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Autore: Akilendra    31/07/2015    1 recensioni
"Come si può fermare un cuore innamorato? Come gli si può dire che deve smetterla? Smetterla di amare, perché un cuore innamorato è un cuore malato e l'amore è la sua unica malattia, l'amore è la sua unica cura. Come si può fermare un cuore innamorato?
Non si può.
Continuerà ad amare sempre, si farà male, si farà bene. Togligli l'amore e appassirà. Diventerà arido e ghiacciato, duro come il marmo. Togligli l'amore e guarirà, ma sarà morto.
Loro erano vivi. Malati di amore, ma vivi."
Questa è la storia di due parabatai: iniziata a scrivere quando avrei tanto voluto leggerla, interrotta quando ho saputo che c'era e che sarebbe uscita, completata nell'attesa dell'unica ed originale scritta dalle ben più degne mani di Cassandra Clare.
Questa è la storia di Ben e Lena.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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20. Cenere

C'è un posto dentro te in cui fa freddo 
è il posto in cui nessuno è entrato mai 
quella che non sei.
(Ligabue~Quella che non sei)




Non aveva smesso un attimo di fissarla da quando aveva aperto la porta e l'aveva fatta entrare, non molto volentieri, in casa sua. La prima volta che la cacciatrice l'aveva incontrata l'aveva trovata una donna piuttosto sgradevole; inoltre si era sentita molto a disagio, in piedi in un angolo del suo trascurato appartamento senza sapere come comportarsi. Ma ora era diverso, lei era diversa. Aveva rifiutato di sedersi sul quel suo pidocchioso divano quando la strega dalle orecchie da gatto glielo aveva chiesto ed ora la guardava dritto negli occhi, ferma e decisa.
- Allora, vuoi dirmi perché sei qui? - Aveva una voce profonda Irina e il forte accento russo non aiutava di certo a darle un tono più conciliante.
- Te l'ho detto. Magnus Bane dopo Ottocento anni di incantesimi non è nemmeno più capace a creare un portale - rispose secca incrociando le braccia davanti al petto. Qualcosa le disse che fosse meglio omettere il dettaglio che anche Lilian si fosse rifiutata di aiutarla. La strega ammorbidì lo sguardo, come se aver parlato in quel modo di Magnus le avesse fatto guadagnare decisamente molti punti; un angolo della bocca si sollevò in un tetro tentativo di sorriso.
- Lena...- Distolse per la prima volta gli occhi dai suoi e li puntò sull'orribile tappeto persiano che copriva il pavimento. Non la stava chiamando, era piuttosto una constatazione, come se dal suono del suo nome potesse capire se stava dicendo la verità. 
- Alena - la corresse la Nephilim senza battere ciglio - Il mio nome è Alena - Lo stava dicendo a se stessa. Irina alzò un sopracciglio leggermente piccata dal fatto che qualcuno in quella stanza potesse avere una voce più ferma della sua. Ma non ribatté, anzi, cominciò a guardarla in modo diverso. Non era più la fastidiosa ragazzina Nephilim che si era introdotta la prima volta in casa sua, ora davanti a lei c'era una donna che forse, nonostante fosse una cacciatrice, poteva provare a guadagnarsi il suo rispetto.
- Alena - disse marcando il suo nome - Se Bane non ha aperto quel portale avrà avuti i suoi buoni motivi e dato che io sono meno propensa di lui ad immischiarmi nelle faccende di voi Nephilim...- lasciò la frase in sospeso e la sfidò con lo sguardo.
Fammi cambiare idea se ci riesci, bambina. 
Alena sfiorò con la punta dei polpastrelli l'anello che aveva all'anulare sinistro, la chiave argentata che vi era ritrattata, il simbolo della sua famiglia, brillava sotto la luce del lampadario. Vedi? È destino che noi due stiamo insieme, le aveva detto una volta Ben mostrandole l'anello dei Fairway con sopra ritrattato un lucchetto. Una parte di lei moriva dalla voglia di ritornare a quei tempi, quando "stare insieme" non significava altro che guardarsi sempre le spalle, essere fratelli oltre il sangue. E se quella Lena che voleva dimenticare tutto e correre tra le braccia di Ben era determinata, l'Alena che aveva giurato di non farsi mettere i piedi in testa da nessuno lo era ancora di più. 
Si sfilò l'anello dal dito e lo lanciò sul tavolo intorno al quale era seduta la donna.
- Pensi che questo sia abbastanza per convincerti, strega? - Irina si tuffò sull'anello come un avvoltoio su una carcassa lasciata incustodita. Ne esaminò meticolosamente la fattura ed ogni altro dettaglio, quando alzò di nuovo lo sguardo verso la ragazza cercò di mostrarsi indifferente. 
- Non lo so... Sai, voi Nephilim portate sempre guai...- Non la smetteva di rigirarsi l'anello sul palmo della mano. Alena diede un ultimo sguardo al cimelio di famiglia.
- Puoi tenerlo finché non torno con i soldi, poi lo rivoglio indietro. Prendila come una garanzia - Ancora quello sguardo di sfida.
- Quanti soldi? - La cacciatrice esibì un sorriso senza divertimento.
- Abbastanza perché potrai permetterti di arredare come si deve questo buco di appartamento - La russa scoppiò a ridere, poi tornò seria di botto e puntò le sue iridi color miele in quelle blu della ragazza.
- Non ti piace la mia casa, cacciatrice? - La voce bassa e profonda. Alena sorrise.
- Fa veramente schifo - Quella la soppesò con gli occhi e lei resse il suo sguardo.
- Non trovi mi doni? - chiese Irina distogliendo all'improvviso gli occhi ed infilandosi l'anello dei Silverkey al dito, peccato che si bloccasse all'altezza della prima falange: le dita della ragazza erano molto più sottili di quelle della strega. Alena decise che fosse più saggio non farglielo notare.
- Moltissimo, ma non abituartici. Vengo a riprendermelo - le ricordò. La donna si alzò dalla sua sedia e le si avvicinò, fece un versaccio.
- Ho capito, ho capito - brontolò - Beh? Levati di mezzo, lo vuoi o non lo vuoi questo portale? - disse spingendola via dalla parete a cui era appoggiata.

