Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: DarkYuna    26/07/2015    4 recensioni
"Le creature che appartengono a due specie diverse, non sono destinate ad essere felici."
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sebastian Michaelis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*Arresti domiciliari* 
 









"L'amavo non per il modo in cui
ballava con i miei angeli
ma per il modo in cui
il suono del suo nome sapeva far
tacere i miei demoni."
-Christopher Poindexter
 
 
 
 
 
 
 
 

Il grande castello color bigio era circondato da fitta nebbia raccapricciante, come ogni edificio e strada di Blackrock.
Questa piccola cittadina si trovava a nord dell’Inghilterra, agglomerata ai piedi della collina.
Mi ero fermata in un bar per chiedere informazioni sulla via più semplice da percorrere per arrivare a destinazione e quasi avevo dovuto tirar fuori le indicazioni dalla bocca del ragazzo dietro al bancone. La sua occhiata terrorizzata non era passata inosservata alla mia minuziosa attenzione.
La gente mi aveva guardato male fin quando non ero risalita nella mia macchina e sparita dietro l’angolo. Giravano voci e non erano affatto semplici invenzioni per spaventare i bambini, ma vere e proprie storie di terrore, legati alla meta che mi apprestavo a raggiungere per la prima volta.
Avevo visto numerosi film che iniziavano in questo modo e di solito nessuno ne usciva vivo.
 
 
Qui ogni cosa era misteriosa ed oscura e mi dava i brividi. Il silenzio lugubre era fin troppo rumoroso nelle mie orecchie. L’atmosfera era degna di un cimitero e la brutta sensazione che si ampliava nel petto, era un cattivo presagio da tenere nascosto perfino a me stessa.
Avrei voluto tanto avere una seconda possibilità da poter scegliere, anziché dover venire qui a forza.
 
 
Mia nonna Lucy non mi era mai piaciuta e non mi sarebbe andata nemmeno a genio adesso che dovevo abitare con lei, obbligata. Era sempre stata gelida e il suo sguardo freddo da rapace mi metteva i brividi.
Non mi fidavo di lei.
Tutte le volte che avevo avuto a che fare con lei in passato, l’impressione che avesse qualcosa di terribile da nascondere mi raggelava l’anima.
 
 
Fissavo attenta la fortezza ed ogni cosa nei dintorni. Nebbia permettendo.
Il cielo era coperto da gonfi nuvoloni cinerei e senza un orologio non si poteva capire l’ora esatta. Poteva essere benissimo mattino presto o un tardo pomeriggio d’inverno.
Attorno a me c’erano dei centenari alberi spogli. I loro rami mi rammentavano delle vecchie mani ossute e protese minacciose come degli artigli affilati; e una distesa d’erba che finiva nel bosco a molti metri dall’abitazione.
 
 
La boscaglia era antica e mi faceva tremare dalla paura.
Sentivo che da un momento all’altro potesse balzarne fuori una creatura soprannaturale o qualcosa di peggio a sbranarmi.
Oltre me, non c’erano altre forme di vita nei paraggi.
Il verso profondo di qualche gufo o civetta mi ricordava che non  ero finita in un’altra dimensione sconosciuta.
 
 
Se avessi avuto bisogno di aiuto, nessuno sarebbe venuto in mio soccorso. L’ultima casa che avevo visto era a venti minuti di macchina, e a piedi ce ne sarebbe voluto, come minimo, il doppio.
Ebbi una lampante intuizione.
Rovistai nei jeans e recuperai il cellulare. Il display luminoso confermò il mio timore: non c’era campo per telefonare e di conseguenza chiedere aiuto.
Esclusa del tutto dal resto del mondo.
 
 
Strofinai le mani sulle braccia ricoperte dal tessuto impermeabile della giacca nera, come se fosse un gesto istintivo di protezione e alzai gli occhi sul castello in cui avrei dovuto passare chissà quanto tempo prima di poter trovare una sistemazione migliore di questa.
Il rumore del motore dell’automobile aveva richiamato l’attenzione di mia nonna Lucy. La vidi spostare annoiata la tenda di una finestra per costatare chi fosse giunto fino a lei in questo punto sperduto.
 
