Attenzione!
Questo capitolo sarà
moooolto, mooooooooooooolto corto; è solamente di passaggio
e mi scuso in
anticipo. Per capire meglio, sarebbe preferibile aver visto High School
Musical
3 (sì, ho sedici anni e mi piace HSM. Problemi?); se
così non fosse, sarebbe
opportuno cercare su Youtube il video di “Can I have this
dance?”. Seconda
cosa: importante leggere il testo della canzone “Your love is
a lie”, dei
Simple Plan; se non si ha voglia di cercarlo, le parti salienti sono
nel
capitolo, IMPORTANTE LEGGERLE. Dopo questi avvisi, buona lettura!!
Your
love is a lie.
Il mattino dopo,
Emmaline ed io
eravamo in giardino. Ci eravamo svegliate prima di tutti gli altri
– perché sì,
alla fine ero riuscita a convincere i due a dormire da noi: Diana si
era
offerta di trasferirsi sul divano per una notte, lasciando a loro la
stanza
degli ospiti – desiderose di passare un po’ di
tempo insieme e di risolvere la
questione del giorno prima.
“Scusami
se mi sono messa a urlare
contro di te. So che mi volevi solo aiutare.”
“Tranquilla,
hai fatto bene. Almeno
ti sei sfogata. Da quanto volevi dire tutte quelle cose?”
“Un
bel po’.”
“E
ora, come ti senti?”
“Meglio.”
“Visto?”
fece lei con un sorriso.
Rimase un attimo in silenzio, poi continuò:
“Comunque, se dovessi sentire di
nuovo quella voce – e non guardarmi così, sai che
è possibile – chiamami
subito, va bene?” Io annuii e lei sorrise di nuovo.
“Ti ricordi le tre lettere
che ti ho spedito quando ancora ero in ospedale?” chiese. Io,
con una morsa
allo stomaco, confermai e lei continuò: “Ricordi
come dicevo che il passato mi
aiutava a restare coi piedi per terra?”
“Dovrei
ancorarmi al mio passato,
quando sai che è il motivo per cui sto così
male?”
“Io
non intendevo quel passato; più
indietro. Ricordi felici, sai? Ho vissuto con te più della
metà della tua vita,
posso assicurarti che hai molti ricordi felici.” Il tono con
cui lo disse mi
fece scoppiare a ridere. “Va bene, va bene. Hai qualche
suggerimento?” chiesi
poi. Lei annuì vigorosamente. “Oltre a quelli che
ti ho scritto, ce n’era uno a
cui mi aggrappavo spesso” disse, sbloccando il cellulare. Mi
impedì di vedere
cosa stava combinando, sorridendomi. “Emma, mi fai
paura.”
“Non
devi avere paura della tua
sorellona. Sono perfettamente innocua, quando voglio.”
“E ora
vuoi?”
“Certo.”
“Allora
sono tranquilla.”
Ci mettemmo a
ridere e lei posò il
cellulare, alzandosi in piedi e porgendomi una mano.
Contemporaneamente, sentii
delle note inconfondibili sprigionarsi dal cellulare. “Mi
concedi questo ballo?
Come quando eravamo piccole” mi chiese Emma con un sorriso
enorme. Io sorrisi a
mia volta al ricordo: avevo dieci anni la prima volta che avevamo
ballato quel
valzer, e lei tredici.
“No,
Coco, aspetta, è il contrario!” fece Emmaline
ridendo. “Ma non ho
capito!” mi lamentai. “È facile: tu devi
ballare come se fossi Gabriella e io
ballo come se fossi Troy, però tu canti come se fossi Troy e
io canto come se
fossi Gabriella!” mi spiegò. Avevamo appena finito
di vedere High School
Musical 3 per l’ennesima volta, un film che ci piaceva
tantissimo; tanto da
voler imparare il valzer di ‘Can I
have this dance?’. Stavamo provando
da tanto, ma continuavo a
inciampare. Emmaline, però, non si dava per vinta: mi faceva
rialzare, diceva:
“Da capo! Stavolta ce la facciamo, ne sono sicura!”
e ricominciava. Io non
conoscevo bene le parole, così canticchiavo a caso, al
contrario di lei, che si
era studiata bene tutto il testo e la coreografia. “Emma, non
ce la faremo
mai!” feci mesta all’ultima caduta. Lei scosse al
testa. “Io dico di sì.
