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Autore: Alex Wolf    30/07/2015    2 recensioni
Storia prima denominata "La frusta dell'esorcista."
Dal capitolo 7°.
«Siete spregevole!» La mano di Thierry sfiorò la mia guancia, prima che la mia stessa Innocence gli imprigionasse il polso in una morsa ferrea. Riuscii a vedere il mio riflesso nei suoi occhi sorpresi, spaventati: una macchina assassina che non prova pietà per nessuno, neppure per coloro che combattono nella sua stessa fazione.
«Sono un diavolo, scelto da Dio ma pur sempre un diavolo, e in quanto tale è nella mia natura essere spregevole» sibilai, strattonandolo da una parte. Il corpo dell’uomo volò attraverso la foschia, tagliando la nebbia e creandovi un corridoio che si andò a riempire qualche minuto dopo il suo passaggio; dopo di che, atterrò sotto l’albero del Generale. Richiamai a me l’innocence, tornando a vedere a colori abitudinari e sistemai entrambe le braccia sui fianchi. Gli puntai un dito contro, affilando lo sguardo quasi a volerlo tagliare. «Prova a sfiorarmi ancora e la tua vita finirà in quell’istante.»
Genere: Generale, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Allen Walker, Nuovo personaggio, Rabi/Lavi, Un po' tutti, Yu Kanda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 14.


Prima sfioritura.



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Soffia il vento, portando con se i primi petali.
 
 

