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Autore: Tomi Dark angel    01/08/2015    6 recensioni
STEREK.
Tratto dalla storia: "-Pronto?-
-Scott…?-
-Sceriffo, che succede? Mi sembra un po’ tardi per chiamare…-
-La... la camera di Stiles è… un bagno di sangue. E lui non… non c’è più. Mio figlio, Scott. Mio figlio…-"
Stiles Stilinski sparisce per tre anni. Per tre anni tutti lo credono morto, per tre anni di lui non si hanno notizie. Quando però riappare, non è più lo stesso. Di lui non resta che una creatura nuova, un incubo talmente orrendo che anche Beacon Hills teme di accogliere.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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“La tomba che si chiude sui morti,
Si apre sul firmamento.
Ciò che dunque quaggiù consideriamo la fine,
Per chi muore è nient’altro che principio.”
 
Il male può assumere tante forme, a cominciare da quella più fragile e innocente. Esso muta come il più letale ed adattabile dei predatori, e con altrettanta malleabilità si adatta agli ambienti, alle situazioni, agli animi di coloro che contamina. È una piovra, un’Idra dalle mille teste che difficilmente l’uomo potrà guardare in volto senza impazzire. Il vero aspetto del male, lo conoscono in pochi e quegli stessi, miseri esseri, hanno invero avuto a che fare pochi istanti dopo con la morte o la follia più pura.
Il vero aspetto del male, si dice, è quanto di più malato e distruttivo possa mai concepire mente ultraterrena. Generato da Dio, fomentato dall’uomo, comandato da Lucifero.
Ma ci sono momenti, in cui almeno i più forti potranno vantare di aver guardato il male in faccia, di averlo toccato e respinto senza impazzire. Pochi eletti, pochi sopravvissuti al seme della follia e all’artiglio della morte.
Derek Hale e il suo branco, appartengono a quella fascia di fortunati che con mano tocca il male e lo respinge, lottando sul suo stesso campo. Il giorno dell’Apocalisse può giungere in qualsiasi momento, ma ci si sente sempre troppo giovani per accettare che ogni cosa possa finire. Adesso tuttavia, quel momento è arrivato e il destino dell’universo giace sul piatto di una bilancia troppo fragile, troppo sottile. Il male pesa troppo, per un semplice oggetto come per le ferali creature che adesso lo fronteggiano.
L’universo non ha mai avuto modo di vedere una battaglia tanto cruenta. Il cielo è oscurato da fiamme e grumi di oscurità, filamenti di luce e buio che si intrecciano e si scontrano, feriscono e fanno a pezzi. In alto come in terra, i demoni si fanno reciprocamente a pezzi, azzannandosi e squartandosi, ferendosi e decapitandosi. Le ali spalancate sono talmente alte da non lasciar intravedere, in alto come in lontananza, neanche il più piccolo barlume di cielo, scosso continuamente da ruggiti ed esplosioni talmente possenti da intimorire il mondo intero. Dall’alto piove sangue e spesso e volentieri l’oscurità cala come pece sui corpi sottostanti. È qualcosa di pesante, viscoso, che soffoca e non molla mai la presa.
È quella l’Apocalisse.
Fino a quel momento, Derek ha pensato di essere un guerriero, una macchina da guerra destinata a uccidere e massacrare per attacco e autodifesa. Ci ha pensato, ma solo adesso capisce di aver sbagliato su tutta la linea. Lui non ha mai combattuto veramente e mai ha capito cosa sia una battaglia reale, di quelle che fanno tremare le anime e il mondo, i mari e la terra. Adesso sa, adesso capisce. Lì, alla fine della sua stessa era, Derek Hale combatte la sua prima e ultima guerra.
Piedi che affondano nell’erba. Muscoli che si gonfiano nello sforzo di accelerare. Un respiro trattenuto come ansito di bestia prima del balzo. Poi, i due eserciti si scontrano con lo schianto fragoroso di una montagna che crolla per intero e ruggendo, Derek affonda gli artigli negli occhi del demone più vicino, torcendo poi la mano per spezzargli l’osso del collo. Abbandona il cadavere, ruota su se stesso e pianta un pugno sulla spalla del nemico più vicino. Lo guarda arretrare ferito, le ossa rotte e la clavicola destra barbaramente spezzata. Prima che possa reagire, gli salta alla gola e la squarcia coi denti.
Al suo fianco, Isaac e Scott lottano come un sol uomo, schiena contro schiena, senza distanziarsi mai troppo dall’altro. Difficilmente Derek ha mai visto macchina meglio oliata di loro due. È come se combattessero insieme da sempre, figli di un filo che li lega, li trattiene insieme, li spinge ad affrontare a testa alta la battaglia più distruttiva della storia dell’universo. Sembrano leggersi nella mente, al punto da riuscire ad anticipare le mosse dell’altro: Isaac colpisce laddove Scott lascia uno spiraglio scoperto, così come Scott difende negli istanti in cui Isaac decide di attaccare. Si scambiano di continuo e di continuo feriscono, uccidono, mutilano. Isaac schiva una coda, che Scott ha la prontezza di afferrare con gli artigli. Tira forte, per destabilizzare il demone e impedirgli di reagire mentre Isaac cala gli artigli e trancia l’arto.
Dieci, cento, mille saranno le vittime del loro piccolo duo che ferino, lo stesso che per anni è rimasto nascosto nell’ombra, silenzioso, dormiente come bestia in letargo. Derek vede i demoni andare in bestia, tentare più e più volte di spezzare il loro cerchio, ma nessuno ci riesce. Insieme, Isaac e Scott hanno inalberato una barriera indistruttibile.
Strano a dirsi ma, nella penombra del buio che ha avvolto la terra, i denti di Isaac spiccano non in un ringhio… ma in un sorriso. Non si diverte a uccidere e odia da morire quella battaglia. Però… si sente completo, adesso che combatte al fianco di Scott. Entrambi trattano l’altro come ala di gabbiano, entrambe indispensabili per volare, ed è bello, perché alla fine di tutto, sono insieme e Isaac non si è mai sentito più felice di così.
Derek ruota su se stesso e afferra le zanne di un demone troppo vicino, alto due metri, che tenta di sorprenderlo alle spalle. Gli torce il capo per stordirlo, ma la coda sbuca all’improvviso, impossibile da fermare a mani nude se si vuole evitare la morsa delle zanne. Derek la vede avvicinarsi, saettare verso il suo viso, ma non chiude gli occhi perché lui la morte non la teme. Qualcuno però interviene, si frappone tra Derek e la coda. Una mano afferra la punta con forza, ferendosi il palmo e incidendo a fondo ogni singola falange. Blocca l’arto, lo sbatte al suolo e in quell’istante un lampo d’artigli penetra a fondo lo stomaco del demone, facendolo ruggire di dolore.
-Torna all’Inferno!- ringhia Peter Hale, torcendogli contro la coda e piantandola infine nella gola della creatura. Quella si accascia, sputando un grumo di sangue che sa di morte e arresa, di incredulità e malsana sofferenza.
Derek incrocia lo sguardo azzurro di Peter, i suoi occhi giudiziosi di bestia anziana che già troppo ha vissuto e troppo ha patito. Un dannato, un colpevole per omicidio che ai suoi stessi errori pone rimedio adesso, alla fine dei tempi, quando ogni cosa gli crolla addosso.
-Attento a come…- comincia Peter, ma mentre parla, Derek spicca un balzo e lo oltrepassa, leggero come angelo senz’ali. Atterra su un demone e lo dilania con gli artigli mentre suo zio trancia di netto la coda del nemico da poco abbattuto e, roteandola sulla testa, la abbatte come una frusta uncinata sugli obbiettivi. Una, due, tre volte. Derek tramortisce e Peter uccide. Zio e nipote, entrambi Hale destinati a proteggere quella città e quel mondo.