Dobbiamo solo impegnarci al massimo. Siamo o non siamo
Wildcats?!”
E ce
l’avevamo fatta. Dopo un anno
di tentativi, ce l’avevamo fatta. Emmaline aveva imparato a
sollevarmi come
faceva Troy con Gabriella perché io ero più
leggera di lei, e io avevo imparato
la parte della canzone di Troy perché lei aveva la voce
più acuta. Da quel
momento, avevamo provato così tanto che ancora ricordavo
tutto.
“E
dai, Coco. Come quando eravamo
bambine” disse Emmaline, ancora con la mano tesa. Io mi alzai
e: “Se mi fai
cadere giuro che faccio di tutto per atterrarti addosso.”
“Ehi,
guarda che non hai più dieci
anni. Sei discretamente pesante.”
“Mi
stai dando della grassa?!” feci
con voce stridula e isterica. Lei mi mandò a quel paese con
lo sguardo e
scoppiammo a ridere. “Allora, mi concedi questo
ballo?” chiese di nuovo lei,
impaziente. Io annuii e lei, raggiante, fece ripartire la canzone. Si
posizionò
di fronte a me e prese la mia mano tesa, iniziando a cantare, proprio
come
quando eravamo piccole. Ci mettemmo a ballare l’unica
coreografia che avessi mai
imparato, l’unica che aveva un risultato che mi soddisfacesse.
E mentre
volteggiavamo per il giardino, facendo attenzione a evitare tutti gli
ostacoli
– portava lei – non riuscii a fare a meno di
ricordare tutti i momenti migliori
passati con mia sorella, prima che lei avesse avuto il crollo. Mi
chiesi come
avevo fatto, in quegli anni in cui lei era chiusa in ospedale, a fare a
meno
della sua presenza.
Quando finimmo,
ero carica di una
nuova energia e di una malinconica felicità. “Mi
era mancato tantissimo ballare
così” disse lei con gli occhi lucidi, prima di
abbracciarmi. Io ricambiai,
stringendola più forte che potevo.
Sentimmo
qualcuno che batteva le
mani dalla porta sul retro e ci voltammo: Balthazar e Luke ci
guardavano con
dei sorrisi inteneriti, mentre il primo batteva piano le mani. Ragazze,
siete
fenomenali” fece Luke per tutti e due. “Vi abbiamo
svegliato?” chiesi io.
Balthazar rispose e Emmaline tradusse: “Ha detto che si sono
svegliati perché
avevano freddo, dato che noi non eravamo più nei nostri
letti, così si sono
alzati e ci hanno trovato qui.”
“Piccola,
mi avevi detto che non
sai ballare” fece Luke avvicinandosi a me.
“È così. Questo è
l’unica
coreografia che so fare.”
“Beh,
eravate bellissime.”
“Grazie”
rispondemmo in coro io e
mia sorella.
***
Più
tardi, quella mattina, eravamo
tutti riuniti – e stretti – attorno al tavolo della
cucina per fare colazione.
Manuela si stiracchiò assonnata. “Ho fatto un
sogno strano” biascicò. “Cosa,
cupcake?”
“Ho
sognato il valzer di High
School Musical. La musica sembrava così
reale…”
Io, Emma,
Balthazar e Luke ci
guardammo complici: la finestra di Manuela dava proprio sul giardino.
“Devo
aver mangiato pesante ieri” liquidò la questione
lei. “Sì, probabilmente.”
“Credo
sia una cosa ovvia.”
“Sono
sicura che sia andata così”
facemmo noi tre, mentre Balthazar annuiva con nonchalance. Manuela ci
guardò
perplessa. “Va bene” fece, affondando un Pan di
Stelle nel barattolo di
Nutella. “Comunque sciete stani” aggiunse, con la
bocca piena. Noi annuimmo di
nuovo, prima di scoppiare a ridere.
“Allora,
a che ora partite, oggi?”
chiese Calum. “Appena finita la colazione dobbiamo metterci
in auto.”
“Di
già?!”
