di parlarne."

"Che è successo? Se posso chiedere, com'è che avete rotto? L'hai fatta arrabbiare? Eppure è difficile far perdere la pazienza alla dolce Gwen ... che hai combinato?" Disse sorridendo, ma quel sorriso si spense dopo qualche secondo, di fronte all'espressione affranta di Arthur, si vedeva che soffriva.

"Non è successo nulla di particolare, è solo che non potevo continuare a mentirle."

"Mentirle su che cosa?" Osò chiedere Morgana.

Arthur la guardò, avrebbe potuto evitare la domanda, ma era andato da lei per aprire il suo cuore ed essere finalmente sincero: "Mentirle sui miei sentimenti, è una ragazza meravigliosa, sai quanto le voglia bene ... ma non sono innamorato di lei, non lo sono mai stato."

"Oh, capisco". Era triste che suo fratello fosse stato per mesi con una ragazza verso la quale non nutriva alcun sentimento speciale, ora ne era consapevole e lo ammetteva ad alta voce. Ma Morgana lo sapeva da prima, aveva insistito perchè si frequentassero perchè sapeva che Gwen lo amava e sapeva quanto lui fosse infelice negli ultimi tempi, sperava che quell'amore fosse un balsamo miracoloso in grado di farlo stare meglio, di aiutarlo, illudendosi che col tempo forse, avrebbe potuto essere ricambiata. Ma ora vedeva che non era così, e che forse quel suo sforzo di aiutarlo, aveva finito per complicare le cose, per farlo stare anche peggio.

"Mi dispiace io ... non avrei dovuto insistere perchè uscissi con lei da principio ... ho sbagliato." aggiunse imbarazzata.

Ma Arthur le strinse le mani con affetto, e fece segno di no con il capo:" Ma no ... sei stata gentile, volevi solo che avessi vicino qualcuno che mi amava davvero, è comprensibile, ed è dolce. Inoltre Gwen mi ha aiutato, a modo suo, mi ha reso maggiormente consapevole ..."

"Consapevole di cosa?" Chiese ancora Morgana.

"Di ciò che mi manca, di quello che ho perso, del tempo che è passato e non posso recuperare, del male che ho fatto alla persona che amavo."  Lo disse con un tono così disperato e rassegnato ad un tempo, che Morgana aveva gli occhi lucidi e si sentiva spezzare il cuore, era sicura che c'era lo zampino di loro padre dietro tutto questo, suo fratello era a pezzi, e lei non sapeva che cosa fare per aiutarlo, si era sempre mostrato forte e sbruffone in sua compagnia, ma quella sera era tutto diverso, quella sera c'era il vero Arthur lì con lei, e non era un bello spettacolo. Non si era resa conto di quanto stesse male davvero suo fratello, non fino a quel momento.

"Di che cosa stai parlando Arthur? O meglio, di chi?" Chiese ancora lei con una voce appena percettibile, mentre accarezzava i capelli biondi di suo fratello e lo abbracciava. Lui abbassò il capo tra le sue braccia, quasi si sentisse sconfitto e per una volta non avesse paura di mostrarlo.

"Se te ne parlo poi non potrò più negarlo, diventerà reale ... e poi, io ti deluderei, ho rovinato tutto, nostro padre mi disprezza lo so."

Morgana si allarmò subito a quelle parole: "Ti ha messo le mani addosso di nuovo? Te l'ho detto Arthur, qualunque ragione abbia non deve toccarti, piuttosto denuncialo se prova ancora ad aggredirti. Non mi importa di nulla, non sopporto che possa farti del male."

"No, no, non è più accaduto, non ci sono state ragioni e poi, come potrei denunciarlo?! Si ammazza di lavoro per noi e poi, è di nostro padre che stiamo parlando ..."

"Appunto Arthur. Tu lo giustifichi ma non dovresti farlo. Non ci comprende e non gli importa nulla dei nostri veri sentimenti, è un egoista. Io lo vedo che ti sta rendendo infelice, e poi, dopo quello scempio non riesco proprio a perdonarlo. A proposito, non sono mai riuscita a comprendere che cosa accadde veramente. So solo che ti ritrovai in delle condizioni pietose la domenica pomeriggio, rientrando da casa di Gwen, ti inventasti mille scuse, un incidente o qualcosa del genere, non non ci credetti neppure per un secondo, ti conosco troppo bene. so che cercavi di coprirlo."
Morgana rimase zitta sentendo Arthur sospirare profondamente, come se fosse davvero stanco e non sapesse come riuscire a spiegarle che cosa era accaduto o se ne vergognasse.

"Non devi avercela con Uther Morgana, forse avrà sbagliato molte volte, ma resta sempre nostro padre." Disse ancora Arthur, come aggrappandosi all'ultima ragione logica per tollerare il comportamento di quel padre che gli aveva tolto tutto, la libertà, la passione, l'amore, la dignità e la gioia di vivere, in favore di un'illusione di successo e apprezzamento sociale.

"Secondo me sei troppo buono, non dovresti giustificarlo, dovresti ribellarti alle sue prepotenze e farti valere per quello che sei, dovresti arrabbiarti e rivoltarti contro di lui. Non puoi permettergli di continuare a rovinarti al vita, di comandarti a bacchetta, non ho mai capito perchè cercassi con tale ostinazione la sua approvazione, più di una volta si è comportato male con te, e pure fatichi a mancargli di rispetto. Io non lo odio, ma neppure lo comprendo, è crudele, ci lascia soli per la maggior parte del tempo e non si preoccupa dei nostri sentimenti." Aveva detto Morgana tutto d'un fiato e in modo concitato, tanto che il bip del congegno elettronico nella stanza suonava ad un ritmo impressionante, era chiaro che si era agitata, che era furiosa. Ed ora Arthur si pentì di essersi aperto con lei in quel modo e si preoccupò che potesse stare male di nuovo.

"Ti prego Morgana, calmati per favore. Lo sai che non puoi agitarti così. Ho sbagliato, non avrei dovuto ..."