Quando aprii gli occhi, la prima cosa che sentii fu un vuoto al petto. Un enorme risucchio, che scavava dentro di me e tentava di farmi soffocare. Avevo bisogno d’aria, subito.
La mia faccia batteva a terra, fredda contro il terreno. Non avevo più sensibilità di movimento, e sentivo il corpo tremendamente pesante, ma dovevo muovermi. Dovevo respirare, altrimenti sarei morta. Con un colpo di reni mi girai con la pancia verso l’alto, guardai il cielo nero e respirai incanalando più aria che potevo. Mi sembrò di rinascere, ma al tempo stesso di morire. C’era qualcosa che non andava. I miei polmoni si gonfiavano, ma pareva che l’aria stentasse a entrare.
Facevo fatica a ricordare cosa fosse successo dopo la scomparsa di Tyki. Mi venivano alla mente solo immagini nere accompagnate da un forte vento caldo e soffocante. Poi tanto dolore. Dolore ovunque, continuo, pulsante. Urla provenienti da ogni dove.
Alzai un braccio verso il cielo, l’ustione si confondeva con la notte. Analizzai le mie dita bruciate, reprimendo una smorfia di disgusto nel constatare che forse, quella volta fuori dall’ospedale di Yeegar, Anita aveva avuto tutte le ragione per fare quella faccia.
«Maledizione» sussurrai a me stessa, prima di stringere quel braccio segnato dalle fiamme al petto. «Prima quello spettacolino della crescita, poi quegli strani occhi che mi fissavano, dopo quel maledetto porcospino che scompare nel nulla e adesso questa dannata allucinazione. Che mi sta succedendo?» Osservai l’Innocence al mio braccio: «Che scherzi mi vuoi giocare?»
Repressi una grido frustrato e mi alzai, barcollando un poco sulle gambe. «Sei proprio senza speranza, cara la mia esorcista» borbottai fra me e me, barcollando nel fumo che mi accerchiava.
«Evangeline», che voce pallida. «Evangeline», l’ho già sentita da qualche altra parte. Ma è troppo lontana, non riesco a capire di chi sia. «Aiutami.»
Allungai un braccio nel vuoto, convinta che la persona che mi chiamava fosse davanti a me. Non trovai nessuno. Deglutii.
E’ solo un’allucinazione. Un’allucinazione e nient’altro. Ignora e vai avanti.
«Evangeline», sembrava una supplica. Un richiamo preoccupato. «Evangeline, tirami fuori di qui. Aiutami.» Mi tappai le orecchie, scuotendo il capo. «Eve, aiutami.»
Sgranai le palpebre. «Lenalee!» Perché ci avevo messo così tanto a capire che era lei? «Lenalee, DOVE SEI?» Avevo urlato così forte che la voce mi aveva graffiato le corde vocali, portandomi a raschiare ogni parola.
Iniziai a correre alla cieca cambiando in continuazione direzione, più lei mi chiamava più io mi sentivo in colpa. Avrei dovuto capire subito a chi apparteneva quella voce. Invece, ero rimasta ferma nel bel mezzo del nulla a parlare con me stessa.
Affondai l’ennesimo passo, evitando per un pelo i fili affilati come rasoi di Marie. La nebbia si sciolse, allontanandosi da me come per magia. Le lucenti corde dell’esorcista vibrarono nel vento, soffiando a pochi millimetri dal mio volto.
Incontrai gli occhi ciechi di Marie, mentre lui si sforzava di tenere a bada uno scimmione dalla testa a punta. Lavi, sdraiato a terra, tentava di rialzarsi. Ma non fu quello ad attirare la mia attenzione: poco lontano, puntato verso il cielo come uno smeraldo illuminato dal sole, si ergeva l’Innocence cristallizzata di Lenalee.
Era bellissima, brillante e calda. Potevo sentire la sua temperatura persino dal punto in cui ero. Era una costruzione così imponente da portare ad alzare la testa.
«Evangeline, aiutami. Fammi uscire di qui!» il grido della cinese si spanse nell’aria. Il mio cuore saltò nel petto, portandomi a gridare a mia volta: «Sono qui! Arrivo Lena, sto arrivando!»
Scivolai sotto le lunghe corde di Marie, sentendole soffiarmi sopra il capo. Poi corsi via. Non sentivo male ne alle gambe, ne al petto o alla testa. Era come se tutto fosse scomparso. Tutto era passato in secondo piano dopo che avevo sentito la sua voce chiamarmi, gridare di aiutarla.