“Sì,
abbiamo il traghetto e non
possiamo fare tardi.”
“Peccato…”
“Dai,
quando torniamo restiamo qui
una settimana. Vi facciamo pentire di aver sentito la nostra
mancanza.”
“Quando
tornate?”
“Fra
tre settimane.”
“Allora
non troverete la metà di
noi.”
“Eh?”
“Fra
dodici giorni partiamo. Inizia
il tour.”
“Che
cosa?!”
“Coco
non ti ha detto nulla?”
“Sì
che me l’ha detto, mi ha
raccontato tutto, ma… CHE COSA?!”
Scoppiammo a
ridere. “Oddio, sarò
amica di quattro cantanti famosi” fece Emmaline.
“Vero che mi presenterete
Dylan O’brien quando sarete famosi?! E Tyler Hoechlin?! E
Avril Lavigne?!”
“Quella
posso già presentartela io”
dissi. “Eh?”
“Ho il
suo numero.”
Emmaline mi
guardò basita per
qualche secondo. “Tu… tu hai
il…”
“Sì.”
“E
QUANDO INTENDEVI DIRMELO?!”
Scoppiammo a
ridere tutti; persino
Balthazar si esibì in una silenziosissima risata.
“Se non me lo invii giuro che
ti scomunico, ti diseredo, ti stermino!” fece lei.
“Abbiamo anche quello
degli One Direction.”
“Qualcuno
mi regga, sto per
svenire.”
***
Una mezzoretta
dopo, la coppia
partì, come promesso, ma non prima di una lunga sessione di
commossi saluti.
Passammo il resto della giornata a non fare nulla e il pranzo si svolse
in una
monotonia assurda. Già ci mancava quella botta di energia
che ci avevano
portato Emma e Balthazar.
Il pomeriggio,
Diana uscì. “Vado a
trovare Evie” disse a Luke, che a quanto pareva conosceva la
famosa Evie.
Eravamo sul divano, quando gli chiesi: “Chi
è?”
“La
sua migliore amica. Non si
vedono da tanto.”
“Ah,
capito. Ma dove abita ora
Diana?”
“A un
paio d’ore da qui, però è
sempre un’impresa per lei venire qua.”
“Capisco.”
“Sai,
credo che fra un po’ uscirò
anche io.”
“E
dove vai?”
“A…
a trovare Lucian. Sì, ecco.
Credo che mi dovrò scusare per essere scappato dalla sua
festa in quel modo.”
“Vengo
anch’io, allora!”
“No,
è meglio di no.”
Il mio sorriso
si spense. “Perché?”
chiesi. Lui evitò il mio sguardo e, in
difficoltà, rispose: “Sai
com’è,
potrebbe esserci sua zia, e la sua famiglia non è proprio un
bijou, e…”
“Va
bene” feci io, un po’
abbattuta. Luke mi stampò un bacio sulle labbra, senza
approfondirlo. “Scusami.
Torno in un paio d’ore, okay?” chiese. Io annuii e
lui mi fece un mezzo sorriso,
prima di alzarsi, prendere la giacca, salutare tutti con un urlo e
uscire.
Rimasi qualche
secondo in silenzio,
poi sentii dei passi sulle scale. Manuela sembrò sorpresa di
vedermi. “Ehi, ma…
Luke non è appena uscito?”
“Sì.”
“Pensavo
che fossi con lui. Di
solito non vi mollate un attimo.”
“Di
solito.”
“Ehi,
perché quella voce triste?”
“Perché
mi ha propinato quella che
è evidentemente una scusa. Avrei preferito che mi avesse
detto che non voleva
dirmi dove andava.”
Manuela si
sedette di fianco a me,
in silenzio e pensierosa. Poi, batté una mano sulla mia
coscia. “So io cosa ci
vuole qui” disse, prima di farmi alzare e trascinarmi di peso
al piano di
sopra. “Manu, ma che…”
“Mettiti
in pigiama. Niente vestiti
stretti, questo pomeriggio.”
“Cosa
vuoi fare?”
“Tu
fidati di me!”
