Nell’introduzione
scrivere:
PARTECIPANTE
AL MULTIFAN CONTEST –ONESHOT INDETTO DA EOS_92 SUL FORUM DI
EFP
Titolo:
Io non ti farò male.
Nickname
Forum EFP: alida
Pacchetto
scelto: Pacchetto Quotes
Prompt
utilizzato: : “Quello in cui sono
nato è
il mondo in cui ci sei tu… Un mondo in cui tu non ci sei mi
è del tutto
sconosciuto, non saprei nemmeno dire se esiste o meno”.
“Io invece ho aspettato
finché non sei nato tu. Ho aspettato da sola in un mondo
senza di te”. Gridare
amore dal centro del mondo. Kyoichi Katayama
Personaggi/Coppia:
Bruce/Hulk
Rating:
verde
Genere:
introspettivo
Avvertimenti:
nessuno
Note
dell’autore: i dialoghi tra Bruce e Hulk sono dialoghi
interiori, mentali e non
sono udibili se non da Bruce e Hulk. Graficamente sono in obliquo.
Un’altra
battaglia contro il male era stata appena conclusa, ovviamente con
risultati
positivi: il male prima o poi giunge sempre alla fine, si spiana la
strada da
solo senza neanche accorgersene e ai buoni, a quelli che sopravvivono
nello
scontro, spetta rimettere a posto i pezzi sparpagliati e ricomporre un
presente
vivibile.
Quante
volte Bruce si era fatto questo ragionamento non sapeva dirlo, ogni
volta era
una vittoria e contemporaneamente una sconfitta, perché lui
rimetteva i pezzi
apposto e l’altro distruggeva.
Già,
l’altro. L’altro che era stato un grande
errore, che non aveva ragion d’esistere se non la follia di
uno scienziato di
credere di essere
arrivato laddove non è
permesso, dove qualcuno, forse più saggio degli uomini,
aveva dichiarato che
non era lecito entrare: il mondo dei superuomini.
Esistevano
già tante creature “super”, forti,
indistruttibili e forse al genere umano
spettava primeggiare in campi diversi dalla
forza fisica e dall’indistruttibilità e qualcuno
aveva voluto ricordarglielo trasformandolo
da un eccellente scienziato in un super-uomo-non-uomo-verde.
L’altro
che, prima di tutto, era pur sempre lui e la sua rabbia repressa.
Quest’ultima
battaglia però aveva
messo a dura prova
tutti, ovvero Bruce, Tony, Steve e Natasha.
La situazione aveva preso da subito una brutta piega, i
mostri venuti
dallo spazio erano giunti con un unico obiettivo: rapire bambini. Steve
aveva
cercato di coordinare i suoi compagni, ma Natasha non aveva seguito gli
ordini
del Capitano e questo aveva creato incomprensioni e problemi sul campo.
Steve
era adirato, Natasha credeva di aver agito al meglio, Tony cercava di
calmare
le acque e Bruce teneva sotto controllo Hulk, che non aveva ancora
smaltito
tutta la sua furia; tutti rimasero in silenzio fino a quando non si
trovarono
nel salotto della Stark Tower, dove vivevano assieme già da
un paio di mesi.
“Dove
siamo?”.
“Siamo
alla
Stark Tower. E’ un posto sicuro, Hulk”.
Natasha
e Tony si buttarono immediatamente sul divano. Steve andava avanti e
indietro
nel grande soggiorno, guardava Tony che indossava ancora
l’armatura, ma almeno
aveva avuto la grazia di sollevare la visiera e poteva vederlo in
faccia,
Natasha invece teneva addosso la sua maschera da spia, e
perciò il suo viso era
impassibile.
Il
Capitano poggiò lo scudo sul tavolino, si sedette, si
rialzò, si mise a
camminare e poi allargò le braccia in segno di resa.
“Io davvero non riesco a
capire cosa ti sia passato per la testa”, disse rivolgendosi
a Natasha.
“Non si possono
rispettare gli ordini quando
la situazione cambia ogni secondo”.
“Gli
ordini erano semplici e la situazione non c’entra niente, ero
stato chiaro, ti
dovevi occupare delle porte sul retro
dell’edificio”.
