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Autore: Alena18    28/07/2015    13 recensioni
Non si trattava più di vivere, era arrivato il momento di sopravvivere.
Quel mondo non aveva nome e a quel destino non c'era fine.
Il cerchio si stava chiudendo ed io ne facevo inevitabilmente parte, ero come il sole che illumina i pianeti, che permette la vita, ero indispensabile.
Ma che vita era quella? Avrei voluto scappare, tornare indietro nel tempo.
Per me le lancette dell'orologio si erano fermate, lasciandomi bloccata lì, in trappola.
DALLA STORIA:
-Non dovevo fidarmi di te- gli dissi in tono deluso, ma freddo.
-Io non mento- pronunciò fermo cercando di sostenere il mio sguardo.
-Allora mostrami chi sei veramente-

NIENTE È COME SEMBRA!
© Tutti i diritti riservati.
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Risveglio '
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“Molti dicono che la luna nasconde i più grandi segreti della vita.
Molti altri sostengono che in essa si trovino le risposte a tutte le domande.
Questo perché la luna non mente.”


 
 
Questo specchio non mostra semplicemente il riflesso di un volto, questo specchio ti scava dentro e trova la tua anima, poi la riflette.
Le parole di Ester echeggiarono nella mia mente in un pallido sussurro, come una verità bisbigliata ad un orecchio all’ora incapace di ascoltare veramente. Ed in quel momento, mentre il mio petto si stringeva dandomi l’impressione di non poter respirare per lo shock, nello specchio vedevo un’anima: l’anima di Peter nel corpo di Justin.
Questo specchio non mostra semplicemente il riflesso di un volto, questo specchio ti scava dentro e trova la tua anima, poi la riflette.
Quel corpo era una bugia, tutto quanto lo era stato, fin dall’inizio. Uno sporco gioco di potere, vendetta e chissà cos’altro. Ed io, la pedina semplice da gestire, facile da ingannare. 
Non tutto ciò che vedi è la realtà. Ester, quelle parole erano venute sempre dalla sua bocca, niente era come sembrava, un avvertimento che non avevo colto.
Lei sceglierà me, peccato che non saprà mai la verità. Mi ritornarono alla mente le parole di quello che credevo fosse Justin in una delle mie prime visioni. Quei ricordi riaffioravano e correvano veloci nella mia mente, seguendo il ritmo del mio cuore.
-Tu hai mai incontrato una… una fata?-, -Sì, ma è stato molto tempo fa. Ero molto diverso da come sono adesso-, -Diverso in che senso?-, -Diverso nel senso di diverso. Diverso e basta. Forse un giorno potrai capire-. La scena di me seduta sulla riva del lago a parlare con quello che pensavo fosse Peter mi si parò davanti agli occhi, rammentai quanto le sue parole riguardo a ciò che era stato un tempo mi erano sembrate strane ed ora sapevo il perché. Mi sentii maggiormente stupida, ebbi la sensazione di aver appena cominciato a vedere, come se adesso stessi aprendo gli occhi su quel mondo sovrannaturale.
Ricordai quando avevo chiamato il licantropo per nome. Era stata la prima volta ed ero rimasta indifferente al suo istantaneo cambio d’umore nell’udire quella parola.
Ho un cuore che batte, ma ho smesso di vivere tempo fa. Era ciò che aveva detto il lupo nella visione mostratami da Cameron, era così palese il suo tormento, il suo odio verso il vampiro e talvolta anche verso sé stesso, e adesso conoscevo il motivo. Adesso ricordavo il riflesso di Justin nelle acque del lago quando ero ancora sotto l’effetto del veleno fatato, non quello di Peter, ma quello di Justin. Era per tutto ciò che il punto debole del vampiro in realtà era il ragazzo-lupo? Erano forse legati? Qualcosa li vincolava? Questo però avrebbe spiegato il perché Justin, che in realtà era Peter, voleva mantenere in vita Peter, che in realtà era Justin. Oh, se stavo impazzendo! Mi sembrava di essere sempre stata da sola, mi sentivo presa in giro ed usata.
Le gambe tremavano violentemente, la paura che potessero cedere mi invase, chissà quell’essere nella camera cosa mi avrebbe fatto se avesse scoperto che ero lì. Mi misi una mano sulla bocca per accertarmi che non mi lasciassi sfuggire nulla, nessun gemito di dolore, né di frustrazione, nessun grido, anche se desideravo urlare con tutta me stessa. Più guardavo il riflesso di Peter nello specchio muoversi in contemporanea con il corpo di Justin, più non riuscivo a credere a ciò che vedevano i miei occhi.
D’un tratto il vampiro fece un passo indietro, allontanandosi dalla lastra di vetro. Quando il volto di Peter scomparve per un attimo pensai di poter riuscire a convincermi di essermi immaginata tutto, ma era inutile.
Mi voltai di scatto, alla disperata ricerca di un nascondiglio. Non potevo scappare, né fare movimenti bruschi, avrebbe potuto sentire il mio odore, o i miei passi, o la mia paura, per quelle cose lui aveva fiuto. Una parte di me si chiedeva se non mi avesse già scoperta. Dovevo pensare, pensare ad un incantesimo semplice, ma efficace. Avevo la fronte madida di sudore freddo, le mani appiccicaticce e l’inarrestabile battere del mio cuore mi faceva male alle ossa del petto.
Occultamento, un incantesimo di occultamento era ciò che faceva al caso mio. Dovevo solo ricordare le parole. Natura protege me… No, non era così, o forse sì? Non mi restava che provare. Chiusi gli occhi, pronunciai l’incantesimo e strinsi le palpebre pensando che magari se io non avessi visto lui, lui non avrebbe visto me. Avvertii la sua presenza uscire dalla stanza e di colpo fermarsi all’entrata, poco distante da me. Il mio cuore si arrestò, quasi come se si aspettasse che standosene fermo, lui non mi avrebbe vista. E sembrò funzionare perché udii i passi del vampiro procedere lungo il corridoio freddo; così mi decisi a riaprire gli occhi. Lo vidi mentre veniva risucchiato dal buio, il volto per metà voltato, le labbra piegate in un sorriso, lo stesso che aveva pochi istanti prima, quando era davanti allo specchio.
Poi scomparve.