 
A vederla non si poteva dire che fosse una nonna.
Aveva un aspetto giovanile ed austero. Era alta, molto più di me, con un fisico asciutto e snello. I lineamenti erano ferrei, come se stesse contraendo la mascella con una forza tale da potersi rompere in qualsiasi momento.
Le iridi erano di un nero profondo ed infinito e tutte le volte che entravo in contatto con loro, avevo l’impressione che fosse in grado di leggere i miei pensieri più nascosti: una sensazione non proprio piacevole.
I lunghi e lisci capelli corvini le ricadevano come seta sulle spalle sottili e ossute.
Indossava una lunga tunica nera elegante che la fasciava in vita e la rendeva torreggiante. Probabilmente aveva una collezione non invidiabile di tuniche che seguivano quello stile da suora di clausura.
La vedevo bene a comandare un reggimento di soldati pronti per la guerra.
L’ultima volta che avevo avuto a che fare con lei, era stato all’incirca dieci anni prima, alla morte di mio padre Paul, a causa di un grave incidente stradale, da quel giorno era stata solo un nome e nulla di più.
 
 
Mi avvicinai a passo incerto verso il sovrastante cancello in ferro battuto che recintava tutta l’abitazione. Alzai una mano, in un timido ed impacciato saluto e per tutta risposta lasciò cadere la tenda stizzita, nemmeno avesse visto una persona spiacevole, che si era augurata di non incrociare mai più.
Lei stessa aveva richiesto il mio affido, con mio sommo disappunto, e non aveva avuto grossi intoppi, dato che era l’unico mio parente ancora in vita.
 
 
<< Certo nonna, anch’io sono felice di vederti. Come stai? Mi dispiace così tanto per la morte di tua madre… >>, mormorai indignata tra me e me, prevedendo una convivenza non molto allegra tra me e miss glacialità.
Erano passate solo due settimane dal brutale assassinio di mia madre Susanne.
Le avevo telefonato il giorno prima per avvertirla del mio arrivo.
C’era davvero una notevole differenza tra Los Angeles, la magnifica città in cui ero nata e cresciuta, e Blackrock.
Qui il sole pareva essere stato assorbito dalle nuvole.
Me ne sarei andata subito, era questo il pensiero che m’incoraggiava a sopportare quella donna. Avrei compiuto diciotto anni fra solo due mesi e speravo davvero di poter trovare in fretta di meglio, per darmela a gambe da questo luogo sperduto e isolato.
 
 
Il cancello si aprì automatico sotto le mie mani, informandomi che mia nonna si fosse adattata alla tecnologia di questo secolo. Aveva sempre odiato i cellulari, i computer e strumenti vari.
 
 
Parcheggiai la piccola Chevrolet Aveo blu -regalatami da mia madre il giorno dopo che avevo preso la patente- nel vasto giardino del castello e, mentre aprivo il bagagliaio per caricarmi le valigie, un movimento furtivo e silenzioso, catturò la mia attenzione di sottecchi e mi fece sobbalzare per lo spavento.
 
 
<< Oh mio Dio! >>, sbottai incontrollata, poggiando una mano sul cuore palpitante.
Gli lanciai un’occhiata sconcertata nel bellissimo viso pallido, dai tratti sottili, eleganti, che gli donavano un’aria sensuale, quanto letale. Gli occhi a mandorla erano abitati da iridi scarlatte, che osservavano inespressive la mia faccia allarmata. I capelli neri incorniciavano il volto etereo ed arrivavano lunghi fin sulla nuca.
Vestiva impeccabile la divisa corvina da maggiordomo, che rendeva la distinta figura ancor più raffinata, slanciata ed alta; mi sostava accanto in una postura signorile, dritta ed imperturbabile.
 