“Stavo
andando sul retro, ma alcuni alieni stavano forzando le finestre
laterali”, rispose
Natasha alzando la voce. Cosa voleva il Capitano? Dei colpevoli? Lei
non ci
stava a prendersi la colpa, proprio per niente.
“Cap,
dai. Siamo tutti stressati, ma è andato tutto per il
meglio…”, sospirò Tony.
“Certo”,
lo fermò Steve “l’importante
è trovare una via d’uscita, vero Stark!”.
“Ehi,
dati una calmata, è stata una giornata difficile per
tutti…”.
Il
battibecco proseguiva, ma nessuno dei tre coinvolti poteva sentire
l’opinione
in merito di un quarto elemento della squadra, se non Bruce. Hulk
infatti era
arrabbiato, rapire bambini era disumano e poi cosa volevano farsene dei
bambini
quei mostri? Lui non ne avrebbe mai rapito, anche se un mostro lo era.
Agire
era prioritario e rispettare gli ordini secondario.
In
questa situazione iniziò il dialogo mentale tra Bruce e un
Hulk sempre più
agitato.
“Calmati, Hulk.
Stanno solo discutendo”.
“Non
mi
interessa, non voglio. Bisogna fermare i cattivi”.
“Non
ci sono
cattivi, qui”.
“I
cattivi
sono ovunque”.
Bruce
si era defilato da una parte, il colore della sua pelle variava dal
normale
bianco al verde chiaro un’infinità di volte al
minuto, ma nessuno sembrava
accorgersene. E chi mai pensava a Bruce? Chi mai pensava a Hulk!
Loro vivevano in un mondo a
parte, dove era
meglio non discutere, dove era meglio tenere le acque calme. Acqua,
sì. Un po’
d’acqua forse sarebbe servita a Bruce per placare la sete di
distruzione con la
quale Hulk lo stava inondando, così si avvicino al banco-bar
e se ne verso un
po’.
Intanto
attorno al divano la discussione non aveva fine e i toni stavano
aumentando.
“C’è
sempre un motivo se io do un ordine! Stark li combatteva in aria, Hulk
era in
esecuzione attorno all’edificio, io all’interno e
tu dovevi stare in quella
maledetta porta!”.
“Non
potevo non intervenire!”, si difese Natasha affrontando Steve
a braccia
conserte.
“Nat
ha ragione, se fossero entrati dalle finestre laterali avrebbero avuto
accesso
alla sala mensa…”, l’appoggiò
Tony.
Ma
Steve era irremovibile: “Se fossero entrati avrebbero trovato
me. Pensi forse che
li avrei lasciati passare?”.
“Non sto dicendo
questo…”.
Steve
si avvicinò a Natasha puntandole l’indice contro e
alzando ulteriormente la
voce. “Se avessi fatto il tuo dovere non avrebbero sfondato
la porta sul retro,
i bambini erano disperati e correvano da tutte le parti”.
A
questo punto Natasha non ce la fece più e, persa la calma
che
contraddistingueva, spazientita oltre ogni modo, cominciò a
gridare ancora di
più: “Non si è fatto male nessuno,
Steve!”.
Qualcosa
a quel punto scattò dentro Hulk, un istinto di difesa nei
confronti di Natasha;
il nemico era di nuovo presente e gridava contro la sua amica, la quale
cercava
di non soccombere. Bruce, però,
sentiva
benissimo il malessere del mostro crescere e inspirando una boccata
d’aria
parlò ancora dentro sé.
“Natasha
sa
difendersi”.
“Natasha
è
mia amica”.
“Anche
Steve, anche Capitan America”.
“Amici
non
gridano”.
E
poi accadde l’imprevedibile, una piccola goccia che fece
traboccare il vaso
colmo di tensione all’interno dello scienziato. Tony si tolse
la tuta di Iron
Man causando un rumore meccanico e metallico, che ricordava tanto i
mostri
appena affrontati.
“I
mostri
sono qua!”, gridò rabbiosamente Hulk .
“No,Hulk. E’ la tuta di
Tony”, gli fece notare
pacatamente Bruce.
Tony
si avvicinò a Steve. “Capitano, fai un respiro
profondo”.
“Ah,
non ci credo, Stark! Stai cercando di calmarmi, non ne ho bisogno, so
benissimo
quello che sto dicendo”.