 
Ero accovacciata sul pavimento ruvido e cementato della camera di Ester da quando il vampiro se n’era andato, le gambe tirate al petto, le braccia che circondavano le ginocchia, il volto nascosto dai capelli ancora umidi dell’acqua fatata. Sapevo che le mie labbra stavano tremando, ma tentare di fermarle sarebbe stato inutile, come lo era anche smettere di piangere. Dovevo farlo, in un certo senso era come se stessi aspettando una motivazione sufficientemente valida per poterlo fare. Piangere, finalmente. Non mi sarebbe servito a molto, ma dopotutto nulla in quel momento poteva aiutarmi, tanto valeva abbandonarmi a me stessa almeno per un po’. Avrei voluto rimanere lì sotto per sempre, avrei voluto addormentarmi e non svegliarmi più, mai più. Troppo tragico? No, per me sarebbe stato liberatorio. Mi era stato detto più volte ed in maniera piuttosto esplicita che non sarei tornata a casa, che dovevo abituarmi a quel mondo e ci avevo provato, ma come potevo credere che tutto quello che stavo vivendo potesse diventare per me una cosa quotidiana? Nel momento in cui pensavo di potercela fare, nell’istante in cui riuscivo a convincermi di essere abbastanza forte automaticamente accadeva l’inimmaginabile, ed ero di nuovo al punto di partenza. Nuove domande, zero risposte. Quando il vampiro se n’era andato, quello sguardo che aveva lanciato significava che mi aveva vista? Sapeva che ero lì? Se sì, allora perché lasciarmi andare senza far nulla? Cos’altro aveva in mente?
E dopo le domande arrivava la delusione, un’emozione che non riguardava il vampiro, ma il lupo. Alla fine, in un modo o nell’altro, le fate avevano ragione, il falso Justin aveva confermato di essere spietato, mentre il falso Peter era un bugiardo di cui non avrei dovuto fidarmi.
Pensare a Justin come Peter e a Peter come Justin mi risultava difficile, forse era una delle cose più impossibili che avessi mai pensato di fare da quando ero lì. Ciò voleva dire che in realtà era stato Peter, la sua anima, a maltrattarmi tutte quelle volte, a tentare di uccidermi, a minacciarmi e a spaventarmi. Ed era stato invece Justin, la sua anima, chi mi aveva salvato innumerevoli volte, chi mi aveva divertita e allo stesso tempo spaventata, chi mi aveva rassicurata e aiutata. Era tutto il… contrario, un inganno, una maschera ed io ci ero cascata in pieno. Ma stranamente non ero tanto arrabbiata con me stessa quanto lo ero con Peter, o meglio, con Justin. Aveva avuto tante di quelle occasioni per parlarmi e dirmi la verità, più di quante non ne avesse avute Peter, quello vero, quello che credevo fosse un angelo, ma che si era rivelato tutto meno che una creatura celeste.
Istintivamente, quasi senza rendermene conto, afferrai una pietra lì accanto e la scagliai con un  urlo strozzato contro il muro, riducendola a milioni di piccole schegge che rimbalzarono sul pavimento.
-Maya- una voce leggera come una carezza mi giunse alle orecchie. Solo all’ora mi resi conto di quanto in realtà tutta quella faccenda mi avesse scossa. Ero accucciata al suolo con i denti digrignati, il volto bagnato di lacrime, gli occhi in fiamme, il respiro affannoso ed una mano ferma a mezz’aria, in direzione del muro dove si era frantumata la pietra. –Calmati, Maya. Non lasciare che le tue emozioni prendano il sopravvento- mi consigliò con tono dolce, che mi ricordò tanto quello di una madre preoccupata per gli amici immaginari del figlio. Riuscii però a tranquillizzarmi, respirai a fondo e rallentai il battito cardiaco, ma le sue parole, il modo in cui le aveva pronunciate mi irritò.
-Smettila!- sbottai rimettendomi in piedi e voltandomi a guardare il suo riflesso evanescente –Smettila di parlarmi a quel modo, sempre così delicata. Sapevi cos’erano loro in realtà, ma hai preferito che lo scoprissi da sola- le puntai un dito contro, il mio tono di voce era deciso, ma moderato –Ebbene, ecco. La sorpresa è riuscita perfettamente, complimenti. Peccato che io non riesca ad accendere e spegnere le mie emozioni come fate tutti voi, esseri senza un cuore. Credi che sia ancora troppo umana? Troppo debole? Be’, indovina un po’, quest’umana se ne tornerà subito a casa, la sua vera casa, piena di persone con sentimenti- il sapore delle mie parole era amaro sulle mie labbra. Non avrei voluto prendermela con Ester, ma non si poteva certamente dire che lei fosse stata sempre di supporto per me –Mi dispiace, ma non meritate che io resti qui per aiutarvi in quello che credevo fosse un modo per riportarti in vita, adesso chi può dirmi che non si tratti di un’altra menzogna?- domandai retorica. Il fatto che sul suo volto non passasse quasi mai la minima espressione, il minimo segno di un’emozione non mi sorprendeva, ora l’unica cosa che le vidi fare prima che parlasse fu deglutire, senza neanche scomporsi.
-Non puoi andartene di qui- furono le sue parole. Non una frase di conforto, né di dispiacere per avermi tenuta nascosta la verità per tutto quel tempo, solo fredde parole vuote.
Prima di voltarle le spalle ed andarmene la guardai un’ultima volta, gli occhi mi bruciavano per via delle lacrime che minacciavano di rigarmi ancora il volto, i pugni stretti per ricacciarle dentro.
-Addio- sussurrai per poi uscire dalla stanza.
 
Quando uscii dal castello non seppi se essere più sorpresa o sollevata del fatto che quest’ultimo fosse apparentemente vuoto. Ero sfilata via attraverso camere e corridoi, silenziosa e attenta, ma sapevo che se lui fosse stato lì mi avrebbe sentita ed automaticamente fermata all’istante, magari facendomi perdere i sensi, infondo il vampiro non era mai stato tipo da crearsi troppi problemi se si trattava di togliere di mezzo le persone. Eppure ero sopravvissuta alla prima parte della mia fuga. Ora stavo attraversando il bosco in penombra, coperto dai rami appuntiti degli alberi oltre i quali si stagliava un cielo interamente rivestito di nubi grigie che non lasciavano presagire nulla di buono. Faceva freddo, più del solito, ed il mio vestito era ormai asciutto e gelido come una foglia in inverno, i miei lunghi capelli si increspavano ed arricciavano sulla fronte e sulle tempie impedendo alle mie mani di poterci passare attraverso. Non avevo pensato a portare nulla, non volevo niente con me che mi ricordasse di quell’esperienza, di quel castello e di ciò che aveva portato con sé. Ero pronta, decisa a tornare a casa. Seguendo la logica, se c’era un’entrata c’era per forza anche uscita e dovevo trovarla. Potevo utilizzare un incantesimo, se solo ne avessi conosciuto uno, ma d’altra parte volevo tornare ad essere una perfetta umana e insomma, non era proprio da normali ragazze neodiplomate fare magie.
