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Autore: MissMargaery    30/07/2015    1 recensioni
Viola, una ventisettenne intrappolata in una vita che non la soddisfa, prende il volo verso Londra in cerca della sua vera strada. La città farà da scenario all' incontro Hayden, un biologo marino di ritorno da un lungo viaggio, che scopre di aver perso più di quanto immagina.
I loro percorsi si incroceranno, ma riusciranno ad andare entrambi nella stessa direzione?
Dal capitolo I:
Ne aveva sentito parlare fino allo sfinimento e avrebbe voluto sentirne parlare continuamente, per vederlo concretizzarsi finalmente tra le sue mani. Voleva che fosse vero e valido e che le desse la possibilità di poterci vivere, ma che più di tutto la rendesse realmente fiera.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Prologo
 
 
 
“Ho bisogno di andar via, perdonami, so di essere codarda, di non avere la faccia di affrontare le cose, ma devo andare. Mi dispiace, non meriti ciò che ti sto dando, ma è l’unica soluzione.”
 
Viola aveva sempre vissuto nella convinzione di esser più brava con la penna, a dispetto delle parole.  Tuttavia, proprio in quel momento, si rese conto di quanto fosse solo  una stupida illusione, che utilizzava per sopperire la mancanza di dimestichezza nello spiegare ciò che provava, attraverso la sua voce.
Eppure, Viola parlava molto, forse troppo e non sembrava mai dire niente. 
Annegava le persone in un turpiloquio di concetti futili, di stralci di vita, di aneddoti, di dettagli, ma mai si degnava di esporre quale tempesta avesse travolto il suo cuore e la sua mente, quali ferite la facessero sanguinare intimamente. 
Ed ora fissava quel foglio con penna alla mano, masticandone nervosamente il dorso.
Cercava disperatamente il modo di mettere nero su bianco il motivo per il quale aveva deciso di lasciarsi alle spalle la sua vita, quella che le stava come un vestito troppo stretto, che non le dava la possibilità di respirare e di muoversi naturalmente, come avrebbe voluto.
Certo, l’unica soluzione plausibile nel mondo adulto, nel quale fingeva di vivere, era ammettere le sue colpe, aprire lo scrigno nel quale, da più di un anno, conservava i suoi sentimenti più reconditi, schiacciati dal pesante silenzio, dall’estenuante dissimulazione che tutto andasse per il verso giusto, quando quell’idea non era nemmeno lontanamente vicina alla realtà.
Così si rintanava nella torre, dall’alto della sua finta maturità, nient’altro che una maschera  dietro alla quale si celava ancora una certa insicurezza.
Viola aveva solo ventisette anni, ma si sentiva chiusa in gabbia, soffocata da una relazione dilaniata dall’abitudine e un lavoro che le permetteva appena di andare avanti, senza soddisfarla.
Avrebbe preferito vivere con più leggerezza, intraprendere le sue scelte con la stessa naturalezza con la quale si sceglie cosa mangiare a colazione o quale tinta fosse più giusta per la parete della sua stanza, ma forse quella vita non faceva per lei.
Rimuginava sulle scelte degli ultimi anni, su quanto si fosse accontentata di sopravvivere e mai azzardare, per ottenere ciò che realmente desiderava.
Forse solo negli ultimi mesi aveva considerato davvero se stessa come una persona che potesse avere delle pretese, che potesse compiere delle scelte e non lasciarsi trasportare dal flusso vitale, che l’aveva portata alla deriva dei suoi desideri, cedendo ai suoi impulsi.
Non le fu poi così difficile, quando Giorgia le parlò di quel posto di lavoro così affine alle sue esigenze, una mostra da allestire insieme ad alcuni artisti emergenti;  i risparmi che aveva sulla sua carta riuscirono a fare il resto, insieme a un tremolante click di conferma, quando acquistò il biglietto di sola andata per Londra.
Ci aveva riflettuto meno di un pomeriggio, giusto il tempo di fare due conti su quanto avesse racimolato e conservato negli ultimi anni, per finalmente acquisire la sua agognata indipendenza e trasferirsi in una casa sua.