"Cosa? Parlare e confidarti con la tua unica sorella? Vorrei che lo avessi fatto prima, sapessi come sono preoccupata per te. Ti sogno spesso lo sai?"

"Davvero?" Arthur era rimasto stupito da quella dichiarazione. "E che tipo di sogni sono?"

"Alcuni sono confusi e spaventosi, ti vedo infelice e solitario in uno strano luogo selvaggio, in mezzo ad una battaglia. Ma altri invece sono bellissimi."

"Mi piacerebbe conoscerli ..." Disse Arthur incuriosito.

"Non sei da solo in questi sogni. Ti vedo sorridere e so che sei felice senza bisogno di chiedertelo, ti trovi in un grande ed elegante palazzo, e vedo una figura maschile accanto a te."

"Eh eh eh ... molto divertente, un palazzo, come una specie di nobile di altri tempi?"

"Veramente più come un Re." Ammise Morgana.

"Mi hai idealizzato davvero sorellina ..." disse lui ironico.

"No che non l'ho fatto. Ti vedo per quello che sei."

"Sono una persona orribile per lo più ... ma grazie."

Morgana sbuffò: "Non ho finito il mio racconto. C'è un ragazzo bruno con te nei sogni che mi mettono allegria, siete insieme e tu sei felice. "

Arthur si sentì sbiancare, possibile che Morgana lo sapesse? Che le fosse bastato vederlo con Merlin un paio di volte per comprendere ogni cosa?! No, probabilmente stava correndo troppo.

I loro occhi si incontrarono e lui comprese che lei lo sapeva davvero, la storia di Gwen era stata una trovata per fare in modo che comprendesse la gravità della situazione, e al tempo stesso era meglio passare del tempo con lei, che lo amava davvero, piuttosto che bere cercandosi compagnie occasionali e prive di significato tutte le sere. Morgana aveva voluto aiutarlo, sempre.

"Non mi importa di chi ti sei innamorato o quale vita sceglierai di fare Arthur, tu sbagli quando pensi di potermi deludere, non puoi. Ti voglio bene per quello che sei, te ne ho sempre voluto."

Arthur rimase per un secondo immobile, poi abbassò lo sguardo sul lenzuolo che le copriva le gambe, e per un attimo si perse nel vuoto di un ricordo: "Mi ha trovato a letto con un ragazzo."

"Che cosa?" Morgana cascò dalle nuvole a quella frase improvvisa.

"Quando mi hai visto  pieno di lividi, dopo le botte di nostro padre. La sera precedente è rientrato in anticipo ed io ero in compagnia di un ragazzo, nella mia stanza. Quindi lui si è arrabbiato, era fuori di sè, ha iniziato a colpirmi."

"Oddio! E il ragazzo che era con te?"

"L'ho cacciato, l'ho mandato via di casa, sotto la pioggia, gli ho urlato che non volevo più averci nulla a che fare."

"Oh no, Arthur ... ed era vero? Che non volevi più vederlo?"

"Non mi è permesso essere gay Morgana. Hai presente gli amici della squadra? I colleghi di papà? E tutti quelli che si preoccupano per il mio futuro, per loro sarebbe inaccettabile, non ci sarebbe più alcuna carriera, nessun futuro, e nostro padre mi butterebbe fuori probabilmente, non vorrebbe più saperne di me, e non potrei più proteggerti, occuparmi di te. Inoltre è ancora lui che ci mantiene per cui ..."

"Sono tutte argomentazioni insignificanti se il prezzo da pagare è la tua infelicità, te ne rendi conto? Quel ragazzo che hai cacciato, davvero non volevi più vederlo?"

"No. Io lo amavo. Ma non potevo farlo. Ho dovuto dire quelle cose ... mi avrebbe ammazzato se non l'avessi fatto. Io ... lo so sono solo un vigliacco. Non ho scuse."

"No invece, non avrebbe mai dovuto metterti in quella situazione, è stato crudele e senza cuore."
Per la prima volta quando Arthur la guardò lo vide condividere la sua rabbia che poi si trasformò in disperazione, poi lo vide scoppiare in lacrime, così lo abbracciò stretto.

"Ehi, Arthur, non fare così. Niente è andato perduto, vedrai. Sono certa che puoi ancora cambiare tutto, essere felice."

"No Morgana, no, non è così semplice. Tu non sai come mi sono comportato. Sono stato un mostro, il male che gli ho fatto ..." E mentre parlava a stento tratteneva i singhiozzi.

"Parliamo di Merlin vero?" Arthur alzò lo sguardo verso di lei, sempre più consapevole di avere sottovalutato non solo Gwen, ma anche sua sorella, mentre si preoccupava di recitare una parte, lei che gli voleva bene, aveva già compreso ogni cosa.

"Ma tu, come...?"

"Come lo so? Lo sospettavo da un pò a dire il vero, ma non avevo certezze, fino a questa sera."

"Siamo venuti a trovarti solo un paio di volte insieme, ai tempi in cui lo frequentavo."

"Lo ricordo molto bene, c'era una specie di legame tra di voi, non si poteva non vederlo, un'intesa fantastica. Non ti avevo mai visto in quel modo prima di allora, rilassato, aperto, allegro persino. Si vedeva che averlo accanto ti rendeva felice. Nostro padre non aveva alcun diritto di privarti di tutto questo. Inoltre Merlin è una persona meravigliosa, io lo so."

"Come puoi saperlo? L'hai visto solo un paio di volte."

"Perchè non è così, non l'ho visto solo quelle due volte, ma avevo giurato di mantenere il segreto."

Ora Arthur si era slegato dal suo abbraccio e la fissava confuso strabuzzando gli occhi: "Che vuoi dire?"