D’improvviso il vestito si impigliò in qualche ramo, sbuffai mentre mi voltavo per liberarmi e pensai che avrei potuto cambiarmi prima di andarmene, mettere qualcosa di più appropriato per quando sarei tornata a casa, nel mondo civile e pieno di normalità. Ma cambiarmi d’abito avrebbe richiesto troppo tempo ed io non ne avevo molto, dovevo sbrigarmi e riuscire ad uscire da quella foresta prima che qualcuno si accorgesse della mia assenza. Quando tornai sul sentiero che stavo percorrendo mi ritrovai davanti dei piccoli esseri alti più o meno mezzo metro, con orecchie a punta e strani occhi colorati -non avevano né pupilla, né iride!-, nasi lunghi e stretti, labbra sottili e denti affilati. I capelli erano dello stesso colore degli occhi ed ognuno di loro aveva una tinta tutta sua, c’era chi aveva lunghe ciocche ondulate e blu, chi invece le aveva verdi, chi bianche. Non erano in molti, meno di dieci, ma ne fui ugualmente spaventata. Barcollai indietro fino a che le mie spalle non toccarono la corteccia ruvida di un albero. Il mio petto si alzava ed abbassava velocemente, quegli occhi erano inquietanti e i loro sorrisi taglienti lo erano ancor di più. Per un attimo pensai di chiamare aiuto, in realtà pensai a Peter che non era Peter, ma che era Justin, lui interveniva sempre in situazioni del genere.
Fu come se quelli avessero avvertito la mia paura perché uno di loro fece un piccolo passo verso di me, le mani alzate davanti al viso e la testa che si muoveva a destra e a manca.
-No- disse con voce sottile, quasi stridula –Non devi aver paura di noi- tentò di rassicurarmi con un mezzo sorriso, ma io vedevo solo i suoi occhi neri ed i suoi dentini affilati come lame di rasoio.
-Chi… chi siete?- domandai con il corpo schiacciato contro il tronco dell’albero, le dita strette intorno al legno che mi si conficcava nella carne.
-Siamo elfi- disse con estrema gentilezza, era garbato come tutte le creature del bosco che avevo incontrato fino ad all’ora e probabilmente aveva secondi fini, dovevano essere creature spietate come tutti gli altri.
-Volete uccidermi?- chiesi e subito dopo mi resi conto di quanto fosse stupida la mia domanda. Di certo loro non mi avrebbero chiesto il permesso per farlo, a nessuno era mai importato di me e di ciò che provavo, di ciò che volevo, perché loro sarebbero dovuti essere diversi?
-Oh, no. Certo che no. Noi ci dedichiamo ad altro- la pausa che seguì dopo quella frase mi fece rabbrividire –Vedi, Maya…- era mai possibile che tutti conoscessero il mio nome?! –Ecco, noi scopriamo ciò che tu vuoi di più al mondo e te lo doniamo- A quelle parole mi calmai di colpo. Finalmente qualcuno con un dono utile anche agli altri, qualcuno che poteva capirmi ed aiutarmi veramente. C’era solo una cosa che volevo.
-Voglio andarmene di qui, voglio tornare a casa mia. Potete fare questo?- mi affannai a domandare sperando davvero che quegl’elfi non mi stessero prendendo in giro.
-Noi ti doneremo ciò che tu adesso vuoi di più al mondo- pronunciate quelle parole tutti mi diedero le spalle e si incamminarono. Supposi che a quel punto avrei dovuto seguirli e così feci.
Li osservai attentamente, il loro aspetto bizzarro mi incuriosiva ed invidiavo la loro altezza in quel momento dato che stavamo attraversando una zona piuttosto umida, dove pareva che la vegetazione si concentrasse specialmente su muschi, rampicanti, edere e chissà cos’altro di appiccicoso e molliccio. Oltretutto quella parte della foresta era per me un territorio del tutto nuovo ed inesplorato. Attraversare quel punto del bosco metteva i brividi ed ero indecisa se considerarmi fortunata per essere lì in compagnia o se fosse stato meglio essere sola. Se mi fidavo di quelle creature chiamate elfi? No, o meglio, non completamente, ma infondo perché avrebbero dovuto mentirmi? Erano sembrati tutti così sinceri ed i loro volti, seppur pallidi e affilati, parevano amichevoli. E adesso se ne andavano saltellando qui e lì per il sentiero arido e poco illuminato, canticchiando strane melodie sconosciute. Non mi sembrava una situazione particolarmente pericolosa o allarmante.
Mi sorpresi a canticchiare con loro, avrei dovuto smettere all’istante e trovare la cosa alquanto strana, ma al contrario sorrisi ed offrii la mano ad un elfo accanto a me. Era così divertente e del tutto privo di logica o pericolo che mi lasciai trasportare completamente dalla situazione, abbozzavo qualche saltello qui e lì, qualche sillaba senza senso e qualche giravolta traballante. I sorrisi che ora mi mostravano non apparivano più così perfidi e subdoli ai miei occhi, piuttosto erano dolci e gentili, adorabili avrei osato dire.
Tra balli improvvisati e canzoni stonate pensai che forse loro, quelle piccole creature strambe, mi sarebbero mancate. Quella riflessione fu come un impulso, era come se sentissi che provare affetto verso quegli elfi fosse un sentimento ovvio e del tutto normale, così non provai a reprimerlo.
-Siamo arrivati- La stessa voce che svariati minuti prima mi aveva rassicurata ed aiutata, ora mi giunse alle orecchie riportandomi alla realtà. Scossi ripetutamente la testa come a volermi liberare di quella melodia incredibilmente contagiosa e mi guardai intorno. La luce che mi brillava negli occhi, l’entusiasmo che mi riempiva lo stomaco piano scomparve, lasciando spazio alla delusione. Vedevo solo alberi dal profilo inquietante, rami appuntiti, fango e terra, nessun raggio di sole, niente luce, solo ombre.
