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Autore: ladyRahl    26/07/2015    0 recensioni
Un nuovo caso coinvolge Sherlock e Joan, che si trovano a dover fare i conti con una delle organizzazioni criminali più pericolose al mondo. Le cose sembrano mettersi male, quando un ragazzo attira l'attenzione di Holmes. Cosa si nasconde dietro le sue apparenti intenzioni? Quale strano passato lo tormenta? Per quale motivo Sherlock si sente così legato a lui? Storia che metterà alla luce tratti nascosti del famoso detective, il quale dovrà fronteggiare uno dei suoi più grandi timori, a cui cerca invano di sfuggire: il suo lato più umano.
Genere: Avventura, Azione, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nella sala calò il silenzio. Tutti guardavano il ragazzo a bocca aperta, incapaci di dire o fare qualsiasi cosa. Sherlock e Joan, nella stanza a fianco, erano pietrificati davanti al vetro e osservavano la scena, aspettando una spiegazione.
La dottoressa Allen si ricompose immediatamente.
"Puoi spiegarti meglio?" gli chiese, leggermente intimorita.
"Me l'ha chiesto lui"
Gli occhi di Jaroslaw divennero lucidi. Per la prima volta dall'inizio dell'interrogatorio sembrò rivelare il caos emotivo che lo attanagliava.
Bell si avvicinò a lui, poggiandogli con fare affettuoso una mano sulla spalla.
"Ascoltami, ragazzo. Se vuoi che ti aiutiamo, tu devi aiutare noi. Dicci cosa è successo perché uno di quei criminali potrebbe usare questa storia per incastrarti"
Il ragazzo annuì e il detective gli sorrise.

"Bravo, Marcus" commentò piano Joan.

"Jacek arrivò tre mesi dopo di me. Era più grande di due anni, ma ne dimostrava molti di meno. Anche i suoi erano stati uccisi: sua madre era un genio dell'informatica e stava aiutando la polizia ad intercettare un gran numero di comunicazioni legate ai traffici illeciti degli Zaytsev. Si vede che quello era il periodo del regolamento dei conti"
Il giovane si asciugò la fronte con la mano: stava sudando freddo.
"Jacek aveva preso da lei: era una sorta di bambino prodigio, sapeva fare cose formidabili con qualsiasi tipo di dispositivo tecnologico"
Sorrise al ricordo dell'amico.
"C'era solo un problema. Fisicamente era molto esile, piangeva di continuo e non voleva portare a termine i compiti che gli affidavano. Quelli stavano perdendo la pazienza. Dicevano che era bravo, ma non insostituibile, che se non avesse collaborato lo avrebbero ucciso"
Restò in silenzio per qualche minuto.
"Gli dissi che non doveva mollare, che saremmo usciti di lì insieme. Facemmo un patto: io avrei svolto i lavori più faticosi al posto suo, ma lui avrebbe dovuto fare quello che loro gli dicevano, dall'intercettare chiamate al creare virus informatici e quant'altro. Quando sarebbe giunto il momento, avremmo avuto la nostra vendetta"
"E poi cosa è successo?" chiese Allen.
"Un anno fa fece un errore. Non era grave, ma il suo supervisore aveva la luna storta per chissà quale motivo, così lo picchio a sangue. Quando mi raggiunse nella stanza non riuscivo a riconoscerlo: il volto era gonfio e sanguinante. Lui piangeva, diceva che non ce la faceva più. Io cercavo di convincerlo a resistere, ma lui non ne voleva sapere"
Una lacrima rigò il suo volto.
"Ad un certo punto mi chiese se per lui avessi fatto qualsiasi cosa pur di vederlo libero. Io gli risposi di sì, pensando di avergli fatto cambiare idea. La mattina dopo sentii qualcuno urlare. Scesi le scale e raggiunsi il luogo da cui provenivano le grida. Era Jacek: stava imprecando contro l'organizzazione, contro tutto e tutti. Stava sfogando tutto il rancore che aveva serbato dentro di sé per quattro anni, mentre gli altri gli ridevano in faccia. Minacciò di raccontare tutto alla polizia e, a quel punto, Petrov tirò fuori la pistola. Istintivamente gli urlai di fermarsi, accorgendomi troppo tardi dell'errore"

Anche gli occhi di Sherlock divennero lucidi.