Io obbedii,
mentre lei usciva. La
sentii dire, sulla porta – chiusa – della stanza di
fianco: “Carol, smettila di
accoppiarti con Ashton come se foste due conigli, ho bisogno di
te.” Un paio di
secondi, e la porta cigolò. “Per tua informazione,
non ci stiamo accoppiando. Ci
stavamo per
addormentare.”
“Bene,
allora svegliati. E caccia
Ashton, per favore.”
“Eh?!”
fece la voce del mio
migliore amico da dentro la stanza. Io mi alzai per osservare la scena:
I tre
erano sulla porta e Ashton aveva uno sguardo perplesso.
“Perché dovrebbe
cacciarmi?”
“Perché
prima che vi conoscessimo,
spesso facevamo dei pomeriggi nerd, di
sole ragazze. E ora dobbiamo assolutamente farne
uno.”
“Perché?”
“Perché
ne ho voglia, va bene?!” la
ringraziai mentalmente del fatto che non avesse detto la
verità. Ashton sbuffò.
“Va bene. Andrò a fare una partita a calcio con
Luke, che ti devo dire?”
“Luke
è uscito prima” disse Carol.
Ashton fece una faccia sorpresa, prima di guardarmi. “E Coco
è ancora qui?”
“Già.”
“Ma di
solito sono inseparabili!”
“Già”
ripeté Manuela torva,
guardandolo in maniera così eloquente che mi sorpresi della
lentezza con cui
Ashton capì tutto. “Va bene, va bene. Allora
porterò via Mikey e Cal.”
“Grazie.”
“E
Maddy?”
“Da
quel che mi risulta, lei non ha
i pendagli fra le gambe, quindi è ben accetta.”
“Comunque
non è valido.”
“Lo so
bene. Ora vai a fare i
capricci in un campo da calcetto, per favore?”
“Ma…”
“Scusate
la rudezza, ma primo,
sapete che sono fatta così; secondo, so quando una persona
ha bisogno di un
pomeriggio nerd.”
Ashton non
ribatté più e sbuffò,
tornando in camera per prepararsi.
Nel giro di
venti minuti, eravamo
tutte in sala. Madison era perplessa: era la prima volta che
partecipava ad un
pomeriggio nerd, e non aveva nemmeno idea di cosa si trattasse. Manuela
aveva
preparato ogni cosa: il tavolo era ingombro di patatine, pop-corn,
Nutella e
cose del genere; il divano era stato spostato in mezzo alla sala,
proprio
davanti al televisore; su di esso, quattro telecomandi della Wii.
“Si gioca a
Mario Kart, ragazze!” disse allegra.
“Ma
cosa sta succedendo?” chiese
Madison ridacchiando. “Ti spiego: quando una di noi era
triste, o arrabbiata,
facevamo questi pomeriggi nerd, giocando alla wii. Ti assicuro che ti
diverti
molto, e inoltre sfoghi tutte le tensioni. Dovresti sentire gli insulti
che
partivano… alcuni non hanno nessun senso logico, ed
è proprio quello che fa
ridere. Fidati, ti piacerà.”
“Va
bene, mi fido” fece Madison
allegra. Eravamo solo noi in casa: questo significava nuovi insulti a
gogò.
“Io
sto in squadra con Coco!”
esclamò Manuela, sedendosi di fianco a me. Madison e Carol
si guardarono. “Tu
sai giocare?” chiese Carol. “Forse”
rispose Madison con un sorriso furbo.
***
“No,
accidenti a te, non mi superi,
brutta tartaruga scheletrica! No! Ma sei infame forte, lasciami in
pace! No,
no, no!” urlò Manuela, mentre il suo personaggio
– Mario – cadeva nel
precipizio, spinto da Tartosso. Manuela mi guardò
oltraggiata. “Mi ha spinto giù!”
strepitò. “Ho visto” commentai,
concentrata. “Ti vendicherò!” aggiunsi
poi,
sorridendo maligna: avevo appena ottenuto uno strumento, il guscio
alato blu, e
dato che Tartosso era il primo della squadra avvesaria…
Manuela mi guardò e
fece un sorriso malvagio. “Fallo saltare in aria, quello
stronzo!” esultò. Io
obbedii e in pochi secondi Carol urlò. “Ehi, io
ero lì vicina! Non vale, hai
fatto saltare in aria pure me, ero seconda!”