 
<< Non ancora. >>, mormorò divertito, con l’ombra di un sorriso diabolico che gli allungava un angolo della bocca morbida e severa. Poggiò una mano sul centro del petto ed inclinò la testa da un lato, in una cerimoniosa riverenza. << Domando scusa per averla spaventata, lady Selin. La prego di lasciarmi portare i bagagli nella sua stanza. >>.
 
 
Nessuno aveva mai usato l’appellativo aristocratico nei miei confronti, ero sempre stata per tutti Selin Lennox, una normale ragazza americana di diciassette anni.
 
 
“Ma i suoi occhi sono rossi?”.
 
 
Sbattei più volte le palpebre e furono numerosi i quesiti che mi balenarono nella mente, ma che non fui in grado di porre, a parte uno: il più sciocco.
<< E tu chi sei? >>.
 
 
Schiuse lento le labbra e si portò le mani, avvolte da guanti bianchi, dietro la schiena.
<< Sebastian Michaelis, a servizio come maggiordomo, da sua nonna la contessa Lucy Lennox >>.
 
 
Increspai la fronte, non sorpresa che mia nonna avesse un maggiordomo, più che altro ero sbalordita del fatto che avesse assunto un ragazzo così giovane ed affascinante.
<< Ah. >>, fu l’unica risposta decente che seppi dare. << Posso portarle da sola le mie cose, non ti preoccupare. >>.
 
 
<< Insisto, lady Selin. >>, riprovò imperturbabile. Abituato ai capricci di nonna Lucy, doveva sembrargli assurdamente anormale che una sua discendente preferisse non essere servita e riverita. Volli evitargli rimproveri inutili, così mi feci di lato e gli lasciai svolgere il suo lavoro da maggiordomo.
 
 
 
Sebastian prese il borsone ed il trolley, per poi farmi strada in silenzio attraverso il vialetto ghiaioso e lo seguii rassegnata, verso quella specie di prigione che mi avrebbe di certo mangiata viva.
 
 
Sulla superfice del portone marrone scuro alto quasi due metri e mezzo e largo due, c’erano raffigurati strani animali mitologici che non avevo mai visto in vita mia e in più riconobbi lupi mannari, delle donne dai lunghi capelli e uomini che si trasformavano in pipistrelli.
Era la prima volta che entravo in casa di mia nonna Lucy e restai stordita dalla visione d’insieme degli interni.
Controllai velocemente la valle gelida e poi il maggiordomo richiuse il portone dietro le mie spalle, serrandolo con il grande e arrugginito chiavistello.
 
 
“Ci mancano solo le manette e il mio arresto è completo!”.
 
 
Da dentro il castello era ancor più spettacolare ed etereo di ciò che avessi immaginato.
Sembrava di essere tornati improvvisamente nel 1800 e i miei indumenti moderni stonavano con così tanta raffinatezza e classicità.
Al centro dell’atrio si apriva una grande scalinata di marmo coperto da tappeto rosso, che portava ai piani superiori. Le luci che provenivano dai lampadari a forma di candelabro, erano suffuse e spettrali.
Ai lati della gradinata c’erano due aperture che portavano a parti differenti del castello.
Il soffitto era ornato da disegni di una remota battaglia notturna tra essere umani e mostri di ogni tipo che donavano all’ambiente una degna atmosfera raccapricciante ed ombrosa. Nell’aria c’era un vago odore di vernice fresca e un olezzo di rose bagnate.
E fortunatamente i riscaldamenti erano accessi e funzionanti. Avevo immaginato il contrario e non mi allettava l’idea di congelare a fine Ottobre.
 
 
<< Da questa parte. >>, disse Sebastian con un tono angelico.
 