Una freccia si pianta sibilando nella fronte di un demone mentre un proiettile intriso d’acqua benedetta ne abbatte un altro. Chris ed Allison Argent emergono dalla mischia, sconvolti e sporchi di sangue troppo scuro per essere umano. Presentano tagli dappertutto e Chris zoppica appena, ma stanno bene.
-Dove eravate finiti?- ruggisce Isaac mentre para l’assalto di un demone, bloccandogli i polsi per consentire a Scott di decapitarlo.
-Tu che dici?- urla Allison, scoccando altre frecce. Guarda in alto quando ode il sibilo di qualcosa sulla sua testa. Un immenso paio d’ali sostiene su di loro un corpo massiccio, sformato di creatura demoniaca. Ringhia bestiale, le sei code uncinate che guizzano intorno a lui come un vortice di metallo indistruttibile. Il volto è coperto di pelo nero, il muso atteggiato in un ghigno che di umano possiede ben poco.
Allison scocca tre frecce nella sua direzione, ma il demone le ferma tutte, una dopo l’altra, intercettandole con le code abominevoli. Scarta di lato per evitare i proiettili di Chris, sale di quota quando Derek e Scott tentano di ghermirlo. È più intelligente degli altri, e questo fa paura. Ha studiato da lontano le loro tecniche di combattimento, e ora conosce a menadito ognuno di loro.
Peter indietreggia preoccupato mentre il demone sale ancora e ancora, sempre più piccolo nell’oscurità di demoni che si linciano reciprocamente. Derek avverte gli schianti poderosi dei corpi che si urtano, delle lame che stridono nello scontro, e prega che Stiles non sia una delle vittime che crollano al suolo senza vita.
Il demone dal muso ferino li riaggancia all’improvviso, proprio quando i più stanchi cominciano a rilassarsi. Un proiettile di pelo e lame piove dall’alto su di loro, impossibile da fermare o da intercettare. Nessuna freccia lo scalfisce, nessun proiettile lo rallenta.
Derek si vede perduto per la seconda volta, ma per la seconda volta è costretto a ricredersi: due diversi demoni emergono dalle ombre, massicci e longilinei, insanguinati e velocissimi, come angeli vendicatori che neanche Dio saprebbe arrestare. Derek riconosce i loro odori non appena si avvicinano, scagliati come proiettili esplosi dalla canna di un fucile. Si muovono simultaneamente, come due identici arti appartenenti a un unico corpo, figli d’un unico, apocalittico intero: sanno cosa fare, sanno come agire e dove colpire. Il demone dalle quattro ali devia appena la traiettoria e afferra l’ala sinistra del nemico, mentre il suo compagno artiglia la destra. Lo strappo degli arti che vengono sradicati letteralmente dal corpo del demone stride come metallo che si piega. Le vele si stracciano come tristi opere d’arte lacerate dalla stessa mano d’artista che le ha tessute, le ossa si spezzano con la fragilità di ramoscelli e improvvisamente, il demone lancia al cielo il suo ultimo ruggito di agonia, una preghiera silenziosa all’Inferno che l’ha trasformato e condannato.
Prima ancora che il corpo precipiti, altri due demoni compaiono e lo afferrano al volo. Ruotano su loro stessi e scagliano il cadavere contro un nemico per distrarlo prima di saltargli bestialmente alla gola. Fiamme sprizzano dal contatto di zanne contro pelle e una colata di pece oscura piove sul branco, che si vede costretto ad accucciarsi nel vano quanto istintivo tentativo di sottrarsi alla morsa soffocante delle tenebre assassine. È una cascata di nero inchiostro, una pioggia killer che si rovescia dal cielo.
Con un tonfo, Valefar e Stiles atterrano e sollevano simultaneamente le mani, come assetati che invocano acqua dal cielo. Le tenebre si arrestano allora a pochi centimetri dai loro palmi, compattandosi come liscia superficie d’onice che docile risponde ai loro comandi. Stiles allora tende i muscoli, ringhia qualcosa di incomprensibile e, dinanzi agli occhi terrorizzati dei presenti, serra entrambe le mani in pugni nervosi di lame affilate che quasi gli tagliano a metà entrambe le braccia.
Un sibilo, il rumore di qualcosa che si spacca. Le tenebre si frantumano come vetro, disperdendo all’aria migliaia di frammenti affilati, sottili, solidi come il più cupo degli incubi divenuto realtà. È allora che Valefar compie un ampio gesto col braccio iridescente, squamato, irto di punte affilate e sporche di sangue.
I frammenti vibrano, poi come una bomba, esplodono verso l’esterno in un ventaglio di lame affilate, micidiali, che trapassano gole e crani, braccia e zampe. Alcune schegge tranciano code, altre si piantano a fondo nelle bocche spalancate dei demoni avversari. È una reazione a catena, un gesto distruttivo che trascina nell’abisso centinaia di vite. E d’improvviso, Derek capisce perché i demoni sono tanto spaventosi. Anche i più innocenti, nella loro trattenuta pacatezza, conoscono il massacro meglio di chiunque altro.
Si volta lentamente, posa gli occhi su Stiles… e lo vede, eretto e bellissimo, totalmente trasformato, con gli occhi dorati e la cornea nera. Le punte affilate che gli definiscono le carni e i tratti zigomatici svettano sanguigne oltre il muro della pelle squamata, le quattro corna lucenti brillano di nero alabastro e le zanne candide di madreperla guizzano di bagliori riflessi dovuti alla battaglia che ancora infuria tutto intorno. Derek non crede di aver mai visto qualcosa di tanto bello e terribile, come un dio vendicatore sceso dal cielo e dal cielo stesso osannato. Più lo guarda, più si sente insicuro, prostrato e stranito dalla sensazione che sì, quella creatura è legata a lui e a lui soltanto guarda con glorioso affetto incontaminato. Tra tutti, lo ha scelto e Derek ancora se ne domanda il motivo.
-State attenti.- sibila Valefar, il cui sguardo di bestia appare lontanamente ovattato, come se faticasse a tenere a bada i suoi stessi istinti primordiali. Derek legge nel suo sguardo ferino il dolore per l’assenza di Lydia, la paura di perderla, la bruciante decisione di difendere il suo futuro ad ogni costo. –Non…-
Ma improvvisamente altri demoni compaiono dal nulla, vomitati dalla terra e dalle tenebre, dal buio e dalle fiamme. Ammassi di corpi male assemblati, volti ferini di bestie inferocite, lame guizzanti di luce insanguinata. Li circondano a centinaia, separando il branco dal resto dell’esercito.
-Cazzo.- impreca Isaac.
-Non dire parolacce!- lo riprende Scott.
-VI SEMBRA IL MOMENTO?!- esplode Peter.
Il cerchio intorno a loro si stringe, poco a poco li soffoca.
-Stiles.- ringhia Valefar, e allora Derek si volta e guarda il suo demone, i cui arti tremano di adrenalina e fibrillazione. Vuole attaccare, vuole reagire, ma sta aspettando qualcosa.
-Serrate il cerchio.- sibila con voce sdoppiata, e allora il branco ubbidisce. Derek affianca Stiles, Isaac e Scott si accostano l’uno all’altro. E improvvisamente, ognuno di loro sa cosa fare perché appartengono a un gruppo, un unico intero di guerrieri che insieme, formano una vera e propria potenza della natura. Guardiani della luce e del destino, figli del domani e della libertà. Il loro non è un semplice branco: è una famiglia.
-ADESSO!!!- ruggisce Stiles prima di richiamare a sé un gigantesco grumo di tenebre. Il buio li avvolge, li abbraccia, nascondendoli alla vista e annegando le loro tracce. Derek lo sente strisciare sulla pelle, ma quell’oscurità non fa paura perché profuma di Stiles, di familiarità.