"Che dopo è passato un'altra volta, per salutarmi. Ricordo che è entrato in punta di piedi e mi era sembrato strano che venisse senza di te. Aveva lo sguardo stanco e delle grandi borse sotto gli occhi, come se non potesse dormire da tempo. Qualcosa si era spento nella sua espressione giocosa e allegra, ed ora era molto serio mentre mi chiedeva di non dirti che era passato perchè avresti potuto prenderla male e arrabbiarti. Gli chiesi perchè mai avresti dovuto farlo, che eravate amici. Ma seguì un silenzio imbarazzato a quella mia affermazione e lo vidi diventare molto triste all'improvviso. Poi mi sorrise come se nulla fosse, dicendo che avevate avuto qualche contrasto ed era un periodo in cui non vi frequentavate molto. Ma che lui si era affezionato a me, che ci teneva a sapere come stavo e a salutarmi, perchè temeva che prendessi sul personale il fatto che non passasse più a trovarmi. Ricordo di averlo ringraziato e di aver passato il pomeriggio a giocare con lui a carte, poi abbiamo parlato dell'Università, del fatto che con le mie condizioni dubitavo di poterci andare. Ma lui mi ha incoraggiata a preparare i test, senza esitazioni, dicendo che di certo sarei stata meglio, e avrei almeno potuto frequentare un college vicino a casa, come facevi tu. Si è anche offerto di aiutarmi con lo studio, quando ne avessi avuto bisogno. E' stato davvero dolce, ricordo che prima che se ne andasse ho provato un senso di nostalgia, e ho percepito l'ineluttabilità di quel distacco. Così gli ho chiesto se c'era qualche cosa che potevo fare, che potevo dirti, per aiutarvi a sistemare le cose. E lui mi ha solo chiesto di ascoltarti sempre e di comprenderti, e di amarti a qualunque costo, di occuparmi della tua felicità. Solo questo. Poi si è allontanato senza voltarsi. Da allora ci teniamo in contatto attraverso la mail, non è più passato ma ci siamo sentiti per telefono qualche volta. Io non avevo idea dei dettagli, ma è stato allora che ho iniziato ad avere dei forti sospetti su quanto stava accadendo. Poi ho pensato a Gwen, avrebbe potuto sostenerti con il suo amore e aiutarti a comprendere i tuoi reali sentimenti. Il piano ha funzionato, anche se non avrei voluto che nessuno si sentisse ferito, alla fine dei giochi."
Il lungo racconto di sua sorella lo aveva spiazzato, non immaginava che Merlin si fosse preoccupato di lei, che l'avesse rivista per salutarla e che la sentisse perchè si preoccupava per lei. Non aveva idea che il suo amore fosse così grande e nobile, da superare l'orribile comportamento di Arthur in favore della sorella che lui tanto amava e proteggeva. Si commosse nel profondo per il comportamento di Merlin, e la consapevolezza di quanto aveva perso si fece bruciante, si sentì soffocare a causa del proprio senso di colpa e dell'assenza di colui che amava.

Morgana gli prese la mano tra le sue, con affetto: "Non devi arrenderti Arthur. So che sembra tutto perduto. Ma so anche che il vostro sentimento era autentico. Ho visto come ti guardava quel ragazzo, so che cosa dico. E per quanto abbiate passato un periodo orribile e lui possa avercela con te, dovreste darvi un'altra possibilità, ve la meritate."

"Se lo facessi, perderei ogni cosa. Tutte le sicurezze che ho, la possibilità di un futuro in azienda, il rispetto di nostro padre, i miei amici. E lui potrebbe comunque odiarmi a questo punto. "

"Può darsi. Ma ti consiglio di rischiare tutto se vuoi dimostrargli che lo ami davvero. Può darsi che non ti possa perdonare, ma è anche possibile che voglia farlo, che comprenda. Se non lo farai perderai il rispetto per te stesso e la tua unica occasione di essere felice. Pensi davvero di poter continuare a vivere come vuole nostro padre?"

Uno sguardo arreso si disegnò sui lineamenti del volto di Arthur, e i suoi occhi azzurri si fecero luminosi mentre inconsciamente stava prendendo la sua decisione: "No, credo di no. Non posso più vivere come si aspetta nostro padre. Mi sta distruggendo." Ammise.

"Quindi hai già preso la tua decisione, e sono sicura che in fondo al tuo cuore sai già da tempo quello che devi fare, devi almeno provarci. Ti voglio bene Arthur, e niente al mondo potrà cambiare questo. E voglio che tu sia felice."

"Grazie sorellina, ti voglio bene anche io, lo sai!" Disse sorridendo. "Ora dovresti riposare, perchè se dovessi sentirti male non me lo perdonerei mai."

La salutò con un bacio sulla guancia, ma solo dopo che Morgana gli confidò che Merlin le aveva scritto un sms ed era riuscita a scoprire dove si trovasse in quel momento. Arthur le sorrise complice e la salutò, prima di andare a prendere l'auto e ripartire.

 
 
Quando arrivò nel locale le luci erano soffuse ma la musica era forte, tanto alta che faceva fatica a comprendere i propri pensieri, c'era davvero moltissima gente nonostante l'ora, molti ballavano, altri stavano seduti a bere con lo sguardo perso o chiacchierando animatamente tra loro, alcune persone spingevano per buttarsi in pista, nonostante il posto rimasto per muoversi fosse veramente poco. Il frastuono di parole e gesti si confondeva al ritmo ossessivo della musica e ogni contorno definito di persone e cose si perdeva in una grande e forsennato gioco di luci e ombre, pieni e vuoti, grida e silenzi.

Non sembrava un posto che Merlin avrebbe potuto frequentare in passato, l'avrebbe detestato. Lo avrebbe definito troppo confusionario e caotico. Ma Merlin era cambiato. Il tempo lo aveva cambiato e - probabilmente -  il male che gli aveva fatto. Ora temeva che se gli avesse parlato, non avrebbe saputo riconoscerlo, temeva fosse divenuto un estraneo, ne era terrorizzato e affascinato.

Cercò con lo sguardo in ogni angolo ma di lui non c'era traccia, si volse verso il bancone, tra le poltroncine più riparate ai lati della sala, si fece strada a tentoni tra la folla che si agitava sulla pista, la testa gli girava forte, un pò per l'emozione, un pò per l'ansia e per l'attesa, un pò per la paura che lui non fosse lì. Quando ormai pensava di avere sbagliato posto, o che lui avesse mentito a sua sorella su cosa stesse facendo, sentì chiaramente il tono della sua voce, sembrava qualcosa di simile ad un rantolo, si preoccupò, corse verso quel rumore, temendo che potesse accadergli qualcosa, subito si disse che era molto ipocrita preoccuparsi della sua salute solo ora, dopo il male che gli aveva fatto, ma si diresse comunque verso i bagni maschili, dai quali gli pareva provenire la sua voce.