Gli ultimi due anni erano stati un completo disastro, da quando aveva concluso i suoi studi, cominciando a lavorare, non era riuscita ancora a trovare un posto fisso, che le permettesse di avere una sicurezza economica tale da andarsene da casa dei suoi e cominciare la sua vita.
Così tanti impieghi diversi, ma mai un contratto, l’avevano resa nervosa e terribilmente ansiosa, forse questo non le permetteva di lasciarsi andare, ma finalmente la sua via di uscita era apparsa sottoforma di biglietto aereo e un lavoro nel cuore di una città che aveva amato, dove poteva essere ciò che desiderava e sentirsi realizzata.
L’unico problema, non trascurabile, come poteva credersi, era la storia che aveva intrapreso quattro lunghi anni prima con Gabriele. Ogni volta che pensava a quel viaggio senza ritorno e a quanto poco tempo mancasse, la piccola voragine, che si era fatta strada lì dove avrebbe dovuto situarsi il suo cuore, sembrava allargarsi, squarciandole definitivamente il petto proprio in quel momento, quando tutto era pronto, eccetto lei.
In tre lunghi mesi non era riuscita a dirgli nemmeno una parola a riguardo e, giorno dopo giorno, le sembrava quasi inopportuno aprire l’argomento, allontanandosi sempre di più e adducendo a qualsiasi scusa le sembrasse plausibile, pur di non incontrarlo.
Sentiva nelle sue ossa che era finita, che quel rapporto si era ridotto a uno strascico di sentimenti, di affezione, niente di più che l’abitudine di aver passato quattro anni insieme, che sembravano quasi una vita. Non avrebbe mai pensato che sarebbe stata lei a lasciarlo, a smettere di sentire quell’amore viscerale che l’aveva scossa così tanto durante i primi anni.
Quasi non aveva idea di quando quei sentimenti si fossero intorpiditi, né ne riusciva a carpire la causa, ma ne era così cosciente, da non riuscire nemmeno a riprovarci, prendere in mano la situazione e cambiare qualcosa.
L’unico motivo per il quale non aveva trovato il coraggio di parlargli erano quei suoi occhi castani, pieni di delusione, che si trasformavano in un’arma pronta a pugnalarla, ogni qualvolta immaginava di volerlo lasciare.
In quel momento aveva assunto la piena convinzione, che sarebbe stato meglio così, che partendo senza dirgli nulla non sarebbe stato poi così male per entrambi. Se ne sarebbe fatto una ragione alla fine, o almeno così cercava di convincersi e lei finalmente avrebbe trovato la leggerezza di poter scegliere quello che era meglio per lei, senza dar conto a nessun’altro che se stessa.
Sì, era meglio per entrambi, perché lei continuava a ripetersi “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”, quella sarebbe stata la cura, che avrebbe guarito qualsiasi ferita.
 
Afferrò lo spallaccio dello zaino e dopo averlo indossato, tirò a sé il trolley, uscendo dalla stanza. Una strana sensazione la pervase, quando rifletté che non sarebbe entrata in quella stanza per un periodo di tempo più lungo di due settimane. Non le era mai successo, da quando ne aveva memoria e già sentiva la nostalgia della sua quotidianità in quella casa, dove aveva trascorso tutta la sua vita.
“Seb! Sono pronta!” chiamò Viola ad alta voce, aspettandolo sul ciglio della porta.
Sebastiano, suo fratello, uscì di colpo, prendendo dalla sua mano con gentilezza la maniglia del trolley.
“Allora andiamo?” quella domanda sembrava un’allusione a restare, o almeno quella fu la prima impressione che s’ infiltrò nella sua mente, quasi fosse un invito a rimanere, sebbene non volesse.
Non le era mai capitato di essere divisa da emozioni tanto contrastanti, la paura di partire, ricominciare, abbandonare la sua famiglia, suo fratello, dal quale non si era mai allontanata così tanto, e il desiderio così asfissiante di cominciare a vivere, diventando ciò che voleva essere fin da bambina, o facendo quello che più si avvicinava al suo desiderio: allestire una mostra e lavorare nel campo dell’arte.