Scott ringhia, e quello è il segnale d’allarme, l’innesco che fa scattare tutti loro, simultaneamente, come un sol uomo. Ognuno conosce le mosse dell’altro, ognuno le anticipa e le appoggia e, quando Derek emerge ruggendo dalla cappa di buio, possente come una valanga in caduta libera, già sente che ad appoggiarlo ci sarà la coda di Valefar, che saetta al suo fianco, blocca i polsi del demone più vicino e gli permette di staccargli la testa con un colpo d’artigli. Peter si accovaccia dinanzi a Chris e sua figlia per intercettare con gli artigli l’assalto di ben due code, che subito gli feriscono gli avambracci. È un istante, ma tanto basta per concedere ai due Argent di fare fuoco una, due, tre volte. Ogni colpo va a segno, ogni freccia o proiettile abbatte senza pietà l’obbiettivo.
Isaac sbuca dal nulla, si volta, afferra Scott per i fianchi. Gonfiando i muscoli, lo scaglia nella mischia e il giovane Alpha fa a pezzi due, tre, quattro nemici mentre Isaac lo raggiunge ruggendo, fiero leone al cospetto dell’oscurità più nera.
Uniti. Insieme, lottano per la sopravvivenza e improvvisamente, l’oscurità sul mondo non pare più tanto fitta. Stanno vincendo. I demoni sembrano diminuire e loro… loro sono insieme, uniti, vivi. La luce tornerà, e saranno loro a vederla sorgere. Guarderanno il sole insieme, si stringeranno in un abbraccio sincero di famiglia sbocciata e finalmente, ogni cosa tornerà al suo posto, così come è giusto che sia. Stiles si volta verso Derek e lo vede lottare con zanne e artigli, glorioso nella sua furia omicida, lupo a tutti gli effetti coi suoi muscoli gonfi, i gesti ferini, gli occhi accesi di rabbia animale. È magnifico, ed emerge dalle tenebre come il figlio più bello di qualsiasi ombra.
Saranno insieme, alla fine di tutto. Forse, non è troppo tardi per costruirsi una vita, per rinunciare all’alba, per guardare al domani. Forse.
Illusione.
Si sa, i miracoli sono restii ad avvenire. A volte si prega, spesso di spera, ma non sempre si ottiene ciò che con tutto l’animo si implora. Ci sono momenti in cui il mondo crolla a pezzi, il sole si oscura e ogni cosa si dimostra misera e debole, come un castello di carte spazzato via dal vento. È così facile morire. È così facile perdere ogni cosa.
Semplicemente, la battaglia si interrompe. Gli ultimi corpi si schiantano al suolo, i focolai di fiamme e oscurità si estinguono e i demoni si immobilizzano come statue. L’oscurità cala nuovamente sul mondo come cappa di velluto, accecando i vedenti e disperdendo ogni barlume di speranza. In tutto il pianeta, la gente crolla in ginocchio e i bambini piangono. Donne stringono al petto i propri figli nel gesto istintivo di proteggerli e uomini si coprono il volto, prostrati e troppo deboli al cospetto di ciò che sta accadendo. Possono sentirlo, quel male freddo e incontaminato che avvolge in spire sempre più soffocanti il mondo intero. Voci sussurranti invadono le menti, peccati nascosti e mai confessati gridano le proprie colpe al colpevole che mai tentò di espiare. Voci che si trasformano in urla, urla che si tramutano in pianti e gemiti.
Ricordi le tue origini, o uomo? Ricordi chi sei, come sei nato?
I primi suicidi, avvengono all’improvviso. In tutto il mondo, la gente urla e si getta dal balcone, mentre altri ancora sbattono la testa contro il muro fino a sfondarsi il cranio. Tentano invano di fuggire, di zittire quel male che rinfaccia loro gli errori più neri che abbiano mai compiuto. Qualcuno grida perdono, ma è troppo tardi. C’è posto per tutti, all’Inferno.
È stata l’oscurità a generarti.
Derek riconosce quelle urla nella sua testa. Le ha già subite mentre era all’Inferno, ha già imparato ad affrontarle. È forse per questo che di tutto il branco, solo lui, Scott e Peter restano in piedi, tremanti ma stoicamente eretti. Serrano le palpebre, ignorano disperati ogni placido appiglio alla follia. C’è speranza, la luce esiste. Devono crederci, devono ricordarla.
Stiles. Pensa a Stiles.
Derek si volta allora verso la sua ancora più ferma, ma ciò che vede lo spiazza e lo uccide, barbaro e inaspettato come massacro di un bambino appena nato a opera della sua stessa madre impazzita.
Stiles è in ginocchio, col capo tra le mani. Gli cola sangue dagli occhi e dalle orecchie, dalla bocca e dal naso, come se il cervello gli stesse esplodendo ferocemente. Scrolla la testa, ringhia bestiale e improvvisamente le ali cominciano a vibrare di terrore malcelato perché ciò che sta arrivando va ben oltre le possibilità di quel piccolo, misero demone. Lui non può nulla, non è nulla al cospetto di suo Padre, quella creatura che lo ha ucciso e resuscitato non per pietà, ma per puro gaudio di sofferenza.
Stiles sta per cedere, lo sente… ma qualcosa cambia. Improvvisamente, gli giunge all’orecchio un sospiro, la voce di un angelo che lo richiama alla vita e alla ragione. Solleva gli occhi iniettati di sangue e incrocia quelli troppo vicini di Derek, così blu da fargli male al cuore. Lo guarda con convinzione, trasmettendogli tutta la forza di cui necessita, tutta la forza che Stiles chiede. E improvvisamente, il demone si sente pronto perché il suo tesoro più prezioso è lì, la sua famiglia è lì, e quello è il SUO mondo.
Con uno schiocco secco, spalanca le ali. Nell’immobilità della battaglia sedata, le sbatte con forza, provocando un uragano di vento che spazza via le ceneri dei caduti e le fiamme rimaste di piccoli incendi in sboccio. Aria pulita, profumata di vita e di rivincita, di vendetta e libertà. Con decisione, Stiles Stilinski vola incontro al suo destino, che in quello stesso istante emerge dalla più cupa condensa di oscurità ferma a mezz’aria. E quando il Diavolo si palesa agli occhi dei presenti, armato sorprendentemente di umano aspetto e sei ali gigantesche, nerissime, talmente ampie da sfumare in oscurità aliena e perpetua, la stessa che dall’Alba dei Tempi ha abbracciato l’universo, Derek non può credere ai propri occhi.
Lui quell’uomo l’ha già visto. Non di persona, certo, ma… nei ricordi di Stiles. È lui l’uomo che lo ha massacrato per trascinarlo all’Inferno, è lui l’uomo che ha dato inizio ad ogni cosa. Stiles non fu prelevato dalla vita da un semplice demone, no: a occuparsi di lui, fu il Diavolo in persona, coi suoi splendidi occhi azzurri, i capelli neri e ricci, la pelle pallida e lunare. L’uomo più bello e vuoto che Derek abbia mai visto. Per quanto splendidi, i suoi occhi non riflettono il minimo bagliore di luce. Non una scintilla attraversa quello sguardo, non un barlume di vita permea quel volto austero e nobile più di quello di qualsiasi re antico.
Quello è l’aspetto del male, ed ha una faccia così semplice, così bella e innocente, da bruciare gli occhi e il cuore. Può qualcosa di tanto bello ferire fino a quel punto? Può un volto tanto nobile racchiudere invero tanta putrida malvagità?
-Stiles.- sorride Lucifero con dolcezza spiazzante, come di giovane innamorato che rivolge il suo primo sospiro al compagno di letto. Guarda Stiles in volto, l’espressione morbida, le mani tese verso di lui come a volerlo abbracciare. Tutto intorno a loro, l’universo tace. Ognuno fissa la scena, ognuno attende un responso giudizioso di ciò che accadrà.