-Ma qui non c’è…- l’ultima parola non volle uscire perché quando tornai con lo sguardo sugli elfi, quelli non erano più lì –niente- sussurrai indecisa se essere più sorpresa, confusa o spaventata. Non sapevo che fare, se chiamarli a squarciagola o semplicemente darmela a gambe, ma volli cercarli, dare loro una possibilità. Sbirciai dietro qualche albero, guardai tra i cespugli, cercai persino tra le pietre, ma nulla. –Dove siete finiti?- dissi aggrappandomi alla speranza di poter sentire una loro risposta –Tornate indietro- affermai con tono supplicante. Quando non mi giunse nessuna risposta lasciai che il panico mi invadesse –Non è questo quello che voglio!- urlai mentre continuavo a guardarmi a destra e a manca, perdendo sempre di più il controllo sul mio respiro, sui battiti del mio cuore. C’erano alberi, alberi ovunque. Solo ed esclusivamente alberi. Era come se avessi appena scoperto di soffrire di claustrofobia, come se tutto mi si stringesse attorno.
Noi scopriamo ciò che tu vuoi di più al mondo e te lo doniamo. Quelle parole giunsero alle mie orecchie come da lontano, mi sembrava di essere in un’enorme bolla di vetro dove tutto era troppo sfocato e distante da poter raggiungere.
-No!- urlai scuotendo la testa tanto forte da farmi male –Non è vero- ribattei infuriata, mi sentivo presa in giro per la centesima volta, dicevo di essere una che non si fidava mai ed invece ero l’esatto opposto, terribilmente ingenua e stupida.
È questo il tuo posto, Maya. La voce ovattata del piccolo elfo tornò e le sue parole cancellarono ogni mia speranza di ritorno a casa.
-Smettetela!- sbottai barcollando e finendo contro un albero. Stavano mentendo, non poteva essere altrimenti, ma allora perché sentivo di aver torto? Perché avvertivo quella strana sensazione al petto che mi diceva che stavo solo prendendomi in giro? Ero arrivata davvero a quel punto? Adesso mentivo a me stessa?
È qui che vorresti essere. Quella voce si affievolì sempre di più fino a sparire completamente lasciandosi indietro solo l’ombra di un eco lontano.
Consapevole di essere rimasta sola in un posto dove le probabilità di morire erano piuttosto elevate, pensai di fare ciò che mi riusciva meglio: fuggire, ma mi ritrovai senza forze, né speranze, ero sola con la paura di restare lì per sempre, combattendo me stessa mentre mi raccontavo di voler qualcosa che in realtà non desideravo, nascondendomi ciò che veramente volevo. Cos’era che gli elfi avevano visto in me? Perché mi avevano lasciata lì, nel bel mezzo del niente?
Improvvisamente fui assalita dal terrore di ciò che mi aspettava, perché se gli elfi avevano detto che quello era il mio posto un motivo c’era sicuramente, il motivo stava in ciò che desideravo di più e probabilmente non lo sapevo nemmeno io. Mi appoggiai ad un albero piangendo lacrime silenziose e reprimendo l’impulso di urlare per evitare di fare scelte sbagliate, ma d’un tratto un rumore mi fece bloccare il respiro, la mia mano poggiata sull’albero premette più forte contro la corteccia rugosa procurandomi centinaia di piccoli tagli ed infliggendomi un dolore dieci volte più acuto alla mano destra ancora segnata dalla cicatrice che mi portavo dietro dalla notte del mio arrivo.. Per un attimo pensai di essermelo immaginata, probabilmente era solo la mia immaginazione che mi giocava brutti scherzi. Provai a pensare ad un posto dove avrei potuto essere felice, vivere senza preoccupazioni, ma le mie fantasie cedettero il posto ad un rumore, lo stesso di un istante prima, solo più vicino, così tanto da far tremare i sassolini ai miei piedi. I miei occhi si puntarono su di essi ed il mio corpo si immobilizzò, poi un ringhio si fece spazio nella mia mente scuotendo il mio cuore fino a raggiungere lo stomaco che ora aveva sicuramente assunto la forma di un nodo. Con le labbra schiuse e gli occhi spalancati portai lo sguardo davanti a me proprio nel momento in cui il nulla lasciava il posto alla figura massiccia e mostruosa di un gigantesco lupo dal manto scuro e le zanne sporche di sangue. Il cuore mi batteva così forte che sembrava volesse strapparsi dal petto, la bocca si prosciugò da ogni goccia di saliva mentre nei miei occhi si tatuò l’immagine del grosso animale saltare metri di altezza sulla mia testa ed atterrare proprio davanti a me. Conficcò i suoi artigli nella terra, digrignò i denti affilati e grondanti di sangue fresco, ringhiò contro di me che feci un balzo indietro riprendendomi da quella sorta di stato di trans in cui ero caduta. Improvvisamente mille pensieri mi assalirono riempiendomi la mente con l’intento di convincermi del fatto che non mi sarebbe accaduto nulla di male, ma il dubbio che quelle fossero altre bugie mi sovrastò come un’ombra estremamente grande. Mi sorpresi vedendo la mia mano muoversi in avanti, verso il lupo apparentemente furioso e famelico.
-Sono io…- avrei voluto dire qualcosa di più, ma le parole mi morirono in gola, quello non sembrava affatto Peter, anzi, Justin, era persino più spaventoso della prima volta che lo avevo visto. Spalancò le fauci ed ululò tanto forte da farmi male alle orecchie, non mi servì altro per capire che era arrivato il momento di scappare. Con strana prontezza saltai il cespuglio alla mia sinistra e, ignorando la fitta che mi procurai alla caviglia, corsi via, con il licantropo alle calcagna. Dovevo farmi venire un’idea, era troppo veloce per me, mi avrebbe raggiunta in un batter d’occhio ed ora non ero più tanto sicura della sua clemenza, non ero neanche sicura di ciò che volevo io, ormai non sapevo più nulla, nel vero senso della parola. In tutta quella situazione che tanto mi ricordava la notte del mio arrivo, riuscii a trovare una differenza: ora ero una strega. Il problema era che ero talmente spaventata che non mi veniva in mente nulla, ma forse il vero motivo era che infondo non volevo fare realmente del male a Justin… faceva così strano pensare al lupo come il ragazzo alto e biondo e non come quello alto e moro.