L’idea di partire e abbandonare Napoli però era disarmante, aveva passato tutta la sua vita viaggiando, vagando per luoghi così lontani dalla sua terra, vorace di immagini, persone e di diversità, ma poi era tornata sempre a casa, come ogni turista sapeva di farlo, alla fine del suo cammino.
Quella volta non sapeva quando sarebbe terminato, né se un giorno sarebbe tornata stabilmente.
Una lacrima inumidì la sua guancia, quasi come risposta, una negazione che si impose sul suo sì, appena accennato.
“Okay.” Disse suo fratello, non obiettando, perché sapeva che niente avrebbe cambiato la sua decisione.
Entrarono entrambi in cucina, un’ultima volte insieme. Entrambi i genitori sedevano al tavolo, contemplando le loro tazzine di caffè, il quale odore aveva intriso la stanza, come ogni mattina, quasi fosse un giorno qualunque, nel quale quel profumo preannunciava l’inizio di una giornata come le altre.
“Noi andiamo.” Comunicò Sebastiano solennemente.
Suo padre si alzò e abbracciò la figlia, cercando di nascondere la tristezza di quella partenza così improvvisa in una stretta vigorosa. Il viso di Viola si tuffò nel cotone profumato della sua polo, bagnando lievemente la stoffa, ammettendo così  in silenzio le sue paure e insicurezze.
“Se hai bisogno di qualcosa, qualunque cosa, chiamaci. Verremo subito e se hai paura, torna. Ti aiuteremo in qualsiasi modo possibile, tu lo sai che ti vogliamo bene?” le sussurrò all’orecchio, scatenando il suo pianto.
“Lo so, ma devo andare. Solo così potrò avere ciò che voglio.” Riuscì a mormorare piano.
“Non è detto, Viola, un giorno le cose si sistemeranno, noi continueremo a cercare, te lo prometto.”
La ragazza lasciò che il suo sguardo sprofondasse negli occhi chiari del padre e annuì. Sua madre, una donna dall’aspetto austero, non le era mai sembrata così fragile. Le sue braccia sottili la avvolsero e strinsero, cercando di infonderle coraggio.
“Mamma, non fare così, mi fai piangere anche tu!” ribatté.
“Ce la puoi fare Viola, so che c’è un futuro che ti aspetta, non ti abbattere mai.”
Quella differenza di attitudine quasi le fece scappare un sorriso, forse l’ultimo vero e genuino, nato spontaneamente su quelle labbra, prima della sua partenza.
Le ci volle un po’ prima di abbandonare la presa, di ritrarre la sua ancora, che la teneva ancora legata a quel mare di ricordi, sentimenti e oggetti, che costituivano ciò che lei identificava come casa sua.
Ma ormai non lo sarebbe stata più, quindi inspirò profondamente, ordinando a se stessa di calmarsi, prima di varcare la porta e salutare per un tempo indefinito la sua dimora.
“Vi chiamo quando sarò arrivata, Giorgia mi ha già preso una scheda.” Li tranquillizzò pacatamente.
“Non dimenticartene, e sta attenta!” le raccomandò la madre.
“Sì.” Annuì, stringendo le labbra in un’espressione bonaria, senza replicare con un “ciao”, né con un saluto, solo il silenzio, interrotto dal rumore della serratura serrata.
L’afa di agosto la investì non appena mise piede fuori dal cancello, i vicoli stretti del centro storico non potevano vantare della brezza leggera della costa e il calore sembrava assalirla, impedendole persino di respirare con calma.
“Passiamo da Gab? Devo fare una cosa.” Chiese a suo fratello, prima di salire in macchina.
Sebastiano, alle prese con quei minimi bagagli, annuì dal retro della Punto azzurrina e solo quando ebbe finito, si infilò al posto di guida, pronto per accompagnarla.
“Vuoi salutarlo?” domandò, ingranando la marcia, non guardandola nemmeno in viso, impegnato in una manovra.
