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Autore: Madison Alyssa Johnson    26/07/2015    12 recensioni
La misteriosa mortre di Victor Cavendish, visconte di Vidal e figlio del duca di Devonshire, attira l'attenzione della regina Vittoria sulle misteriose morti che stanno devastando Dublino. Un nuovo Jack lo Squartatore, che i dublinesi chiamano Molly Mangiauomini, si aggira per le vie della città seminando morte e terrore. Tocca a Ciel e al suo fido Sebastian recarsi sul posto per risolvere il problema.
« Perché Molly Mangiauomini? » rifletté a voce alta. Doveva togliersi quel vizio, ma a volte non riusciva a farne a meno.
« Voi siete troppo piccolo per saperlo, padroncino, ma è così che sono chiamate le donne molto... esperte. » gli rispose il maggiordomo, senza smettere di sbattere le uova. « E se non sbaglio c'è una leggenda che parla proprio di una donna di quella risma che si chiamava appunto Molly, Molly Malone. Pare le abbiano anche dedicato una canzone, di recente. »
« Jack lo Squartatore era una donna... e mezza. » obiettò Ciel. Era arrossito, ma non avrebbe comunque permesso a quel dannato demone di metterlo in ridicolo.
« Certo. » assentì Sebastian.
« E una donna sola non potrebbe sopraffare un uomo di media corporatura. »
« Non se fosse umana... ma non ne avrebbe bisogno. »
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ciel Phantomhive, Elizabeth Middleford, Sebastian Michaelis, Shinigami, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Violenza
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Il treno correva. Tagliava la campagna sulla scia delle rotaie e si lasciava alle spalle una coda di fumo denso e nero. Il suo fischio ancora rimbombava nelle orecchie di Ciel.
Il Conte Phantomhive scoccò un’occhiata svogliata al paesaggio che sfocava in lontananza, ma non ottenne alcun giovamento per il proprio mal di testa. Tornò a guardare la lettera della regina. L’aveva letta fino a impararla a memoria. Dietro il velo di leziosa condiscendenza che la sovrana insisteva a usare con lui, sentiva netto e acre il tanfo della sfiducia. Qualcosa era cambiato, dopo la vicenda del Noah’s Ark Circus. Non era un caso, se per poco non aveva rischiato una condanna per omicidio. L’aveva scampata grazie a Sebastian, ma senza di lui sarebbe finito a marcire nella London Tower fino alla fine dei sui giorni ‒ per decapitazione, supponeva. Ogni volta che ci pensava gli venivano i brividi. Strinse i denti e rafforzò la presa sul bastone da passeggio. Non si sarebbe mai mostrato debole davanti al suo demone. Poteva sentire il suo sguardo addosso e non aveva voglia di immaginare quale genere di pensieri si celasse dietro quel sorriso ieratico. Di certo, erano riflessioni su quanto fosse gustosa la sua anima, o giù di lì. Arricciò le labbra in un macabro sorriso. Mancava ancora tanto al giorno del pagamento e, fino ad allora, lo avrebbe fatto sudare. Se voleva divorarlo, avrebbe dovuto giocare ogni asso nella sua manica inamidata. « Smettila di mangiarmi con gli occhi, Sebastian. »  
Il demone sorrise. « Come desiderate, padroncino. » rispose. Accavallò le lunghe gambe e rivolse lo sguardo all’esterno. 
« Hai già preso i biglietti per il traghetto? »
« Naturalmente. Ci imbarcheremo domattina e saremo a Dublino per metà pomeriggio. Per la notte alloggeremo al Poseidon, nella zona portuale. Con così poco preavviso non ho potuto fare di più. »
Il ragazzo gli scoccò un’occhiata gelida. « Mi auguro non sia una bettola, Sebastian. » disse, torvo. « Mi seccherebbe molto dormire tra le tarme. »
« Il Poseidon gode di ottima reputazione e non ho visto tarme, quando ho fatto la prenotazione. »
Ciel gli concesse un assenso svogliato. Chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie. Continuava a pensare che a Dublino non avrebbe potuto avvalersi dei suoi soliti contatti: Lau non sarebbe stato a portata di mano e nemmeno Undertaker. Non che avrei potuto comunque chiedergli nulla. ricordò. Con quello che era successo con i cadaveri semoventi, poteva depennarlo dalla lista dei suoi alleati. Scosse la testa e nascose uno sbadiglio con la mano. Non aveva niente di meglio da fare e dormire lo avrebbe aiutato a liberarsi dell’emicrania, se non altro. Si stese sul divanetto foderato di damasco. « Svegliami solo se arriva qualcuno o se raggiungiamo la stazione. » ordinò.
« Sì, padroncino. » rispose Sebastian. Attese che il ragazzo chiudesse l’occhio e raccolse la lettera caduta. 