 
Mi fece strada verso il corridoio ad est dell’entrata.
Ispezionavo con tensione ogni minimo particolare e la sensazione di attesa si fece più frenetica e spasmodica.
Sentivo che stava per accadere qualcosa di brutto e spaventoso. Il cuore batteva forte e la testa mi girava.
Attribuii quello stato d’animo alla stanchezza e allo stress da viaggio e cercai con tutte le mie forze di darmi una regolata. Una bella dormita mi avrebbe messa a nuovo, ne ero certa.
Svoltammo in un secondo e breve corridoio ed infine arrivammo in un salone molto accogliente.
Il pavimento era ricoperto di moquette rossa.
Il camino al centro della parete di nord era allegramente accesso e scoppiettante. Un divano era posto a qualche metro di distanza e due poltrone ai suoi lati formavano un mezzo cerchio. Un tavolino basso di vetro e legno lavorato era posto davanti al mobilio e oltre a questo, nella stanza vi erano solo qualche quadro ai quali non prestai molta attenzione e due finestre dalle tende bordeaux che lasciavano filtrare la luce smorta del cielo.
 
 
Nonna Lucy sostava accanto alla finestra, da cui mi aveva guardata poc’anzi e squadrò il mio abbigliamento con palese disgusto e naso arricciato.
<< Lasciaci Sebastian. >>, ordinò lei impassibile e il ragazzo si apprestò ad eseguire i comandi, allontanandosi con i miei bagagli. << Siediti. >>, disse a me, trattandomi alla stregua della servitù.
 
 
 
Si accomodò sulla poltrona ed io feci ugualmente, ma nel bel mezzo del divano comodo: il più lontano da lei.
La donna accavallò le gambe coperte dalla lunga tunica e mi fissò impassibile.
Probabilmente se in questo momento una mandria impazzita avesse fatto irruzione, lei non avrebbe piegato ciglio e se ne sarebbe stata lì ferma a fissarmi da chissà quale dimensione lontana anni luce da me.
Ero più che felice di non somigliarle.
Io avevo un mio carattere e una mia personalità.
 
 
<< E così tua madre è morta? >>, chiese a bruciapelo come se non le importasse veramente, puntellando il gomito sul bracciolo della poltrona e poggiando il mento sul dorso della mano. Non le era mai andata a genio mia madre e di conseguenza neanche io.
 
 
“Alla faccia del tatto!”, pensai, amaramente ironica. Se mi avesse pugnalata a morte, avrebbe fatto meno male.
 
 
<< Sì. >>, farfugliai angosciata.
Non mi sarei mai abituata a tutta quella sofferenza che dilaniava il mio cuore e mi faceva sentire vuota, come se avessero scavato via tutti gli organi, lasciando solo l’involucro: cioè me.
 
 
<< Assassinata. >>, continuò, come se non avessi mai aperto bocca. Pareva che ci godesse a sottolineare il modo in cui mia madre Susanne fosse morta.
 
 
La voce non arrivò alla mia gola e quindi mi limitai ad annuire, trattenendo le lacrime che pungevano i miei occhi.
 
 
<< Mi dispiace. >>, aggiunse. Si meritava un Oscar per la peggior interpretazione del rammarico. << Sarò la tua tutrice fino alla maggiore età, quindi esigo obbedienza da parte tua e la convivenza sarà pacifica, fino ad allora. >>, specificò dopo qualche attimo di silenzio snervante.
Non mi voleva: era lampante.
 
 
Mio padre l’aveva sempre descritta come una madre eccessivamente severa, votata all’ordine e alle regole, per nonna Lucy l’affetto materno era inesistente ed era per questo che mio padre, non appena aveva conosciuto mia madre, era scappato via con lei.
 
 
Mi limitai ad annuire, conscia che avevo appena sancito la mia condanna ad una detenzione eterna.
 
 
Continuò a scrutarmi come se la strana fossi io.
<< Sebastian! >>, chiamò a un certo punto.
 
 
All’inizio non vidi nessuno, ma poi dal corridoio dietro le mie spalle ne venne fuori il bellissimo ragazzo che era venuto ad accogliermi all’ingresso.
<< Mi avete chiamato, signora? >>, chiese con una voce aggraziata e un tono ossequioso. La sua gentilezza era spaventosa e glaciale, ma proprio per questo risultava di un’attrattiva deleteria.
 
