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Autore: Arsyn    27/07/2015    2 recensioni
C'era questa ragazza, lunghi capelli rossi e labbra color pesca, occhi del colore dell'erba fresca e degli smeraldi. Un paio di cuffie, un paio di jeans e un unico amico, Simon, sempre pronto a starle vicino per non farla sentire mai sola.
Ma, improvvisamente, un ragazzo con gli occhi da gatto la fa scivolare in uno strano buio dai sapori ottocenteschi, permettendole di scoprire e di provare cose che lei mai avrebbe immaginato.
[ ClarissaF ♥ WilliamH -- Ambientato nel 1878 | Possibili SPOILER di Shadowhunters - Le Origini ]
“Siete un uomo o una donna?” Aveva alzato gli occhi verdi su un giovane ragazzo dai capelli argentati. “Oh, siete una bella ragazza.” Aveva sussurrato lui, porgendole un braccio.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clarissa, James Carstairs, Theresa Gray, Un po' tutti, William Herondale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO


 

Clarissa camminava tranquilla per la città, la solita musica nelle orecchie e i soliti messaggi con Simon che la distraevano dalla strada e dai vicoli che in realtà avrebbe dovuto prendere. Clarissa Fray, capelli rossi e occhi verdi, naso e guance coperti di lentiggini, si era ritrovata, senza essersene neanche resa conto, a camminare nel Bronx, all'imbrunire. “Cazzo.” Aveva sussurrato a sé stessa, mentre un paio di uomini sulla quarantina la guardavano curiosi. Camminava svelta, mentre componeva il numero di Simon. “Sono nel Bronx.” Aveva esordito, quando l'amico aveva risposto.

“Di preciso cosa vuol dire che sei nel Bronx?” aveva chiesto lui, tra l'allarmato e il sorpreso.

Clary sospirava. “Sono nel Bronx. Stavo camminando e mi sono trovata nel Bronx.”

Lui, però, aveva già chiuso la telefonata ed era già sulla strada per andare a prenderla. Clary aveva iniziato a sentire pesanti sguardi su di sé, accompagnati da volgari commenti sul suo aspetto fisico. Iniziava a mancarle il fiato, continuava a tenere un passo sostenuto, quando era andata a finire su qualcuno con uno strano paio d'occhi verdi-gialli. “Ti sei persa, dolcezza?” Clary l'aveva spinto via e aveva iniziato a correre, doveva arrivare da Simon prima che le succedesse qualcosa di irreparabile. Doveva iniziare ad ascoltare sua madre, Jocelyn, quando le diceva che non doveva distrarsi mentre camminava in strada, non a New York. “Non è molto carino, spingere le persone.” Era stata costretta a fermarsi se non voleva schiantarsi di nuovo contro l'uomo dagli occhi da gatto. Era un uomo attraente, più alto di lei, i lineamenti del suo viso erano orientali. “Vieni con me.” disse, appoggiandole una mano sulla spalla. “Nessuno ti farà del male.” sussurrò, prima di trascinarla praticamente via.

Il palazzo in cui l'aveva portata era, visto da fuori, un enorme palazzone anonimo. All'interno, però, era un tripudio di rosa, rosso, arancio e giallo e di glitter. C'erano glitter ovunque – e Clary odiava i glitter -, persino sugli occhi dell'uomo. E anche su quel mezzo gatto che vagava per la casa, miagolando annoiato. “Chi sei? Che vuoi da me?!” Aveva chiesto Clarissa, quasi urlando.

L'uomo aveva sorriso. “Sono Magnus Bane, Sommo Stregone di Brooklyn.” Clary tratteneva a stento una risata. “Ti viene da ridere, ragazzina?”

E Clary era scoppiata. Rideva, tenendosi la pancia, appoggiata al muro. “È il tuo vero nome, quello?” Chiese, cercando di riprendere il controllo di sé stessa. L'uomo, Magnus Bane, era rimasto a guardarla in silenzio, la mascella contratta e le braccia incrociate al petto. “Sommo Stregone di Brooklyn!” e giù, di nuovo, a ridere.

Sollevando un sopracciglio, Magnus aveva sorriso, un'ombra d'odio negli occhi. “Già, fa ridere anche me.” aveva detto, per poi offrirle una bibita colore del mare. Lei l'aveva bevuta e, dopo averle sfilato delicatamente il cellulare dalla mano per non cambiare il corso della storia, l'aveva guardata sparire nel nulla. Poi, il cellulare aveva squillato. Aveva letto il nome sul cellulare e aveva gettato l'arnese in una vasca d'acqua. “Così impari a portarmi rispetto, Clarissa, spero che ti piaccia Londra.”


 