 

La regina era, come sempre, avara di informazioni e di aiuti, ma si aspettava che il suo Cane da Guardia compisse l’ennesimo miracolo. Nascondeva le minacce dietro inutili amenità, talvolta, ma in quel caso si era accontentata di utilizzare un tono condiscendente e infarcire l’apertura e la chiusura del testo con qualche riferimento alle vacanze che il conte non avrebbe potuto godersi. Se stava cercando di punirlo per i fatti della Weston, ci stava riuscendo bene.
Sebastian sapeva quali dubbi Ciel avesse iniziato a nutrire a proposito della sanità mentale della donna, ma non li condivideva. Avrebbe potuto elencare diversi difetti della sovrana, ma era pronto ad affermare con sicurezza che la trovava del tutto sana di mente e, per questo, ancora più pericolosa. Ripose la lettera e si mise comodo. Il viaggio era lungo e la veglia non sarebbe stata da meno. 

La stazione di Liverpool era tutt’altra cosa, rispetto a quella di Londra. Non poteva vantare lo stesso lustro, né la stessa ampiezza. Non era abituata a gestire il medesimo flusso di viaggiatori e il numero di addetti ai lavori lasciava a desiderare. Era il caos.
L’anticamera di Dite. pensò Ciel, ma ebbe il buon gusto di non dirlo. Non voleva che Sebastian gli ridesse in faccia. Odiava la libertà con cui il suo dannato maggiordomo lo faceva, senza nemmeno tentare di trattenersi. Corrugò le sopracciglia e stirò le labbra in una smorfia di disappunto. « Sebastian, il mio bagaglio. »
« Sì, signorino. » Il demone sparì nella folla per una manciata di secondi appena, quanto bastava a procurare un carrello. Vi caricò il proprio baule e quello del padroncino senza preoccuparsi di nascondere la propria forza, ma una volta fuori dalla stazione riprese la solita compostezza. Fermò una vettura a nolo e caricò i bagagli, quindi restituì il carrello e aiutò il padroncino a salire.
Il postiglione era abituato a tutti quei maneggi e non protestò per la lentezza dell’operazione, ma quando li aiutò a scaricare i bagagli davanti al Poseidon chiese una mancia extra.
Ciel lo fulminò con un’occhiata, ma fece comunque cenno a Sebastian di dargli quanto richiesto. Nonostante avesse dormito per buona parte del viaggio, sembrava propenso a dormire ancora, eppure gestì il check-in con totale lucidità e non senza alterigia. Ritirò la chiave e precedette il maggiordomo lungo la scala che portava al piano superiore mentre quello trafficava con il montacarichi.
La stanza centotredici era al primo piano, nel corridoio destro. Non era proprio un bugigattolo, ma quasi. Ospitava a stento i due letti singoli con i rispettivi comodini e il bagno era più una specie di scatola di cartongesso. Era un vero e proprio miracolo che avessero una finestra ciascuno. Le lenzuola sembravano pruriginose solo a guardarle, ma la cosa peggiore era l’odore di pescheria che saliva dalla strada su cui si affacciava la stanza.
« Dannato Sebastian. » ringhiò Ciel. L’odore di mare non gli dispiaceva, ma la puzza del pescato che poco a poco marciva sotto al sole lo faceva vomitare.
« Qualcosa non va, padroncino? » chiese il diavolo, entrato in quel momento.
Ciel lo fulminò con un’occhiata. « Giudica tu stesso. »
Sebastian si portò la mano destra al mento. « Oh, cielo. » disse. « Le mie scuse, padroncino, per questo increscioso inconveniente. »
« Risolvi la cosa. Subito. »
« Come desiderate. » rispose il maggiordomo. Si affacciò alla finestra.
Per fortuna, la pescheria era già chiusa e la strada era in penombra. La causa della puzza erano i resti del pesce che giacevano abbandonati in un cassonetto poco distante.
Saltò giù dalla finestra come un gatto e spostò il cassonetto in fondo alla strada, abbastanza distante dalla finestra affinché l’odore non disturbasse il suo contraente. Per precauzione, lavò anche la strada e spruzzò un gradevole deodorante all’aroma di lavanda per depurare l’aria. Rientrò in camera così come ne era uscito e appese alcuni sacchetti di lavanda sulla finestra per tenere fuori l’odore.
Ciel non commentò. Un padrone normale avrebbe ne forse elogiato l’operato, ma, per come la vedeva lui, non aveva fatto niente di eccezionale. « Preparami il bagno, Sebastian. » ordinò invece.
Il demone non protestò. « Sì, padroncino. » Accennò un inchino e mise a scaldare l’acqua. Riempì la vasca di acqua calda e fredda per regolare la temperatura come piaceva al ragazzo e sistemò la finestra nello stesso modo dell’altra. « Il bagno è pronto, padroncino. » annunciò.
Il Conte, steso sul letto ancora vestito, aprì l’occhio con il sigillo e borbottò. Si lasciò spogliare e lavare senza dire una parola, più che altro perché doveva lottare con la sonnolenza che lo invogliava ad assopirsi, cullato dal calore dell’acqua e dal tocco abile e delicato di Sebastian. Si costrinse a restare sveglio per semplice orgoglio, ma quando il demone lo vestì per la notte e lo mise a letto non fece le solite storie. Crollò addormentato come un sacco di patate e basta, in barba alle coperte fastidiose, al materasso bitorzoluto e al cuscino sgonfio.
Sebastian sorrise, disteso sul proprio letto. Il padroncino non era poi così irritante, quando stava zitto.

 