“Così
impari a stare in squadra con
uno scheletro che si diverte a buttare giù dal precipizio le
tue coinquiline!”
“Siete
delle pesti! Vai, Maddy, sei
in testa, tu, fai vedere a queste due cosa significa vincere!”
“Lo
farò, ormai sono arrivata!”
“Ah,
no, mia cara!” dissi io,
prendendo una scorciatoia che avevo scoperto tempo prima e trovandomi
davanti a
Madison. Tagliai il traguardo poco prima di lei, lasciandola di stucco.
Manuela
esultò. “Abbiamo vinto, abbiamo vinto!”
“Finisci
la gara, Manu, sei ancora
quinta!”
“Oh,
giusto, giusto!”
Alla fine,
Madison arrivò seconda,
Manuela terza e Carol quinta. Io mi stiracchiai. “Quante
corse mancano?”
chiesi. “Dodici” rispose pronta Madison, che alla
fine si era rivelata
un’esperta. Stavamo correndo da
diverse
ore: avevamo fatto prima un torneo di sedici corse – vinto da
Maddy e Carol,
per un punteggio di 334 a 298 – e avevamo cominciato un
torneo da trentadue
corse. Eravamo in testa io e Manuela, per un punteggio di 714 a 679;
nonostante
il distacco notevole, avrebbero potuto recuperare in poco tempo.
Guardai
l’orologio: erano passate quattro ore, fra pause e altro.
Stavamo per
cominciare la
ventunesima corsa, quando il campanello suonò. Io schizzai
in piedi e andai ad
aprire, speranzosa, ma mi ritrovai davanti Ash, Cal e Mikey, grondanti
di
sudore, e Diana. “Possiamo entrare? Per favore, il campo ha
chiuso un’ora fa,
abbiamo giocato qui davanti a casa tutto questo tempo…
abbiamo bisogno di una
doccia!” fece Calum implorante. “Falli
entrare” urlò Manuela. Io obbedii e loro
sospirarono di sollievo, schizzando dentro prima che il grande capo
potesse
cambiare idea. “E tu, Diana?” chiesi. “Io
ero da Evie, ve l’ho detto” fece con
un sorriso sognante, entrando e sparendo al piano di sopra. Manuela mi
raggiunse. “Io non ce la faccio più”
dissi. “A chi lo dici. Sto iniziando ad
avere le allucinazioni” ribatté lei.
“Andiamo a fare due passi?”
“Ci
sto.”
“Andiamo
a prepararci.”
“Vengono
anche le altre?”
“Non
so – mi sporsi per parlare con
le due – ragazze, andiamo a fare un giro, venite?”
“No!
Dobbiamo finire la corsa!”
“Ma
non potete finirla senza di
noi…”
“Invece
sì. Sarà una gioia vedere i
vostri personaggi fermi al traguardo!”
“Vi
piace vincere facile, eh?”
“Sì,
molto.”
Io tornai a
voltarmi verso Manuela.
“D’accordo, allora andiamo noi” disse
lei. Andammo al piano di sopra e ci
cambiammo in pochi minuti, trovandoci davanti alla porta.
“Andiamo?” chiese
lei. Io annuii e uscimmo. “Ho bisogno di cantare”
dissi subito. Lei non si fece
pregare: “Ho in mente questa canzone da tutto il
giorno” disse, prima di
iniziare a canticchiare:
I fall asleep by the telephone,
It’s two o’clock and
I’m waiting up
alone.
Tell me, where have you been?
Io mi unii a
lei:
I found a note with another name,
You blow a kiss, but it just don’t
feel the same,
‘Cause I can feel that
you’re gone…
I can’t bite my tongue forever
While you try to play it cool
You can hide behind your stories,
But don’t take me for a
fool…
You can tell me that there’s nobody
else, but I feel it…
You can tell me that you’re home by
yourself, but I see it…
You can look into my eyes and pretend
all you want,
But I know, I know your love is just
a lie!
It’s nothing but a lie!
