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Autore: slanif    31/07/2015    4 recensioni
GenzoKarl
«Lo so che lo vuoi anche tu…», disse il portiere, leccandogli la parte di pelle che dalla spalla conduceva al suo mento, lentamente, mentre le mani si introducevano furtive sotto la canotta per carezzargli gli addominali e il petto.
«Sì, ma… Gen…», sospirò Karl, estasiato dalle attenzioni del portiere; poi recupererò subito la lucidità: «Genzo Wakabayashi!», sbottò, irritato, spingendolo via quanto più stizzosamente poteva.
«Cosa!», quasi urlò il portiere, allontanandosi ringhiando da lui.
«Fa caldo, Gen.»
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Karl Heinz Schneider
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il titolo della fan fiction è ispirato alla famosa battuta della pubblicità della Nestea: «Antò… fa caldo!». Tutti i diritti sono riservati alla Nestea e io mi sono solo servita di questa battuta così famosa per creare, spero, una fan fiction che vi faccia ridere!
In teoria questa cosa doveva essere scritta per il compleanno di Karl (4 luglio), ma per una cosa e l’altra non l’ho più scritta, perciò eccola qui, in notevole ritardo! Spero la apprezzerete comunque!
Buona lettura!
 
 
 
 
*
 
 
 
 

«Gen… fa caldo!»
di slanif

 
 
 
 