Qualcuno aveva suonato al campanello ed Irina si era alzata controvoglia dalla sua sedia per andare ad aprire, quando poi aveva visto che si trattava di un altro Nephilim aveva sentito l'impulso di richiudere alla svelta la porta. Non era già abbastanza un cacciatore al giorno? Aveva già visto una volta il ragazzo e sapeva cosa voleva. Poi, come ulteriore delucidazione, accanto a lui c'era uno stregone, ma non uno qualsiasi: sulla soglia c'era Magnus Bane. Per la seconda volta represse l'istinto di sbattergli la porta in faccia.
- Dov'è lei? - abbaiò il ragazzo ed Irina nella sua mente srotolò un lungo papiro di bugie. Ma lei chi? Non so di chi tu stia parlando? Chi? Lena? Non conosco nessuno con questo nome. Ah, la fastidiosa ragazzina Nephilim che è entrata qualche tempo fa nel mio appartamento chiedendo di una certa Nadia... In effetti il suo nome è Alena ed ormai è una donna... No, quest'ultima parte non gliela disse. 
Doveva aver raffinato piuttosto bene l'arte della menzogna dall'ultima volta che l'aveva visto, perché il cacciatore sembrò crederle e dopo averle raccomandato di fargli sapere se per caso l'avesse vista, tolse in fretta il disturbo trascinandosi dietro, per fortuna, anche lo stregone.