 
<< Sì, Sebastian. Mostra a mia nipote Selin la sua stanza… >>, ordinò al maggiordomo per poi rivolgersi a me, << … ceniamo tutte le sere alle sette precise. Alle dieci ti voglio a letto. La mattina la sveglia è per tutti alle otto. Vai a scuola? >>.
 
 
Inarcai un sopracciglio, stupita che l’assistente sociale non le avesse detto nulla.
<< Sì… credevo di essere già iscritta. >>, rivelai stupita e l’ardire della frase non venne accolta da colei che era disabituata ad essere contraddetta.
 
 
Socchiuse gli occhi neri fino a due fessure oscure.
Non gradiva il mio comportamento e lo sguardo cinereo ne era una prova.
<< Se ne occuperà Sebastian. Verrai ammessa in una delle più prestigiose scuole di Blackrock, degne del tuo rango sociale. >>, rese noto e mi sentii sul punto di svenire. Avere a che fare con coetanee elitarie, superbe e stizzose, era l’ultimo dei miei piani.
Pareva che non apprezzasse che non fossi già plurilaureata e che non parlassi trenta lingue diverse… come lei.
 
 
<< Hai cenato? >>, interrogò, rivolgendomi per la prima volta una domanda che riguardasse la mia salute e non le mie vittorie o sconfitte.
 
 
Mi ero fermata in un fast-food durante il viaggio e mi ero rimpinzata di schifezze varie. Stetti bene attenta a non rivelargli questo piccolo particolare per non essere rimproverata sulle mie abitudini alimentari.
La lunga lista delle sue regole e pretese mi avevano spiazzato.
 
 
Annuii solamente.
 
 
<< Bene. Quindi buonanotte Selin. Ti pregherei di non andare in giro per il castello e detto ciò, ci vedremo domani mattina a colazione. >>.
Si alzò elegante dalla poltrona e a passo veloce di danza abbandonò la stanza.
 
 
“Buonanotte?!? Ma sono appena le nove e mezza di sera! Di questo passo morirò sul serio… per la noia.”.
 
    
Solo una volta che restai sola con il maggiordomo, respirai, accorgendomi di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo.
Ero consapevole che non sarebbe stato facile e non era per il fatto che sarei stata iscritta in una scuola prestigiosa, ma il fatto che avevo del tutto perso la mia libertà sotto la tutela di mia nonna Lucy. L’intimazione di non andare a spasso per il castello significava che me ne sarei dovuta restare segregata nella mia stanza per la maggior parte del giorno.
Sebastian mi scortò all’interno del castello e più volte mi persi ad osservare l’andatura dei suoi passi, la grazia del portamento signorile e la bellezza indiscussa del suo corpo longilineo.
 
 
Da sola, mi sarei potuta perdere in quell’abitazione così grande e piena di corridoi.
 
 
Sulle pareti vi erano degli eccentrici quadri raffiguranti scene raccapriccianti, come delle decapitazioni o torture atroci verso uomini dall’accentuata pallidità o animali somiglianti a lupi giganti. In altri vi erano demoni deformi che divoravano delle entità di luce evanescenti.
Solo ora ci facevo davvero caso.
La nonna aveva dei strani gusti orribili riguardanti l’arte.
 
 
<< Desidera una pietanza in particolare per la colazione di domani mattina, lady Selin? >>, interpellò, arrivati alla prossimità di un corridoio al secondo piano, con almeno undici grandi porte, divise in cinque per lato.
L’undicesima porta si trovava in fondo, come a capeggiare su tutte.
 
 
<< Mi va bene qualsiasi cosa. >>, accordai cordiale. Ero così a disagio sotto quei grandi occhi scarlatti che mi fissavano indifferenti.
 