"Petrov mi squadrò da capo a piedi. Mi avvicinai a Jacek, lo presi per il colletto e lo sbattei al muro, chiedendogli sottovoce se era impazzito. Lui mi disse che era quello che voleva, che dovevo lasciarlo fare, poi alzò la voce e gridò che dovevo ucciderlo"
Il respiro di Jaroslaw divenne affannoso.
"Gli uomini risero di nuovo e Petrov trovò che fosse un'ottima idea, avrebbe capito se tutti quegli anni di insegnamenti erano serviti o ero diventato un vigliacco. Diedi dello stupido a Jacek e dissi che non l'avrei mai fatto, ma lui mi ricordò che gliel'avevo promesso la sera prima e, se non l'avessi fatto, avrei perso la fiducia degli altri e non sarei mai riuscito a portare a termine il mio piano. Mi disse di non preoccuparsi, che preferiva morire piuttosto che passare un altro giorno in quell'inferno"
Le lacrime divennero un pianto silenzioso.
"Petrov mi disse di muovermi o ci avrebbe pensato lui. Jacek allora mi pregò di nuovo di farlo: era un amico l'ultima cosa che voleva vedere quando se ne sarebbe andato. Mi disse che per nulla al mondo avrei dovuto avere rimorsi e avere pesi sulla coscienza: lo stavo facendo per il suo bene"
La dottoressa Allen provò a stringere la mano destra del ragazzo, ma invano. Egli la ritirò bruscamente: si rese improvvisamente conto che si era esposto troppo e ritornò a nascondersi dentro la sua fortezza di imperturbabilità.
"Presi la pistola che mi stava porgendo Petrov. L'ultima cosa che Jacek mi disse fu un grazie, il più sincero che io abbia mai sentito in vita mia. Gli sparai. Morì all'istante, sorridendo e guardandomi negli occhi, con la mano stretta alla mia"
Digrignò i denti.
"Grazie a questa stupida idea,venni promosso. Non ero più un bambino, ora ero uno di loro a tutti gli effetti. È grazie a Jacek se ora sono qui"
Il racconto del giovane aveva sconvolto gli animi dei presenti. Bell e Gregson ascoltavano in silenzio a bocca aperta. Joan cercava di controllarsi, ma le lacrime scendevano spontanee. La preoccupava molto anche Sherlock, che osservava la scena senza dire una parola: era troppo calmo per i suoi gusti. I due inviati dei servizi sociali ostentavano una falso distacco da ciò che avevano sentito, cercando di far prevalere la loro professionalità.
"Ti sei mai sentito in colpa per quello che hai fatto?" chiese la dottoressa.
"Che razza di domanda è?!" le disse seccato.
"Rispondi"
Odiava, odiava a morte quella situazione. Non era mai stato incline a mostrare al mondo i suoi sentimenti, figuriamoci dopo quei cinque anni trascorsi ad imparare a diventare  freddo come un blocco di marmo. Non proferì parola.
"Non rispondi nulla? Allora vuol dire che non è così" continuò Kent. "Forse per te è stata una liberazione, un peso in meno da affrontare in quella situazione già difficile di per sé"
A quelle parole lo sguardo di Jaroslaw si fece minaccioso e fulminò l'uomo con un'occhiata. Gregson lo notò, ma prima che potesse dire qualcosa Allen gli fece segno di lasciarli continuare.
"Non doveva dirlo. Non doveva assolutamente dirlo" mormorò Sherlock dall'altra parte del vetro, intuendo quello che sarebbe stato lo sviluppo della faccenda.

"Che cosa hai detto?"
Il tono di voce del ragazzo fece venire i brividi a Joan.
"Nessuno ti giudica per questo. Immagino fosse complicato anche solo pensare alla tua sopravvivenza, quindi dover badare anche a un ragazzo debole come Jacek…"
L'uomo non fece in tempo a finire la frase. Jaroslaw si alzò di scatto e, alla velocità della luce, incurante della ferita, afferrò con il braccio sinistro il colletto della camicia di Kent, che sedeva al lato destro del tavolo. Lo alzò di peso e lo sbatté contro il vetro, con il pugno destro già pronto a scattare. Di fronte all'altezza e ai muscoli del giovane, Kent sembrava un bambino, che cercava invano di toccare il suolo con le punte dei piedi.
"Che ti salta in mente?! Lascialo andare!" gridò Allen, cercando di afferrarlo.
"Non ti avvicinare!" la minacciò Jaroslaw, con tanta decisione da farla arretrare con una sola occhiata.
"Jacek non era un debole, hai capito?! Non era un debole!"
Cominciò a tremare.
"Quei bastardi gli dicevano la stessa cosa e tu non capisci niente esattamente come loro! Jacek ha avuto il coraggio di opporsi a quello schifo, ha avuto il coraggio di scegliere di morire piuttosto che dargliela vinta!"
Più gridava e più stringeva la presa.
"Vuoi sapere se mi sono sentito in colpa? Bene, la risposta è sì! Tutti i santi giorni, tutte le ore, ogni secondo mi sento schifosamente in colpa per quello che ho fatto. Gli avevo promesso che l'avrei portato fuori di lì, che avrei vendicato l'assassinio dei nostri genitori e poi avremmo cominciato una nuova vita, lasciandoci quella merda alle spalle!"
Joan poteva vedere gli occhi iniettati di sangue del ragazzo, ad un passo dal perdere completamente il controllo.
"No, Jacek non era un debole e se ti azzardi ancora a definirlo così ti faccio a pezzi fino a renderti irriconoscibile! Hai capito?!"
Il pugno sembrava ad un passo dall'essere sferrato, ma Bell lo afferrò da dietro.
"Sta' buono, Jaroslaw. Buono"
Dopo qualche secondo mollò Kent, completamente impallidito dalla paura, e fece qualche passo indietro, senza perderlo di vista.
Il capitano Gregson, preoccupato dalla possibile reazione dell'uomo ed Allen, non perse tempo.
"Basta così, adesso ci fermiamo e continuiamo dopo" e li spinse verso l'uscita.