Un cumulo di paure salì lungo la trachea, bloccando il flusso di parole che avrebbe voluto urlare, ma che temeva di pronunciare. Aveva detto solo a Giorgia, che aveva nascosto a Gabriele della sua partenza. Fu facile impedire che la notizia trapelasse, aveva chiesto a Sebastiano di non dirlo ancora nessuno dei loro amici, che lo avrebbe fatto lei giusto il giorno prima. Il suo ragazzo non veniva spesso a casa loro, era lei che lo andava a trovare nel suo appartamento e ultimamente capitava così di rado, tra una scusa e l’altra.
Non avrebbe mai creduto fosse così facile mentire o peggio nascondere così tante informazioni, che quasi  era sorpresa di quanto naturalmente ci riuscisse.
Ma ora, che era quasi fatta, non riusciva più a trattenersi, sentiva quasi un bisogno fisico di liberarsi, come quando si trattiene il fiato così a lungo e ci si lascia andare, respirando con quanta più foga possibile, riempiendosi di aria fresca e pulita. Aveva bisogno di quell’aria, di quella freschezza, il peso di quella bugia aveva passato il limite.
“Non l’ho detto a Gab, non sa nulla, ho evitato il discorso fino ad ora…” lo disse tutto di un fiato, senza lasciare alcuna pausa tra una parola e l’altra, fin quando il fratello non la interruppe con un sonoro “COSA?!” che tremò in tutto l’abitacolo dell’auto.
“Io non ce la facevo, dovevo staccare, non potevo permettere che qualcuno me lo impedisse. Io ho bisogno di questo! DI VIVERE!” cercò di giustificarsi, cosciente del fatto che non fosse la migliore delle difese.
“Ma come pensi che la possa prendere? E mamma? E papà? Quando lo verranno a sapere, come pensi che reagiranno? No, Vi, non lo accetto, tu adesso sali e glielo dici, chiaro?” le urlò paonazzo. Non l’aveva mai visto così arrabbiato, non con lei almeno.
Suo fratello, colui che l’aveva sempre difesa, dal momento in cui pianse per la prima volta tra le braccia della madre, fino a quel momento, forse il primo nel quale i suoi occhi sabbiati, proprio come i suoi, la guardarono in maniera diversa, come se fosse d’un tratto diventata umana e capace di sbagliare, e avesse smesso di essere quella sorellina svampita e immersa nel suo mondo, incapace di far del male a un essere umano.
Viola, colei che aveva il nome dell’eroina della Dodicesima Notte, così come lui aveva il nome di suo fratello Sebastiano, frutto dell’amore del padre per le tragedie shakespeariane. La sua Viola, con cui aveva un legame indissolubile e autentico, così vero che entrambi pensavano che nessuno potesse provare un sentimento così forte per una persona.
Quella Viola, che in quel momento annegava le lacrime in una maglia a righe sdrucita, col colletto mangiucchiato dall’ansia e la vergogna dipinta in volto per ciò che aveva fatto.
“Per favore … ” riuscì a mugugnare tra i singhiozzi. “Non chiedermi di dirglielo, gli ho scritto un biglietto,  lui capirà, lui ha sempre capito e forse già lo sa. Ti prego, non dirlo a mamma e a papà.”
I ricordi si fecero strada nella mente di Sebastiano, vasi rotti, riattaccati con la colla a presa rapida, prima che i loro genitori rientrassero in casa, le sere in cui uscivano e ritornavano ubriachi, coprendosi l’uno con l’altra, i weekend a Gaeta, promettendo di non fare cose stupide.
Ma quello era un favore troppo grosso, un peso così schiacciante che non sapeva di poter sostenere e non era nemmeno quella la delusione più cocente.
 L’idea che sua sorella gli avesse tenuto un segreto per tre lunghi mesi, che non si fosse sfogata come solitamente accadeva e che fosse riuscita a non parlare anche di un solo aspetto della sua vita, lo affliggeva così terribilmente, che quasi non riusciva a sostenere lo sguardo.
“Okay…” mormorò. “Ma non credo che lui possa capire.” Così come non ci riusciva lui.
“Anche io ho dovuto accettarlo, non pensavo di riuscirci. Era l’unica soluzione.”
