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Autore: Giulz87    30/07/2015    2 recensioni
“E se invece avesse funzionato, Rock of ages?”
Al seguito di quella risposta un ghigno sadico si era dipinto sul volto del dio.
“Davvero, Stark? Sei talmente disperato da fingerti sotto al mio controllo?”
Stark gli aveva offerto un’espressione risoluta e con un unico sorso aveva ingurgitato alcool e sentimenti contrastanti, imprigionandoli laddove dovevano restare. Nel profondo del suo animo.
[Questa storia partecipa al concorso "Film e telefilm: dimmi qual è il tuo" indetto da Aturiel e al "Fobie Contest" indetto da Kirame amvs]
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Loki, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Same Time, Same Place'
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Note: Questa storia si colloca all’interno del film The Avengers, precisamente quando Stark incontra e scontra Loki fuori dalla Stark Tower.

NdA: Partecipante al “Fobie Contest” indetto da Kirame amvs e al concorso “Film e Telefim: dimmi qual è il tuo” indetto da Aturiel




“Sleeper”



Il liquido ambrato sgusciò fuori dalla bottiglia per tuffarsi in un bicchiere dove si rannicchiava un futuro incerto.
Stark osservò il livello del whisky salire finché non gli sembrò abbastanza, alzò lo sguardo verso il dio e fece qualche passo nella sua direzione.
Gli occhi che lo fissavano erano fermi, sbarrati, scavavano tra i suoi pensieri ricercando quelli più profondi, tormentati e stanchi. E quando Loki lo raggiunse fu come se il mondo avesse smesso di girare, come se il tempo avesse improvvisamente deciso di fermarsi.
Quell’attimo era un respiro violento destinato ad infrangersi nell’iniquità del presente, era un brivido cocente che moriva nell’empatia di una riflessione molesta.
Lo scettro si era alzato riversando nella stanza invisibili vibrazioni ed aveva raggiunto il suo petto, un cerchio di metallo che pareva aver risucchiato un alito di vita non del tutto contemplato.
“E come potranno i tuoi amici pensare a me, mentre combattono te?”
Le parole del dio si erano levate nell’aria solo per essere risucchiate da un vortice azzurro scintillante, per sgretolarsi in un intento fallito che segnava la resa del Tesseract.
Il suo volto si era incupito senza ammorbidire una rabbia crescente. E Stark non si era mosso, era rimasto immobile ammirando quel gesto. Aveva schiuso le labbra ed aveva ispirato piano.
Aveva esitato.
Per un unico interminabile attimo aveva indugiato. Aveva ripensato a Barton, al suo corpo magistralmente manipolato, ad una mente preda di un folle burattinaio. Il suo essere era stato bandito, cacciato brutalmente in un antro incontrollato, un angolo scuro ma reattivo del suo cervello. Un luogo che non conosceva giudizio. Una via d’uscita al male del mondo.
“Di solito funziona.”
Un compromesso racchiuso in un foglio di carta che s’illuminava nello stesso modo in cui ci si addormenta, prima piano e poi tutto insieme.
“E se invece avesse funzionato, Rock of ages?”
Al seguito di quella risposta un ghigno sadico si era dipinto sul volto del dio.
“Davvero, Stark? Sei talmente disperato da fingerti sotto al mio controllo?”
Stark gli aveva offerto un’espressione risoluta e con un unico sorso aveva ingurgitato alcool e sentimenti contrastanti, imprigionandoli laddove dovevano restare. Nel profondo del suo animo.
“Jarvis, quando vuoi!”
E Jarvis non lo aveva tradito, neppure di fronte alla più sconsiderata delle scelte. Non aveva obiettato ed era rimasto silente. Così, la valigetta contenente il Mark sette era andata ad aprirsi e a dipingersi sulla figura dell’uomo. E Stark era Iron Man.
I loro passi avevano solcato un terreno inesplorato. L’andatura di Tony era quella di un mercante di morte, quella di un soprannome che si portava sulle spalle come se fosse un sacco pesante e difficile da lasciare, qualcosa da offrire insieme ad una mano da stringere. Quella del dio era cauta, sprezzante e indagatrice. La prima segnava il distacco da una realtà negata, da un gruppo che non lo aveva mai accettato del tutto. La seconda suggellava un’alleanza inaspettata e non compresa fino in fondo.