- E ha detto solo questo? - si informò Lilian appoggiata al tavolo a forma di margherita del soggiorno, emblema dei gusti a dir poco particolari di suo fratello. Non era andata con loro a casa della strega perché, a sua detta, la sua presenza avrebbe potuto influenzarla.
- Sì, solo questo - confermò Ben e per un po' nella casa regnò il silenzio.
- Beh, quindi ti sei sbagliato: non è andata da lei - Ben alzò gli occhi al cielo con aria vagamente divertita alle parole di Magnus e Lilian si batté una mano in fronte.
- Certo che è andata da lei - scoppiarono all'unisono contro lo stregone. Il cacciatore sospirò come un adulto che spiega un concetto elementare ad un bambino.
- Non l'hai visto l'anello dei Silverkey che aveva al dito? - domandò retorico mentre scambiava occhiate d'intesa con la strega. Magnus spostò più volte lo sguardo dall'uno all'altra, piccato.
- Smettetela di fare così voi due, o giuro su Lilith che vi incenerisco! -.


Questa volta Alena non si era lasciata ingannare, era precipitata a terra senza farsi troppo male, attenta a cadere nel modo giusto in modo da ritrovarsi solo un paio di fastidiosi lividi, in posti a dir poco insoliti, che avrebbe curato più tardi con un'iratze.
L'Istituto bulgaro si ergeva davanti ai suoi occhi magnifico come lo ricordava, le imponenti guglie avevano la solita aria inquietante che per Alena aveva un sapore familiare. Si avvicinò senza indugiare oltre e picchiò un paio di volte contro l'imponente portone. L'accolse una Stéphka efficiente più che mai, appena la riconobbe si esibì in un'impacciata riverenza.
- Какво е удоволствие да ви видя, принцеса! - Anche per me è un piacere rivederti, Stèphka.
- C'è qualcosa che posso fare per voi, принцеса? - le chiese dopo averla fatta accomodare dentro e riempita di attenzioni. Alena, che aveva bussato alla porta dell'Istituto proprio per quel motivo, non ci pensò due volte a fare la sua richiesta.
- In realtà sì. Mi serve una divisa da cacciatore, uno stilo ed una spada angelica se riesci a procurarmela - La donna annuì velocemente e sparì dietro un lungo corridoio.
Ora che ci penso mi servirebbe anche un po' di fortuna...

Non era stato facile. Sorridergli quando aveva aperto la porta, mentire, non sentire una punta di rimorso...erano cose che sapeva fare bene Alena, aveva scoperto che manipolare era la sua arte. Ma per Lena...dannazione, era la cosa più difficile da fare, era fingere di essere un'altra, era esattamente quello che stava facendo. 
Ecco perché non era stato facile bussare alla porta dei Blackshade, fingere di aver cambiato idea, tessere un arazzo di menzogne sul perché aveva capito che la sua casa era in Bulgaria. Era tutt'altro che facile guardarlo mentre col sorriso negli occhi ingoiava una dopo l'altra le sue bugie. Le bugie di Alena.
Dimitry la guardava assorto mentre gli raccontava una storia inventata dall'inizio alla fine, Alena avrebbe voluto sentirsi in colpa, ma non ci riusciva. 
- Mi dispiace essere piombata qui senza preavviso, ma...non volevo passare un giorno di più a San Francisco. Pensi che potreste ospitarmi qui per un paio di notti, finché non riesco a trovare una casa? Non voglio andare all'Istituto, quel posto è...- Fu come invitare una lepre a correre. Dimitry scosse vigorosamente la testa, non la lasciò neanche finire.
- Non dire un'altra parola, puoi restare qui quanto vuoi, questa è casa tua - Ed era fatta. Di lì in poi fu una strada in discesa.
Gli disse che Ignis non era più un problema, che dopo secoli di persecuzione aveva finalmente finito di procurare disastri. Com'erano dolci quelle bugie, sperò che un giorno potessero diventare verità. Si guardò bene dal raccontargli ciò che aveva scoperto rovistando fra i suoi ricordi d'infanzia. Omise volontariamente le sue teorie per le quali Ignis, che non era affatto scomparso dalla sua vita, doveva per forza trovarsi lì, dato che la Pietra Runica, da cui traeva il potere, era legata alla sua terra, alla sua casa e a suo padre...
La pietra è legata all'anima del suo custode e l'anima non può essere vinta dalla morte. I pezzi sparpagliati nella testa della cacciatrice cominciavano a trovare il loro posto e ad incastrarsi tra loro, ma Alena non permise a Dimitry di vedere come il puzzle prendeva forma. 
Ecco perché i demoni che Ignis aveva mutato avevano subito trasformazioni minime: una lingua, un po' di veleno che ti rende incosciente per un po' e ti fa sbellicare dalle risate... Non erano esattamente le trasformazioni spaventose che avrebbe compiuto se avesse avuto la Pietra a sua completa disposizione.
Ma la pietra era bloccata. Qualsiasi incantesimo demoniaco le avesse lanciato contro non era stato capace di spezzare il legame che questa manteneva con il suo custode anche dopo la morte e ad Ignis erano rimasti solo i rimasugli di quell'immenso potere. Ecco cosa aveva capito dopo quel tuffo nel passato a casa di Magnus, ecco cosa aveva scatenato quella pagina strappata ed ecco perché era tornata in Bulgaria.