Non sapevo cosa di preciso, ma qualcosa mi portò a voltarmi ed automaticamente rallentai, così ebbi la possibilità di vedere in primo piano lo slancio che il lupo prese e la sua zampa artigliata muoversi verso di me. Il secondo dopo mi ritrovai ad urlare per il dolore acuto al braccio, ma tentai con tutte le mie forze di ignorarlo e di pensare in fretta. Ricordai di avere con me, nascosto nel mio stivaletto, il pugnale di cui mi ero già servita diverse volte in passato, ma prenderlo avrebbe significato fermarsi e così avrei solo perso tempo inutilmente.
D’un tratto una lucciola entrò nel mio campo visivo e la mia mente si illuminò.
-Ignis- pronunciai, ma non accadde nulla. Perché non accadeva nulla? –Ignis- ripetei più forte aspettandomi di vedere almeno una foglia infiammarsi, ma non accadde. Mi invase il panico, proprio in quel momento i miei poteri dovevano abbandonarmi?
Non mi ero resa conto della mia mano premuta contro la ferita sanguinante al braccio, né delle mie dita che ci si stavano conficcando dentro. Avvertii un pizzicore fastidioso correre lungo la mia gola e giungere alle mie labbra che trasformarono quell’urlo nell’incantesimo che disperatamente stavo tentando di far funzionare –Ignis!- gridai puntando la mia mano bagnata e appiccicosa di sangue verso un albero. Quello all’istante prese a bruciare e cadde, sbarrando la strada al mio inseguitore. Un secondo dopo anche il tronco che lo seguiva prese ad ardere con la facilità in cui bruciava un pezzo di carta accanto alla flebile fiamma di una candela. Nel giro di qualche istante si stabilì il caos, tutto cominciava ad essere divorato dal fuoco, dovunque puntassi i miei occhi, ovunque il mio sguardo si posasse quel punto veniva istantaneamente divorato da fiamme che sembravano duplicarsi, triplicarsi tra loro. Tossii ripetutamente, misi il braccio davanti alla bocca e sotto il naso respirando il meno possibile quel fumo nocivo. D’un tratto, qualche metro davanti a me, cadde ormai carbonizzato dalle fiamme, un albero. Davanti avevo il fuoco, alle mie spalle la bestia fuori controllo. Non ebbi il tempo di valutare quale fosse la cosa migliore da fare, il mio corpo reagì automaticamente e la terra mi scomparve da sotto i piedi. Il balzo che feci terminò con un tonfo sordo, ma non finì lì perché inspiegabilmente presi a rotolare e rotolare, e il mondo girava e girava. Non potei impedirmi di urlare in preda a dolori, ferite e panico. Non era la prima volta che scappavo da un lupo, non era la prima volta che la foresta prendeva fuoco e non era nemmeno la prima volta che mi ritrovavo a cadere rotolando come una di quelle ruote per criceti lungo un pendio.
Improvvisamente il suolo sparì e volai schiantandomi poi al suolo come un aeroplanino di carta fatto male. Inizialmente muovermi mi spaventava, il pensiero di avere ogni singolo osso del mio corpo rotto mi terrorizzava e preferii restare incollata al terreno pungente e freddo. Il rumore che poi risuonò nella terra, facendola tremare sotto di me, mi risultò orrendamente familiare. Capii che avevo covato la segreta speranza di aver seminato il licantropo e compresi di essere solo una povera illusa. Tentai di mettermi sui gomiti senza fare movimenti bruschi o rumori troppo forti, strisciai verso un albero circondato da qualche cespuglio e mi ci nascosi. Piano mi misi a sedere scoprendo con sollievo di non avere nulla di rotto. Il tonfo secco che sentii e il respiro affannoso che ne seguì mi fecero trattenere il fiato. Mi attaccai al tronco come se avessi potuto essere una specie di camaleonte e camuffarmi diventando qualsiasi cosa meno che Maya Gordon. Mi concentrai sui suoi passi pesanti, sui suoi ringhi, li sentivo rombare nel suo petto e automaticamente rimbombavano nelle mie orecchie, più forti del battito, veloce in modo sovrumano, del mio cuore.
Quando pensai che Justin fosse andato via mi sporsi con la testa oltre l’albero aspettandomi di vedere due occhi gialli iniettati d’odio e fame fissi su di me, ma non andò così. Il mio petto, prima fermo, prese ad alzarsi ed abbassarsi sotto i già più regolari battiti del mio cuore mentre i pugni che stringevo si ammorbidivano lasciando scoperti i palmi delle mie mani segnati da piccoli tagli. Ispirai con la bocca e chiusi gli occhi tentando di calmarmi, tornai a voltare il capo davanti a me, ma l’alternarsi irregolare di quelle strane e calde folate di vento che avvertivo sul mio viso mi turbò. Un brivido corse lungo la mia schiena e lentamente alzai le palpebre. Mi paralizzai all’istante: l’enorme testa e il gigantesco (più di quanto non mi aspettassi) muso del lupo erano ad una distanza troppo ridotta per quanto mi riguardava e la sua espressione non era certo delle più amichevoli. Ringhiò tra i denti e lo vidi muoversi verso di me spinto da una forza e una velocità mai viste, ma, per qualche strano caso o grazie ad un qualche miracolo, riuscii a spostarmi prima che la testa del licantropo mi schiacciasse. Acquistai un piccolo vantaggio da quella mossa che mi concesse di rimettermi in piedi, ma non andai molto lontano, infatti dopo pochi passi le mie gambe cedettero ed io caddi rovinosamente a terra. Mi voltai, poggiando tutto il peso del mio corpo sui gomiti, giusto in tempo per vedere un’ultima volta la neve bianca svolazzare nell’aria gelida mentre il lupo più infuriato che mai caricava verso di me. Strisciai indietro, ma con mia sorpresa la mia schiena si ritrovò contro un tronco. Incapace di pensare lucidamente mi lasciai guidare dal mio corpo. Le mie mani si posarono sulla corteccia ruvida e mi aiutarono ad alzarmi, mentre scuotevo la testa in un ultimo tentativo di svegliarmi da quell’incubo.
