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Autore: Bolide Everdeen    28/07/2015    1 recensioni
[Storia ispirata alla fan fiction interattiva "500".
Distretto 4, Lynton Hamilton]
Il sole calava sul distretto 4, e Lynton non compiangeva particolarmente la sua scomparsa. La sua attenzione fu catalizzata da altro: lievi gocci si divertivano a proporsi il ragazzo come vittima, impattando sul suo corpo. Stava iniziando a piovere. La pelle di Lynton si raccapricciò sulle ossa, mentre l'acqua gli dipingeva immagini negli occhi, le rievocava, le rivendicava: era lo stesso appassimento dello sguardo comune a quella volta in cui era corso fuori dalla sua casa, divenuta realmente quell'inferno in cui si era tramutata in quei tempi, e una tempesta aveva devastato i suoi abitanti. La tempesta e le urla. Le ultime urla. L'ultima dimostrazione di vita.
Il giorno del ricordo era l'accenno di un burrascoso autunno, la fine della stagione la quale lo aveva cullato, aveva imposto alla sua faccia ordinari, spontanei, stupidamente sinceri sorrisi adesso risucchiati dalle onde, e donati a qualche altro bambino oltre l'oceano. Era una giornata di settembre.
Quel giorno di settembre, sua madre si era suicidata.

[Green Day - Wake me up when september ends]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Altri tributi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '500 - Behind the scenes'
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Here comes the rain

Summer has come and passed,
the innocent can never last.
Wake me up when September ends...

 

Seduto sulla riva di una delle moltitudini di spiagge del distretto 4, Lynton si dedicava alla ultima attività che poteva possedere un senso, immerso in qualche anima estranea al suo corpo: squadrava il mare. Forse, qualcosa da laggiù sarebbe giunto indietro, avrebbe riportato carezze, spiriti, fantasmi; avrebbe riportato quella sua allegria, la sua innocenza in quel momento terminata. A cosa serviva, d'altronde? A una serenità più duratura del normale, a riservare sulla propria pelle una sottospecie di dignità? In ogni caso, lui era consapevole di poter arrancare per raggiungere quegli stati di benessere, ma conosceva l'impossibilità di afferrarli. Per lui, pensare di raggiungere la serenità era la più deleteria delle immagini; una maniera per obbligarsi a rivolgere la testa verso il cielo e sfogare le proprie ferite, i proprie lividi e le proprie cicatrici con urla, insormontabili urla, urla che avrebbero riempito e devastato il cielo, come il cielo aveva devastato lui. Però, non era in suo potere. Il suo unico potere era quello di squadrare il mare.

Il conto dei giorni era divenuto ininfluente sul suo cuore: avvertiva il tempo scorrergli sulla pelle, ma non contribuire alla guarigione di neanche un dolore. Tutto rimaneva, il sangue ancora colava, e Lynton era consapevole che mai avrebbe smesso. Se solo si fosse frenato per un attimo, gli avesse concesso di colorare il suo volto con un'espressione più distesa, sarebbe iniziato di nuovo a manifestarsi appena la porta di casa avrebbe colliso dietro le sue spalle, chiudendosi. Lynton aveva sette anni; era giovane, ma abbastanza maturo per comprendere che la sua maledizione era proprio quello il quale sarebbe dovuto essere il suo rifugio. Invece era il rifugio dell'alcool, delle sue memorie, dei coltelli che regolarmente depredavano ogni capacità di risanamento. Era una tomba. Forse addirittura la sua.

Il sole calava sul distretto 4, e Lynton non compiangeva particolarmente la sua scomparsa. La sua attenzione fu catalizzata da altro: lievi gocci si divertivano a proporsi il ragazzo come vittima, impattando sul suo corpo. Stava iniziando a piovere. La pelle di Lynton si raccapricciò sulle ossa, mentre l'acqua gli dipingeva immagini negli occhi, le rievocava, le rivendicava: era lo stesso appassimento dello sguardo comune a quella volta in cui era corso fuori dalla sua casa, divenuta realmente quell'inferno in cui si era tramutata in quei tempi, e una tempesta aveva devastato i suoi abitanti. La tempesta e le urla. Le ultime urla. L'ultima dimostrazione di vita.

Il giorno del ricordo era l'accenno di un burrascoso autunno, la fine della stagione la quale lo aveva cullato, aveva imposto alla sua faccia ordinari, spontanei, stupidamente sinceri sorrisi adesso risucchiati dalle onde, e donati a qualche altro bambino oltre l'oceano. Era una giornata di settembre.

Quel giorno di settembre, sua madre si era suicidata.

 

Here comes the rain again
falling from the stars,
drenched in my pain again,
becoming who we are.