Rivedere Vassil e Dara fu per Lena come ritrovarsi nel bel mezzo di un sogno. Non di certo perché fosse entusiasta di rincontrare i genitori di Dimitry, piuttosto perché le dava una sensazione strana: come cercare di tenere aperti gli occhi sott'acqua. Quei due appartenevano ad una realtà che non considerava più tale da molto tempo.
Fu un'accoglienza piuttosto accurata la loro, non particolarmente calorosa, ma decisamente accurata. Passarono ore a rivolgerle domande su domande e, sebbene tutto quello assomigliasse più ad un interrogatorio che alla curiosità di chi credeva fosse morta, sapeva che non era colpa loro. C'era qualcosa nei Blackshade, ed anche nei Silverkey a dire la verità, che impediva loro di scomporsi più di tanto. Quella rigidezza, quel rigore, era una specie di maschera che erano obbligati a portare fin da bambini e che crescendo non riuscivano più a levarsi dalla faccia. Sulle spalle avevano il peso morto di un titolo ormai senza alcun valore, eppure ognuno di loro era animato dalla convinzione di essere l'ultimo di una rarissima specie in via d'estinzione, il prescelto che dall'alto del suo scranno aveva il permesso di guardare tutti gli altri schifandoli con lo sguardo. Era così che sarebbe diventata anche lei? Se la sua vita non avesse preso un'altra piega, sarebbe stata anche lei un'altra rigida principessa di ghiaccio? Avrebbe continuato ad essere Alena. Ma poi era andata a vivere a San Francisco, l'Istituto era diventato la sua casa, i Fairway la sua famiglia e lei era diventata solo Lena.
Nonostante tutto ciò, non si poteva dire che Vassil e Dara non fossero persone generose. Proprio come loro figlio avevano subito acconsentito ad ospitarla in casa loro in nome del profondo legame che legava da sempre le loro famiglie.

