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Autore: Un_Known    27/07/2015    0 recensioni
«Questa ti servirà per prendere gli appunti per la tua prossima storia. Però devi promettermi che sarà incentrata su di me e che io sarò l’eroina del libro» le disse divertita la ragazza, con un enorme sorriso dipinto sul volto.
«Aaliyah, le mie sono storie dell’orrore» le fece notare Kim, come se l’amica non avesse ben chiaro il gene-re di racconti di cui si occupava: chi avrebbe mai voluto essere il protagonista di una storia Horror?
«E allora?» ribatté l’altra. «Io sarò quella che non viene uccisa dallo psicopatico con la motosega».

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Kimberly Allen ha appena compiuto ventitre anni. È una ragazza nella norma cui piace scrivere e si cimenta in storie dell’orrore. Ha un ragazzo amorevole, una famiglia tranquilla e una normalissima vita da studen-tessa del college. O almeno è così finché non riceve in regalo un’antica macchina da scrivere il giorno del suo compleanno. Da allora la vita le tirerà strani scherzi, fino a condurla al punto di non ritorno.
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"HAPPY BIRTHDAY, MR. PRESIDENT"

Kimberly

«Allora, vuoi dirmi o no cosa vuoi per il tuo compleanno?!». La lezione era appena terminata, e già Aaliyah tornava all’attacco. Erano tre settimane che andava avanti quella storia, e Kimberly non ne poteva più. Non era una grande appassionata di compleanni, ma non vedeva l’ora che quegli ultimi tre giorni passassero in fretta, più che altro per non avere più il fiato della sua compagna di stanza sul collo.
«No» rispose decisa per la centesima volta, chiudendo il libro di storia con un tonfo e prendendo la sua tracolla da terra. Si alzò e si allontanò dall’aula, con l’amica che la seguiva a distanza ravvicinata.
«Io non riesco a capire cosa tu abbia contro i compleanni. O almeno, prova tutto l’odio che vuoi verso i compleanni, ma non impedire agli altri di farti un regalo». La voce esasperata della ragazza le strappò un sorrisetto. Si fermò e si voltò a guardarla. «Aaliyah, io non ho niente contro i compleanni» le disse, mentre gli altri studenti passavano loro accanto, diretti alla lezione successiva. «Solo non mi va che spendiate soldi per me». Le labbra scintillanti di gloss di Aaliyah si sollevarono verso l’alto, dando un’espressione dolce a quel volto color cioccolato. «Tesoro, sai che se non spendo quei soldi per te adesso lo farò in futuro, vero?». Kimberly scosse la testa, non riuscendo a trattenere oltre il sorriso. Stava per rispondere all’amica che era una persona impossibile, quando il cellulare della ragazza squillò, impedendole di dar voce ai propri pensieri. Aaliyah controllò il display velocemente, poi lo ricacciò in borsa. «Senti, so che avrai da ridire, ma ne parleremo più tardi, ok? Ora devo proprio scappare». Le scoccò un bacio sulla guancia e iniziò ad allontanarsi. «Ci vediamo in mensa?» le urlò Kimberly, prima che la ragazza fosse troppo lontana per sentirla. Lei si voltò, i capelli scuri ondeggianti al movimento, continuando a camminare all’indietro. «No, oggi pranzo fuori. A stasera» le fece l’occhiolino e la salutò agitando le dita della mano. Kim rimase a guardare nella direzione verso cui si era incamminata la compagna finché la sua sagoma sculettante non scomparve dietro un angolo e l’eco dei suoi tacchi sul pavimento si perse nel vociare della folla. Sospirò, alzando gli occhi al soffitto, e si avviò nella direzione opposta. Non si aspettava che Aaliyah desistesse dal farle un regalo, così come non era accaduto l’anno precedente, né quello prima ancora. Probabilmente l’unica volta in cui non le aveva regalato qualcosa era stata il loro primo anno di college, perché in quel periodo non si conoscevano bene, ma si era fatta perdonare a Natale. Aaliyah era così: si legava molto alle persone, e per gli amici dava tutta sé stessa; per lei era impensabile non festeggiare una qualunque ricorrenza con qualcuno, e un presente era d’obbligo. Era molto diversa da lei: per Kim l’importante erano i gesti di affetto emotivi, mentre sembrava che per l’altra fosse indispensabile rimarcare la propria presenza con cose materiali. Non lo faceva con cattiveria o per vedere ricambiato il favore, Aaliyah non era quel tipo di persona; lo faceva solo per essere ricordata. Kimberly sapeva che la sua amica aveva il terrore di essere dimenticata, glielo aveva confessato una volta un paio di anni prima, ed era per questo motivo che cercava di instaurare rapporti profondi con le persone e scattava migliaia di fotografie in loro compagnia. Sempre questo timore, poi, la spingeva a vestirsi in modo carino e ricercato, per saltare subito all’occhio e rimanere impressa nella mente anche di chi la guardava solo per caso. Nel suo armadio non mancavano mai abiti alla moda, in particolare quelli con fantasie stravaganti, e le sue scarpe avevano un tacco non inferiore ai dieci centimetri; il suo ripiano dell’armadietto del bagno era stracolmo di trucchi e profumi, e almeno ogni due mesi aveva appuntamento dal parrucchiere. Era molto attenta all’estetica e riusciva sempre a sottolineare la sua figura longilinea senza mai apparire volgare. In poche parole, era l’esatto contrario di Kim, che non si era mai interessata molto alla moda e vestiva in modo semplice e perlopiù sportivo. La sua trousse conteneva il minimo indispensabile a nascondere le occhiaie e dare un tocco di colore al viso a volte troppo pallido, e gli unici vestiti dalla fantasia sgargiante glieli aveva regalati proprio la sua compagna di stanza, cui si vedeva bene dal nominarli, quasi per timore che la costringesse ad indossarli. Però non si chiedeva, contrariamente a molti loro conoscenti, come potessero essere amiche. Lo erano e basta. A discapito dei diversi modi di vestire, si trovavano in sintonia tra di loro, sebbene fossero diverse anche nel carattere: lì dove Kim era pacata e riflessiva, Aaliyah portava quella ventata di leggerezza e allegria; quando Kim rimaneva in stanza a rimuginare sugli esami da dare o aveva il blocco dello scrittore, Aaliyah la portava in giro per feste e locali e la faceva distrarre; se Aaliyah aveva qualche dubbio su un ragazzo, l’amica era pronta a suggerirle come comportarsi. Erano le due facce di una stessa medaglia, e la camera che condividevano era il luogo in cui quella medaglia si fondeva, eliminando ogni diversità.
E, a proposito della loro camera, doveva assolutamente darle una sistemata al termine delle lezioni, se voleva evitare che i conigli di polvere prendessero vita e iniziassero saltellare per il campus. Chi per il poco tempo tra un party e l’altro, chi per la concentrazione nello studio o nella scrittura, tra lei e la sua coinquilina quella stanza era un caos di libri e vestiti. Era in procinto di prendere la sua agenda e segnare quell’appunto, quando la voce del professore di letteratura che incitava gli studenti ad entrare in aula la distolse dai suoi pensieri; Kim accelerò il passo e si affrettò a prendere posto per la terza lezione della giornata.