Quando aprì la porta la scena che si trovò di fronte gli contorse ogni muscolo dello stomaco, paralizzandolo, il cuore si congelò nel petto e perse un battito, la testa prese a ruotare vorticosamente, senza sosta. Gli parve che il respiro gli mancasse, che tutto quel maledetto locale perdesse consistenza, che il mondo stesso potesse esplodere e ripiegarsi su sè stesso. Eppure non era la prima volta che lo vedeva con qualcun altro, era capitato diverse volte in Università, anche se mai in atteggiamenti tanto intimi, poteva intuire dal comportamento e dai gesti che c'era qualcosa anche con quei ragazzi, o c'era stato. Ma ora la vivida consapevolezza di averlo perso per sempre si fece strada dentro il suo cuore devastandolo, proprio ora che sarebbe stato disposto a rischiare tutto, a perdere ogni cosa, per rivedere il suo sorriso, sentire una sola parola d'affetto dalle sue labbra, potere anche solo sperare nel suo perdono. Prima che potesse impedirselo sentì le gambe perdere forza e dovette aggrapparsi con le braccia sul pavimento per non scivolare a terra lungo disteso, poi si ritrovò a vomitare anche l'anima, gli occhi lucidi, il respiro corto e affannato.

Merlin stava contro il muro quando era arrivato, i pantaloni abbassati, un gemito di piacere sulle labbra, mentre un ragazzino giovane ma dall'aria piuttosto consapevole armeggiava con le sue parti intime e lo baciava sul collo, si muovevano a ritmo e solo quando si era sentito il tonfo di lui che crollava sul pavimento e vomitava Merlin recuperò lucidità e con lo sguardo annebbiato si volse oltre il ragazzo sconosciuto, per fissarlo e comprendere cosa stesse accadendo. Sembrava confuso, stupito. Era chiaro che non capiva, che non sapeva che cosa Arthur ci facesse lì, perchè se ne stesse ripiegato sul pavimento a rimettere tutto quanto aveva nello stomaco, con le lacrime agli occhi.

Poi accadde l'ultima cosa che entrambi si aspettavano, il ragazzino che stava amoreggiando con Merlin si rialzò i pantaloni con aria esperta e si precipitò al fianco di Arthur per chiedergli se stesse male e che cosa poteva fare per aiutarlo. Merlin intanto rimaneva in piedi e impassibile, come lo spettatore di un sogno grottesco, non si era neppure alzato i pantaloni, osservava Arthur come se non lo conoscesse o se non sapesse cosa farsene della sua presenza lì. Fu troppo, Arthur si portò una mano al petto per recuperare ossigeno, ma prima di poterci riuscire aveva già perso i sensi.
 
Quando si svegliò si trovava fuori dal locale, la luce di un lampione troppo vicino gli offuscava la vista, qualcuno lo aveva portato di peso su quei sedili esterni, erano soffici e confortevoli, quel luogo inoltre era molto meno rumoroso che l'interno della sala, a parte il rumore del traffico e l'eco distante della musica. Fu solo dopo molti minuti che si rese conto che aveva un fazzoletto bagnato sulla fronte e che non era solo. Si volse appena e fu allora che lo vide, stava seduto, lo sguardo confuso, preoccupato forse, che lo scrutava, per capire cosa gli stesse accadendo veramente. Non c'era più traccia del suo giovane amante. Eppure non c'era più speranza nel cuore di Arthur a quel punto, solo una sorda nostalgia e il senso opprimente di una mancanza. La sua assenza lo soffocava anche adesso, che fisicamente gli sedeva accanto. Si disse che era la sua punizione, non potere più stare con lui veramente, neppure rimanendogli accanto, sentirlo distante, lontano. Si disse che il tempo li aveva separati davvero, forse per sempre. Poi Merlin gli rivolse la parola, e il suono della sua voce fu così reale, profondo, così suo, che Arthur avrebbe voluto solo piangere di nuovo e stringerlo, senza doverlo mai lasciare, come se il tempo li avesse ingannati e i suoi errori fossero i ricordi di un brutto sogno.

"Che sta succedendo?! Mi vuoi dire che cosa ci fai qui?"

"Io non ... non so come spiegare ma ... ti volevo vedere."

"Davvero?! Pensavo non volessi avere più nulla a che fare con me, che non fossi gay o non volessi esserlo, che stessi con Gwen adesso. Tuo padre ne sarà orgoglioso" Aggiunse ironico, un tono così acido da far impallidire Arthur, non l'aveva mai sentito esprimersi così, ma d'altronde cosa si aspettava? Se lo meritava, doveva essere forte, doveva andare oltre la sua rabbia.

"Ti ho visto ... Ieri sera. Al cinema."

"Anche io, stavi baciando Gwen, e non hai esitato a mostrarmi il vostro ardore."

"Merlin ... è vero ma ..."

"Ma cosa?"

"Oh .. insomma, qualche minuto fa sono venuto a cercarti e ti stavi facendo scopare da un ragazzino nei bagni di un locale."

"E quindi?"

"Bè ecco, pensavo che tu non fossi così."

"Così come? Che non fossi una puttana? Che non fossi libero di divertirmi e di andare con chi mi pare da quando mi hai lasciato fregandotene di me? Che non fossi più gay perchè secondo te e tuo padre "non sta bene"? Non hai alcun diritto di dirmi queste cose. Non dopo tutto quello che mi hai fatto. Chi diavolo ti credi di essere?! Maledizione!"