 

No, non desiderava la pioggia. La detestava, era come se avesse lentamente raccolto lo spirito di sua madre e sotterrato nelle proprie gocce, condotto alle viscere della Terra, condotto distante da lui, suo figlio, adesso solo. In verità, qualche altra pioggia aveva depistato la sua anima, o forse aveva iniettato il demone che aveva oscurato il suo volto mesi prima. Oppure, quel demone si era annidato nel suo ventre, quando era in attesa del suo secondo bambino, ed aveva privato lui e la madre della vita. Il piccolo era morto durante il parto. Lynton non riusciva a provare una particolare pietà per quell'essere di cui neanche era a conoscenza, non riusciva a spendere la quantità di lacrime estenuante donata da sua madre a coloro che avevano rapito il suo bambino, come se quel sacrificio avesse avuto la possibilità di sanare di nuovo la sua esistenza. Non aveva un carattere, non aveva dei ricordi, non aveva uno spirito: era stato posseduto da un demone, e non si possono adorare i demoni, almeno quando ci accorgiamo della loro natura. Evidentemente, Charlotte, la madre, era privata della vista e della ragione da un naturale amore materno, che non aveva accolto e ammaliato anche il suo unico figlio vivo.

Charlotte si era segregata nella sua labile speranza, si era segregata sotto le coperte del suo letto, lo stesso dove le sue acque era sgorgate ed avevano liberato il suo bambino, e l'avevano ucciso. Non aveva più la possibilità di alzarsi, di riabilitarsi, o forse non lo desiderava. Lynton, sfilando davanti alla sua camera, si era reso conto di una caratteristica: nessuno in quella casa aveva coraggio. Non lei, che si era sotterrata nonostante il suo cuore ancora palpitasse, ma senza scopo; né gli uomini dell'abitazione, lui e suo padre Klaus, che sospiravano nel sentire gli eterni singulti della donna, però mai si risvegliavano, mai si provavano ad accompagnarla fuori dal suo dolore.

Una volta, però, Lynton si era avvicinato, aveva tentato un contatto, e quello era parso ravvivare per un attimo la madre: aveva proferito una promessa. Quella di riprendersi, di uscire dal letto, di rinascere e di far rinascere la loro famiglia. Il bambino rimembrava continuamente quel momento, lo rimembrava nella più inquietata fiducia. E lo rimembrò profondamente anche nel momento in cui, di ritorno da scuola, colse suo padre inginocchiato e lacrimante al letto di sua moglie, proponendo ingiurie e declamando la sua miserabilità.

Quel giorno in cui Lynton era evaso dalla sua casa, aveva trovato un temporale, ed iniziato a temerli.

 

As my memory rests
but never forgets what I lost.
Wake me up when September ends.

 

Lynton scacciò le immagini del suo passato dai suoi occhi, e quelle si gettarono nel profondo del suo animo, sempre presenti, nonostante avesse tentato di soggiogarle, e si avviò verso la sua abitazione. Aveva paura dei temporali, aveva paura che potessero trascinare via il suo spirito, come quello della madre. E perciò corse, corse in direzione di quel desolato appartamento. Lì, la pioggia non poteva raggiungerlo, almeno parzialmente. Qualche tegola consentiva ancora all'acqua di colare, perché nessuno la aggiustava. Suo padre era tornato dal lavoro, chinava la sua testa in una pozza di una sostanza liquida di cui il ragazzo non voleva svelarsi la natura. Klaus, rivelando la presenza di una persona, si sforzò per accoglierla con un lieve borbottio:«Ah, sei tu.»

«Papà.» Lynton lo chiamò, avvicinandosi, ma lui si era rigettato nel suo torpore. Lui localizzò la bottiglia stretta nella mano del padre, e si sentì investire da un sentimento di pura e rabbiosa ira, che scatenava la sua furia, una furia che si dilungava fino alle sue mani e... le rendeva inutili. Forse, aveva aggredito tutti i componenti della sua famiglia. No, lui non si doveva lasciare contagiare. Non doveva imprimersi false promesse, non doveva permettere ad altri di offrirgliene.«Papà, alzati. Sta piovendo in casa. Dovremmo aggiustare le pareti.»

Klaus si esibì in un ghigno vuoto, divertito dal fatto che nella vita esistesse ancora qualcosa da compiere.«Piove in tante, tante case. Piove sempre. C'è tanta acqua nel distretto 4, perché non ci dovrebbe essere in casa nostra...» E, per premiarsi dello sforzo provocato da queste parole, condusse la bottiglia alla sua bocca e ne tracannò un sorso, con soddisfazione. Il sentimento di Lynton fu ampliato da quell'azione, come se avesse potuto allargare il suo cuore, come se avesse condotto il sussurro emesso da sua madre, la promessa del risveglio. Nessuno si organizzava per risvegliarsi. Tutti... volevano morire. E Lynton viveva per non voler morire, no, non voleva tramutarsi nel vuoto, dopo aver constato il suo orrore.

«Papà!» urlò, sentendosi improvvisamente abilitato a compiere quella azione, a manifestare la sua furia.«Papà! Io non voglio che piova in casa! Importa a qualcuno, forse? Qui sembra che se ne vadano tutti, senza che faccia niente di male! Solo perché è più comodo! Ti rendi conto di quello che sta accadendo, papà? Oppure no, perché sei sempre ubriaco! Hai un figlio, e quel figlio non vuole diventare come te o mamma! E nessuno, qui, lo sta aiutando.»