Nel castello dei Blackshade passò giorni di tranquillità, Dimitry le stava molto vicino, ma di tanto in tanto le lasciava anche qualche attimo di solitudine, pensava ne avesse bisogno per potersi chiarire le idee. Quegli attimi davano lo slancio a Lena di riprendere il controllo e ciò equivaleva a perderlo. Quando era Lena aveva il brutto vizio di pensare troppo spesso agli anni passati a San Francisco, alla sua vita lì, a Ben...
Vagabondare in quei viottoli bui della mente non era affatto saggio: il cuore batteva troppo forte, quante emozioni doveva sopportare, credeva di scoppiare. Essere Alena invece significava rallentarlo fino a credere che non battesse più. Era decisamente più comodo: Alena non soffriva, Alena non amava Ben, in un certo senso Alena non era la sua parabatai.
Ma non era certo tornata in Bulgaria per prendersi del tempo per pensare alle sue crisi di identità ed al suo cuore spezzato, tutt'altro. Non ne aveva affatto di tempo. Doveva cominciare a cercare un indizio, una pista da cui potesse iniziare ad indagare e scoprire il covo di Ignis.
Per questo aveva chiesto a Dimitry di accompagnarla in alcuni luoghi, aveva compilato una lista con tutti i posti a lei familiari, posti a cui era legata lei e la sua famiglia e quindi molto probabilmente anche la Pietra. Il ragazzo aveva accettato di buon grado, "voglia di rivivere il passato" l'aveva chiamata ignorando la verità.
Non avrebbe potuto sbagliarsi di più.
Alena era convinta che se si fosse trovata nel luogo giusto l'avrebbe capito. La Pietra Runica apparteneva ai Silverkey da sempre, era legata all'anima di suo padre e, se per caso non l'avesse sentita lei, di certo Lena l'avrebbe fatto. 
Ma non la sentirono. Mancava solo un posto all'appello e Lena aveva bloccato la mano di Alena prima che lo scrivesse sulla lista. Doveva andarci sola.
E sola c'era andata. Sola si sentiva mentre fissava ciò che rimaneva: niente.
Sola, completamente sola.

Era come guardare in faccia la morte. Anzi peggio, perché la morte presuppone la vita, ma guardando quello scenario desolato si sarebbe detto che non ci fosse mai stato qualcosa oltre alla cenere. Che non ci fosse mai stato un prima, una terra fertile coltivata con amore e non una massacrata dal fuoco, una casa dove vivevano delle persone, una famiglia, la sua famiglia... Ricordi impressi nelle fiamme che ardevano nella mente di chi ricordava.
Lena avrebbe tanto voluto ricordare, avrebbe voluto rincorrere ogni singolo ricordo e pregarlo di bruciarla viva, di stamparglisi sulla pelle per sempre, ma la memoria era meschina e correva veloce. Non c'era mai stato un prima, i vigneti che coltivava suo padre, non c'era stata la sua casa, la sua famiglia, i suoi ricordi, la sua infanzia bruciata. Tutto cancellato. Non c'era stato un prima e non ci sarebbe stato un dopo. Il niente regnava sulla terra e nel cielo in quel francobollo di mondo dimenticato da Dio.
Di colpo si chiese perché fosse tornata in quel posto che aveva considerato a lungo casa, perché fosse tornata su quella collina a guardare nient'altro che cenere. Cenere. La sua vita lì era cenere. La cenere non può più prendere fuoco, la cenere non può più vivere nel calore di una fiamma. È come la morte. Anzi peggio, è ciò che rimane dopo, il ricordo di un incendio. È cenere.