Clary era caduta in uno strano sonno buio e si era svegliata solo quando aveva impattato, non senza un certo dolore al fondoschiena, su un prato verde e bagnato. Si era guardata intorno, sperando di riconoscere anche solo un minimo particolare di Central Park. D'altro canto, lei era sempre stata attenta ai particolari: era un'artista, disegnava. Ritratti, di chiunque, tranne i suoi. Sua madre era uno dei suoi soggetti preferiti. “Mamma.” Aveva sussurrato, prima di esplodere in una serie di imprecazioni poco carine. Aveva cominciato a tastarsi ogni tasca, aveva frugato attentamente nella borsa, ed era arrivata, lasciandosi cadere sull'erba fresca, a tre conclusioni. La prima era che, ovviamente, quello non era Central Park. La seconda era che quel dannato Magnus Bane le aveva preso il cellulare. La terza, la più odiosa da mandare giù, era che quell'uomo era uno stregone e l'aveva spedita da qualche parte nel mondo, da sola e senza cellulare. Aveva iniziato a camminare, stringendosi la felpa sulle spalle per il freddo che le pungeva la pelle, guardandosi intorno curiosa. Dove diavolo l'aveva spedita, quel pazzo con gli occhi gialli? Improvvisamente aveva visto due donne, che l'avevano fatta inchiodare sul posto. Continuava a fissare gli abiti delle due, che a loro volta la guardavano incuriosite. Le due sembravano due attrici di teatro, o magari due pazze che andavano in giro con abiti d'epoca – ne aveva visti così tanti a New York! -, ma le espressioni incuriosite non promettevano niente di buono. Clarissa si era avvicinata a loro, squadrandole bene: c'era una bionda, con i capelli raccolti in un elegante chignon sulla nuca, che copriva il resto del capo con un orrendo cappello con la veletta azzurro, il vestito era dello stesso colore del cappello, con un grosso fiocco sul petto. Era evidente la presenza del corpetto, perché la vita era tremendamente stretta e innaturale, le mani guantate stringevano un ombrellino color avorio; l'altra aveva i capelli scuri e la pelle di porcellana e l'acconciatura era più elaborata, stretta sulla nuca anch'essa. Il vestito era pressoché uguale a quello della compagna dai capelli chiari, tranne per il colore giallo canarino. Questa, nella mano, stringeva un ventaglio dagli stessi colori del vestito. Clary si era avvicinata e la mora, guardandola, aveva emesso un urletto. “Dove siamo?”

La bionda aveva alzato le sopracciglia e aveva parlato con un fortissimo accento inglese. “Scherzate? Siamo a Londra!”

Clarissa aveva chiaramente sentito il suo cuore fermarsi sotto la felpa. “Che anno è?” Aveva chiesto, guardando le due e alzando le spalle, come per giustificare la sua ignoranza. Sperava soltanto che l'anno fosse lo stesso e che quelle due la stessero prendendo in giro con estremo garbo.

“State bene, Madmoiselle?” le aveva chiesto la mora, facendole aria con il ventaglio colorato. “Siamo nel 1878, mi sembra ovvio.” Aveva detto, guardando la sua amica con un'aria sconvolta.

Come se non bastassero tutti i mezzi infarti che le erano venuti solo con l'idea di trovarsi in un'altra epoca, un minuscolo esserino con le alette era svolazzato dietro alle due donne, salutandola con la mano. Era corsa via, mentre le due l'additavano come una delinquente, aveva raggiunto un ponte in costruzione – perché non aveva mai studiato geografia?! - e si era seduta alla base del ponte, in preda ad una leggera crisi isterica. “Siete un uomo o una donna?” Aveva alzato gli occhi verdi su un giovane ragazzo dai capelli argentati. “Oh, siete una bella ragazza.” Aveva sussurrato lui, porgendole un braccio.

“N-non mi fido degli sconosciuti.” Aveva risposto lei, scattando in piedi e facendo un paio di passi indietro, cercando di testare il terreno meglio che poteva.

Lui aveva sorriso e aveva ritirato il braccio. “Fate bene, ma vi conviene seguirmi, se volete sopravvivere alla notte londinese.” Aveva detto il ragazzo color argento. I tratti erano orientali, gli occhi erano grigi e luminosi e i capelli argentati erano lunghi fino alla nuca e coprivano leggermente la carnagione chiara del viso del ragazzo. Nella mano destra stringeva un bastone da passeggio, come se un ragazzo così giovane – non poteva avere più di diciassette anni – potesse aver bisogno di sorreggersi ad un bastone. “Qual è il vostro nome, Signorina?”

Senza neanche guardarla lui sapeva che, a debita distanza, lei lo seguiva. Braccia intorno alle spalle e testa bassa, i lunghi capelli rossi ricadevano lisci sul viso. Aveva alzato gli occhi a guardare il ragazzo che, in panciotto e bastone da passeggio, camminava elegantemente davanti a lei. “Clarissa. Clarissa Fray. Il tu-vostro?”

Il ragazzo aveva girato la testa, abbastanza per riuscire a vedere il suo occhio, e aveva sorriso. “Mi chiamo James Castairs, potete chiamarmi Jem.” All'improvviso il ragazzo si era bloccato e aveva guardato davanti a sé. “Cosa vedete, Clarissa Fray, davanti a noi?” Aveva chiesto.

Lei aveva sbattuto un attimo gli occhi truccati – indossava il mascara, grazie a Dio – e aveva visto una manciata di macerie sparire, per far posto a una enorme facciata di una chiesa in stile gotico. “Cazzo.” Aveva commentato, spalancando la bocca e infilando gli occhiali presi nella borsa, per essere certa di non stare sognando. Il ragazzo la guardava, in attesa di una risposta. “È.. È una chiesa.” Aveva detto.

Jem aveva sorriso. “Lo sapevo che non mi sbagliavo. Venite, siete la benvenuta, Clarissa.” Aveva detto.

Non aveva neanche avuto il tempo di mostrarsi sorpresa o di farsi ripetere le parole, che il ragazzo l'aveva afferrata per il gomito e l'aveva praticamente trascinata dentro la chiesa, al grido di 'Ho trovato la ragazza di Magnus'.

 

* * * * *
Ammetto che forse l'idea è un po' strana, forse assurda, ma nel complesso mi piace un sacco!
Spero che la storia piaccia anche a voi, lasciate un commento se ne avete voglia.

Il rating potrebbe cambiare!

Arsyn.

   
 
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