E nell’incomprensione avevano idoleggiato una città in tumulto. Erano usciti oscurando un po’ di quel raggio di luce condiviso con l’umanità, tirando volti ed espressioni mentre il vento accarezzava carne ed armatura, mentre Loki si vestiva di guerra contemplando la discesa funesta di un esercito chiamato Chitauri.
“Conducili nella gloriosa battaglia, Stark. Io vi raggiungerò tra un attimo.”
Il dio aveva ascoltato i rumori dei propulsori sparire nel cielo, ne aveva avvertito l’eco ed aveva socchiuso le palpebre e quando le aveva riaperte per davvero tutto era passato. Tutto si era dissolto nei suoni meccanici di una battaglia ormai andata, una melodia fluttuante che si era spenta insieme al pallore del sole al tramonto, insieme alle grida di dolore e di morte, con l’avventarsi del buio e dei fantasmi.
“E’ finita, piccolo cervo. Gli Avengers sono prigionieri e tu hai avuto quello che volevi, giusto?”
Stark era uscito dalla penombra ma la luce non lo aveva sfiorato realmente. Si era guardato attorno e aveva contato le macerie come se fossero i frantumi di una vita ormai perduta. Aveva osservato il dio che sedeva inerme in un angolo della torre, ne aveva esaminato il volto scuro e segnato e ne aveva seguito il pensiero silenzioso, un rimprovero che faticava a restare imprigionato nei confini della mente.
“Te lo devo dire, bellimbusto, non mi sembri soddisfatto come dovresti. E’ perché ti si è sfatta la messa in piega?”
“Taci, Stark.”
La replica aveva spezzato la sua senza nascondere l’irritazione.
Loki si era alzato e era andato ad esaminare la sua stessa immagine riflessa nel vetro. La notte era scesa ed aveva portato con sé la luna e le stelle, una beffarda quiete che si posava su quello che restava del genere umano. Stark invece aveva girato le spalle e si era allontanato. L’andatura questa volta era lenta ed era quella di chi non voleva andarsene davvero. Poi la voce del dio lo aveva raggiunto e fu di nuovo immobile, pronto a raccogliere ed accogliere una qualsiasi spiegazione, il rigurgito di un’anima sfiancata.
“Non si fa quello che si fa perché lo si vuole, Stark. Si fa quello che si fa per un posto nel mondo. E la soddisfazione non è mai stata nella mia natura.”
Quando si era voltato, Loki non aveva trovato traccia di delusione sul suo volto e forse avrebbe preferito trovarcela.
Stark aveva elaborato quella confessione fatta da chi non era abituato a farne e si era sentito impotente. Ne aveva compreso in un solo attimo la repressione e la tristezza, un rancore che cambiava forma trasformandosi in tormento. Uno scempio e un dramma che si fondevano nel più bruciante degli inferni. E fu come se potesse toccarne la paura, legarla alla sua in un ritratto di puro e semplice orrore. Perché Loki sfidava il tempo.
Era come se i millenni a sua disposizione non contassero, come se perdessero valore. Il suo era il timore più antico dell’uomo, era il terrore di non riuscire nemmeno lontanamente a sfiorare attimi che minacciavano d’insinuarsi nella sua memoria oltrepassandola, momenti insipidi che fuggivano via senza donargli ciò che bramava davvero.
“Non c’è nient’altro, Rock of ages. E’ tutto qui.”
Stark cacciò le mani in tasca prima di proseguire, si avvicinò alla vetrata e buttò lo sguardo oltre la finestra. Per un breve istante gli parve di sentire l’odore fresco della sera, una suggestione limpida e semplice, perché in realtà il fiato della città sottostante era un fiato pesante, era un alito di sangue che si levava nell’etere. Erano bugie e illusioni. Una frazione di secondo le prime ed una frazione di secondo le altre.
“Questo qui fuori, quello che abbiamo fatto, è il capolinea. Non sarai mai più vincente di così, lo capisci? Hai finalmente un trono, tuo fratello è chiuso in una prigione che non sono sicuro abbia mai avuto una chiave, e…”
“Ti sbagli!”
Il tono morbido di Stark trovò seguito in quello aspro del dio.