La canzoncina per gli auguri di compleanno era finalmente giunta al termine, Kim poteva soffiare sulle candeline, quando Aaliyah ebbe l’idea di ricominciare a cantarla. «Happy birthday, Mr. President. Happy birthday to you!». Kim, Jordan ed Evan la guardarono per una manciata di secondi, poi, come se si fossero accordati, scoppiarono a ridere nello stesso momento.
«E adesso cosa c’entra “Mr. President”?» domandò la festeggiata, dimentica per un attimo del disagio di stare dall’altra parte della torta.
Aaliyah fece spallucce. «Niente. Ma mi sembrava carino cantartela: in fondo, sei il presidente del club di lettura, no?». A Kim parve inutile sottolineare che non ne era il presidente, ma solo il vice, e che, inoltre, quell’anno si sarebbero tenute nuovamente le elezioni e quindi avrebbe potuto perdere anche quel titolo; perciò si limitò ad annuire.
«Ora devi spegnere le candeline, però!» si intromise Evan, portando con finta nonchalance una mano sul fianco di Aaliyah. Anche alla luce fioca proveniente dalla torta, a Kimberly non sfuggì quel gesto, ma non disse nulla. Evan aveva bisogno di essere incoraggiato, con Aaliyah, e lei aveva capito che battutine e frecciatine avrebbero sortito solo l’effetto contrario. «Non dimenticarti di esprimere un desiderio!» le ricordò la sua compagna di stanza. Kim spese qualche attimo a far finta di pensarci, poi si scostò i capelli biondi dietro l’orecchio e soffiò. La sua vita le andava bene così, non aveva bisogno di altro. E poi non era scaramantica, non credeva nei desideri espressi il giorno del proprio compleanno o sotto un cielo di stelle cadenti.
I suoi amici batterono le mani, e Jordan abbandonò il posto sul letto accanto a lei per andare ad accendere la luce. «Ottimo! Ora i regali!» esclamò la mora, facendo sospirare l’amica. Evan le rivolse uno sguardo solidale, vittima anche lui da mesi del carattere della giovane. Aaliyah si allungò verso il cassetto del proprio comodino e ne tirò fuori qualcosa di rettangolare, non troppo grande, avvolto da una vivace carta regalo con stampe di uccellini e fiori variopinti. «Ti avevo detto che non volevo niente» le disse Kimberly, prendendo il pacchetto dalle mani della ragazza. «Sì, è vero, ma in fondo sono convinta che sia solo un teatrino che ti piace ripetere ogni anno» le strizzò l’occhio, strappando una risata a lei e Jordan, ancora fermo vicino all’interruttore della luce. Kim scartò il regalo: un’agenda. Ma non si trattava di un’agenda qualsiasi, l’amica l’aveva personalizzata per lei. Era molto fine, con le incisioni di una pianta rampicante sul bordo sinistro e un fiore stilizzato nell’angolo in alto a destra della copertina di morbida pelle marrone chiaro, entrambe leggermente colorate; la teneva chiusa un sottile laccio di cuoio scuro, bloccato attorno ad un fermaglio argentato a forma di K. «È bellissima» la ringraziò Kim, passando un dito sull’incisione della pianta. Era piacevolmente colpita, non si aspettava una cosa del genere da parte della ragazza.
«Questa ti servirà per prendere gli appunti per la tua prossima storia. Però devi promettermi che sarà incentrata su di me e che io sarò l’eroina del libro» le disse divertita la compagna di stanza, con un enorme sorriso dipinto sul volto.
«Aaliyah, le mie sono storie dell’orrore» le fece notare Kim, come se l’amica non avesse ben chiaro il genere di racconti di cui si occupava: chi avrebbe mai voluto essere il protagonista di una storia Horror?