Saldarono il conto di mattina presto.
L’assonnato portiere non gradì dover maneggiare i soldi con gli occhi ancora mezzi chiusi, ma fece il suo dovere. Se avesse saputo chi aveva davanti, forse avrebbe ringraziato tutti i santi di sua conoscenza che il Conte non avesse riversato su di lui le sue lamentele.
L’unico motivo per cui Ciel si era accontentato di trucidarlo con gli occhi era stata la fretta. Si sentiva del tutto sveglio e criticare era uno dei suoi passatempi preferiti, ma non poteva rischiare di perdere il traghetto. Non intendeva passare un minuto di più in quel tugurio, il cui unico merito era essere vicino al molo. « Se ti azzardi a trascinarmi di nuovo in un simile postaccio, giuro che come minimo ti cavo gli occhi. » disse, una volta fuori dall’edificio. Altro che ottima reputazione! Era stato uno scherzo di pessimo gusto e l’avrebbe fatta pagare a quel dannato.
Sebastian non si scompose. « E cosa ve ne fareste, poi, di un demone cieco? » chiese, beffardo.
Ciel si voltò e sorrise. « Sono abbastanza sicuro che tu possa cavartela egregiamente anche senza la vista. » rispose, mellifluo, quindi riprese a camminare.
Il maggiordomo inarcò un sopracciglio, ma non rispose. Un paio di volte dovette indirizzare il padroncino ‒ che si ostinava a voler “guidare” anche se non aveva idea di dove andare ‒ sul giusto percorso, ma riuscirono a raggiungere il traghetto senza perdersi.
Il St. Anne non era una nave da crociera. Rispetto al Campania era quasi minuscolo. Restava comunque più massiccio di un battello da fiume, ma avrebbe potuto portare appena un terzo dei passeggeri del transatlantico su cui si era consumata la tragedia dei cadaveri semoventi.
Ciel arricciò il naso. Quel viaggio si stava dimostrando ancor più ostico di quanto avesse supposto all’inizio. Scosse la testa.
La ressa intorno alle passerelle di terza classe appariva opprimente già a distanza, mentre per la prima le cose sembravano funzionare con più calma. I passeggeri erano disposti in una fila ordinata, già muniti di biglietto, e il censimento pareva fluire con una certa rapidità.
Conte e servitore si unirono alla coda. Nessuno dei due parlò, per tutto il tempo dell’imbarco, che fu lungo e tedioso.
« Avete la cabina diciassette, Conte Phantomhive. Ponte di passeggiata, verso prua. Seguite i cartelli. » disse l’attendente, una volta ritirato il biglietto. « Partiremo tra un’ora al massimo. »
Ciel si morse le labbra e annuì. Era stato paziente fino a quel punto; non poteva esplodere proprio alla fine, anche se sentiva l’irritazione gorgogliare nel suo stomaco ‒ o era la fame? Decise di non volerci pensare e si mise in cerca della cabina.
I cartelli erano a prova di idiota, tanto che persino quei tre svampiti dei suoi domestici sarebbero riusciti a seguirli. Mancavano solo i disegnini.
Il Conte sbuffò e inserì la chiave nella toppa.
Se non altro, la cabina era all’altezza delle aspettative. Non più grande della stanza dove aveva trascorso la notte, era di certo meglio arredata, con un’allegra carta da parati a righe bianche e azzurre e un bel letto comodo nell’angolo.