Poi ai piedi della collina era apparso qualcuno, se ne era accorta solo quando ormai era troppo vicino. Dimitry si era fermato a due passi da lei, se ne stava fermo lì aspettando che si voltasse. Ma il vento bulgaro aveva asciugato le sue lacrime lasciandole segni simili a schiaffi sul viso, quella cenere le si era appiccicata addosso e sembrava non voler andare più via e di certo non gli avrebbe mostrato facilmente le cicatrici che i suoi ricordi le avevano lasciato. Il ragazzo, come intuendo che non si sarebbe voltata, mosse alcuni passi e le si parò davanti. Lena abbassò lo sguardo, ciocche castane si mischiavano ad alcune più chiare e, aiutate dal vento, le nascondevano il viso. Dentro di lei infuriava una guerra furibonda fra la paura di mostrarsi in quell'attimo di estrema fragilità e la voglia di lasciarsi andare e di abbattere il muro che in quei giorni si era costruita intorno. La lotta tra le due metà di sé.
È Dimitry, diceva una voce nella sua testa, l'amico di sempre. Tutto in lui era familiare, era forse l'unico che, pur appartenendo al suo passato, non fosse cenere. Sì, Dimitry, lo stesso che ti ha ingannata e fatto litigare con Ben. Te la ricordi quella sera? Aveva quell'espressione così turbata, quell'arrendevolezza che non gli avevi mai visto nello sguardo. E se non ti fossi accorta che aveva dietro di te? E se se ne fosse andato prima che avessi potuto spiegargli come stavano le cose? Controbatteva decisa l'altra. Esattamente, proprio lui. Se Ben se ne fosse andato quella sera e ti avesse lasciato qui a vivere la vita che ti spettava non avrebbe avuto modo di prendersi il tuo cuore e farci i coriandoli. Sì, è proprio quel Dimitry da cui sei scappata in fretta e furia e che a distanza di qualche settimana ti ha accolto senza battere ciglio in casa sua.
Non ce la faceva più, la testa pulsava dolorosamente implorando un po' di silenzio, gli occhi le bruciavano per le lacrime che aveva versato e per quelle che ancora trattenevano e quelle parole come spilli conficcati nella carne la trafiggevano e la facevano sanguinare.
Due mani si poggiarono sulle sue guance e le alzarono il viso. Dimitry la guardò negli occhi e ci vide dentro il riflesso di una bambina cresciuta troppo in fretta, vide quegli anni passati lontani dalla Bulgaria, quelle esperienze che l'avevano segnata nel bene e nel male e l'avevano fatta diventare una donna. Vide anche se stesso dentro i suoi occhi, sguazzava tra i ricordi di una breve infanzia, spingeva le pareti della mente per far parte anche del presente.
Le braccia di lei si strinsero intorno al suo corpo e quelle di lui fecero lo stesso. Lena si arrese. Lo abbracciò e desiderò dimenticarsi di tutto.

Le onde giocavano con la riva toccandola appena e poi rimbalzando subito indietro come lo yo-yo manovrato dalle dita di un bambino capriccioso. Abbracciavano la terra muovendo alcuni sassi e trascinandoli con loro. Lena appoggiata ad uno scoglio avrebbe voluto essere uno di quei sassi per essere portata via dalle onde. Il mare della Bulgaria era strano, scuro, pareva costantemente arrabbiato, sbatteva le onde con ira sugli scogli un momento prima e subito dopo faceva l'amore con loro abbracciandoli come fossero stati vecchi amanti.
Non sapeva bene il motivo per cui Dimitry l'avesse portata lì, ma guardava il mare e non le interessava. Ogni onda che si infrangeva addosso alle rocce era qualcosa che aveva perduto. I genitori. La casa. L'infanzia. La speranza di trovare Ignis. La fiducia di Eleanor. Il rispetto del Conclave. Un'onda più più prepotente delle altre. Ben. Ben. Ben. Ben. Ben.
Avrebbe mai smesso di fare così male?

Ora l'acqua salata si mescolava alla pioggia, Dimitry disse qualcosa a proposito di ritornare al castello. Lena guardava ancora la riva. Si ricordò di una stanza e di come tempo fa ci aveva visto dentro il mare. Le sembrava fosse passata un'eternità, le sembrava così lontana da essere successo in un'altra vita.
Ora, mentre guardava le onde litigare con gli scogli non poté fare a meno di vedere dentro quel mare una stanza. Quella stanza.
E non bastava cercare con tutte le forze di non pensarci, tra gli altri pensieri, impressi a fuoco come un eterno marchio, brillavano due occhi in cui il marrone ed il verde si mescolavano perfettamente. Due occhi che, con il blu di quelle onde, non c'entravano niente, ma che tante volte per Lena erano stati mare. Mare che la trascinava alla deriva. Mare che bagnava le sue ferite con acqua salata. Mare che la faceva naufragare in terre sconosciute dalle quali non sapeva più ritornare, non voleva più ritornare. Mare che rendeva quei luoghi l'unica e vera casa. Perché ritornare?
Avrebbe mai smesso di fare così male?
  
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