-No- sussurrai con le lacrime che presero a scorrere sulle mie guance –No, no- ripetevo terrorizzata mentre il lupo correva spedito verso di me –No! Justin!- gridai con la gola in fiamme e gli occhi serrati per evitare di guardare la scena di lui, la persona dalla quale pensavo di non dover temere nulla, che mi saltava addosso per sbranarmi.
Un istante dopo il silenzio regnava, l’odore che mi circondava sembrava essere lo stesso e la neve che sentivo posarsi sul viso era ancora lì. Forse la morte era così, o forse no, c’era solo un modo per scoprirlo. Piano aprii gli occhi e la scena ad attendermi era quella di pochi secondi prima: c’era la foresta coperta di bianco, il cielo più limpido di quanto ricordassi e davanti a me, immobile, con lo sguardo sorpreso fisso su di me, c’era il lupo. Non seppi dire se mi sentii più sollevata per essere ancora viva o più traumatizzata per tutto quello che era accaduto e che poteva ancora accadere. E solo in quel momento mi resi conto di quanto il cuore battesse a razzo nel mio petto, risuonando in tutto il mio corpo, solo all’ora notai quanto le mie gambe tremassero e quanto mi sentissi tremendamente nauseata. Ma prima di riuscire a realizzare tutte quelle cose avvertii il sangue andarmi al cervello che si coprì di macchie colorate, come tanti fuochi d’artificio. Poi svenni.
 
Riaprire gli occhi e ritrovarmi con il mal di testa e le vertigini era ormai diventato per me un risveglio abituale, quasi quotidiano. Avevo il corpo indolenzito e non mi sentivo per niente come invece avrebbe dovuto sentirsi una persona dopo aver dormito, be’, non che il sonno che avevo fatto potesse essere definito dormire, ultimamente tendevo a svenire… già, passavo quasi tutto il mio tempo svenuta e a volte avrei preferito restarci. Però la vista che mi attendeva oltre il buio che fino a qualche secondo prima mi aveva avvolta riuscì a farmi sentire meglio, sembrava di stare di nuovo a casa. Ma non ero così sciocca, oramai non ci speravo più, ma quel cielo stranamente limpido era un evidente, per me, ricordo di Londra, anche se dopotutto il cielo era sempre lo stesso ovunque andassi, forse era l’unica cosa invariata rimasta nella mia vita. Tentai di perdermi dentro di esso come facevo da bambina stesa sul portico davanti casa, con le mani sotto la testa e il sorriso stampato in faccia fingevo di essere una stella, mi convincevo di essere nello spazio e di poter volare anche oltre, ma era finito il tempo delle fantasie, questa ora era la realtà. Una realtà surreale dove avevo appena scoperto che le poche persone che mi circondavano non erano per niente ciò che pensavo fossero, dove ero stata quasi divorata da un lupo mannaro che credevo buono, per la seconda volta, dove la persona che definivo angelo era il peggiore dei demoni, dove io non ero più la stessa, banale e normale Maya di un mese prima. E quella irreale realtà mi colpì come un secchio d’acqua gelida. Trasalii a quei pensieri, ma almeno seppi di essere ancora tutta intera, niente ossa rotte o gravi ferite. D’improvviso però mi assalì la raccapricciante paura di essere ancora in balia del lupo, la sensazione di non essere sola mi riempì lo stomaco di terrore serrandomi la gola ed impedendomi di respirare. Grazie ad un po’ di coraggio misto a quel pizzico di immancabile, stupida curiosità che mi caratterizzava distolsi lo sguardo dalla splendida luna piena e sollevai il busto poggiando tutto il peso sui gomiti. Inizialmente vidi solo un vortice di tetri colori, poi cominciai a mettere a fuoco il profilo degli alberi rigidi e imponenti, la distesa di prato ricoperta di soffice neve, i batuffoli bianchi che fluttuavano nell’aria e… Justin. Per la decima volta in tutta la giornata, mi riuscii difficile pensare a quel nome ed associarlo alla figura di Peter lì, in piedi davanti a me, con lo sguardo fisso sulla superficie del lago fatato che rifletteva nitido l’immagine della luna rotonda. Sembrava perso in chissà quali pensieri, il volto più serio del solito, i lineamenti severi e inespressivi, il corpo perfettamente immobile. Sperai con tutta me stessa che non si fosse accorto del fatto che mi ero svegliata, serrai la bocca, smisi di respirare e rallentai il battito cardiaco per evitare di provocare alcun rumore. Ero quasi sicura che ciò che stavo facendo non sarebbe servito a nulla, ma ero fiduciosa che non mi sentisse strisciare via.
-Ben svegliata, Maya- una voce roca e bassa mi giunse alle orecchie più nitida di quanto mi aspettassi, solo dopo alcuni secondi compresi di essere stata beccata. D’istinto indietreggiai incapace però di alzarmi per correre, avevo le gambe intorpidite. Alzai lo sguardo e la figura alta di Peter si voltò a guardarmi. La luce della luna lo illuminò più chiaramente lasciandomi modo di poter vedere come era conciato: era a torso nudo, indossava solamente dei pantaloni neri strappati, i piedi erano scalzi e sporchi di terra, il petto punteggiato di sangue e di quelle che sembravano ustioni, il sopracciglio ferito, gli occhi di fuoco e le labbra piegate in un mezzo sorriso ironico –Vai già via?- la sua domanda retorica mi irritò profondamente, alle volte avevo amato il suo sarcasmo, lo avevo trovato addirittura sexy, ma adesso avrei solo voluto prenderlo a schiaffi.
-Per quanto sono stata incosciente?- domandai mantenendo i miei occhi fissi nei suoi e il tono di voce duro.
-Non molto. Un’ora circa, minuto più, minuto meno- rispose e questa volta non c’era traccia di ironia nella sua voce. Mi alzai barcollando e mi sembrò di vederlo muovere un passo verso di me, ma io mi allontanai prontamente. Tenendomi la testa fra le mani mi guardai intorno come ad accertarmi che fossi davvero dove pensavo di essere.
-Perché siamo qui?- ora il mio tono era diventato irritato, oltre che duro.
-Perché tu mi ci hai costretto a portarti- disse con un’ombra di fastidio nella voce.
-Io avrei fatto cosa?- persino alle mie orecchie la mia voce risultò squillante, ma non avevo potuto evitarlo.