«Sono qui! Sono qui, sono qui, sono qui, sono qui» continuavo a ripeterle, a ripetermi. Era come un karma,  mi aiutava a dimenticare la fatica.
Correvo più veloce del vento, come se ne andasse della mia vita. E quando la raggiunsi, e la sua mano si impresse contro il cristallo non potei fare altro che farla coincidere con la mia. Sperai di riuscire a salvarla, perché sennò sarei morta io.
«Ora… ora ti tiro fuori di qui, lo giuro» sussurrai senza fiato, ma abbastanza forte perché lei potesse capirlo. «E quando sarai uscita, parleremo di questa tua strana Innocence, va bene?»
«Evangeline» Il mio cuore si strinse, in una morsa dolorosa e pungente.
«Lenalee, stai tranquilla. Sono qui, ora ti tiro fuori.»
«Si. Si, va bene» singhiozzò, stringendo un poco le dita contro l’innocence cristallizzata.
Qualcosa si mosse dentro di me, portandomi a digrignare i denti. «Non piangere, non piangere Lenalee, ti prego.» Mi allontanai e evocai Rose. «Ora ti tiro fuori. Fidati di me.»
Caricai le braccia, evocando il secondo livello di Rose e avvolsi l’innocence di Lena con la mia. Il calore che l’avvolgeva arrivò anche a me, infondendomi sicurezza. Ok, ci sono quasi, resisti ancora un po’. L’arma di Lenalee si piegò un poco sotto lo sforzo della mia. Il rumore del mio braccio che iniziava a spezzarsi rimbombò sotto le forti ondate dei colpi che arrivavano da lontano, sul campo di battaglia.
Faceva male; ne avrebbe fato di più se non fossi riuscita a salvarla.
«Ci son…» venni sbalzata via da un’onda d’urto.
Volai per qualche metro, sentendo il vento caldo frustarmi i vestiti. Atterrai sulle piante dei piedi, aggrappandomi con le mani alla pavimentazione che si sfaceva sotto le dita. Rose rimase aggrappata all’innocence di Lenalee.
La terra era solcata da profondi graffi; le mie mani e le mie braccia erano nere. Il sudore m’imperlava la fronte. Mi ritrovai ad alzare il viso. Lo sguardo rosso che brillava in quella landa oscura che era Edo.
E accadde tutto in un tempo talmente ristretto da stupire tutti. Una bolla nera avvolse Lenalee, inghiottendo anche i fili di Rose al suo interno. Qualcosa iniziò a morderli, a tirarli, a strapparli. La risata della nemesi dell’Ordine Oscuro si dilagò fra di noi. Mi si bloccò il fiato in gola. Nessuno parlò per qualche tempo. Minuti che mi parvero ore.
Dannazione!
«Kanda!» urlai, cogliendo la sua sagoma muoversi verso Lenalee. Ero in trappola,  dovevo intervenire in qualche modo.
La risata del Conte del Millenio mi risuonò nelle orecchie. Mi morsi il polso, mentre osservavo il mio compagno scagliarsi contro la Dark Matter.
Però, più addentavo la mia stessa Innocence, più mi sembrava che lei volesse aggrapparsi a me. Ero connessa a Rose da così tanto tempo che riuscivo a sentire i suoi sentimenti. Mi si stringeva lo stomaco. Rabbia, dolore, frustrazione per quella situazione fuori controllo si stavano mescolando. Stavano andando a creare un tornado pronto a travolgere ogni cosa.
Con il fiato corto restai a guardare il Conte avvicinarsi a Lenalee. Dovevo sbrigarmi.
 Bloccai Kanda con le pupille. Riuscivo a vederne il calore corporeo attraverso l’innocence. Mi spiace, mi ritrovai a pensare vedendo i fili luccicare sotto la luce della luna.
 «Taglia i miei fili, Yuu. Tagliali!» Gli ordinai, alzandomi in piedi per allontanarmi più che potevo dalla sfera. Le corde rosse ti tesero, scricchiolarono.
L’esorcista mi lanciò uno sguardo sorpreso. «Andiamo pivello! Riesci a tagliarli oppure no?!» lo spronai.
«Eve, sei impazzita!?» sbottò da lontano Lavi.
«Avanti Yuu!» continuai imperterrita. Mi facevano male i polsi; mi faceva male la mia innocence.
 Ero al corrente che sarebbe successo, ma se avevo intenzione di salvare Lenalee dovevo aggirare ogni ostacolo e puntare dritta alla meta. E in questo momento, Rose intrappolata era un ostacolo.
Perdonami Rose, ma lei viene prima.
«YUU!» In un certo senso mi piangeva il cuore. Stavo per rinunciare alla mia arma per salvare la persona che amavo di più al mondo. Ma ne valeva la pena.
«STRINGI I DENTI» ringhiò lui, scocciato dal mio ultimo richiamo.
 