 
Il giovane Sebastian e nonna Lucy andavano proprio d’amore e d’accordo poiché avevano la stessa espressione di chi stava affrontando una scocciatura da eliminare in fretta.
 
 
<< Se ha bisogno di me, le basterà suonare il campanello che ha accanto al suo letto. Io arriverò il prima possibile per esaudire le sue richieste. Spero che si troverà bene qui. Le chiedo di non fare molto rumore durante la notte, perché sua nonna… >>, indicò la porta in fondo. Quella che mi aveva colpita più di tutte. << …è solita avere il sonno leggero e se dorme male, si sveglierà di cattivo umore. La colazione sarà servita alle otto e mezzo. Verrò io stesso a prenderla. >>.
 
 
Sarebbe venuto lui stesso a prendermi? Ero agli arresti domiciliari o mi stavano tenendo d’occhio?
Di cosa avevano paura, che dopo mia madre avrebbero ucciso me?
Lo ringraziai, velando la mia espressione di disappunto.
 
 
Il ragazzo aspettò fino a quando non entrai nella mia stanza e poi se ne andò.
 
 
Ero proprio controllata a vista, allora?
Questa consapevolezza non mi piaceva per nulla.
 
 
Dapprima fui spaesata dalla grandezza del mio alloggio momentaneo. Era la stanza da letto più grande che avessi mai visto.
Le pareti erano ampie e alte, di color vinaccio scuro. Il mio letto a baldacchino era situato a ovest e, incredibilmente, era di tre piazze. Ci potevano dormire sei persone lì sopra.
Dei veli neri scendevano a coprire il letto e a celarlo da occhi indiscreti. Di fronte ad esso, una grande cassapanca in cui vi erano poggiati il borsone e la valigia.
 
 
Dalle due grandi finestre a nord potei vedere che aveva iniziato a piovere a dirotto e che la luce opaca aveva lasciato il posto alla notte più tetra e spettrale. Qui le tende erano nere.
Nella parete di destra c’era un’antica scrivania di legno scuro, con sopra un candeliere e lumi accesi. Dal tetto scendeva un lampadario a grappoli fatto di cristalli.
Subito dopo l’entrata c’era un caminetto in pietra già acceso e rendeva la camera molto più accogliente.
A pochi metri dal raffinato scrittoio c’era un’altra porta che conduceva nel mio bagno personale. Nella toilette ogni cosa era di colore nera, dalla parete alla vasca, perfino il parquet era corvino.
Incredibilmente quell’arredamento fuori dagli schemi mi piacque e tanto anche.
Avevo sempre avuto gusto per il macabro e quella camera era la prima cosa buona che mi capitava oggi.
 
 
Osservai il mio aspetto sbattuto nella specchiera dalla cornice dorata e lavorata.
La mia faccia era pallida, quasi livida e avevo delle appariscente occhiaie scure che m’invecchiavano di dieci anni.
I miei lineamenti erano sottili e delicati, molto femminili e gli occhi erano grandi e di colore del cielo ai primi bagliori del mattino.
I lunghi capelli cremisi erano legati in una bassa coda di cavallo, ed erano increspati e spelacchiati per via dell’umidità di Blackrock.
Non ero mai stata molto alta e il mio fisico era magro, ma non scheletrico: ogni cosa era al posto giusto senza eccessi o mancanze.
 
 
Recuperai dalla mia valigia l’occorrente per un bagno ristoratore. Riempii la vasca d’acqua calda e mi ci immersi completamente.
Il tepore ci mise un po’ prima di arrivare alle mie ossa per riscaldarle.
Non volevo pensare alla notte di due settimane fa, quando rientrai a casa da una festa di compleanno e ritrovai ciò che restava di mia madre Susanne.
I suoi arti, gli organi e il sangue erano stati sparsi ovunque nella sala da pranzo.
Quella stessa notte ero morta anche io con lei.
Sopravvivevo solo grazie alla forza e al pensiero che avrei trovato io stessa i suoi assassini.
La polizia non aveva fatto nessun passo avanti in quel campo e dopo l’autopsia se ne erano usciti con la cavolata che era stato un grosso animale a ridurla in quel modo.
Un’assurdità peggiore non avrebbero potuto trovarla!!!
Quale animale sarebbe riuscito ad entrare in casa mia senza lasciare alcun segno di effrazione e impronte sul terreno che circondava l’abitazione?
Nessuno: era ovvio.
La risposta era un’altra e standomene rilegata qui come una monaca di clausura, potevo far ben poco.
Io dovevo sapere.
 