-Lucifero.- sbotta Stiles in risposta, esternando più coraggio di quanto in realtà permei le sue membra.
-Figlio mio, perché fai questo?- mormora Lucifero, e la sua voce è talmente pietosa, talmente dispiaciuta che per un attimo, Derek avverte il bisogno di chiedergli perdono. Non sa perché, ma più guarda quell’uomo, più stranamente si convince che proprio lui non possa essere uno dei malvagi. –Perché mi percuoti? Quelli che vedi sono fratelli tuoi.-
-Lo sono anche quelli che hai fatto uccidere finora. Lo erano anche Dumah e Alastor. Di loro ti è mai importato qualcosa?-
Lucifero scrolla il capo, dispiaciuto. –Non ho mai voluto ucciderli. Sai bene che a porre fine alla vita di Alastor fu Michael, non io. E Dumah… non sono riuscito a impedirlo, figlio mio. A volte, certi inconvenienti capitano.-
-Non sono inconvenienti. Dumah era mia amica, e Alastor… l’hai abbandonato lì come un cane! Non pretendere di conoscere l’amore, perché non è dall’amore che scaturisce l’oscurità!-
Lucifero sorride amabilmente. –No? È stato Dio a crearmi, figlio mio, ed egli è amore. Io conosco l’amore, così come lo conosci tu. Non è stato forse amore il mio gesto di liberarti? Non è stato l’amore a farti uscire dall’Inferno? Io ti ho liberato, e tu adesso ti approfitti della mia benevolenza. Chi è in torto reale?-
Stiles lo guarda, specchiandosi negli occhi cristallini di Satana. Ha dell’assurdo che iridi tanto chiare racchiudano in realtà un male tanto oscuro, così come ha dell’assurdo che quell’uomo sia lo stesso che ha strappato a Claudia Stilinski il patto di un’anima, una vita distrutta, un piccolo punto luce che Satana in persona non è riuscito a soffocare. Stiles era morto, ma non ha mai smesso di splendere. Stiles era morto, ma ha continuato a respirare, a pregare, anche quando gli schiacciavano i polmoni e chiudevano la bocca. È quella la sua vittoria, e la battaglia che si svolge intorno a lui adesso ne è la prova materiale.
Vincere i propri demoni è semplice solo se si crede davvero nella possibilità di riuscirci. Satana è potente, ma su una cosa l’incappucciata nera aveva ragione: gli immortali conoscono i sentimenti solo di nome, ma non vantano la capacità di provarli sulla pelle. Non assaporeranno la gioia e il dolore, l’affetto e la felicità, l’amicizia e la speranza. Sono quelle le benedizioni che rendono l’uomo pronto a rialzarsi ogni volta, senza mai stancarsi. Quella è la gente di Stiles, gli stessi uomini che giorno dopo giorno hanno il coraggio di continuare, di sfidare i capricci della vita e proseguire a testa alta. Lucifero non può vincere perché, come disse una volta la madre di Stiles, la luce sarà più forte ove anche l’oscurità oserà infittirsi.
-Io non sono tuo figlio.- sorride improvvisamente Stiles, sbocciando in un sorriso gentile che sul volto di bestia devastata stona come candida rosa nata in un campo di sterminio. –Non lo sarò mai. E sai perché? Perché mio padre si chiama John Stilinski, ed è un umano… come lo ero io. Come lo sono io. Siamo tutti umani, qui; anche i demoni che hanno avuto il coraggio di voltarti le spalle. L’umanità dopotutto, si specchia in questo: non nella luce, non nelle tenebre, ma nella speranza. Avere coraggio, guardare al domani, tendere la mano a chi come ho fatto io grida aiuto fino a spezzarsi le corde vocali… la vita che proteggo è questa. Tu non credi nella luce perché non riesci a vederla, Lucifero. I tuoi occhi sono ciechi, ghiacciati dal gelo dell’Inferno e ustionati dalle fiamme che lo abbracciano. Pensi di conoscere l’amore? Non sai nemmeno cosa significhi amare qualcuno, e questo perché l’amore vero, io l’ho imparato da creature mortali! Ho visto Valefar spezzarsi le ossa per difendere Lydia! Ho visto Scott sacrificare ogni cosa in nome di ciò in cui crede! Il mio branco mi ha inseguito quando avrebbe invece dovuto abbandonarmi, mi ha trovato quando chiunque avrebbe smesso di cercare. L’umanità è questa, e non l’ho trovata né in Dio, né in quelli come te che pensano di poter professare sentimenti che non conoscono!-
Stiles snuda i denti, gli occhi luminosi come punti luce. La sua rabbia esplode, devastante più di qualsiasi supernova, gloriosa più di qualsiasi spada d’angelo vendicatore. L’aria vibra intorno al suo corpo, percossa da un potere talmente ampio che faticosamente si raggruma come armatura silenziosa e indistruttibile lungo gli arti adesso brillanti di fiamme reali, vive, che corrono bollenti sulle carni. Guizzano sulla pelle, danzano intorno al loro proprietario e lo tingono di oro e rubini ultraterreni.
Una bellezza tanto devastante, Derek non l’ha mai vista. Dal basso, riesce a distinguere il brillio ferino degli occhi di Stiles, i muscoli in rilievo contro la pelle baciata di guizzanti fiamme letali. Nessun angelo apparirebbe mai tanto nobile, nessuna creatura saprebbe eguagliare una grandezza così devastante. È come guardare il sole e la luna, le stelle e l’aurora boreale. Guardandolo, i presenti ancora immobili pensano che lì, davanti ai loro occhi, c’è qualcuno che potrebbero seguire. Lì, davanti ai loro occhi… c’è qualcuno per il quale potrebbero morire.
Stiles sbatte le ali e l’oscurità del mondo intero trema intimidita, vittima di un potere senza eguali, che continua a crescere e a sbocciare.
-Figlio mio, non farmelo fare.- sussurra Lucifero, i cui occhi tuttavia scacciano all’improvviso qualsiasi barlume di pietà. Fissa Stiles con una sorta di pericoloso istinto predatorio, una minaccia che ricopre la pelle di Derek di brividi. È quella la bestia che teme l’Inferno, è quello il mostro che miete anime e le tortura dall’Alba dei Tempi. È quello l’angelo caduto che ha sfidato Dio. Per quanto Stiles sia potente, chi ha davanti è comunque il Diavolo e Derek trema al pensiero che forse, quello è uno scontro senza via d’uscita. Vuole aiutarlo, vuole combattere al suo fianco… vuole morire per lui e dedicargli ogni suo respiro fino alla fine, ma Stiles non glielo permetterebbe.
-Questo è il nostro mondo!- ruggisce Stiles. –Questa è la nostra libertà! TORNA NELL’ABISSO!!!-
Stiles ruggisce e subito un altro ringhio si unisce al suo, seguito dal boato dell’esercito amico. I demoni si risvegliano, levano al cielo le proprie voci. Gridano libertà, vita, luce. Il bene si risveglia nell’istante in cui Stiles gonfia i muscoli e si scaglia contro Lucifero, luce contro ombra, padre contro figlio, prigionia contro liberta. L’universo intero trema percosso quando i corpi di Stiles e Lucifero si schiantano l’uno contro l’altro in uno scontro micidiale che genera un boato e un rilascio di energia talmente devastanti da sradicare alberi e zolle di terra. Alcuni demoni vengono spazzati via, i più vicini finiscono disintegrati. Un’esplosione di luce scaturisce da Stiles, che come sfera infuocata affronta i suoi demoni più oscuri. Non si piega, perché avverte al suo fianco il sostegno del branco, della sua famiglia… di Derek.