«E allora?» ribatté l’altra. «Io sarò quella che non viene uccisa dallo psicopatico con la motosega». Lo disse con un’aria talmente convinta da far arrendere subito la bionda.
«È il mio turno?» la domanda retorica venne dalla bocca del ragazzo castano ancora in piedi. Kim lo guardò con sguardo di muto rimprovero. «L’ultima volta che ti ho regalato qualcosa è stato a Natale dell’anno scorso, quindi niente storie». Lei assottigliò le labbra e rimase in silenzio, guardandolo avvicinarsi e riprendere posto sul materasso. Il ragazzo le porse una scatolina dal coperchio color bronzo e una coccarda dorata come decorazione. Kimberly la prese e la aprì con attenzione, pensando potesse contenere qualcosa di fragile. Non si sbagliò di molto. «Ti piace?» le domandò Jordan, gli occhi azzurri che cercavano quelli verde chiaro di lei. «Se ti dicessi di no, la riporteresti indietro?» stavolta fu il suo turno di porre la domanda, retorica e ironica. Lui sorrise e scosse la testa; lei fece spallucce. «Allora sì, mi piace» si allungò per stampargli un bacio sulle labbra. Il ragazzo le tolse delicatamente la scatola dalle mani e prese la collanina con il pendente di cristallo di ametista; intanto Kim gli aveva dato le spalle e aveva sollevato i capelli sulla nuca per permettergli di legarle il ciondolo al collo con più facilità. Lui si mosse con dolcezza, come ogni volta che aveva a che fare con lei. Stavano insieme da quattro anni, e ancora le attenzioni di Jordan le facevano credere che non fosse passato un solo giorno da quando si erano incontrati. Forse a volte era troppo dolce, ma lei lo accettava lo stesso; come lui accettava il suo essere distratta e tra le nuvole, più legata alle sue storie che alla vita reale. Non si arrabbiava quando lei impostava il cellulare in modalità silenziosa per immergersi nella scrittura e non rispondeva alla sue chiamate se non dopo ore. Al contrario, ci rideva su e diceva che in futuro la sua ragazza gli avrebbe fatto guadagnare milioni di dollari con la pubblicazione dei suoi libri. Quando ciò accadeva, lei lo minacciava di prepararsi a usare le sue conoscenze da ingegnere biomedico per crearsi arti artificiali perché, se lo avesse ripetuto, lo avrebbe picchiato più forte – minaccia, però, che non aveva mai messo in atto – e gli regalava uno schiaffo o un pizzicotto sulla spalla. Lei non scriveva per la pubblicazione, ma per sé stessa. Era un modo per evadere dalla realtà e vivere le vite che non aveva, arricchite da quel brivido di adrenalina che solo il mondo dell’orrore sapeva dare.
«Ok, piccioncini, manca ancora l’ultimo regalo!». Kim si voltò di scatto verso la sua compagna di stanza. «Un altro?». La mora la ignorò bellamente e aprì il suo armadio. «Evan, dammi una mano». Il ragazzo si alzò e la raggiunse, aiutandola a trasportare una grossa scatola sul letto libero. «È da parte dei tuoi genitori. Ci hanno anche chiesto di consegnarti questa» le disse, allungandole una busta da lettere color ocra.
Prima di leggere il biglietto, Kim lanciò un’occhiata all’indirizzo stampato sulla scatola: i suoi genitori l’avevano fatta recapitare a casa di Jordan, e lui doveva poi averla portata da Aaliyah in sua assenza. «Tu mi tieni le cose nascoste» lo rimproverò bonariamente, ricevendo in cambio solo un sorriso divertito. Aprì la busta e lesse il messaggio vergato con la calligrafia di sua madre.
 
