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Autore: Eleix Moone    29/07/2015    2 recensioni
Enjolras pensa che la sua vita sia finita quando gli viene detto che può scegliere di passare un anno in un ospedale psichiatrico, o sette anni in carcere.
Accidenti se si sbaglia.
[Modern!AU] [Enjolras/Grantaire; Combeferre/Courfeyrac; Joly/Bossuet]
[TRADUZIONE TEMPORANEAMENTE SOSPESA CAUSA IMPEDIMENTI PERSONALI. Questo non significa che l'autrice dell'originale abbia smesso di pubblicare, pertanto riprenderò in mano la storia il prima possibile.]
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Combeferre, Courfeyrac, Enjolras, Grantaire, Jean Valjean
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Disclaimer: Io sono solo la traduttrice di questa storia. L’originale si trova sul sito FanFiction, e rappresenta copyright dell’autore, Eleix Moone. I personaggi appartengono invece a Victor Hugo.
 
I
 
Enjolras osservò la casa cominciare a dissolversi in scintillanti esplosioni di calore rosso e arancione, disintegrando il tetto, le pareti, e i vetri oscurati delle finestre in soli pochi secondi. Si era assicurato che buona parte dell’edificio fosse stato tinteggiato con uno spesso strato di  benzina prima di lanciare il fiammifero sulle scale di legno, che ora giacevano carbonizzate in un cumulo di fronte alla porta.

Fece un sorrisetto, cacciandosi una mano in tasca e tirandone fuori il suo pacchetto di sigarette. Aprì la confezione e sfilò una stecca. La intrappolò fra le labbra e si accovacciò vicino al fuoco, tenendosi in equilibrio sui talloni il più cautamente possibile mentre inspirava, liberando un sospiro silenzioso quando l’estremità della sigaretta iniziò ad ardere.

Si rimise in piedi, tenendo la sigaretta in bocca mentre sfilava i guanti di lattice che gli coprivano le mani. Lo aveva fatto ad abbastanza società succhia-anima e politici da sapere esattamente cosa doveva fare per non essere beccato. Appallottolò i guanti ed estrasse la sigaretta dalle labbra mentre raggiungeva il limitare del giardino dove aveva lasciato il suo zaino. Tirò fuori una bustina a chiusura lampo e ci ficcò i guanti, assicurandosi che fosse sigillata prima di stiparla sul fondo dello zaino.

Il suo compito era terminato. Lanciò un ultimo sguardo alla casa in fiamme, facendo una smorfia di soddisfazione quando il tetto crollò e precipitò attraverso la camera da letto del secondo piano verso il suolo. Cominciò a tornare verso la sua macchina, con la testa che ronzava mentre pensava a quello che aveva appena distrutto. C’era un uomo, Michael Fomay, che acquistava spose dai paesi dell’Est Europa unicamente per poi rivenderle ad un prezzo più alto a ricchi uomini d’affari che pensavano più con il portafoglio e il cazzo che non con la testa. Enjolras aveva precedentemente fatto ricerche, e sapeva che Michael teneva il 90 percento dei suoi documenti contraffatti sotto chiave nello studio del primo piano.

Certo, Enjolras avrebbe potuto introdursi nella casa e rubare le carte, magari persino consegnarle alla polizia, ma non era quel tipo di persona. Quando faceva qualcosa, non la faceva col culo. Bruciare solo i documenti sarebbe stata pigrizia, e consegnarli… be’, Enjolras non avrebbe mai fatto niente per aiutare uno sbirro, nemmeno se avesse significato salvarsi la pelle. Avrebbe preferito morire per iniezione letale o sulla sedia elettrica, piuttosto che mostrare una singola briciola di rispetto per quegli idioti. No, bruciare l’intera casa doveva essere fatto.

Enjolras sollevò meglio lo zaino sulle spalle, concedendosi un ultimo tiro della sigaretta prima di gettarla per terra e spegnerla con la punta del suo stivale. Chiuse la cerniera del giubbotto e alzò il cappuccio, assicurandosi che nessuno dei suoi riccioli dorati lunghi fino alle spalle fosse visibile sotto i lampioni che stava accuratamente cercando di evitare. Incrociò le braccia al petto, lasciando che la sua mente si soffermasse sull’impresa che aveva appena portato a termine. Stava decisamente diventando un piromane piuttosto abile, e doveva ammetterlo, amava ogni secondo di tutto ciò. Una volta organizzava proteste e manifestazioni per cambiare il mondo, ma più cresceva, più si rendeva conto che se voleva che le cose fossero fatte bene, doveva farsele da solo. Doveva fare qualcosa di concreto per distruggere le vite di tutti quegli uomini e donne orribili, e di tutti i modi che aveva imparato, l’incendio doloso era rapidamente diventato il suo preferito.

Una cosa che Enjolras non aveva mai imparato, tuttavia, era tenersi alla larga dai pericoli. Era così perso nei propri pensieri che non si accorse di star inciampando su una sporgenza nel cemento finché non volò per aria e atterrò sulla testa e sul collo.

E a malapena si rese conto che tutto era diventato buio.

Quando alla fine Enjolras si svegliò, diverse ore dopo, la testa gli stava martellando e la sua bocca sembrava fatta di cotone. Aprì gli occhi lentamente, emettendo un altro gemito quando vide dove si trovava. Le pareti erano di un grigio sbiadito, e l’unica luce nella stanza proveniva da una fioca lampada gialla che oscillava avanti e indietro nel corridoio subito fuori le sbarre. Tutto intorno a lui, riusciva sentire le voci di uomini che imprecavano contro le guardie, e di prostitute ubriache che strillavano e trattavano per essere liberate così da poter pagare l’affitto e dar da mangiare ai figli.

Quando una guardia venne verso di lui, Enjolras sentì un’intensa fitta di disprezzo. Lasciò la branda, dura come una roccia, e scattò in avanti, sputando direttamente in faccia alla guardia. Gli occhi della sentinella si incendiarono come la casa in fiamme, ma quello non reagì. Invece, chiuse gli occhi per qualche secondo e iniziò a contare, la sua bocca che si muoveva silenziosamente.

Alla fine, la guardia riaprì gli occhi ed estrasse dalla tasca le chiavi della cella. Fece un cenno con la testa verso la parte anteriore del carcere mentre apriva la serratura. “La cauzione è stata pagata” disse, tirando la porta e tenendola aperta. Enjolras non disse nulla, prima di sputargli di nuovo addosso e dirigersi verso l’entrata.

Quando Enjolras raggiunse la fine del corridoio, si fermò improvvisamente alla vista di un uomo ben vestito e curato che lo fissava. Tentò di passargli davanti, ma l’uomo allungò un braccio e gli afferrò la mano. “Ciao, figliolo. Credo proprio che dovremmo fare un discorsetto.”



 
   
 
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