Parigi
 



«Sebbene questa sia solo una nostra supposizione, noi pensiamo che» un urlo fece girare i tre adulti verso la piccola seduta poco lontano da loro.
Le pupille di Marco si dilatarono per la paura e la sorpresa. Anita si trovò a socchiudere le labbra, davanti allo spettacolo raccapricciante che le si presentava innanzi. Komui deglutì a vuoto.
Davanti ai loro occhi la pelle della bambina si stava scheggiano con un rumore secco - porcellana che cade a terra, corda che si spezza. Lo sguardo terrorizzato di Lynn si perse in quello di Anita, che stava iniziando ad arretrare con la sedia. Pronta a raggiungerla.
Gli occhi di Lynn iniziarono a variare: passavano dal nero al verde, al rosso. Non sta succedendo a lei, pregò Marco. Dai suoi piccoli polsi aveva iniziato a scendere sangue scuro. Macchiava il pavimento di legno, picchiava su di esso come gocce di pioggia sull’asfalto.
La bambina gridò nuovamente.
«Lynn» sussurrò Marco, gettando indietro la sedia. Corse verso di lei.
«Papà» pianse, e le lacrime si mischiarono al rosso. Il bel viso pallido stava perdendo ogni tratto fanciullesco, crepandosi così come stava accadendo alle braccia.
Una profonda frattura si aprì sulla guancia destra, arrivando a sfiorarle l’occhio.
«Komui!» gridò Anita, raggiungendo Lynn, «cosa significa?!»
«Toglietele la pietra dal collo» ordinò l’uomo. «E’ probabile che non solo la sua innocence la colleghi ad altri esorcisti ma persino che le permetta di provare quello che provano loro.»
«Lei sta provando questo?» chiese la scienziata, avvicinandosi al collo della piccola. Allungò le dita per stringerle attorno alla catenina che portava.
«Che le sta succedendo?!» sbraitò Marco, prendendo il supervisore per il colletto della giacca. «Che sta facendo quella dannata pietra alla mia bambina?»
La scienziata tentò di distorcere le urla ed allontanarle da lei. Si concentrò sull’innocence di Lynn, che brillava fievole contro il suo collo. Era tiepida, ma sembrava che Evangeline la sentisse bruciare contro di lei, corroderle la pelle.
Quando Anita la racchiuse fra le proprie dita la pietra le mandò una scossa. Sentì le falangi tremare, tirò la catenina colta alla sprovvista e questa si ruppe. Tutto finì. La lanciò lontana e prese la piccola fra le braccia.
Era calda e non tremava più; la pelle aveva perso quel pallore anormale e i tagli erano scomparsi. Il sangue non colava più, era scomparso come fumo nell’aria. «Ehi» sussurrò la scienziata «ehi, Lynn stai bene?»
La bambina la osservò come se non la vedesse, sembrava potesse guardarle attraverso. Come se… come se si trovasse in un altro luogo e non li, con loro.
«Lynn» provò ancora, carezzandole il capo. «Ehi, piccola.»
«Manca poco» lo disse come se una parte di lei fosse turbata da qualcosa di frustrante, distruttivo. «Manca poco» pianse.  Grossi lacrimoni le rigarono le guance macchiate da strisce rosse. «Manca poco» ripeté. Non fece altro, continuò a ripetere quella frase ancora e ancora e ancora nonostante il padre cercasse di farle dire qualcos’altro. Qualsiasi cosa.
Lynn sembrava essere piombata in stallo. In un mondo parallelo dal quale non poteva, non riusciva più a uscire.
«Tesoro», Marco la strinse a se. «Lynn, tesoro, parla con papà. Ti prego.» La scosse un poco, ma lei non rispose.
Anita chiuse gli occhi, stringendosi fra le proprie braccia. Stava davvero accadendo tutto quello? Perché? Cosa stava succedendo a Edo? La sua Eve stava morendo, oppure quella di Lynn non era altro che una predizione? Qualcosa che sarebbe potuto accadere in un futuro prossimo?
Con gli occhi azzurri ben aperti, la scienziata ignorò i due uomini che stavano parlando alla piccola e li fece allontanare. «Ma che fai?» Marco si dimenò, provando a prenderla per la spalla.
«Stai indietro» gli ordinò «e lascia fare a me.» S’inginocchiò. Il pavimento di legno le graffiò i jeans, portandola a mugugnare un poco. Ma avrebbe fatto di tutto per aiutare quella bambina, perché era troppo piccola e innocente per finire come sua zia. Per restare intrappolata in un mondo sanguinante e doloroso.
C’era solo un modo per tirarla fuori da quel coma improvviso, e Anita doveva riuscirci. Era una scienziata, ma sul suo curriculum c’era scritto anche “dottore” e “psicologo”. Sperava che gli anni passati a non praticare non le avessero fatto perdere il proprio tocco.
Le poggiò i palmi sulle spalle e strofinò un poco per riscaldarla, era fredda come il ghiaccio. Le accarezzò le guance. «Lynn, dove ti trovi adesso?»