Tanti auguri, tesoro.
Speriamo che il regalo ti piaccia e ti sia utile
(tuo padre ride e dice che, in caso contrario, potrai sempre usarla come fermalibri).
E non lamentarti, ventitre anni si compiono una sola volta nella vita.
Baci, mamma e papà.
P.S. Ringrazia Chris per l’idea, è stato lui a trovarla.

Il cuore le balzò in gola nel leggere l’ultima riga. Se il regalo era stato davvero un’idea di suo fratello Christian… no, non poteva essere vero. Con fibrillazione si apprestò ad aprire la scatola. Le ci vollero due tentativi per riuscire a togliere lo scotch che teneva uniti i lembi del lato superiore, tanto le sue mani le tremavano, e quando ci riuscì afferrò con foga la paglia da imballaggio che ricopriva la sua sorpresa. «Oh mio dio!» esclamò eccitata, coprendosi la bocca con entrambe le mani. Non riusciva a parlare. Era troppo contenta. Con un pizzico di sforzo, estrasse dalla scatola la pesante macchina da scrivere che i suoi genitori avevano spedito dal Tennessee e la posò sulla sua scrivania. «Non ci posso credere. È stupenda». La osservò da ogni angolazione, come se fosse l’oggetto più prezioso presente sulla faccia della terra, sfiorando i bordi lucidi con la punta dell’indice, attenta a non lasciare impronte sulla vernice nera che ricopriva il metallo. I tasti piccoli e tondi si adeguavano alla perfezione ai suoi polpastrelli sottili, che coprivano interamente le lettere bianche in rilievo. La barra per mantenere il foglio nella sua posizione sul carrello era di metallo argentato e riportava inciso il nome della fabbrica della macchina stessa. In poche parole, era perfetta, ad esclusione di una lieve ammaccatura verso l’angolo posteriore sinistro, segno che l’oggetto era già stato usato in precedenza.«Devo chiamare Chris» disse tra sé e sé, voltandosi per cercare il cellulare con lo sguardo. Lo trovò sul comodino accanto al suo letto, e in pochi secondi il suono della linea libera si diffuse nel suo orecchio.
«Buonasera, festeggiata!» Kim non gli diede il tempo di aggiungere altro. «Chris, tu sei pazzo! Hai fatto comprare a mamma e papà la macchina che avevo visto quest’estate!». Il suo tono sbalordito fece ridere il fratello. «In realtà l’ho comprata io, ma se loro ti hanno detto così allora non discuto» scherzò. Kimberly rimase ancora più incredula: Christian aveva appena trovato lavoro e il suo primo stipendio lo usava per comprare una macchina da scrivere da quattrocento dollari. «Sei doppiamente pazzo!».
«Ehi, guadagno abbastanza da potermi permettere questa spesa. Non ti preoccupare. E poi non vedo perché debba discutere delle mie finanze con te» le rispose, nascondendo dietro la risata l’ammonimento di non doversi preoccupare delle sue uscite economiche. Dopo un attimo di silenzio, riprese. «Se hai finito di suggerirmi di fare un salto al manicomio, ti consiglio di tornare dai tuoi amici: io devo iniziare a preparare da mangiare e non ho la più pallida idea di cosa abbia in frigo». La ragazza spostò lo sguardo sull’orologio appeso alla parete: erano quasi le dieci, da lei, quindi a Seattle era circa l’ora di cena. «Va bene. E grazie ancora, Christian».
«Buona notte, Kim» le rispose lui, con tono che diceva che non c’era nulla da ringraziare. Poi chiuse la comunicazione.
Terminato di parlare con il fratello, Kimberly riportò l’attenzione ai presenti. «Bene. Chi taglia la torta?»

 

*N.d.R.
Il titolo della storia si rifà ad un libro della collana di “Piccoli Brividi”, di R. L. Stine, inedito in Italia: “Scary birthday to you”.
Quello del capitolo, invece, riporta la famosa canzone che Marylin Monroe cantò per il compleanno del Presidente degli Stati Uniti d’America J. F. Kennedy.
  
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