“Forse per te, ma è difficile non averti intorno, per tutti noi.” Prese fiato e non si lasciò interrompere “e no, non lo dico perché sei mia sorella. Vi, sei bella, intelligente ed entusiasta, tutti ti vorrebbero accanto e Gab è così un bravo ragazzo… Non farlo soffrire così, non se lo merita, non così. Avevo immaginato che le cose non andassero da come lo evitavi, ma pensavo fosse dovuto a un’inevitabile rottura per via della tua partenza.”
“Lo so che è un bravo ragazzo, ma non lo amo… non più e non riesco, non ce la faccio a dirglielo, non voglio essere io a farlo.” Sbraitò sbattendo il pugno sul cruscotto. Era la prima volta che lo diceva a voce alta, che quelle parole si solidificavano nell’aria, prendendo forma.
“Vi, fai quello che senti, ma ogni tua azione corrisponde a una reazione. Parlargli farà male, ora che saprà che ormai tutto è pronto forse ancora di più, ma forse penserà che sei meno vigliacca ed egoista, meno di quanto tu lo possa essere andando via e non dicendo nulla. Però se non vuoi, non sarò io a costringerti, però pensa a mamma, pensa a papà, non metterci in questa situazione.”
Sebastiano aveva lasciato andare tutto ciò che lei non avrebbe mai voluto ascoltare, l’unica motivazione per la quale era stata in silenzio, in quei lunghissimi ed estenuanti mesi.
Seb parcheggiò accanto al marciapiede, riuscendo a intravedere il portone di casa di Gabriele. Viola scese immediatamente, senza aspettare, tirando fuori il cellulare dalla tasca e estraendo la sim dal cellulare, impacchettandola nel biglietto, che aveva riletto centinaia di volte, tanto da ricordare ogni singola parola a memoria. Come avrebbe mai potuto dimenticare i propri sentimenti, quelli che ti scorrono tra le vene insieme al sangue?
Lo sapeva, era decisa e la sim del cellulare era un ulteriore messaggio: non mi cercare.
Aveva cancellato qualsiasi account avesse su tutti i social network a cui era iscritta, aveva cambiato numero, come poteva mal interpretare da quei gesti così decisi?  In fondo, forse anche lui non voleva più stare con lei, dopotutto aveva smesso di cercarla, quando evitava in ogni modo di vederla e non insisteva più.
Forse non voleva più stare con lei, crederlo le dava una strana sensazione di sicurezza, ma sapeva che Gabriele non era un tipo insistente ed era riservato. Era una delle cose che più l’aveva colpita, come lui riuscisse a stare ai margini della sua vita, riuscendo comunque a farla sentire amata. Quella dolcezza e pacatezza, che potevano definirsi quasi tipiche di quel ragazzo, di quel trentenne con la passione per la chimica e i modellini di navicelle spaziali.
Lasciò il biglietto nella cassetta della posta, con testimoni solo il caldo delle dodici e qualche passante di corsa.
Corse in macchina e fissò in silenzio suo fratello, lo sguardo puntato sulla strada colmo di delusione, per non essere riuscito a convincerla a fare la cosa giusta. Avevano fallito entrambi, e l’unica cosa che aleggiava in quell’auto era solo un imbarazzante silenzio, che mai aveva eretto il suo muro, tra quei due fratelli.
 
Il freddo glaciale tra i due sembrava essersi concretizzato a Capodichino, quando entrambi, seduti l’uno di fronte l’altra, nemmeno posavano lo sguardo sulle reciproche figure. Viola aveva la guancia appoggiata sulla valigia, gli occhi assenti erano puntati sui viaggiatori, che aspettavano accanto a lei. Tra le mani stringeva una copia di Orlando di Virginia Woolf, pronta ad intrattenerla in quelle due ore, e il suo biglietto. Sebastiano infilò la felpa, combattendo i brividi di quell’aria condizionata troppo fredda,  in constante contrasto con quei pensieri, con la paura del futuro che attendeva sua sorella e non solo.
“Forse è meglio che tu faccia il check-in, si è fatto tardi.” Le intimò, cercando di allontanare quei pensieri. Si alzò, porgendole la mano.