"Non ci voleva! Questo complica e non poco la situazione!" mormorò Joan.
Holmes non disse nulla, continuava a guardare davanti a sé attraverso il vetro.
"Mi dici che ti prende? È da due ore che parli tra te e te! Ormai ti conosco, sputa il rospo!"
Sherlock sospirò.
"Watson, ti devo chiedere una cosa"
La donna si avvicinò a lui.
"Certo, dimmi pure"
"Ti avevo già accennato al fatto che avrei voluto la custodia del ragazzo, per crescerlo, aiutarlo e…"
La donna gli afferrò affettuosamente il braccio e gli sorrise.
"Certo! E sai anche che io condivido in pieno la tua idea!"
"Sì, ma c'è di più"
Dall'espressione dell'uomo capì che non si trattava di qualcosa di buono.
"Te la senti di riprendere con Jaroslaw ciò che hai svolto mesi fa con me? Intendo il tuo lavoro di assistente post riabilitazione"
Ci volle qualche secondo perché Joan realizzasse cosa le aveva appena chiesto l'amico.
"Vuoi dire che…ma ne sei sicuro?"
"Il ragazzo è bravo, ma non ancora abbastanza per sfuggire a me" rispose Holmes. "E' da quando è in quella stanza che ho notato frequenti tremori e, quando si fanno più intensi, preme sulla ferita, fingendo di sorreggere il braccio. È una tecnica che si usa in caso di astinenza: il dolore attira l'attenzione su altro e, nel contempo, rilascia endorfine che fungono da antidolorifico naturale. Ma queste cose le sai meglio di me"
La donna lo guardò attraverso il vetro: possibile che non se ne fosse accorta?
"Non te la prendere" le disse lui, come se le avesse letto nella mente. "Il suo racconto ti ha distratta e probabilmente pensavi che i tremori, il sudore e tutto il resto fossero causati dal suo nervosismo. Comunque non mi hai ancora risposto"
Joan lo fece senza neanche distogliere lo sguardo da Jaroslaw.
"Farò tutto il possibile per aiutarlo, a costo di chiuderlo in una stanza per mesi"
Più lo guardava e più in lui vedeva Sherlock. Se avesse salvato lui, avrebbe salvato entrambi.
"Dobbiamo parlare con lui" disse l'uomo, uscendo dalla stanza.
Appena varcò la soglia, incrociò il capitano e i due assistenti, che lasciavano la sala interrogatori.
"Complimenti, davvero un bel lavoro!" commentò Sherlock senza riuscire a trattenersi, non appena Kent e Allen furono vicini. "Voi sì che sapete come trattare questo genere di situazioni"
Joan tirò una gomitata all'amico: l'ultima cosa di cui avevano bisogno era discutere con quei due.
"Sta' zitto, Holmes!" mormorò Gregson, mentre invitò gli altri a servirsi un caffè altrove. "Cercavo proprio voi. Perché non andate a fare due chiacchiere con il ragazzo?"
"Volevamo chiederti esattamente la stessa cosa"
"Bene, allora cercate di farlo ragionare! Si sta mettendo i bastoni fra le ruote da solo! Dirò ad un agente di aspettare fuori, così quando avrete finito lo porterà in una stanza dove potrà riposarsi fino a quando non riprenderemo"
"Quando inizia l'interrogatorio di Kalinin?" chiese Holmes.
"Tra mezz'ora circa. Sarebbe meglio che almeno uno di voi due fosse presente"
I due annuirono ed entrarono nella sala interrogatori. Il ragazzo era in piedi, con la fronte e il braccio destro appoggiati al muro. Quando Bell li vide, salutò il ragazzo e si avviò verso l'uscita.
Jaroslaw era ancora visibilmente scosso. Ogni respiro era accompagnato da ampi movimenti della schiena, come un corridore in affanno che ha appena concluso la gara; i muscoli erano tesi e le nocche del pugno erano bianche, talmente grande era la forza con cui stringeva. Ci vollero dieci minuti prima che si calmasse. Sherlock prese allora la parola.