Una sferzata di
vento mi fece
ricordare una cosa: avevo dimenticato il cappello. Lo dissi a Manuela,
che
annuì, e tornai in casa, mentre la sentivo continuare:
You look so innocent,
But the guilt in your voice gives you
away,
Yeah, you know what I mean…
Chiusi la porta
alle mie spalle. “Già
di ritorno?” fece Madison, concentrata. “Ho solo
dimenticato una cosa” dissi
io, andando al piano di sopra. Intanto, continuavo a canticchiare.
How does it feel when you kiss,
When you know that I trust you?
And do you think about me when he
fucks you?
And could you be more obscene?
So don’t try to say you’re
sorry,
Or try to make it right,
And don’t waste your breath,
Because it’s too late, it’s
too late…
Sentii un
urletto felice provenire
dalla stanza degli ospiti, che aveva la porta chiusa. Era Diana. Mi
chiesi
perché stesse esultando; nonostante non fosse una cosa bella
da fare, avvicinai
l’orecchio alla porta. La sentii subito parlare, doveva
essere al telefono. “Oh,
Evie, non puoi immaginare che pomeriggio da favola ho
passato!” stava dicendo.
Io assunsi una smorfia perplessa: se fosse stata davvero con lei,
l’amica
avrebbe dovuto sapere di cosa stava parlando, no?
“Sì,
tranquilla, posso parlare
liberamente. Non c’è nessuno sul piano.
Sì, sì, ero con lui oggi, che domande
fai?!”
Con lui? Ero
confusa. Con chi era
stata tutto il pomeriggio?
Pensaci,
Coco: chi è stato fuori tutto il pomeriggio, senza dirti
dove
andava e, anzi, propinandoti una scusa orribile? Fece una
vocina nella mia mente. Sentii una morsa all’altezza dello
stomaco. È solo una coincidenza,
pensai. Ormai,
però, avevo il tarlo del dubbio nella mente, così
tornai ad ascoltare. Diana
era rimasta in silenzio qualche secondo, ma quando
ricominciò sentii ogni sua
parola: “No, non lo sa nessuno… Sai che non
possiamo dirlo in giro!
Succederebbe un casino assurdo… Evie, te ne ho parlato altre
volte, non fare la
finta tonta! E no, non chiamarlo Loulou, è terrificante!
Solo Luke!”
Quelle parole mi
colpirono come un
pugno in pancia. Visto? Avevo ragione!
Si vantò la voce nella mia mente. Ormai avevo paura a
tornare ad ascoltare, ma
strinsi i denti e lo feci: Diana era appena scoppiata in una risata
divertita,
e, con un tono che sembrava sorpreso per una domanda, fece:
“Certo che lo amo
ancora, che domande!”
Basta. Era
troppo. Mi staccai dalla
porta e corsi al piano di sotto, uscendo di corsa. Manuela era seduta
sul
marciapiede, e canticchiava: “Your love is just a
lie… You’re nothing but a lie…
Your love is – Coco, che succede?!” chiese
alzandosi, vedendomi con le lacrime
agli occhi. Io non dissi niente e la abbracciai, mentre scoppiavo a
piangere. “Coco,
ma cosa…”
“Avevo
ragione, Manu. Avevo ragione
ad aver paura.”
“Ma
che cos’è successo?!”
“Diana.”
Lei non disse
più niente: si limitò
a stringermi più forte che poteva, e per questo le fui
grata. Singhiozzai sulla
sua spalla a lungo, mentre nella mia testa si ripetevano sempre e solo
le
stesse dannate parole:
Oh,
andiamo, non dirmi che non te lo aspettavi!
*Angolo autrice*
Eeeeeehi! Ciao a
tutti!
Wow, sono stata
veloce stavolta!
Sì, lo so, il capitolo è corto e bla, bla,
bla… Ma sono stata veloce!
È
solo un capitolo di passaggio:
sì, passaggio dalla relazione facile al difficile.
Perché Luke fa il doppio
gioco, signore e signori! Ve lo aspettavate? Coco no. Come credete che
andrà
avanti? Luke glielo dirà? Coco rivelerà
ciò che ha sentito? Chiariranno?
Romperanno? E soprattutto, lo faranno prima dei famosi dodici giorni?
Fatemi
sapere i vostri pareri in una recensione!
Beh, io vi
saluto. Alla prossima!!!
Ranya