Lo sguardo di Arthur era ferito, non aveva mai pensato che Merlin fosse uno facile, non si era mai vergognato di lui ma solo di sè stesso, non si era mai pentito di essere stato con lui, sapeva che stava male, che si comportava così perchè si sentiva ferito, solo non sapeva come dirglielo, come poter cicatrizzare delle piaghe che lui stesso aveva generato e che ora rendevano l'anima di Merlin pesante e il suo cuore vuoto, così aggiunse: "No, io, non intendevo questo. Solo che ... so che non vai quasi più a lezione, e a giudicare dalle tue pupille prendi qualcosa per facilitare il divertimento ... e hai lasciato il lavoro ... e insomma, sono preoccupato per te. Solo questo. Non dovresti buttarti via così, meriti più di questo."

"Ah Davvero? Ma a quanto pare non ero abbastanza per te! E ora non è affar tuo cosa faccio nella mia vita o con chi vado a letto. Che cosa ti prende Arthur? Come ti permetti di venire qui a farmi la predica dopo più di un anno che mi ignori e fai finta di non conoscermi ridendo alle battute cretine che i tuoi amici fanno su di me?!"

Arthur lo guardò negli occhi per un minuto senza parlare, tentò di respirare ma un attacco di tosse gli tolse il respiro.

"Ehi ... oh insomma, va tutto bene? Come ti senti?"
Arthur lo guardò appena con gli occhi socchiusi e spiò la sua espressione, c'era preoccupazione, se non lo odiava dopo quanto era accaduto, può darsi che forse non tutto fosse perduto.

Chiaramente Merlin si aspettava che replicasse, che tentasse di avere ragione o al massimo cercasse delle scuse, ma Arthur non era lì per sentirsi migliore o per raccontare nuove bugie, solo per confessargli i suoi sentimenti e cercare il suo perdono, non sarebbe stato facile.

"Mi dispiace, hai perfettamente ragione, avrei dovuto difenderti, avrei dovuto uscire di casa con te quella sera e mandare a quel paese mio padre, avrei dovuto lottare per noi. Sono stato uno stronzo, un vigliacco imperdonabile, E mi odio per questo. Tu non hai idea di quanto."

Merlin parve spiazzato da quelle parole, come se fossero l'ultima cosa che si aspettasse, e per una volta non seppe cosa dire, come replicare. Poi alzò lo sguardo verso il cielo nero, senza stelle, e lo riabbassò con aria triste, arresa, come se non sapesse più come comportarsi o che cosa dire, come se volesse piangere e al tempo stesso colpirlo, come se volesse andarsene o urlare.
"Arthur ... è tardi per questo. Tu ... non puoi pensare sul serio che basti chiedere scusa. Che basti dispiacersi e preoccuparsi per me per qualche ora, a cancellare un anno di ... bè non mi va neppure più di parlarne." La sua voce adesso tremava.

"Invece dovremmo farlo, non lo abbiamo mai fatto." Insistette Arthur.

Merlin lo guardò dritto negli occhi, come se lo stesse vedendo per la prima volta quella sera, e si chiese che cosa diamine potesse passare nella testa del biondo, per comportarsi in maniera tanto assurda, poi la sua rabbia esplose senza freni, come un fiume in piena, le cui acque erano state trattenute da fragili argini per lunghi e insopportabili mesi, e che ora potevano finalmente travolgere Arthur e colpirlo con la propria forza, senza timori, con l'intenzione di far male, di ricambiarlo con la stessa moneta, di fargli assaggiare un pò della sua stessa medicina.

"Vuoi parlarne? E sia, parliamone. Di cosa vuoi parlare? Di me che vengo scaricato senza una parola quando il mio ragazzo è stato quasi ammazzato dal padre in quella che doveva essere la notte più importante della mia vita? O di quando tu e i tuoi amichetti sportivi mi avete spinto e sbeffeggiato, mentre tu sorridevi beatamente della mia umiliazione? O dei lunghi mesi in cui hai preferito fare finta che non esistessi? Di come ti sforzi di fingere di essere quello che non sei e quando mi incontri esibisci la tua bella fidanzatina?! O forse preferisci parlare di come ti degni di presentarti qui questa sera, per farmi la morale, come se davvero ti importasse qualche cosa di me?! Mi spiace ma è troppo tardi. Non ho più niente da dirti, niente. Mi hai già fatto comprendere chiaramente che non ti frega nulla di me, nè di te stesso a quanto pare. Visto che hai scelto di vivere nell'ipocrisia!" Merlin si era alzato in piedi ora, rosso in volto, i pugni stretti fino a sbiancare le nocche delle mani, lo sguardo lucido e l'espressione ferita, lo sguardo blu era furioso.