Stiles e Lucifero cominciano a lottare a una velocità mai vista né eguagliata. In un solo millesimo di secondo, si scambiano più di mille colpi fatti di lame e artigli, zanne e punte affilate. Entrambi esperti, entrambi devastanti in ogni più piccolo movimento. Appaiono e scompaiono, si feriscono e si spostano nuovamente.
La lotta tra i due eserciti riprende, più feroce di prima. Derek scaglia un demone contro un palazzo col solo ausilio di un braccio, e quello sfonda il muro nello schianto. Con un balzo Scott lo raggiunge e a suon di calci e artigli distrugge le fondamenta della costruzione. Il palazzo crolla, seppellendo vivo il demone ancora ruggente di dolore e rabbia, di sofferenza e incredulità, ma il branco non si concede il tempo di esultare perché improvvisamente un demone sbuca dal nulla e atterra Derek, balzandogli addosso. È pesante, troppo, e gli schiaccia la gabbia toracica impedendogli di respirare, un ammasso di muscoli e corna, di pelle e punte acuminate. Derek non riesce a vederlo in volto, ma non può arrendersi alla morte perché Stiles è lì e sta sacrificando ogni energia per loro… per lui. Per il loro passato e il loro futuro. L’alba del nuovo giorno è qualcosa che Derek vuole vedere, e lo farà stringendo e baciando quella creatura tanto arrogante da sfidare Satana, tanto stupida da accettare uno come lui. Derek lo ha promesso a se stesso e a Stiles: non può morire.
È un istante, un barlume di rabbiosa consapevolezza. Derek avverte il gracchiare di un corvo sulla sua testa e prima ancora che Diablo cali dall’alto con uno stridio acuto, innaturale, Derek sa cosa sta per accadere. È per questo che sbarra gli occhi e con le ultime forze rimaste afferra una zampa leonina dell’avversario, strattonando per fargli perdere l’equilibrio. Il demone ringhia e barcolla, ma tanto basta: Diablo lo travolge come un proiettile, mare cristallino di piume oscure e artigli d’argento. Lo coglie al capo e al volto, sbalzandolo lontano, possente di una forza che nessun corvo potrebbe mai vantare.
Poi, semplicemente, Diablo muta. Muta come fece Duivel, muta come fa Stiles nel suo breve passaggio da fragile ragazzo a demone mostruosamente devastante. È qualcosa di talmente svelto, talmente fugace che Derek ha modo di accorgersene solo perché non ha sbattuto le palpebre nemmeno una volta: velocemente, il corpo di Diablo cresce, muta, si rimodella. Le ali prendono fuoco, ma si tratta di un solo istante, come uno scoppio che alle spalle si lascia poi la devastazione più totale. Le piume delle ali infatti, non ci sono più. Al loro posto rimangono delle vele ampie, strappate, fatte come di cuoio e irte di riflessi rossi e oro che come fiamme redivive attraversano fugaci le membrane. No, non sono semplici riflessi. Quelle sono fiamme vere, e Derek riesce a sentirne chiaramente il calore. Oltretutto, esse si accodano alle loro sorelle, così diverse ma ugualmente devastanti. Non più due, ma sei. Un paio ha la membrana coperta di spuntoni ghiacciati, un altro di sottili scosse elettriche che bluastre attraversano l’azzurro opaco delle vele come riflessi inafferrabili. La furia degli elementi è racchiusa lì, in quelle stesse ali gigantesche.
Le piume rimaste sul corpo si irrigidiscono, all’apparenza innocue, ma Derek nota su di esse un pesante riflesso d’acciaio, come se improvvisamente, quel morbido manto si fosse convertito nel più feroce dei boschi irti d’aculei. Lungo la spina dorsale emergono degli spuntoni d’osso che, risalendo verso l’alto, si convertono in un cranio da uccello le cui orbite vuote affondano nel mare di piume e aculei che ricopre la pelle. Dalla sommità del cranio emergono quattro enormi corna, ai lati del becco vi sono spuntoni più lunghi che seguono la linea delle zanne nascoste nella bocca spalancata in uno stridio animalesco. E poi, vi sono le zampe. Quattro. Il paio posteriore di uccello, quello anteriore da rettile, la cui pelle coperta di piume nerissime emerge soltanto verso la sommità delle dita, dove artigli ricurvi incidono a fondo il suolo.
Derek fissa stupefatto la bestia alta sei metri spalancare le ali e travolgere numerosi demoni. Solleva una zampa e ne schiaccia tre, poi fa scattare il cranio, veloce come una serpe, e mutila altri nemici. Alle sue spalle compare Duivel, che come una candida cometa si schianta al suolo e si trasforma, sollevano un polverone che per brevi istanti acceca i presenti.
Appena Derek torna a distinguere il mondo tutto intorno, si accorge che i due famigli hanno generato una cerchia di cadaveri in pochi, semplici istanti, silenziosi e letali come serpi in caccia. Quasi non vuole crederci, ma è un vantaggio, e Derek ha intenzione di sfruttarlo.
Dall’alto dei cieli, giunge improvvisa una nuova esplosione. Qualcuno ruggisce di dolore, un suono talmente lacerante da spaccare i timpani e l’animo. Il cielo vibra di potere e Stiles sbatte le ali freneticamente nel vano tentativo di allontanarsi da Satana e riprendere fiato. Vederlo, per Derek è un colpo al cuore. Il suo mondo si ferma lì, su quel volto coperto di tagli e ferite, sull’ala spezzata che pende inerte in una strana angolatura, a stento sostenuta dalle tre sorelle rimaste. Stiles si tiene un braccio grondante di sangue e ha le carni devastate, come se un branco di cani lo avesse smembrato un pezzo dopo l’altro.
Tossisce, sputa un grumo di sangue. Intorno a loro, l’esercito di Lucifero comincia a riacquistare fiducia. Combattono con più ferocia, respingendo attacchi e mandandone a segno anche troppi.
Derek guarda Diablo, il cui capo dalle orbite vuote adesso è rivolto verso Stiles.
-DIABLO, VAI!!!- ruggisce Derek, e Diablo non se lo fa ripetere due volte: mentre Stiles spalanca le braccia richiamando a sé grumi sempre più immensi e compatti di oscurità, Diablo si scaglia contro Lucifero. Chiude le ali a suo indirizzo, contraendo i muscoli per scrollare violentemente le vele… che semplicemente esplodono in tutta la loro potenza.
Stiles punta entrambe le mani verso Lucifero e un autentico tsunami di oscurità emerge dalle crepe nel terreno. Tutto il buio dell’universo si scatena lì, vivo e palpabile come pece soffocante. Derek vede la barriera oscura impennarsi contro il cielo, alle spalle di Stiles e di Diablo per poi scagliarsi contro Lucifero. Passa attraverso Stiles e il suo famiglio senza toccarli e si rovescia su Satana nello stesso istante in cui le ali di Diablo esplodono in tutta la loro devastante potenza: una folata di vento stacca come reali brandelli di carne migliaia di spuntoni ghiacciati dalle membrane più alte, aggiungendovi poi fiamme e saette dalle ali gemelle più in basso. La furia degli elementi si sprigiona in un solo battito alare, esplodendo il blu dei fulmini e il rosso del fuoco, misto al pallido azzurro del ghiaccio più bruciante.
L’universo vibra e ancora una volta, i presenti sono spazzati via. Derek sente lo spostamento d’aria sbalzarlo lontano, stordirlo, spaccargli i timpani. C’è fumo ovunque, sangue, dolore. Pensa di essersi spezzato un braccio, e forse ha ragione. Ci metterà un attimo a guarire, ma lui un attimo non ce l’ha.
Un demone compare dal nulla e cerca di saltargli addosso, ma Valefar lo travolge con un ruggito. I due iniziano a lottare in maniera serrata, ferale, al punto che Derek non distingue più i loro arti. Appaiono e scompaiono, le code guizzano, le fiamme volano dappertutto.