-Sei venuta mentre ero a caccia. Non si disturba un lupo quando sta cacciando- ribatté freddo, con tono rimproverante, acido e mi stupì tanto che mi zittii di colpo –Cosa speravi di sentirti dire?- chiese senza aspettarsi veramente una risposta –Magari delle scuse per averti ferita? Speravi che ti avrei stretta a me dicendoti che non avrei mai potuto farti del male? Mentirei se lo facessi, perché io ti avrei fatto molto più che male. Io ti avrei distrutta, straziata, sbranata se ti avessi raggiunta, non mi importava di nulla, ti volevo. Eri come il rosso per un toro, come l’acqua in mezzo ad un deserto, come la luce nel buio. Eri la preda per il predatore- aveva la mascella rigida, le mani strette a pugno, le nocche bianche come il latte, gli occhi spenti mentre mi fissava apatico. Ricacciai giù quelle stupide lacrime che mi facevano apparire ogni volta debole e infantile, e giocai le mie carte.
-E tu? Cosa speravi di sentirti dire?- sibilai muovendomi morbida verso di lui.
-Non capisco cosa intendi- ora aveva smesso di guardarmi, il suo sguardo si era posato altrove, all’improvviso per lui gli alberi erano diventati particolarmente interessanti.
-So che lo sai- continuai lontana pochi passi da lui. Avevo i nervi saldi, ero completamente rigida, ma sorprendentemente sicura.
-So che cosa?!- affermò con tono molto più basso, le parole gli uscirono taglienti mentre serrava i denti. Al contrario, i suoi occhi erano ben aperti ed attenti a fissare la ferita quasi del tutto risanata sul mio braccio, continuando a non guardarmi in faccia.
-Sai che io lo so- la distanza che avevo creato fra me e lui era breve, un passo e gli sarei stata addosso.
-Parla chiaro, Maya!- esclamò piccato dal mio continuo girare intorno al punto della conversazione.
-Quanto ti sei divertito? Quanto vi siete divertiti tutti quanti a prendermi in giro? Parte di un piano dall’inizio, è questo quello che sono stata, ne sono certa. Quale sarebbe stato il tuo prossimo passo con me? In quale altro modo mi avresti mentito spudoratamente, eh?!- il mio tono di voce si alzò di un’ottava ed il mio sguardo divenne gelido –Sai, sono quasi convinta del fatto che tu voglia qualcosa da me, d’altronde la vogliono tutti e tu non sei da meno, non è vero, Justin?- il suo nome uscì dalle mie labbra con un suono sgradevole, come se avessi pronunciato una bestemmia. Fu all’ora che i suoi occhi tornarono sui miei, luminosi, vivi. Mi risultò difficile riuscire a mantenere in piedi la corazza impenetrabile di ghiaccio, la sua espressione era così compiaciuta e sollevata che mi spiazzò.
-Dillo di nuovo- il suo tono non era gentile, né implorante, ma riuscivo a sentire il bisogno che avesse di udire di nuovo quel nome.
-No, dimmi tu piuttosto cosa vuoi da me- ero arrabbiata con lui, avrei voluto colpirlo con tutte le mie forze, ma sentivo che mi stava costando tanto trattarlo a quel modo.
-Tu sai cosa vuol dire vivere maledetto? Vivere per oltre due secoli in un corpo non tuo con addosso la maledizione del licantropo? No, non lo sai e mi auguro non lo saprai mai- la sua voce era dura, ma al contempo lasciava percepire che ciò che diceva in un qualche modo lo pensava sul serio.
-Non cercare di impietosirmi- dissi stringendo i denti per restare fredda.
-Impietosirti non è mai stato nei miei piani- ribatté gonfiando il petto d’aria come se stesse cercando di calmarsi –Ti ho odiata fin dal primo istante in cui ti ho vista- non potei non trasalire a quelle parole così dirette –Eri parte dei miei guai, la parte che mi impediva di poter tornare ad essere ciò che ero. Come potevi tu, una stupida mortale, essere la mia cura?-.
-Non sono una mortale- lo contraddissi in maniera repentina, anche se non era la questione di cosa fossi io ad interessarmi.
-No, non lo sei. Ma sei rimasta stupida. Quale matto si inoltra nel fitto della foresta di notte?- domandò retorico, era evidente che non sapeva cosa era successo prima, ma d’altronde come poteva esserne a conoscenza lui?
-Sono stati gli elfi, loro mi hanno portata da te con l’inganno. Mi hanno detto che mi avrebbero dato ciò che di più desideravo ed io volevo andare via, non farmi uccidere da te- dette ad alta voce quelle parole cominciavano ad avere un senso e mi sentii in imbarazzo.
-Evidentemente desideravi di più me- mise su un largo sorriso decisamente esagerato ed il rossore sulle mie guance divenne più intenso.
-Non è questo l’importante adesso. Dimmi perché siamo qui e, per favore, spiegami cosa intendi per “essere la mia cura”!- mimai con le mani delle virgolette, poi mi misi a braccia conserte aspettando le sue parole.
-Tu non capiresti- accantonò la questione con un gesto della mano voltando il capo.
Strinsi i pugni e mi rimisi davanti a lui –Io credo di sì, invece-.
-Peter voleva essere un vampiro, non si accontentava di restare ciò che era, mi odiava e così mi ha tolto tutto, letteralmente- restai in attesa di altre informazioni, dovevo sapere –Mi ha ancorato a questo corpo sigillando l’incantesimo, fatto con l’aiuto di queste acque velenose, con la maledizione del licantropo, il nemico giurato dei vampiri. C’è un unico modo per poter tornare ad essere come prima e quel modo sei tu, il tuo sangue e un incantesimo- terminò d’un fiato. Restai scioccata, erano troppe notizie da apprendere e un colpo allo stomaco nell’udire l’ultima frase.
-Quindi io sarei il tuo unico modo per riprenderti la tua vita?- chiesi accigliata, ci capivo sempre meno e la logica spariva mano a mano che passava il tempo in quel posto.
-In breve sì, posso tornare nel mio vero corpo solo ed esclusivamente se deciderai di dare il tuo sangue di tua spontanea volontà a me e a quel bastardo che si fa chiamare col mio nome, a quel punto dovresti recitare un incantesimo e spezzare definitivamente la maledizione- spiegò scrutandomi attentamente. Sapevo come dovevo apparire: una ragazza completamente confusa, delusa e arrabbiata, io odiavo quella vita, odiavo quelle persone e ciò che mi avevano fatto. Come avrei potuto fidarmi ancora di lui?