“Io non mi sbaglio mai, Harry Potter. La tua crociata psico depressa è finita, andata. Sei solo troppo svalvolato per rendertene conto. E ricadrà su di te, prima o poi. Ti esploderà in faccia.”
Per tutta risposta Loki fu di lui. Annullò lo spazio con un unico e rapido movimento e le sue dita si strinsero malamente attorno al suo mento. Il dolore fu improvviso ed acuto, accarezzato da un respiro astioso che s’infrangeva furente sopra la sua pelle.
“E tu, Stark, cosa brami davvero? Cosa ti ha spinto a rinnegare quelli che un tempo chiamavi compagni?”
Quelle parole furono lame laceranti. Una verità sbattuta duramente sul tavolo da gioco che era la vita, una realtà che il dio sussurrava senza alcun tatto o tipo di premura. I suoi occhi verdi lo penetravano ma non lo guardavano. Erano proiettati su un futuro incerto e su un regno lontano, su un evento nefasto che avrebbe dato ad ogni cosa il giusto significato.
I suoi occhi vedevano il Ragnarok, vedevano la fine di Odino e di Asgard, di quel pezzo di esistenza che lo aveva scaraventato in un abisso da cui non aveva mai fatto ritorno.
“Mai avuto un rapporto idilliaco con la moralità. A dire il vero con nessuno se non con me stesso.”
Le mani del dio erano scese attorno alla sua gola e parlare si era fatto più faticoso. Stark aveva sentito i polmoni contrarsi per l’assenza d’aria, bruciare insieme all’immagine di se stesso.
E poi le labbra furono vicine, tanto vicine che le parole di Loki sembrarono uscirgli dalla bocca solamente per trovare rifugio nella sua.
“Sei patetico, uomo di metallo. Ti nascondi dietro ad una maschera di scherno, un velo di sicurezza destinato a dissolversi nell’autodistruzione del tuo essere. Puoi ingannare chi vuoi, ma non me.”
La sua rabbia sembrò scemare in quel concetto, ripiegarsi su di sé quasi fosse stato un vecchio foglio increspato e malamente spiegato.
E Stark pensò a quello che aveva fatto ed al perché lo aveva fatto. Ripensò al suo posto nel mondo, ad una fuga dalla sconfitta personale, al solo modo di evitare un giudizio gravoso, una sentenza emessa da quegli stessi uomini che si sollevavano al di sopra di lui, che preferivano stendersi su di un filo spinato piuttosto che tagliarlo.
Lui non era come loro.
Stark era come lui.
“Perché in fondo io e te siamo uguali, Rock of ages.”
Questa volta furono le sue parole ad entrare nel dio e fu lì che restarono, rannicchiate come un flaccido lamento piagnucolante. Come una certezza taciuta per paura di essere svelata. E quando l’assordante assenza di rumore era caduta sui loro volti, gli sguardi si erano incrociati e le bocche si erano cercate in un contatto che sapeva di fame e furia, in un misto di saliva, ghiaccio e passione che intrecciava i loro timori annullandoli in microscopiche vibrazioni. Tremori che si spegnevano in un brivido caldo di sgomento. Negli spasmi di un’oscurità troppo profonda per essere compresa.
Ed in quell’attimo la figura del dio era diventata sempre più sfuocata, fino a svanire, un’immagine che Stark aveva tentato di afferrare e che si era dissolta nel buio della notte.
Le tenebre erano scese su di lui, l’avevano avvolto e si era sentito come cieco, muto ed inerme, brancolante in un nero privo di qualsiasi bagliore.
Poi un ruggito straziante lo aveva fatto sussultare ed aveva aperto gli occhi. Tremante aveva ritrovato i raggi solari, forti e palpitanti, che gli accarezzavano un viso segnato da lividi e tagli. Ed intorno i compagni di un tempo che sembrava andato, perso ed improvvisamente ritrovato, che aveva scelto e salvato stendendosi sopra quel maledetto filo spinato.
“Oddio! Che paura! Cos’è successo?”
Stark socchiuse nuovamente le palpebre. Lasciò che lo splendore del giorno riscaldasse i suoi sensi malamente inceppati per l’ansia e solo dopo riuscì a rilassarsi. Solo dopo aver allontanato quell’assurda trepidazione che moriva nell’utopia di una follia che era riuscito a scacciare.
“Ditemi che nessuno mi ha baciato.”



Questa storia è la vincitrice del Premio Introspezione nel "Fobie Contest" indetto da Kirame Amvs:

















   
 
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