Lucifero emerge dal fumo dell’esplosione per scagliarsi nuovamente contro Stiles, Poi, tutto cambia. Dal manto di tenebre emerge qualcosa, un punto luce che prima non c’era. Si dilata poco a poco, sempre più ampio, nube miracolosa di miracolo avvenuto. Un sottile raggio di sole buca il velo di tenebre, piovendo glorioso sul manto di sangue e fiamme che macchia il terreno, baciando di beatitudine il peccato di una guerra troppo sanguinaria che vedrà tra le sue schiere di vittime anime gentili la cui giustizia saprà condurle alla tomba.
Incredibile come quel sottile raggio di sole appaia forte, come una luna immensa che splende nell’oscurità più nera, brillando di argenteo manto scolpito sul mondo e sul buio che lo abbraccia. Per un attimo, tutti si fermano e rivolgono gli occhi verso quel cambiamento, sottile e bellissimo come fiore sbocciato tra la lava di un vulcano attivo. I demoni nemici si ritraggono accecati, ma incredibilmente… quelli amici appaiono appena infastiditi dalla luce. La fissano stupiti, sconvolti dalla cecità che non li aggredisce come dovrebbe. È una novità, un cambiamento bellissimo e inaspettato. E a fare tutto questo, è stato Stiles.
-Che cavolo…- ansima Stiles, spostando lo sguardo verso la luce. Sorprendentemente, Satana lancia un ruggito bestiale, ferino, che nulla ha a che fare col suo umano aspetto, e retrocede sofferente, le ali nervose e le vene a fior di pelle. Si copre il volto, mugola pietosamente, e allora Stiles ne approfitta per far guizzare la coda. La arpiona intorno ai suoi polsi, costringendolo a scoprire il volto, e lo strattona verso il raggio di luce.
Satana ruggisce più forte, si dimena, ma pare indebolito. È un istante, un barlume di speranza… che muore nello stesso istante in cui il raggio esplode in una miriade di scintille, sfaccettandosi in qualcosa di diverso, creature talmente gloriose da far crollare il mondo intero in ginocchio. Prima la gente si suicidava, adesso crolla e scoppia in lacrime. Molti si coprono il volto, molti intravedono da lontano l’ampiezza di quelle sfavillanti ali piumate, enormi, evanescenti, come guizzi di luce che si sfilaccia in filamenti lungo le punte. Derek non ha mai visto ali così belle. Se quelle dei demoni appaiono possenti e aggressive come un vulcano, quelle degli angeli sembrano invece delicate e bellissime, lontane come un sogno e intoccabili come splendido raggio di luna.
E gli angeli. Creature belle come il sole, dalla pelle chiara e gli occhi splendenti di gloriosa luce repressa. Indossano vesti di seta, drappeggiate, bianchissime, talmente candide da brillare di vergine eleganza. Non indossano armature, ma impugnano spade sottili dalle impugnature d’oro e la lama baciata di luce divina. Armi di quel genere, Derek non le ha mai viste, nemmeno a casa degli Argent. Sono di fattura ultraterrena, modellate dalle mani di Dio in persona, così come Egli stesso modellò docilmente i corpi dei suoi figli prediletti, le cui ali adesso illuminano le tenebre di candidi bagliori, lucciole gloriose al cospetto dell’oscurità più fitta.
Mentre gli angeli piovono dall’alto come scintillanti stelle cadenti, Derek capisce che non è una buona notizia. Lo capisce appena vede i primi demoni polverizzarsi al primo tocco delle lame baciate di santità, lo capisce appena vede Michael, le cui sei ali da arcangelo splendono più di qualsiasi sole, intrise di pallidi riflessi dorati. È quella la creatura che scaraventò Lucifero giù dall’Inferno, è quella la creatura che tentò di separare Stiles da Derek. E questo, il giovane Hale non può accettarlo. Non vuole accettarlo. Quanto ha sofferto Stiles per le parole di quella creatura solo all’apparenza pura e gentile? In quanti pezzi si è sfracellata un’anima innocente al cospetto di tanta nuda crudeltà?
Derek può accettare qualsiasi peccato, poiché egli stesso si ritiene il primo dei peccatori, ma questo… questo no. Ferire un vero angelo senza ali, massacrarne la serenità e soffocare in lui ogni barlume di speranza. È questa la giustizia di Dio? È questa la giustizia dei suoi figli?
-DIABLO!!!- ruggisce Stiles prima di scagliarsi contro Lucifero in un altro scontro efferato che fa tremare la terra e i cieli. Una colata di lava piove dallo schianto dei loro corpi, travolgendo demoni e angeli, ma loro non si fermano: scompaiono e riappaiono in un turbinio di zanne e artigli, corna e ruggiti. Derek non distingue la reale forma di Satana, ma è certo che egli sfoderi il suo vero aspetto mentre è in movimento, perché le ferite di Stiles non possono essere dovute a semplici calci e pugni.
Diablo piove verso il basso, atterra schiacciando alcuni demoni e sollevando un polverone di sangue e terra. Poi, guarda Derek con le grandi orbite vuote. Occhi negli occhi, da bestia a bestia. Corvo e lupo si incontrano all’alba della nuova era, parlandosi, studiandosi, intrecciando d’unico mondo di blu e nero, luce e oscurità. Una richiesta, un consiglio, una domanda. Alla fine, riescono a capirsi. Derek non sa perché succede, ma sa cosa vuole Diablo da lui. In qualche modo sono legati, e questo Derek lo sente attraverso la pupilla dei suoi occhi che si allunga, adesso simile a quella di un demone.
Con un balzo, sale a cavalcioni di Diablo. Si accovaccia tra le piume affilate, reggendosi saldamente a una delle ossee punte cervicali mentre il famiglio si raddrizza e stride con forza animale.
Mentre gli angeli massacrano uno dopo l’altro i demoni, Derek lancia il suo avvertimento. Ruggisce forte, attirando l’attenzione di angeli e demoni, di uomini e animali. Mentre Diablo spalanca le ali e si leva in volo, Derek Hale fissa Michael, sfidandolo. E l’arcangelo non si tira indietro.
 
Scott non ha mai combattuto una battaglia di queste dimensioni, ma sente che sta andando male. Malissimo. Per quanto il branco possa sforzarsi, sono sempre un passo indietro rispetto agli eserciti avversari e sempre più stanchi. Il terreno è disseminato di corpi, un incubo che segnerà Scott a vita, fino alla fine dei suoi giorni. C’è troppo sangue, troppo rumore, troppo fumo. Gli gira la testa, è stanco, ma non si ferma mai.
Artigli, zanne, calci, pugni. Scott si sente una macchina di morte, un concentrato di sangue e carne nato solo e soltanto per massacrare. Che ne è stato del semplice ragazzo la cui dolcezza umana affascinava le persone? Che ne è stato del suo essere, dei suoi sorrisi, delle sue mani così pulite e immacolate? Scott sente di averlo perso. Sente di aver perso.
Il filo di una coda lo colpisce al petto, scagliandolo contro il muro di un vicolo distrutto. Scott urta la parete, si accascia privo di forze. Non riesce a rialzarsi. Non ce la fa ad andare avanti, a uccidere con tanta leggerezza. Quello non è lui.
Scott resta immobile mentre il demone si avvicina, un passo dopo l’altro. Puzza di sangue e carne bruciata, e Scott pensa che gli sarebbe piaciuto morire inalando un profumo ben diverso. Se potesse scegliere, vorrebbe spirare nel letto di casa sua, tra le braccia di sua madre e le carezze di Isaac.