“Dovremmo
calmarci tutti”, specificò Natasha dando le spalle
ai due Avengers e
allontanandosi.
In
quel preciso istante, come si voltò, Natasha capì subito che
qualcosa di inarrestabile
stava accadendo: sentì la mano di Steve poggiarsi
gentilmente ma con fermezza
sulla sua spalla mentre le chiedeva di restare e contemporaneamente
vide gli
occhi tristi di Bruce, cerchiati da un verde sempre più
intenso, chiedere
perdono in anticipo.
Poi
l’urlo di Hulk irruppe nella stanza e con un balzo la sua
mano enorme si
strinse attorno al petto di Steve che urlò dal dolore e
dallo spavento.
“No,
lascialo!”.
Tony
si spostò di lato per non essere schiacciato. “Oh,
misericordia! Dai,
ragazzone, lascia il Capitano”, provò il
miliardario.
Allo stesso tempo Natasha si
avvicinò a Hulk
cercando di attirarne l’attenzione.
“Fermati,
Hulk. Siamo tuoi amici”.
Hulk
guardava Steve lottare con tutte le sue forze per riuscire a
svincolarsi dalla
presa, ma nonostante il siero lo rendesse forte, non poteva opporre la
forza
necessaria .
“Bruce!”,
chiamò Tony “Riprendi il controllo”.
Bruce
poteva sentire gli sforzi di Natasha e Tony, ma Hulk era ancora troppo
lontano,
la sua rabbia troppo difficile da placare.
“Hulk,”
tossì Steve “fa male …
basta”. Le braccia di Steve poco alla volta si arresero,
il dolore al petto cresceva di pari passo con le urla del gigante
verde, che
scuoteva la testa nel tentativo di cancellare tutte le voci, compresa
quella di
Bruce.
Natasha
si fece coraggio e allungando la mano toccò il braccio di
Hulk; Steve stava
boccheggiando per un po’ d’aria, bisognava
intervenire al più presto.
“Hulk,
guardami, guardami!”, ordinò
Natasha con
sicurezza.
“Guardala,
Hulk!
Ascoltala!”.
Hulk
la guardò senza mollare la presa. “Cattivo. Steve
urla”.
“Sì,
ma stavamo urlando tutti”.
“Lui
vuole fare male”, ripeté Hulk continuando a
stringere Steve, che ormai non
gridava più ma cercava di concentrarsi nella respirazione.
Natasha
aveva le lacrime agli occhi. “No, non mi farà del
male”.
Hulk
la guardò, stava piangendo eppure attorno a lei non
c’era nessuno
a farle del male, forse era il suo
comportamento che la faceva soffrire, forse poteva rassicurarla che
tutto
sarebbe andato bene.
“Io
non ti farò male”.
Steve
ansimava, poi a un certo punto la testa gli cadde di lato. Tony
guardò con
apprensione Natasha, doveva sbrigarsi, fare in fretta.
“Hulk,
lascialo. Ti prometto che andrà tutto bene”.
Il
viso di Hulk si rattristì e poi con la stessa
velocità con cui aveva stretto la
mano attorno al petto di Steve, lo rilasciò, facendolo
cadere a terra. Tony e
Natasha accorsero subito in aiuto del Capitano, mentre Hulk si
rannicchiò in un
angolo del soggiorno.
Bruce
tentò di prendere il controllo, ma Hulk non cedeva.
“Cosa
hai
fatto, Hulk. Steve è nostro amico”.
“Mi
dispiace,
non volevo”.
“Sei
un
mostro! Come farò adesso a guardarli in faccia? A restare
con loro?”.
“Non
volevo,
continuava a gridare. Natasha mi vuole bene”.
“Hulk,
vattene! Ridammi il mio corpo”.
“No,
aspetta. Non andartene!”.
“Non
capisci, proprio. Vero? Io voglio che tu sparisca!”.
“Io
voglio
restare, mi dispiace. Perdonami!”.
“Da
quando
ci sei, non ho più il coraggio neanche di stare in mezzo
alla gente. Loro sono
le uniche persone con le quali mi sento al sicuro e tu cosa fai?
Distruggi
tutto, sai solo distruggere tutto. Vattene da un’altra parte.
Lasciami solo!”,
pianse
Bruce.