 
Stetti a mollo per mezz’ora. Quando i polpastrelli si raggrinzirono, mi decisi di uscire e mi accoccolai nel morbido e accogliente accappatoio bianco.
Tornai nella stanza e uno sbadiglio di troppo mi fece capire che ormai mi tenevo in piedi per miracolo.
 
 
Rovistai velocemente nel mio borsone nero alla ricerca di un paio di pantaloncini morbidi e di una maglietta da indossare, poi tra le mie mani passò la foto incorniciata di mio padre, mia madre e me da bambina. Eravamo tutti sorridenti e felici e mi si strinse il cuore nel ricordo di quell’allegro giorno allo zoo.
Poggiai la foto sul comodino e mi infilai sotto le coperte fresche e profumate di bucato.
 
 
Piansi tutta la notte mentre guardavo quell’immagine e desiderai con tutta me stessa potermi svegliare l’indomani mattino con mia madre ancora viva e con mio padre di nuovo con me.
Con quel pensiero mi addormentai verso le prime luci dell’alba, scivolando in un leggero sonno stancante che mi risucchiò via le ultime energie, anziché ridarmele.
 









Note:
Salveeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee a tutti, eccomi approdata anche in questa sezione. 
Dato che sono moltoooooo lenta, ho scoperto il mondo di Black Butler da sole due settimane, facendo una scorpacciata di manga, anime e anche il drama. Cerco di recuperare il tempo perduto! 
Ovviamente mi sono totalmente innamorata del caro Sebastian, ma il Sebastian della mia ff è largamente ispirato ad Hiro Mizushima, l'attore che lo interpreta nel drama (me fissata fissata xD) per questo ho specificato la forma degli occhi a mandorla. 


Chiarisco alcuni punti all'interno della storia. Questa ff è stata riesumata da una vecchia ff che avevo scritto anni e anni fa su altre tematiche, pubblicata e poi cancellata, perché non mi soddisfava, poi l'ho trovata perfetta per creare questa.
Tranquilli che questa verrà pubblicata tutta fino all'ultimo e non cancellata.  


Stavolta ho preferito non creare una copertina, benché io sia una grande fan delle copertine nelle storie. 



So che avrei potuto fare di meglio, ma sono molto fuori fase ultimamente e quindi è uscita così questa ff. Chiedo venia!
Dico già da ora che non sarà lunghissima, che la trama è molto veloce e che tutto si svolgerà con una rapidità intensa. Spero solo che possa piacere a qualcuno. 


Non sono riuscita a leggere tutto il manga e a vedere l'intero anime, quindi è molto probabile che io abbia scritto delle informazioni discordanti su Sebastian e il suo mondo. Chiedo venia anche per questo! 



La storia può presentare errori ortografici, dato che preferisco non sottoporre le mie storie a nessuna Beta. 


Non accetto insulti, commenti idioti, critiche gratuite senza un vero motivo logico. Non verranno accettate nemmeno le critiche pesanti, con i "non ti offendere", sperando che io non mi offenda.Verranno segnalate al sito e poi cancellate. Se non vi piace, nessuno vi obbliga a leggere e soprattutto a commentare.


Aggiornerò lentamente, poiché, visto che sono pochi capitoli, preferisco non bruciarmeli tutti insieme. 


Ringrazio già da adesso chi commenterà o chi leggerà solamente. 



Un abbraccio.
DarkYuna.  
 
  
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