Arthur cercava le parole, ma non ne trovava nessuna che potesse spiegare davvero i suoi sentimenti e i suoi timori, nè giustificare le sue azioni nei confronti dell'altro. La verità era che Merlin diceva il vero, l'aveva trattato con crudele indifferenza, l'aveva lasciato indietro, gli aveva spezzato il cuore. Gli venne spontaneo alzarsi a sua volta e muovere la mano verso l'altro, come nell'intenzione di calmarlo, per posarla sul braccio di Merlin, premendo leggermente le dita intorno alla manica della sua giacca, la pezzuola bagnata cadde a terra, la testa riprese a girargli. A quel gesto Merlin parve esplodere, come se fosse stato colpito da uno schiaffo inaspettato, si scostò brutalmente e si avvicinò ad Arthur come a volerlo sfidare, poi riprese la parola: "Non mi toccare, non osare toccarmi, non hai nessun diritto su di me, proprio nessuno ... non puoi darmi consigli, o suggerirmi come vivere la mia vita, tu non sei proprio nessuno per dirmi queste cose ... tu ... tu" La voce ora gli tremava, le parole che si perdevano soffocando in gola per via della rabbia, gli occhi offuscati da lacrime ritenute a stento, poi incominciò a colpire Arthur sul petto, con cieca disperazione, come se davvero i suoi colpi potessero fargli del male, pur sapendoli inefficaci, la consapevolezza della propria innegabile fragilità peggiorava il senso di frustrazione e la rabbia. Arthur abbassò lo sguardo e non reagì a quei colpi, per quanto leggeri, aveva ancora lo stomaco indolenzito e si sentiva un pò intontito per il malessere di qualche tempo prima, la testa continuava a girargli senza sosta, ma comprendeva Merlin, il suo desiderio di sfogarsi, la sua disperazione, rimase immobile ad incassare i colpi, e solo dopo diversi minuti, solo quando li sentì rallentare, e si accorse che anche l'altro aveva abbassato lo sguardo, arreso, fu allora che Arthur gli afferrò i polsi con fermezza, Merlin non tentò di sottrarsi a quella presa, seppure il turbamento era chiaramente leggibile sul suo volto, poi alzò lo sguardo e incontrò quello dell'altro, smise di parlare, sospirò a lungo, come se non sapesse più che cosa dire o fare per esprimere la propria esasperazione. Arthur ora lo fissava in attesa, poi senza fretta si portò le sue mani al petto, premendosele sul cuore, abbassò di nuovo lo sguardo, come se dovesse confessare un segreto, o una colpa, innegabile, e costante nella propria esistenza. Ma sapeva che era di nuovo suo padre a pensare, che non c'era peccato o turbamento in quello che provava per Merlin, solo un senso di gioia che lo pervadeva al solo averlo vicino, solo l'urgenza di ottenere il suo perdono e confessargli i propri sentimenti. Poi fu il suo turno di parlare, pensava che le parole sarebbero sfuggite anche questa volta alla sua presa incerta, al suo coraggio, che il solo istante che era concesso loro sarebbe andato perduto di nuovo a causa della sua vigliaccheria. Ma poi incrociò per un istante i suoi occhi lucidi, il vento che gli accarezzava i riccioli neri, l'aria che accarezzava le sue mani, strette al petto nelle sue, vide che respirava appena, nervoso, e seppe che anche lui era divorato dall'ansia, che l'emozione lo stava ricacciando in un angolo buio in cui non riusciva di nuovo ad esprimersi liberamente ed essere sè stesso. Così volse di nuovo lo sguardo in basso, verso il terreno oscurato dalle ombre delle nubi dense che oscuravano la luna quella sera, la luce artificiale del lampione a tinteggiare di viola le loro figure, allungandole e deformandole come in uno strano sogno, poi deglutì e si prese un minuto ancora per raccogliere le idee, trovare le parole, poi seppe, in un momento, che quelle parole erano sempre state lì, dentro di lui, ripiegate e nascoste dentro il suo cuore, come un tesoro cui non gli era stato concesso fino ad ora di accedere, ma che ora vedeva chiaramente, e di cui finalmente riconosceva il reale valore.

"Perdonami, se puoi, ti prego. Hai ragione, è tutto vero ... quello che hai detto, io, mi sono comportato in modo orribile, e la cosa più triste è che ha fatto stare male anche me, te lo giuro ... io"

Merlin parve riprendere forza a quelle parole, tentando di scostarsi e sottrarre le proprie mani da quelle di Arthur: "No, basta, non ti permetto ora di metterti anche a fare il martire, non fare la vittima maledizione ..." insistette con intolleranza.

"Non è mia intenzione" Disse Arthur, riprendendo le sue mani e stringendole nelle proprie: "Ti prego ascoltami, solo questa sera. So che ho sbagliato, che ho fatto un casino ..."

"Casino non rende l'idea ..." intervenne Merlin con amara ironia.

"Lo so, ma voglio che tu sappia che io, cioè, che io ..." Prima che potesse finire la frase Merlin liberò una mano e la portò alle sue labbra, per bloccare la sua dichiarazione.

"No! Non devi dirlo. Non voglio sentire. Non più. E poi, se dici certe cose poi non potrai farle tornare indietro, ti conosco, te ne pentiresti, proveresti vergogna, e non posso sopportarlo, non più, questa volta mi farebbe a pezzi ... io, non posso più sopportare, mi spiace Arthur" L'aveva detto tutto d'un fiato, come confidando una propria debolezza. Non poteva più amarlo in silenzio sperando che si fidasse di lui e che si decidesse ad ammettere con sè stesso i propri sentimenti, non poteva più amarlo nonostante tutto, non ce la faceva più. Arthur lo comprese, nel profondo del proprio animo conosceva bene Merlin, sapeva che si era sforzato sempre per entrambi, che soffriva per le sue reticenze e la sua vergogna, per la vigliaccheria che aveva dimostrato in passato quando si trattava del loro rapporto.
Scostò la mano di Merlin dolcemente, riportandola tra le proprie, poi la sua voce divenne bassa, profonda, ma il tono si fece sicuro, e quando riprese a parlare si accorse che la paura era passata, solo Merlin importava, solo il suo sguardo blu, il suo stringersi nelle spalle in un impercettibile tremore, il calore della sua pelle, l'espressione del suo viso.

"No, voglio continuare a parlare, voglio dirti tutto. Questa sera sono qui per essere sincero. Non mi pentirò e non avrò vergogna questa volta, pure se dovessi perdere tutto, te lo prometto. Perchè la verità è che ti amo Merlin, davvero, con tutto me stesso, e tutto quanto il resto non avrebbe comunque più alcun valore senza di te. Ho combattuto questo sentimento con tutta la forza che avevo perchè ero terrorizzato da ciò che avrei dovuto affrontare ... la mia diversità, la mia famiglia e i suoi rigidi principi, i miei amici e la loro sciocca intolleranza, eppure, ora che sono qui, con te, tutto questo mi pare così stupido, immotivato, senza senso. Tutto ciò che voglio ... che ho sempre voluto, è stare con te. So che ora tu mi odi ... che non sarà facile riconquistare la tua fiducia, ma io ... vorrei solo ... " Le parole ora le sentiva confondersi nella propria mente, si impigliavano sulla lingua per l'accavallarsi di emozioni profonde e senza tempo, respirava appena, era diventato silenzioso all'improvviso.
  