"Da quanto tempo?"
Il ragazzo emise una leggera risata stanca.
"Lo sapevo che prima o poi mi avresti scoperto" disse lui senza voltarsi. "Un anno, più o meno, da quando Jacek…"
Non riuscì a finire la frase.
"Quanto?"
"All'inizio solo qualche volta, poi sempre di più man mano che si avvicinava il giorno in cui avrei incontrato Kalinin"
"Eroina?"
"Per la maggior parte sì. Mi aiutava a pensare meno a quello che avevo fatto e a quello che dovevo fare, rendeva tutto così semplice"
"E' per quello che non volevi parlare con Kent e la dottoressa Allen?" gli chiese Watson.
"Anche per questo. Se quelli lo scoprono oltre al riformatorio mi becco anche chissà quale clinica per la disintossicazione"
Sherlock si avvicinò a lui.
"No, non succederà"
Jaroslaw sollevò il viso e lo guardò, sorridendo ironicamente.
"Non succederà? Avanti Sherlock, sii realista! Non ho una sola chance di uscire illeso da questa storia! È già tanto se riesco ad evitare la galera!"
L'uomo afferrò con le sue grandi mani il volto del ragazzo, obbligandolo a guardarlo negli occhi.
"Non pensarci neanche, hai capito? Insieme risolveremo questa storia una volta per tutte, ma tu devi collaborare, ok?"
Il tono di Sherlock non ammetteva repliche.
"Se vorrai potrai venire ad abitare con me e Watson. Potrai vivere una vita normale e ti aiuteremo per qualsiasi cosa. Ti insegnerò a controllare le tue capacità, perché so bene che sono un'arma a doppio taglio, ma soprattutto ti faremo uscire dalla dipendenza"
La voce di Holmes si fece più dolce.
"So come ci si sente, so quanto è dura perché ci sono passato anche io. Se ora sono qui è solo grazie a Watson"
"Faremo qualsiasi cosa sia necessaria" gli disse affettuosamente la donna.
"Non me lo merito, Sherlock!" ribatté lui. "Ho fatto cose spregevoli, ho ucciso della gente, non voglio scatenare altri casini, tanto meno a voi!"
Holmes sorrise.
"Jaroslaw, molto probabilmente sei tu la soluzione al mio caos"
Quel giovane era il suo riflesso, lo specchio della sua anima. Aiutarlo a rimettere in piedi la sua vita lo avrebbe aiutato anche a rimettere in sesto la sua.
"Mi piacerebbe davvero, ma ho paura che il casino lo abbia già combinato con quei due assistenti. Sarà impossibile convincerli"
"Questo è da vedere. Parlerò con Gregson e sono sicuro che il curriculum di Watson aiuterà senz'altro! Tu però devi dire loro la verità"
"Ma non credo se ne siano accorti"
"Forse hai ragione, ma ho esperienza in questo campo. La domanda sull'uso di droghe è un obbligo. Se mentirai lo verranno a sapere, perché i sintomi dell'astinenza si faranno più evidenti. A quel punto sarà davvero difficile cercare di persuaderli" spiegò Joan.
Jaroslaw non sembrava convinto.
"Ascolta, di' loro la verità e cerca di mantenere la calma, niente aggressioni avventate o scatti d'ira. Lo so che quei due sono odiosi, ma non puoi fare altrimenti. Se questo non bastasse, allora useremo le maniere forti" continuò Holmes.
Quest'ultima affermazione lasciò di stucco la donna: non sapere cosa intendesse l'amico per maniere forti la preoccupava.
"Bene, ha detto il capitano Gregson che ti hanno riservato una stanza per riposarti"
"Rimango io con lui, gli controllo la ferita e gli faccio cambiare la maglia, almeno evita la vista del sangue" disse Joan.
"Assicurati che si riposi" rispose Sherlock, e si avviò verso la sala dove sarebbe stato interrogato Kalinin, pronto a fargliela pagare per tutto il male che aveva provocato.

  
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