Sebastian si dovrà accontentare della poltrona, stavolta. pensò, con un sorrisetto. Si fece da parte per permettere al maggiordomo di portare dentro i bagagli, quindi chiuse la porta. « Una volta a Dublino, dovremo subito iniziare le ricerche. » disse. Sedette all’indiana sul letto e appoggiò la schiena contro la parete.
Il maggiordomo lo guardò.
« Come prima cosa, dovrai procurarmi i verbali della polizia e una lista completa delle vittime. Voglio sapere quando sono spariti, dove e quando sono stati ritrovati e se c’era qualche legame tra di loro. » ordinò il Conte.
« Sarà fatto. »
« Inoltre, voglio sapere tutto di questa storia di Molly Mangiauomini e cosa aveva di speciale il visconte per essere trattato con tanto riguardo. »
« Naturalmente, padroncino. » Il demone annuì. « Pensate c’entrino qualcosa i cadaveri semoventi di Undertaker? » s’informò.
Ciel increspò le labbra e mugugnò. « No. » decise. « Non credo che Undertaker avrebbe liberato un’orda di non morti in giro per Dublino dopo quanto successo sulla Campania e alla Weston. E, se fosse stato qualcun altro, avrebbe fatto fatica a controllarli. » spiegò. « Inoltre, restituire un cadavere significa esporsi ad un pericolo inutile. Non è il modus operandi di qualcuno intenzionato a condurre esperimenti sui non morti. »
Sebastian annuì, senza smettere di trafficare con gli strumenti da cucina sull’unico tavolo libero. « E se non fosse stata Molly Mangiauomini a restituire il cadavere del visconte? »
« È quello che spero. » ammise Ciel. « Vorrebbe dire un elemento di disturbo per il criminale. Potrebbe tornare a mio vantaggio. »
« Molto scaltro, padroncino. »
Ciel si concesse un sorrisetto soddisfatto, quindi tornò a farsi serio. « Perché Molly Mangiauomini? » rifletté a voce alta. Doveva togliersi quel vizio, ma a volte non riusciva a farne a meno.
« Voi siete troppo piccolo per saperlo, padroncino, ma è così che sono chiamate le donne molto... esperte. » gli rispose il maggiordomo, senza smettere di sbattere le uova. « E se non sbaglio c’è una leggenda che parla proprio di una donna di quella risma che si chiamava appunto Molly, Molly Malone[1]. Pare le abbiano anche dedicato una canzone[2], di recente. »
« Jack lo Squartatore era una donna... e mezza. » obiettò Ciel. Era arrossito, ma non avrebbe comunque permesso a quel dannato demone di metterlo in ridicolo.
« Certo. » assentì Sebastian.
« E una donna sola non potrebbe sopraffare un uomo di media corporatura. »
« Non se fosse umana... ma non ne avrebbe bisogno. »
Ciel arrossì di nuovo e nascose il viso tra le spalle nella speranza che il demone non lo notasse. « Pensi possa essere stato un demone, o qualcosa di simile? »
« Ci sono demoni che preferiscono la carne alle anime, sì. » ammise Sebastian. « Ma è presto per fare supposizioni. »
Il Conte annuì e gettò un’occhiata al mare attraverso l’oblò. Di casi strani ne aveva visti molti, in tre anni, e non aveva mai esitato nel gestirli, ma quella volta era diversa. Sentiva una strana inquietudine strisciargli nelle viscere. Se il nemico si fosse davvero rivelato inumano, il potere di Sebastian sarebbe stato sufficiente?
 