“Andarmene?
E dove?”,
domandò con ingenuità Hulk. “Quello in cui sono nato è il mondo in
cui
ci sei tu… Un mondo in cui tu non ci sei mi è del
tutto sconosciuto, non saprei
nemmeno dire se esiste o meno”.
Questa
era la vera questione, e Bruce lo sapeva. Hulk non aveva chiesto di
nascere,
era stato lui a crearlo come un figlio nato da un rapporto occasionale,
e
adesso che era nella sua vita ci sarebbe rimasto per sempre.
“Oh,
signore. Certo che non puoi, perché tu sparisca dovrei
morire io…”.
“Non
lo
permetterò! Ti proteggerò sempre”, lo
rassicurò Hulk a modo suo.
“E
chi mi
proteggerà da te? Chi proteggerà le persone che
amo da te?”.
“Io
non farò
del male a Steve, mai più, neanche se grida”.
Bruce
sorrise di malinconia. Hulk sembrava davvero un bambino cresciuto nel
corpo ma
non nella mente, era molto elementare e diretto, era tutto
ciò che lui aveva
imparato a non essere per difendersi dalla vita e dalle illusioni o
meglio
dalla consapevolezza delle disillusioni.
Adesso
invece le sue vittorie erano state messe in dubbio, perché
se era vero che Hulk
non si comportava come lui, era anche vero che non poteva esserci in
Hulk ciò
che non c’era in lui. Inoltre la presenza del gigante verde
lo aveva costretto
ad affrontare non solo se stesso e gli altri, ma anche tutto
ciò che lui aveva
sempre cercato di evitare sia prima che dopo l’esperimento
con i raggi gamma:
la sua forza repressa, la vastità del suo dolore.
Bruce
non aveva mai voluto usare la forza ed era sempre fuggito dal proprio
dolore,
ma Hulk portava in primo piano tutto questo e non si poteva voltare
faccia e
dimenticare tutto. Per una persona sola era un peso enorme e chiunque
ne
sarebbe rimasto schiacciato e Bruce si rese conto che se non fosse
stato per
Hulk, lui non sarebbe mai riuscito ad affrontare realmente la vita,
senza Hulk
avrebbe vissuto evitando di comprendere la vita.
Rifletteva,
isolandosi da tutto, da tutti e anche da Hulk. Poi sentì una
voce, piccola e
rauca che in sottofondo continuava a chiedere:
“Vuoi
davvero che sparisca? Me ne vado?”.
Bruce
sospirò. “No, non voglio
che sparisca
perché se tu per vivere sei nato in un mondo in cui io
c’ero già, io … io
invece ho aspettato finché non sei nato
tu. Ho aspettato da sola in un mondo senza di te, prima di te
fingevo di
vivere nascondendomi dietro una vita regolata e precisa. Adesso invece
è, a
nostro modo, tutto più facile”.
“Allora rimango”, disse
soddisfatto.
Bruce
rise. “E dove vuoi
andare?”.
Senza
rispondere, Hulk svanì e Bruce si ritrovò
nell’angolo del soggiorno dentro un
paio di pantaloni giganti. Natasha gli aveva già portato
affianco un
accappatoio perché si potesse coprire.
Bruce
prese coscienza di sé e della realtà che lo
circondava. Sul divano Tony e
Natasha cercavano di tenere giù Steve che si lamentava del
loro grado di
apprensione.
“Non
vi ricordate? Il siero mi rende molto forte e posso guarire
velocemente”.
Tony
sollevò gli occhi al cielo e disse: “Ti stava
scricchiolando le costole!”.
“Ma
no, non esagerare”.
“Sei
svenuto, Steve”, gli
fece notare
Natasha.
“L’ho
fatto apposta, fingevo”, li rassicurò il Capitano.
“Allora
non hai niente di grave?”, domandò una voce
titubante.
I
tre Avengers si voltarono verso Bruce, che si era già
coperto; lo scienziato
sorrise timidamente e tentò di spiegare: “Hulk era
preoccupato per Natasha,
credo sia dispiaciuto…”.
Natasha
era leggermente imbarazzata, così come Steve che non sapeva
che dire. Tony
sorrise e l’idea che gli venne in mente era sempre la stessa:
“Allora shawarma
per tutti!”.