La mora tacque, per poi socchiudere le labbra. «In un posto tutto nero.»
«Bene.» Un posto tutto nero, dove poteva essere? La mente di Anita continuava a vagare in tutti i luoghi che conosceva, e ne conosceva tanti. Ma di posti neri, completamente oscuri non ne era a conoscenza. «Sei con qualcuno?»
«Si.»
«Com’è fatto? Cosa indossa?»
«E’ un ragazza, alta. Indossa una divisa nera e argentea, dilaniata in qualche punto.» Il corpo di Lynn ebbe un fremito, le palpebre tremarono. «E’ ferita, perde sangue dai polsi, combatte contro qualcosa di bianco e veloce. Un… demone. Un bambino demone.»
«Vai avanti Lynn, sei bravissima» la incoraggiò la bionda. «Dimmi di più, ti va?» La donna sentiva salire dentro di se l’ansia. Sperava davvero che quello fosse un presagio, nulla di più. Un sogno incondizionato di quella strana innocence che la bambina aveva tenuto fino a quel momento al collo.
«Lei ha la pelle venata. E’ come se si stesse rompendo. Perde  tanto sangue, le braccia sono solo rosse. Lei… lei ha fatto qualcosa di terribile alla sua innocence. Sta… morendo. Stanno morendo entrambe. Posso sentire il loro dolore, fa tanto male.»
« Si può salvare? Tu la puoi aiutare, c’è un modo per farlo?»
La piccola scosse il capo. I lunghi capelli neri le fluttuarono attorno come una coperta d’ombra. «E’ troppo tardi. E’ tutto scritto. Non può più essere salvata. Non posso più» e aprì gli occhi, come se si fosse risvegliata da un incubo.
Per quanto il cuore di Anita avesse smesso di pompare sangue, non poté non sospirare di sollievo. La sua psicologia aveva funzionato. Lynn aveva gli occhi aperti, le lacrime che scendevano e le braccia strette attorno al collo del padre.
La scienziata sospirò, gettandosi a sedere sul pavimento. Ormai c’era poco da essere felici, la predizione di Lynn aveva un soggetto ben preciso e per quanto non volesse ammetterlo faceva fatica a non pensare a quella povera anima. Ma qualcosa per aiutarla doveva esserci. Lei doveva trovarlo un modo per non vedere quella vita sfumare dalle sue mani e dissolversi nel vento.
Doveva.
«Sei stata bravissima. Degno di te, dottoressa» le sussurrò Komui con un sorriso, inginocchiandosi davanti a lei. Gli occhi scuri la osservavano fieri. Ma lei riusciva a guardare oltre quella piccola barriera esterna, riusciva a leggere quelle emozioni che l’affliggevano a sua volta.
Anita annuì, accettando la sua mano per alzarsi. Si concentrò sulle mani del suo superiore, stringendole sempre di più. Ora era lei quella a cui girava la testa. Che si sentiva oppressa da tutta quella verità, nuda e cruda.
«Sei stata bravissima» ripeté lui, carezzandole con le lunghe dita il dorso della mano. Lei si limitò ad annuire.
«Grazie.» Stordita la bionda si voltò. I penetranti occhi blu di Marco la osservavano diversamente da prima, l’astio era scomparso lasciando il posto alla gratitudine. «Ti devo la vita di mia figlia.»
«No» si affrettò a rispondere lei «non mi devi nulla. Solo» si avvicinò a Lynn e le accarezzò i capelli «promettimi di non farla più avvicinare all’innocence, mai. Proteggila da questa dannata Guerra Santa.»
Il giovane strinse di più a se la figlia e annuì, poggiando un palmo sulla spalla della dottoressa. «In un certo senso sono felice che… che mia sorella abbia voi al suo fianco.» Il respiro di Anita e Komui si fermò. Lui sapeva? «Dovete proteggerla, come avete fatto con la mia piccola.»
«Come sai di Evangeline?»
 

Edo
 


«Bookman», la voce era un sussurro appena accennato, «ho delle domande da porti.»
Il vecchio socchiuse le palpebre prima chiuse. L’esorcista lo stava guardando con gli occhi più scuri che le avesse mai visto, colmi di milioni di sentimenti che però lui non riusciva a leggere.
Gli occhi del vecchio si posarono sui suoi polsi fasciati, sulle ferite che aveva in faccia e sulle gambe. Si chiese cosa stesse provando, quella giovane ragazza ormai prossima all’oblio eterno. E si domandò cosa l’avesse spinta a chiedergli di aiutarlo, lei che l’aveva sempre evitato.
«Mi chiedevo quando ti saresti fatta avanti», poggiò la pipa su un sasso e lanciò un’occhiata veloce a quel cretino del proprio apprendista che aveva la testa sotto una cascata.
Lei seguì il suo sguardo, prima di piegarsi sulle ginocchia per raggiungere la sua altezza. «Si, beh, vedi di non farci l’abitudine.»
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
  
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