Sette anni. Aveva sette anni, ma pesavano come il doppio sulle spalle. Come se sette anni fosse appena il tempo che separava lui dalla fine di sua madre, dall'inizio del calvario. L'uomo ridacchiò, di nuovo, come se non avesse avvertito la predica, e si riversò nella sua pozza. No, nessuno era seriamente interessato a lui. Tutti volevano semplicemente non sentire dolore. E Lynton era inorridito da quel comportamento.

Così, agì. Afferrò gli attrezzi adatti a riparare le pareti, e, in solitudine, si abilitò per turare i buchi. Abbandonò la scuola, e cominciò a lavorare, e si educò da solo, con un unico insegnamento: non cadere. Vacillava, ma non cadeva. Osservava i corpi vivi di persone morte, ma non le imitava. Piangeva, ma non si sbilanciava.

Tentava di risanare suo padre. Ma era impossibile. Nella possibilità di donare un poco di sentimento a lui, Lynton dilapidò il suo. E, se un giorno era stato un allegro bambino sulle rive del distretto 4, adesso aveva dimenticato il suo stato.

 

Like my father's come to pass
seven years has gone so fast...
Wake me up when September ends.

 

Il tempo continuava a scorrere, tutte le sue azioni quotidiane si manifestavano. Ormai, nonostante consacrasse un poco del senso al padre, effettuava tutto per se stesso. Lui... lui si era già perso. E, dato che neanche lontanamente si voleva risollevare, precipitava. Lynton era consapevole di non potere guarirlo. Però lo manteneva in quello stato di labile speranza, almeno per le persone le quali lo circondavano, in cui ancora si può volgere la situazione: nello stato di vita. Ma non riusciva a parlargli, a confrontarsi con lui, a spronarlo.

Ormai, era tutto per lui.

Il tempo passò, ma non dimenticò nulla.

Il tempo passò, e lui diventò l'opposto di quello che era stato quando il Sole non temeva il suo volto, però lui era determinato a mantenersi. In qualunque modo fosse. Non voleva perdersi. Anche se ogni tanto, qualche giorno, si svegliava, e temeva di uscire di casa per le nuvole nere all'orizzonte, per un incubo vivido il quale aveva devastato il suo sonno, perché così tante persone si erano sbiadite nello scomparire e non c'era ragione per la quale lui non si potesse concedere a questa pratica.

Una, però, l'aveva trovata: mantenere il dubbio della ragione per la quale lui non si potesse concedere a quella pratica. Mantenere i suoi pensieri. Mantenere la sua vita.

E la vita degli altri, nei suoi ricordi, e temprarsi di esso, e diventare ogni giorno più forte, per chi aveva provato e non ci era riuscito.

 

Here comes the rain again,
falling from the stars,
drenched in my pain again,
becoming who we are.

As my memory rests
but never forgets what I lost.
Wake me up when September ends.

 

I giorni passavano. Ogni anno, settembre tornava. Ogni volta, lui doveva affrontare le sue piogge.

Riuscirci non lo rendeva allegro, ma almeno soddisfatto di se stesso. Perché lo spirito di sua madre, quello che l'aveva educato nella sua prima infanzia, lo osservava. E lui non voleva donarle delusioni.

Affrontava settembre per sua madre, affrontava le piogge, le foglie che precipitavano sul terreno; le detestava, sognava di chiudersi in casa e di non riemergere più, di dimenticare, dato che era considerato un comune metodo per evitare la sofferenza. Ma affrontava settembre, e questo imprimeva un sentimento di fierezza in stesso.

E sentiva che era quello di sua madre.

 

Spazio autrice

Pessimo, pessimo lavoro. O almeno, ciò è quello che ho pensato io rileggendo la storia. E, ovviamente, non saprei come migliorarlo. Sono veramente dispiaciuta.

La storia di Lynton Hamilton (tributo del distretto 4 durante gli Hunger Games del 500, sì, la maledetta e ripetitiva storia interattiva) è complicata; l'ha trascinato fino ad avere un carattere oscuro, e non si trova assolutamente motivo di rimprovero in tutto ciò. Però, credo di averla esasperata fino al ridicolo. Perdonatemi.

Perdonatemi soprattutto per aver utilizzato in questo modo terribile una magnifica canzone dei Green Day, un'altra band che non ascolto ma apprezzo, ovvero “Wake me up when september ends”. Il dolore può essere accomunato a quello del personaggio, ma non si accorsa un minimo a quello della storia.

Spero di aver avuto impressioni errate, e che almeno a voi la storia non sia dispiaciuta. Ringrazio chi esprime il suo consenso o il suo disappunto con una recensione, o anche chi segue in silenzio (anche se suppongo che non ci sia nessuno).

Alla prossima (sì, mi mancano diciassette one shot, se non sbaglio),

Bolide

  
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