Fu allora che Merlin lo stupì, si avvicinò come un bambino e liberandosi dalla presa lo abbracciò, stringendosi al suo collo e ripiegando il capo sulla sua spalla, forse per nascondergli che stava piangendo. Arthur sentiva le sue lacrime e la sua emozione, ricambiò la stretta in un attimo e con una mano gli accarezzò il capo, incastrando le dita tra i suoi capelli corvini, il riflesso del pallore della luna, misto alla luce elettrica si allargava sulle loro figure, abbracciate teneramente.

 Il cuore di Arthur aveva accelerato il proprio ritmo vorticosamente, la testa gli pulsava e si sentiva mancare, l'esile corpo di Merlin come unico appiglio verso un mondo migliore, più suo. Poteva sentire che anche il cuore dell'altro batteva all'impazzata, aveva sentito le sue umide lacrime sul collo, sulla clavicola, scivolare sulla maglia, poi si erano guardati negli occhi e Merlin era rimasto stupito vedendo che ora anche Arthur piangeva, la gioia e il dolore così intersecati da sprofondarlo in uno stato emotivo surreale, eccessivo. Se Merlin non lo avesse perdonato, se non lo avesse voluto più guardare, stringere, baciare, la sua vita avrebbe perduto ogni significato, ora lo sapeva. Ora conosceva la sua più grande fonte di forza e al tempo stesso, la sua più grave debolezza.

"Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo ..." prese a ripetergli in un sussurro ad un passo dall'orecchio, per poi aggiungere disperatamente: "perdonami, ti prego, ti prego ... dammi un'altra possibilità."

Merlin alzò appena il viso e lo strofinò delicatamente contro la sua guancia, poi le sue labbra raggiunsero quelle dell'altro in un tocco gentile e pure profondo, con un bacio lento e dolce.

"Non ti odio Arthur, non potrei. Sono stato malissimo senza di te. Io ... non sapevo più che fare, le droghe, o la ribellione sembravano non portare a nulla. I ragazzi che frequentavo non avevano alcun significato. Erano solo un diversivo. Per non pensare, per non impazzire. Non riuscivo a sopportare che fossi totalmente nelle mani di tuo padre tra l'altro. Il tuo rifiuto, la distanza che hai messo tra noi, il tuo comportamento mi ha quasi ucciso. Lo sai questo vero?!"
Arthur lo guardava negli occhi ora, erano vicinissimi, stretti l'uno all'altro, e la propria colpa non era meno grande solamente perchè poteva avere il suo perdono, la certezza di avergli fatto del male lo feriva più di una pugnalata al petto, a quelle parole altre lacrime gli scivolarono sulle guancie, come se non potesse fermarle, come se ora che aveva aperto il proprio cuore non sapesse più come ritenersi, tornare indietro.

"So di averti fatto del male. Mi odio per questo, vorrei che potessi perdonarmi. Ma anche se lo facessi, come potrò perdonare me stesso?" E dicendo questo sentì come se il proprio cuore si potesse spezzare per la consapevolezza del dolore dell'altro.

Merlin parve commuoversi a quelle parole, una mano sulla guancia dell'altro e un nuovo bacio, passionale e caldo, sulle labbra, poi sul collo, sulle guancie. Arthur aveva chiuso gli occhi e sembrava rilassarsi a quella vicinanza, con un sospiro.

"Non voglio che tu ce l'abbia con te stesso. Non è quello di cui abbiamo bisogno. Ti sei punito abbastanza e nella battaglia contro te stesso hai trascinato a fondo anche me. Ora ti meriti qualcosa di diverso, di bello, di vero. Ti prego, abbi la forza di perdonarti, io l'ho fatto, io l'avrei fatto anche se la tua indifferenza mi avesse ucciso. Perchè la verità è che non posso odiarti o avercela con te, qualunque cosa accada."

"Perchè?! Sei troppo buono. Io ho sbagliato. In così tanti modi che non saprei neppure descriverlo."

"E' vero, ma ora sei qui, con me. Ora hai scelto di essere sincero, di chiedere perdono."

"Ma hai ragione, è tardi."

"Forse."

"Che significa?"

"Potremmo meritarci una nuova opportunità"

"Mi piace sentirti parlare alla prima persona al plurale, dopo tanto tempo."

"Già".

"Ti amo." Ripetè ancora Arthur, come se l'altro potesse non averlo sentito o non fidarsi di lui.

"Lo so. L'ho sempre saputo in realtà. Ma l'avevo dimenticato. Forse avevo finito per credere alle tue bugie, almeno in parte."

Allora per la prima volta durante la serata fu Arthur che si permise di stringere le spalle di Merlin, dandogli un bacio vero, profondo, lasciandolo senza fiato.
E per la prima volta dopo tantissimo tempo avvenne un piccolo miracolo.

Merlin sorrise, un sorriso vero, di quelli che non gli vedeva sul volto da tanto tempo.

Questo scaldò il cuore di Arthur, che per la prima volta dopo mesi si sentiva felice, completo.

Merlin non aveva ancora risposto alla sua dichiarazione, comprendeva la ragione, non poteva pretendere troppo, non dopo ciò che aveva fatto, non tutto insieme. Ora almeno poteva credere nel suo perdono, nella sua fiducia, nel suo affetto, che ci avrebbero potuto riprovare.

L'aria era diventata davvero gelida e li fece rabbrividire, mentre il pallore della loro pelle si fece spettrale per via dei riflessi luminosi provenienti dalla strada, un caos di macchine li circondava, forti rumori arrivavano dal locale, potevano sentire i passi sulla via, la musica soffusa, e ogni istante del passato divenne vivido, importante, quando si strinsero di nuovo erano avvinti dal silenzio e dalla nostalgia.

Poi Merlin strinse la mano di Arthur, come avrebbe fatto in passato, e lo guardò negli occhi: "Mi accompagneresti a casa?" Suggerì.

"Certo" rispose un pò stupito Arthur "Con piacere".

"Tuo padre ti sbatterà fuori di casa lo sai vero? Potresti dovere interrompere l'Università e non proseguire nella carriera che ti aspettavi ..." Affermò Merlin all'improvviso.

"Lo so, non mi importa. Non più." Rispose semplicemente Arthur.

