Prologo

Indifferenza al buio

Runa Penthe.

Solo un'eterna oscurità fatta di colpi di martelli,di asce,di effimere urla e tanto,tanto sudore. Un luogo dove il tempo si è magicamente fermato e dove anche tutte le tue speranze sembra si fermino al suo ingresso.
Non c'è possibilità di fuga qui, dove le guardie si prendono gioco dei prigionieri, dove l'oscurità sembra inghiottire tutto, perfino i rumori, e dove tutto è una lotta continua contro il desiderio di farla finita.
Eppure, anche in un posto che sembra l'inferno -anzi, lo è!- si possono fare degli incontri interessanti. E a volte anche piacevoli.
Così la pensa Nero, mentre mani voluttuose graffiano, stringono, accarezzano quel corpo così perfetto, così ferito, stanco, dolorante per causa loro. Quelle mani che, ora, lo incitano ad unirsi a un altro bellissimo corpo, mani che Nero riconosce essere di Ayel. Il suo -prima-secondo in comando, il suo migliore amico, e ora il giovane uomo che stringe sotto di lui mentre gli entra dentro, colui con cui condividerebbe da qualche giorno il suo letto, se ce ne fosse uno nella cella. Ma per loro va bene così, si accontentano facilmente nel tempo di quella relazione malsana che li lega da qualche giorno: basta che nessuno sappia di loro due, nascosti e protetti tra le braccia del buio di quella squallida cella fatta di fredde pietre, dove il capitano può tornare a dominare e a dare ordini al suo secondo e dove quel piacere così...strano,violento, rude, può essere l'ideale per liberare la mente malandata del Romulano dal dolore provato e soppresso delle torture a lui inflitte, e lenire la sofferenza con i rari momenti di tenerezza che Lui gli permette dopo il culmine. Baci soffici e timide carezze dati da una bocca maschile, che per dedizione e affetto gli ricordano l'amore della sua vita.
E no, forse non era il momento giusto per pensare a lei, ed è troppo tardi per rimangiarsi il nome che ha fatto spalancare gli occhi ad Ayel.
E' forse un lampo di delusione quello che gli ha illuminato gli occhi per un secondo?
Eppure lui non fa niente: rimane lì per terra, fissando il suo capitano con occhi silenti e aspettando un cenno che gli faccia capire di andarsene, di tornare con gli altri, mentre la sua pelle tatuata sembra risplendere di luce propria nell'oscurità.
Entrambi infatti hanno pochissimo tempo per rivestirsi freneticamente prima che la campanella suoni in modo insistente per avvertire tutti che la pausa è finita.
Camminano l'uno a fianco all'altro Nero e Ayel, senza dire una parola, ignorando gli insulti delle guardie e i loro spintoni, i loro calci, per poi separarsi e tornare alle loro postazioni e al loro unico compito: scavare, scavare, scavare.
Ayel segue con lo sguardo la figura alta e massiccia del suo capitano, ammirando le braccia muscolose e toniche, il torace massiccio e allenato da intere giornate di lavoro, gli addominali delineati e scolpiti, la pelle pallida e straziata da mille cicatrici, e piena di tutti quei tatuaggi indelebili, portatori di ricordi troppo dolorosi, troppo vividi.
Un altro secondo passato ad ammirarlo ancora, prima che una delle guardie lo fissi e tocchi in modo casuale la sua arma,e la giornata ricomincia.

Rieccomi con il prologo di una storiella che mi è venuta in mente di scrivere ieri, sempre sui Romulani (ancora *-*) e ambientata nel periodo trascorso da Nero e i suoi su Runa Penthe, il campo di lavoro forzato. Spero vi piaccia.

Made of Snow and Dreams.