Isaac. Cosa penserà quando lo vedrà a terra? Griderà il suo nome? Piangerà per lui, per il suo Alpha? Scott ci pensa, e una piccola lacrima sottile sfugge alla prigionia delle ciglia per rotolare lungo la guancia sudicia di sangue ma nuovamente umana. Chiude gli occhi e pensa ai momenti trascorsi in sua compagnia, al suo sorriso, al tocco gentile della mano di Isaac sulla sua. Gli ha insegnato a disegnare, non si arrabbiava mai quando Scott sbagliava. Ogni volta rimediava ai suoi errori, li cancellava, li dimenticava. Scott non ha mai dato peso a quei piccoli gesti, preziosi come diamanti, e adesso che muore… capisce. Ora sa, e sogna utopicamente di poterlo dire ad Isaac. Vuole ringraziarlo per ogni piccolo gesto compiuto, vuole stringerlo a sé mentre il sole del nuovo giorno sorge e tramonta. Quel sole che Scott non vedrà mai, quell’abbraccio che mai saprà regalare.
Non doveva andare a finire così.
Qualcosa però, cambia. Improvviso, violento come soltanto un fuoriprogramma sa essere. Qualcuno grida il suo nome, qualcuno corre. Scott lo sente, avverte ogni cosa come una cassetta ben registrata. Rumori di lotta, ringhi bestiali, ruggiti… un gemito di dolore. Poi, qualcosa crolla a terra a pochi centimetri dal corpo di Scott e allora il giovane Alpha apre gli occhi.
Il corpo senza vita del demone giace immobile nella terra e nel sangue, la gola squarciata e il viso dilaniato da artigli ferini di bestia inferocita. Lo fissa in silenzio, gli occhi sbarrati colmi di rabbia e accusa, di incredulità e di una morte che troppo improvvisa è calata sul suo capo come scure inarrestabile di boia esecutore.
Scott non può credere di essere vivo. Non può credere di poter respirare ancora, di poter ancora vedere e parlare, di potersi alzare in piedi e avere la possibilità di guardare al domani. Ha pensato di aver perso ogni cosa, finanche se stesso, ma… un angelo. È stato un angelo a salvargli la vita.
Scott solleva lo sguardo mentre sulle loro teste, angeli e demoni continuano a lottare. La luce intermittente bacia d’oro incantato i capelli ricci del ragazzo, quel viso che Scott ha sognato e rivisto un istante prima di chiudere gli occhi. A quegli occhi azzurri, Scott ha affidato il suo tutto e il suo niente, il suo passato e il suo futuro. Ha pregato per quel ragazzo, per ciò che non è riuscito a dirgli e che stupidamente ha scelto di tacere. Quei momenti trascorsi insieme, quelle risate luminose spese per semplice purezza d’incanto. Isaac non fa semplicemente parte della famiglia di Scott, no… lui è una parte di Scott stesso. Parte della sua alba, parte del suo tramonto. Scott guarda il mondo sorgere e addormentarsi nei suoi occhi, talmente azzurri da far male.
Deve dirglielo. Lì, alla fine dei tempi, Scott vuole che Isaac sappia, vuole che lo perdoni per non aver parlato prima, quando tutto andava bene e il loro futuro non traballava.
-Isaac…- mormora, alzandosi nello stesso istante in cui… il suo mondo va in pezzi.
Isaac lo guarda impaurito, gli occhi sbarrati, le labbra appena schiuse, il viso esangue. Poi, con lentezza disarmante, semplicemente si accascia, elegante come un cigno, spezzato come fiore vinto da umana crudeltà. Crolla lì, insieme ai sogni di Scott che si spezzano, frantumati da una guerra che li ha travolti troppo presto.
-No!- urla Scott, afferrando Isaac al volo prima che sbatta la testa contro i detriti sparsi per terra. Lo sorregge, lo scuote dolcemente, ma Isaac non si riprende. I suoi occhi sono lontani, rivolti al cielo, ove Scott innalza un’unica richiesta di pietà, un grido silenzioso che si frantuma in mille lacrime, mille cose non dette, mille momenti vissuti e dissipati dal vento.
Una volta, quando era piccolo, Scott vide una rosa. Sottile, fragile, appena sbocciata. Era bellissima, rossa come il sangue, dagli steli di smeraldo. Stranamente, era sbocciata in pieno inverno, laddove il gelo la mordeva e il vento tentava di sradicarla. Il mondo non fu gentile con lei, come madre snaturata che più volte tenta di assassinare il figlio ritenuto un abominio. Tentava di ferirla in ogni modo, con temporali e turbini di vento, con pioggia scrosciante e freddo bestiale. Nonostante tutto però, la rosa resisteva. Scott non ne conosceva il motivo, ma resisteva. Per lunghi mesi, la vide crescere, distendersi, adattarsi. E alla fine, vinse contro il mondo. Così piccola, così vecchia, così fragile… eppure, al contempo, anche così terribilmente possente. Non si piegò mai ai capricci della Terra. La affrontò, la sfidò e, alla fine di tutto, fu quel piccolo fiore gentile a spuntarla. Morì a modo suo, di sua precisa scelta. E, stranamente, fu proprio quella banalissima pianta ad insegnare a Scott che forse, la vera vittoria della vita sta nello scegliere il proprio destino.
Adesso che Isaac muore, Scott capisce di stringere tra le braccia quella stessa, splendida rosa, che col suo sorriso, la sua gentilezza silenziosa, la sua carità gentile, ha saputo vincere il mondo intero.
Scott abbassa gli occhi sulla ferita insanguinata che attraversa il torace di Isaac. Disperato, tampona la fuoriuscita di sangue, premendo le mani lì dove un cuore troppo fragile e troppo giovane batte sempre più lentamente. Lo guarda morire, e non può fare niente. Lo guarda morire, e tutto ciò che Isaac ricorderà dopo il trapasso, saranno le inutili lacrime di un Alpha che non ha saputo proteggerlo.
-Grazie.- sussurra Isaac, tremante di paura. Non sa cosa c’è dall’altra parte, non sa se ad attenderlo vi è l’Inferno o il Paradiso, ma l’idea di scoprirlo non è poi così male. Teme di abbandonare Scott, teme di lasciarsi alle spalle troppi silenzi, troppi gesti mai compiuti, troppi vuoti impossibili da colmare, ma dopotutto, il momento di andarsene arriva per chiunque. E morire per qualcuno che si ama, è quanto di più giusto abbia mai fatto Isaac in vita sua.
Mentre gli occhi umani di Scott lo fissano, scuri di terrore e lacrime versate, Isaac si sente completo. Non è più una marionetta inutile, non è più una bambola rotta, perché salvare la vita a Scott ha reso la sua vita completa, come ultimo tassello d’un puzzle troppo a lungo rimasto incompleto. Finalmente, va tutto bene.
-Mi abbracci?- sussurra come un bambino, e Scott lo accontenta. Col cuore a pezzi, mentre intorno a loro il mondo crolla e l’alba del nuovo giorno soffoca spezzata, Scott piange e stringe al petto il miracolo più bello che abbia mai baciato la sua esistenza. Lascia che le lacrime sboccino dagli occhi e cadano sui capelli di Isaac, baciandoli di un’ultima benedizione, una promessa di vita che Scott vorrà mantenere.
Quando Allison li raggiungerà scoccando frecce e menando fendenti coi pugnali, Isaac sarà già morto. Allison troverà lui e Scott tra le macerie e il sangue di un vicolo di Beacon Hills, accasciati, stretti in un pallido abbraccio che sa di angelico, di abbandono, di morbida perfezione. Saranno quelle mani intrecciate, quei corpi che si toccano come vita e morte a ricordare al mondo che forse, non tutto è perduto. Al cospetto del pianto disperato di un Alpha devastato, bestia d’aspetto ma umano di sincera umanità, il cielo trema, si piega, ascolta. Perché tra mille grida di dolore e altrettanti ruggiti rabbiosi, a spuntarla sarà sempre e solo l’innocenza di un affetto devastato, un pianto sottile di bambino che solitario, saprà spezzare l’equilibrio dell’universo intero.