Nella buia stanza di Karl Heinz Schneider, lontano da occhi (Maria) e orecchie (sua madre) indiscrete, finalmente il proprietario di suddetta camera e il suo fidanzato, Genzo Wakabayashi, potevano ritagliarsi un pomeriggio di pausa da allenamenti e amici; solo loro due.
E Genzo era molto intenzionato a rendere quel pomeriggio memorabile!
Peccato che Karl non fosse del suo stesso avviso…
«Gen… no, dai…» Karl poggiò le mani sulle spalle del portiere e tentò di spingerlo via.
«E dai, Karl…», insistette Genzo, spingendosi di nuovo in avanti per baciargli il collo con fare languido.
«Gen, sul serio…», sbuffò Karl, premendo di nuovo per spingerlo via, aiutandosi persino col ginocchio.
«Lo so che lo vuoi anche tu…», disse invece il portiere, leccandogli la parte di pelle che dalla spalla conduceva al suo mento, lentamente, mentre le mani si introducevano furtive sotto la canotta per carezzargli gli addominali e il petto.
«Sì, ma… Gen…», sospirò Karl, estasiato dalle attenzioni del portiere; poi recupererò subito la lucidità: «Genzo Wakabayashi!», sbottò, irritato, spingendolo via quanto più stizzosamente poteva.
«Cosa!», quasi urlò il portiere, allontanandosi ringhiando da lui.
«Fa caldo, Gen.», spiegò Schneider, sventolandosi con una mano. Era letteralmente un bagno di sudore in quel torrido pomeriggio di inizio luglio, nonostante il ventilatore acceso in camera.
Genzo lo fissò a lungo in silenzio, poi tolse le mani da sotto la maglietta e si staccò da lui, sedendosi a gambe e braccia incrociate sul letto; a quel punto sentenziò: «Mi ricorderò questo momento e queste parole quando quest’inverno verrai a strusciarti da me pregando di scaldarti… ti farò morire congelato, piuttosto che dartela vinta, altroché!» La sua, sì, era una vera e propria minaccia.
Karl impallidì, già congelando solo al pensiero di non poter usare quel grosso orso come stufetta personale così come faceva da due inverni a quella parte, perciò si sporse in avanti e cominciò a fare una cosa che odiava fare ma che al momento era assolutamente necessaria: cinguettare. «E dai, Gen… Genzino, portierone mio, amore, dai, vieni qui…», disse dolcemente, allungandosi a baciargli la faccia ovunque arrivasse e poi il collo.
Ma Genzo non si lasciò intenerire e non lo sfiorò neanche più per tutto il pomeriggio, mortalmente offeso che Karl Heinz avesse pensato al caldo piuttosto che a fare l’amore con lui.
E gli fece scontare la sua punizione ancora e ancora, per tutta la sera e il week-end successivo. Perché si sa, Genzo Wakabayashi era uno che le cose se le legava al dito. E Karl, quel giorno, imparò la lezione sulla sua pelle.
«Merda…», bofonchiò esasperato il Kaiser tre giorni dopo, di lunedì, calciando la palla più forte che poté contro il portiere per sfogare la sua rabbia.
Ma Genzo era così arrabbiato che era carico come non mai e fu così che le parò tutte, una dopo l’altra, e nella sua rete non passò neanche una mosca. Oltre a non uscirne nessuna nemmeno dalla sua bocca, ovviamente. Un altro dei modi per punirlo era il silenzio. Non gli aveva più parlato nemmeno per un secondo, il maledetto…
Karl quindi comprese che no, non avrebbe mai e poi mai dovuto far arrabbiare il portiere. Perché era educato e a modo suo gentile, ma non se chiudeva le gambe.
«Maledetto hentai nell’animo…», borbottò una volta negli spogliatoi, sbattendo la porta della doccia.
«Ti ho sentito!», tuonò la voce del giapponese dalla doccia di fianco.
Karl, furioso, aprì di scatto la doccia del portiere e si infilò dentro, sbattendosi la porta alle spalle e fissandolo quando più malamente poteva sibilò: «Non mi hai punito abbastanza?»
Genzo fece una smorfia: «No.», disse deciso, senza cambiare minimamente espressione.
Karl lo schiaffeggiò su un braccio: «Ho capito. Ho sbagliato. Mi dispiace.», borbottò. Non gli piaceva chiedere scusa, ma Genzo dopo tre giorni e mezzo tornava a parlargli; questo implicava che pure lui, il Kaiser di Germania, poteva fare uno sforzo verso l’altro, anche se gli costava.
«Balle.», obiettò Genzo, finendo di sciacquarsi la testa dallo shampoo.
Karl sbuffò, poi abbassò quanto più possibile il tono della voce e avvicinandosi a Wakabayashi ammise: «Gen… non è che non volessi fare l’amore con te… è che è un caldo del cazzo e sudare ancora di più mi fa venire solo irritazione.»
«Però sudare in campo non ti scoccia.», gli fece notare il giapponese, ancora terribilmente piccato.
Karl lo fissò in silenzio, aspettando di racimolare abbastanza insulti; ma poi, rendendosi improvvisamente conto che erano entrambi nudi come vermi sotto una doccia piuttosto fresca, gli venne l’idea geniale. Sfoderando il suo sorriso più sfrontato e malizioso, appoggiò tutto il corpo nudo addosso a quello del portiere e sussurrò: «Ho trovato un modo fantastico per ovviare il problema, portierone…» Il suo corpo rispondeva già al solo pensiero della sua idea e quello di Genzo rispondeva magnificamente solo grazie alla sua vicinanza. Anche se adesso era Genzo quello furioso e che lo trattava male, Karl comprese di averlo letteralmente in pugno.
Genzo ispirò di scatto e arrossì, imbarazzato e eccitato al contempo da quella vicinanza. L’idea che ci fosse tutto il resto della squadra di fuori lo mandava in paranoia, ma al contempo gli faceva salire il desiderio a picchi inauditi. «E sarebbe…?», gracidò.
«Visto che il caldo è infernale ma che nessuno dei due riesce a tenere i bollenti spiriti a bada…»
«Non mi sembra.», lo interruppe Genzo, ricordando subito che era arrabbiato con lui.
Ma Karl lo ignorò e continuò a parlare: «Farlo sotto la doccia mi sembra un ottimo modo che far contenti tutti. Tanto sesso divertente stando freschi.»
Genzo ci pensò su, poi annuì: «Saremmo sempre un sacco puliti, quest’estate…», ridacchiò.
Karl scoppiò a ridere prima di sussurrare con voce maliziosa: «Oh, sì, portierone… saremo così puliti che avremmo la pelle lucida…»
Bastarono quel tono di voce e lo sguardo languido che il Kaiser gli rivolse per dimenticarsi di chiunque e sbattere Karl contro la parete della doccia, penetrandolo senza tante cerimonie. D’altronde, erano tre giorni e mezzo che covava tutta quell’eccitazione dentro di sé.
«Oh, Gen!», sospirò Karl, stringendogli le braccia al collo mentre con le gambe gli allacciava la vita per dare quanto più accesso possibile all’altro nel suo corpo.
«Fa ancora caldo, Karl…?», domandò Genzo, afferrandolo per le cosce e spingendosi al contempo dentro di lui.
«Mmmhhh…», gemette il Kaiser. «Questo tipo di caldo mi piace un sacco…», ammise sospirando.
Genzo lo baciò profondamente: «Non avevo dubbi, bel Kaiser…» Poi aggiunge con tono minaccioso, affondando forte dentro di lui, facendolo sobbalzare: «Ma non provare mai più a rifiutarmi.»
Karl lo strinse di più e si morse il labbro inferiore per non urlare: «Adesso che abbiamo scoperto il metodo magico, Gen, non ho nessuna intenzione di opporre nessun tipo di resistenza…»
«Bene.», disse il portiere, muovendosi più lentamente, conducendo quella danza con dolcezza fino a quando entrambi vennero, mascherando i gemiti l’uno nella bocca dell’altro; le unghie di Karl affondate nelle sue spalle, le lingue intrecciate come se fossero una sola, i respiri pesanti ma sazi.
Quando uscirono, dopo aver dato uno scappellotto a Franz che li guardò con l’aria di chi la sapeva lunga su cosa era successo in quella doccia, Genzo lo richiamò afferrandolo per un polso: «Ah, Karl.»
Karl si fermò e si voltò a guardarlo: «Mh?», domandò sorpreso.
«Buon compleanno, comunque.», borbottò Genzo, arrossendo fino alla punta delle orecchie.
Karl fu sorpreso, ma sorrise: «Grazie, Gen.», disse sinceramente
«Non ti ho ancora fatto nessun regalo perché non sapevo cosa farti, ma adesso esco e vado a comprarti un dannato condizionatore.», gli rese noto il portiere, con cipiglio severo.
Karl non poté che scoppiare sonoramente a ridere prima di rubare un bacio fugace al suo portiere.
Sì, decisamente Genzo era uno che si legava le cose al dito… ma in questo caso, Karl ne fu felice. Voleva dire che ci teneva un sacco a lui, e cosa c’era di meglio che questo? Non lo avrebbe ammesso mai, ma fu felice. E poi avrebbe ottenuto anche dei condizionatori gratis! Cosa volere di più?
«Bravo portiere!»
 
 
 
FINE

   
 
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