Lei la afferrò titubante, prendendola come una tregua e armata di biglietto e documento, si lasciò guidare, in quegli ultimi momenti, prima di dividersi e di prendere la sua strada.
“Andrà bene, ne sono certo.” Le disse, ormai  alle sue spalle, appoggiando la testa appena accanto al suo collo, poco dopo essersi fermata, prima di attraversare il gate.
“Ti prometto che gli parlerò io… ci ho pensato su e credo sia la cosa giusta.”
Viola si voltò di scatto e lo abbracciò. “Scusami, scusami se vi ho dato questa delusione, io… non sapevo cosa dirgli.”
“Tranquilla, sistemo tutto io, come ho sempre fatto, intesi?” le porse il mignolo, in attesa che lei lo stringesse e sorridesse, come quando erano bambini. “Gli dirò che non volevi e ti prometto di non dirgli dove sei esattamente e che vuoi i tuoi spazi. Tu promettimi che ti riprenderai, però e non farai mai più niente del genere. Non sei il tipo, sei più forte di così.”
Si abbracciarono un’ultima volta e si allontanò. L’eco di quelle parole si ripeté nella sua mente per tutto il tempo, per tutto il viaggio.
“Sei più forte di così.” Non era vero, non era così. Era stata una vigliacca e in parte lo sapeva, ma non voleva essere lei a fargli del male, con la sua voce.  Sapeva che quella era la scelta giusta, perché lui avrebbe avuto il tempo di ricostruirsi una vita, trovare una ragazza che lo meritasse, formare la sua famiglia e crescere i suoi bambini, con il lavoro dei suoi sogni.
Lei non poteva dargli quello che desiderava, quindi che senso aveva continuare,  sacrificando persino ciò che era importante per lei? Ora poteva finalmente perseguire il suo sogno.
Quel momento di smarrimento sarebbe terminato, da quando i problemi con il lavoro avevano messo a repentaglio la sua tranquillità, anche nelle cose più piccole e più stabili, l’ansia non le aveva più dato tregua.  Aveva rinunciato a tutto quello che era stato un pilastro nella sua esistenza: la sua famiglia, suo fratello, più di ogni altra cosa, i suoi amici, quei lavoretti e la sua città, Napoli. Sentiva di poterla amare per la sua eterna bellezza, quanto odiare, per non averle permesso di restare, per non averla tenuta stretta a sé, come una madre con i suoi bambini.
Napoli con quella sua bellezza mozzafiato, e quel mare che sembrava inghiottire ogni suo dolore, ma ormai non era più così, ne aveva ingoiato così tanto da esserne saturo.
Ed ora, finalmente, tutto sembrava essere tornato al proprio posto e il groppo si faceva sempre più leggero, quasi come le nuvole bianche che riusciva ad ammirare dal finestrino dell’aereo immerse in quel turchese così acceso, nel quale avrebbe voluto perdere lo sguardo in eterno.
No, non era stata forte, ma l’inizio di quel nuovo capitolo le avrebbe permesso di esserlo in futuro, di costruire il suo cammino, con le sue gambe. Era leggera e le sembrava di fluttuare da sola, in quel cielo così limpido, privo di nubi grigiastre a minacciare il suo nuovo percorso, il suo volo verso l’età adulta da sola, senza nessuno a tenerle la mano, come desiderava da un pezzo.
Non avrebbe permesso a niente di distruggerla ancora una volta, come era già successo, di farle perdere la strada maestra, che nonostante la corrente contrastante, rincorreva con tutta la forza che aveva in corpo, fino al suo ultimo respiro.
 

 
Note: Per quanto non sia il più entusiasmante degli inizi, mi sono decisa a ripubblicarla, sottoforma di longfic questa volta, poiché credo che sia l'unico modo in cui debba essere letta (o almeno spero di finirla).
Detto ciò niente, un grazie a chi leggerà, se vi interessa farmi sapere le vostre opinioni e critiche costruttive, negative (specialmente) o positive che siano, sono qui!
Alla prossima :)
   
 
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