[1] Non si sa molto di Molly Malone in quanto personaggio storico. Secondo alcuni, si tratterebbe di una donna morta il 13 giugno 1699 e battezzata nella chiesa di Sant’Andrea.
[2] La canzone, intitolata Molly Malone, o Cockles and Mussels, è una canzone tradizionale irlandese e inno ufficioso della città di Dublino. La data di composizione è ignota, ma si ritiene risalga alla seconda metà dell’Ottocento. Nonostante ciò, il personaggio era precedente, in quanto già nel Settecento il nome della donna compare in un testo. 
 
 




E niente. L'ho fatto. Contrariamente ai pronostici, sono di nuovo qui con una nuova fan fiction - una long, per di più! 
Come si può intuire dal prologo, questa storia si ispira al manga e si colloca subito prima dei fatti della Green Witch, per cui, se non ci siete ancora arrivati, potrebbe contenere spoiler. Non so se e quanto accennerò ai fatti del manga, ma potrebbe capitare, perciò se non volete spoiler, vi tocca o fermarvi, o recuperare. 
Per quanto riguarda rating e avvertimenti, ho messo giallo di base, ma potrebbe salire e ho messo l'avviso Violenza perché si parla di omicidi e poi perché spesso e volentieri Sebastian è costretto a combattere per difendere il suo Bocchan (amo come il doppiatore dell'anime pronuncia questa parola, ma non la userò nel testo, purtroppo ;w;) e già nel prossimo capitolo ci sarà la prima scena sanguinolenta. Non troverete, invece, Lemon, per quanto abbia messo Yaoi come indicazione, perché Ciel ha tredici anni e il regolamento vieta di descrivere rapporti tra un adulto e un minorenne, anche se l'adulto in questione è "ageless" come Sebastian. ç_ç Ma non temete: se dovesse venirmi il colpo di genio per qualcosa di focoso, potrete trovare i capitoli non censurati altrove, su una piattaforma dove non sono vietati. uwu Per ora non faccio promesse, comunque, perché prima di arrivare a quello voglio sviluppare per bene il rapporto tra Sebastian e Ciel e rendere credibile il loro avvicinamento sentimentale. 
So, thsi is it. Se la storia vi piace, fatemelo sapere e farete di me una scribacchina felice. :3

Anche se mi è costato, ho epurato ogni traccia di "Yes, my Lord." ewe Mi mancherà non poterlo usare. Faceva tanto "Sebastian". Dava quel tocco di figagine in più, ma la logica è la logica.
 
   
 
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