Deglutii rumorosamente, mandando giù tutte quelle informazioni, anche se avevo il sospetto che ci fosse dell’altro, ma ne avevo abbastanza.
Fissai i miei occhi nel vuoto senza sapere più da chi fossi circondata –Non dovevo fidarmi di te- dissi in tono deluso, ma freddo. Sentii il suo sguardo sul mio viso, era troppo pesante da sopportare.
-Io non mento- pronunciò fermo cercando di sostenere il mio sguardo mentre io tentavo di sostenere il suo. Non seppi dire se mi sentissi ancor più presa in giro da quelle parole o se ci credessi.
-Allora mostrami chi sei veramente-.
Non mi aspettavo di essere presa così alla lettera, ma fu questione di pochi secondi e, mentre un attimo prima stavo osservando il viso di Peter, quello seguente vedevo il volto di Justin che mi guardava ansioso. Mi si fermò il cuore, il respiro si bloccò in gola, le lacrime salirono agli occhi che bruciavano al sol sfiorare l’immagine di Justin.
-Cosa… perché sei diventato… insomma perché sei così… sei tu?- farfugliai con gli occhi spalancati e la sorpresa stampata in faccia.
-È l’eclissi. Solo durante un’eclissi di luna posso mostrarmi per ciò che sono, ma posso farlo solo stando qui, al lago- dopo averlo ascoltato portai il mio sguardo verso il cielo dove la luna stava piano scomparendo. Tornai ad osservare la sua nuova, vecchia faccia e mi ritrovai ad indietreggiare, forse per paura, forse no, semplicemente non sapevo più chi avevo davanti. Riuscivo solo a vedere il volto di un bugiardo del quale forse ero innamorata, ma adesso che senso aveva provare qualcosa per una persona così orribile?
-Ma tu chi sei?- dissi con disgusto allontanandomi sempre di più. –Non posso dare il mio sangue ad una persona come te- sibilai con la rabbia negli occhi –Io non lo farò mai- pronunciai quelle parole con l’intento di fargli del male, volevo distruggerlo come lui aveva fatto con me, togliergli ogni speranza. E forse ci riuscii perché il suo volto divenne una smorfia di orrore, la stessa espressione che avevo io da quando ero in quel mondo.
Per un motivo o per un altro non godei tanto come mi ero immaginata nel vederlo così, quindi scappai via da lui, ormai era quello che mi riusciva meglio.
Corsi nella foresta, non avevo una meta, sapevo di non poter andar via, ma come avrei potuto tornare al castello? Non mi fidavo di Peter, non sarei neanche stata in grado di guardarlo in faccia senza averne paura, perché di una cosa ero certa, Justin, quello vero, era un bugiardo egoista, ma Peter era senz’altro un bugiardo egoista senza cuore.
Ero così tanto furiosa da poter pensare di andare comunque al castello ed affrontare Peter e Cameron per distruggerli definitivamente, ma mi restava ancora un po’ di lucidità, quel tanto che mi bastava per comprendere quando era tempo di guardare in faccia la realtà ed accettare il fatto che loro sarebbero stati sempre più forti di me. Dalla loro parte avevano potere ed erano senza pietà, io probabilmente non sarei riuscita a fargli più di un taglio.
Ancora non potevo credere a tutta quella faccenda, mi avevano tutti presi in giro, tutti sapevano di Peter e Justin, compreso Jace, be’, non che da lui mi aspettassi qualcosa, praticamente non eravamo neanche conoscenti. Ma ero sicura che anche lui era coinvolto in quella storia. Oh, accidenti! Perché ero stata così cieca?!
Percepii calore sulle guance ed accolsi con strano sollievo quelle lacrime, ma non mi sentii meglio, ero solo più arrabbiata, infuriata con il mondo intero. Per un attimo pensai fosse stato meglio morire fin da subito, perché adesso stavo comunque morendo, ogni giorno di più.
D’un tratto, mentre correvo alla cieca schivando alberi e buche, una dolorosa fitta alla testa mi fece bloccare sul posto. Il mio volto si trasformò in una maschera di sofferenza, la mia bocca si aprì in un grido muto, le mie mani corsero alle tempie ed il mio corpo, in seguito a spasmi incontrollati, prese a contorcersi sul terreno umido e gelido. Il dolore continuava a colpirmi e mi sentivo come se mille lame incandescenti mi stessero forando il cervello. L’impatto che inizialmente ebbe tutto ciò su di me mi tolse il fiato, ma adesso ero abbastanza distrutta, abbastanza terrorizzata da poter gridare.
Continuai ad urlare a squarciagola, lasciando che le lacrime mi rigassero il viso e permettendo al dolore di prendere il sopravvento su di me fino a quando anche gridare divenne insopportabile e le lacrime finirono per prosciugarsi. Fu all’ora che il buio mi ingoiò.    
 
 
 
I AM HERE!:)
Rieccomi, forse in anticipo, ma probabilmente in ritardo;)
Spero solo che il capitolo vi sia piaciuto e che ora non mi odierete dopo aver fatto questa scoperta. Ma ricordatevi che io vi avevo avvertite, questa non è una storia come un’altra, non per altro mi piace sempre ricordarvi che lo slogan è: NIENTE È COME SEMBRA!

Ho tentato di rendervi al meglio la situazione di Peter e Justin… credo abbiate capito che fin dall’inizio loro non erano ciò che pensavate fossero: quello che sembrava Justin in realtà era Peter e quello che era Peter in realtà era Justin, ciò vuol dire che, come ha pensato Maya, è sempre stato Peter a comportarsi da stronzo con lei, mentre invece era stato Justin a salvarla e proteggerla… vedetela come una cosa positiva lol:)
Questo capitolo si è concluso con un altro fatto misterioso e strano, la nostra Maya, dopo essersi contorta inspiegabilmente dal dolore, è ovviamente svenuta. Cosa le capiterà ancora ora che è sola?

Scoprirete questo e molto, molto altro nel prossimo capitolo:))
Grazie a tutti quelli che hanno letto e recensito il mio capitolo precedente, spero continuerete a farlo:) Grazie anche a chi semplicemente legge la storia e a chi la mette tra le preferite/seguite/ricordate, GRAZIE!:D
A presto allora;)
Baci
Alena18 xxx  

 
  
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