Merlin sospirò, come se fosse triste per ciò che l'altro doveva perdere, per poter amare ed essere felice, ma forse ciascuno deve rinunciare a qualcosa di prezioso, per ottenere una gioia più grande, si disse.

Poi aggiunse, serio e sicuro di sè: "Puoi venire a stare da me. Lavoreremo. Ti pagherai gli studi e insomma ... in qualche modo faremo. Non ho timori quando possiamo essere insieme."

Il candore e la certezza con cui aveva pronunciato quella frase lasciarono Arthur senza parole, non aveva mai pensato a questo, aveva sempre creduto di dover proteggere Merlin in passato, che fosse un tenero imbranato che aveva bisogno di lui, ma era chiaro che anche in questo sbagliava, aveva sottovalutato anche lui, era un compagno, un amico, un amante, e soprattutto era forte, molto più di quanto credeva, non aveva paura di esprimere i propri sentimenti, di affrontare la vita, lo voleva sostenere e aiutare in ogni modo.

Era lui ad aver bisogno di Merlin, era questa la verità, lo era sempre stata. Era stato cieco, arrogante, sciocco a pensare di poter fare a meno di lui.

Quando arrivarono all'alloggio di Merlin nel Campus Arthur si fermò un istante, riflessivo, mentre ancora si tenevano per mano. Era come un sogno. Si sentiva felice.

"Grazie per ciò che hai detto. Che posso venire a vivere con te."

Merlin si strinse nelle spalle, come per sminuire il proprio gesto.

Arthur non disse nulla di fronte a quella dolce e tenera modestia ma lo abbracciò in silenzio, respirando il suo profumo, sfiorando con le labbra la pelle chiara del suo collo.

"Non ti merito davvero. Sei così speciale, sei semplicemente stupendo." Disse all'improvviso Arthur.

Non aveva mai dato voce a certi pensieri, li aveva soffocati nel proprio petto per mesi, fino a che lo avevano intossicato. Ma ora c'era Merlin di nuovo con lui, lo aveva perdonato. E aveva un nuovo coraggio per affrontare il mondo, per essere sè stesso.

Merlin parve stupito da quelle parole spontanee e arrossì, accarezzò i suoi capelli biondi e sorrise appena: "Notte Arthur, ci vediamo domani." Disse con sicurezza.

La faccia di Arthur doveva avere un'espressione molto delusa, Merlin se ne accorse ma non parve farci caso e si diresse verso la porta, dandogli le spalle. Arthur era rimasto immobile a fissare il vuoto della notte, in silenzio, solo il pallore della luna a riflettersi nel suo sguardo azzurro.

Poi Merlin sospirò, inserendo la chiave nella toppa, e come cedendo ad un impulso si voltò nuovamente verso l'altro, che ancora immobile gli dava le spalle, corse verso di lui e lo strinse forte, le mani sul petto, il volto tra la spalla e il collo, l'ombra di un sorriso a sfiorargli la pelle.
"Razza di stupido! Perchè sei così turbato? Davvero vuoi sentirtelo dire per forza? Sei sempre il solito. Arrogante ... e dolce. Anche io ti amo. Ti amo così tanto che a volte mi pare che niente altro abbia importanza." Merlin bisbigliò tra le labbra emozionate, con una voce sottile ma abbastanza forte perchè l'altro potesse sentirla e mettere a tacere qualsiasi dubbio. Arthur a quelle parole sorrise, Merlin non poteva vederlo ma la gioia si era fatta spazio nella sua espressione. La certezza che stava diventando quella persona che Merlin amava, che faceva le scelte giuste, che non mentiva, si fece strada per la prima volta dentro di lui. Poi strinse di nuovo l'altro e gli baciò i polsi, le dita.

Merlin fece scivolare delicatamente la mano nella sua e gli sussurrò imbarazzato e con lo sguardo basso di entrare in camera da lui, se voleva.

Arthur non se lo fece ripetere due volte, e lo seguì in silenzio, un sorriso felice ed ebete sulle labbra.

Ora l'ombra di suo padre era lontana, il giudizio degli altri solo parole vuote.

Per la prima volta non sentì di sbagliare nel prendere l'iniziativa ed esplorare il corpo di Merlin tra le lenzuola, non ci furono sensi di colpa, inibizioni o turbamenti. Solo due persone innamorate che avevano sentito brutalmente la mancanza una dell'altra. I loro movimenti e i loro gesti erano naturali, spontanei, le mani si stringevano e sfioravano come in un film romantico di serie B, di quelli che Arthur avrebbe detestato, i corpi si intrecciavano e si separavano ritmicamente, le labbra si schiudevano solo per lasciare spazio ad un nuovo bacio.

Questa notte era diversa. Nessuno avrebbe bussato per spezzare il loro legame. Nessuno li avrebbe giudicati. Il cuore scoppiava nel petto e la felicità era tale, che quando il piacere e il desiderio li consumava, non riuscivano comunque a lasciarsi andare, ma solo a sorridersi, nell'oscurità, gli occhi accesi di sentimento, le parole sussurrate in un soffio.
 
 
Quando il mattino li sorprese, il mondo era cambiato, ed ogni timore pareva svanito.
 
Arthur si strinse a Merlin e si accorse di avere tutto ciò che aveva sempre desiderato.
 
Merlin sorrise dolce tra le coperte, gli occhi blu accesi d'amore, le labbra gonfie di baci.
 
Ciò che era perduto non era che un'illusione, pronta a sciogliersi alle prime luci dell'alba.
 
 
Morgana sorrise al risveglio da un lungo sogno, nella penombra della sua camera.
 
" ... Il palazzo era luminoso, le pareti dipinte di colori accesi. Suo fratello e l'altro ragazzo, vestiti come cavalieri antichi, si tenevano per mano. Fili di luce e farfalle d'argento si muovevano danzando oltre le finestre, il sole disegnava riflessi sui fiori del cortile. Gli occhi di Merlin erano tinti d'oro. Arthur invece indossava una corona d'argento, un mantello rosso fuoco e sorrideva ... "
   
 
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