Scott non grida, non ne ha bisogno. Semplicemente, china il capo e bacia la fronte di Isaac, restando immobile tra le macerie di una vita che soltanto il suo angelo privo d’ali ha saputo regalargli col sacrificio e le fatiche, coi sorrisi e i piccoli gesti. Quella stessa rosa impavida, ha vinto il mondo per la seconda volta, scegliendo di testa sua come andarsene, come spegnersi.
Ma il mondo non è l’unico ad ascoltare il vibrare cristallino dell’ennesima vita innocente frantumatasi in milioni di pezzi.
Dall’alto della lotta bestiale che sta devastando l’universo, Stiles ascolta perché in questo, lui è sempre stato bravo. Ascolta il pianto di Scott, il suo dolore sordo e raccapricciante, e ancora una volta, Stiles si sente come se gli avessero spezzato un’altra ala. Suo fratello, la sua famiglia. Stiles non ha mai conosciuto Isaac a fondo semplicemente perché entrambi rappresentavano gli estremi della vita di Scott, troppo diversi per accostarsi. Eppure, nonostante questo, non erano poi così diversi. Entrambi vittime sacrificali, entrambi orientati verso un piccolo sole che fisicamente, incarnava il sorriso genuino di un giovane Alpha. Quel sorriso, Stiles non lo vede più. Quel sorriso è occultato da nubi cristalline, pesanti, che soffocano per uccidere.
Stiles sposta lo sguardo verso Derek, che ferocemente lotta con Michael, zanne e artigli contro ali e colpi di spada. La luce dell’arcangelo acceca, brucia le retine, e Derek e Diablo iniziano ad arretrare. Il famiglio trema di stanchezza e dolore, il corpo coperto di ferite, una zampa anteriore spezzata. Più in là, Allison, Peter e Chris Argent si trovano ormai con le spalle al muro, ultima difesa di un esercito in decadenza. I demoni li hanno accerchiati e lentamente avanzano, uno dopo l’altro, i muscoli tesi e gli occhi ferini fissi sulle prede condannate.
È giusto morire così? Come si fa ad andarsene in quel modo? Non è Dio a permetterlo, ma il mondo; lo stesso che guarda sempre dalla parte sbagliata, lo stesso che dinanzi a una tragedia chiude gli occhi e volta il capo dall’altra parte. Stiles ci ha creduto, ci ha sperato. Ha pregato Dio, e Dio non l’ascoltava. Ha implorato il mondo, e quello l’ha ignorato. Quando è morto, era solo. Solo dinanzi al Diavolo, solo dinanzi alla promessa mantenuta di una donna che pregava solo di salvare l’uomo della sua vita. Non si tratta più di tragedia, ma di dimenticanza. L’universo non ricorda più di avere un figlio, e quello giace abbandonato in un angolo, muto e sordo, cieco e immobile, come bambola dagli arti spezzati e i fili tagliati di netto. Il primo figlio fu Stiles, ma adesso… adesso quel figlio si chiama umanità. Dio, il mondo, l’universo. Quando hanno abbandonato il destino dell’uomo con tanta leggerezza? Quando hanno scelto di voltarsi dall’altra parte e coprirsi le orecchie?
Un ruggito di dolore scuote con forza la terra, obbligando Stiles a voltarsi di nuovo. E allora lo vede, il suo mondo che va in pezzi per l’ennesima volta, l’ultimo castigo che mai nessuno dovrebbe meritare. Ci sono dolori che non andrebbero ascoltati, dolori che gridano pietà e implorano pace come anziani in procinto di spegnersi per sempre. Essi nascono da un peso troppo grande da sopportare, macigni devastanti che, gravando schiaccianti su schiene dalle fragili ossa, spezzano gambe e vertebre, braccia e crani.
Stiles non ha paura della morte. È sua amica, è sua madre. L’ha cresciuto, l’ha seguito, l’ha protetto e lasciato andare per puro amor di maternità. Come possente albatro dalle ali indistruttibili, l’ha abbracciato di candido scudo in attesa di vederlo tornare a casa, laddove alla fine, ogni anima troverà riposo. Addormentarsi non è poi così male, e Stiles lo sa bene. Il corpo si alleggerisce, il mondo scompare e tutto ciò che resta è un involucro di rimpianti e soddisfazioni, paura e gioia di passare oltre. Emozioni contrastanti, spettri di qualcosa che era e mai più sarà.
Ma quando è un altro ad andarsene? Quando tutto ciò che resta è pura disperazione da sopravvissuto, che succede? Essere consapevoli di non aver fatto nulla anche quando il nulla era tutto ciò che si poteva fare, vivere all’ombra del ricordo di una morte che frantuma come macabro martello ogni più piccolo appiglio di sorriso.
Dio mio, ti prego…
Valefar sbatte freneticamente le ali nel vano tentativo di non precipitare. Sputa un grumo di sangue, tossisce. All’altezza dello stomaco, un’argentea lama di spada angelica gli buca la pelle squamata. Fuoriesce dall’altra parte, sottile e micidiale, gelida come implacabile abbraccio ghiacciato.
… lui no.
La vita sa essere davvero capricciosa. Gioca a scacchi con la morte, ma spesso, per pura noia, si permette di perdere. È la sua stessa mano di diamante a far cadere i pezzi, una mano che tante anime ha accolto, ma solo per breve periodo. È una madre capricciosa che, proprio a causa del poco tempo che ha da trascorrere con ognuno dei suoi figli, alla fine non si preoccupa più di loro. Li abbandona, volta loro le spalle, ed essi muoiono implorando il suo nome, la sua pietà, il bisogno di respirare un’ultima volta e andare avanti. Quanti orologi rotti, quante lancette spezzate. A molte di esse, non è concesso concludere il giro e scoccare la mezzanotte.
Valefar meritava di concludere quel giro. L’ha sempre meritato, ma per due volte, hanno spezzato il suo orologio dorato, il suo cristallino circolo vitale. L’ennesimo figlio abbandonato, l’ennesima vittima che coprirà di sangue e colpe l’alba della nuova Era.
Valefar abbassa lo sguardo sulla lama che gli trapassa la pancia, poi in un solo istante, reagisce. Per Lydia, per se stesso, per lasciarsi alle spalle un ultimo gesto di sfida verso Dio e Lucifero. Con uno scatto del braccio, Valefar decapita il demone, primo lungotenente al servizio di Lucifero. Lascia che la sua testa scivoli via, lascia che i suoi occhi vitrei lo fissino accusatori per qualche istante.
Poi, Valefar si volta e guarda Stiles. Occhi vivi, occhi azzurri come il cielo. Occhi puri e bellissimi la cui serenità fino alla fine non si vedrà intaccata. Ha lottato per Lydia, l’ha protetta fino alla fine. Forse, non è poi così mostruoso. È rinato demone, ma morirà da angelo.
Stiles lo fissa terrorizzato, specchiandosi in quegli occhi che troppe volte l’hanno guardato ma che mai hanno voluto giudicarlo. Occhi che hanno visto ben oltre la carne e le grida, il sangue e le preghiere. Occhi che hanno guardato al cuore di un animo luminoso, splendente come candido cigno che emerge dall’oscurità più nera. Quegli occhi, hanno saputo perdonare. Giù all’Inferno, quegli stessi occhi hanno ricordato a Stiles che forse, il Paradiso lo si può trovare anche in un semplice sguardo.
Valefar annuisce fieramente, sulle labbra il barlume di un sorriso soddisfatto. È fiero di Stiles, fiero di ciò che è diventato. Quel ragazzino è la sua scelta, e Valefar non può essere più felice di aver preso la giusta decisione. Si prenderà cura di Lydia, lotterà fino alla fine per difendere lei e il mondo che le appartiene. Entrambi tuttavia, sono destinati a incontrarsi alla fine di tutto, perché forse, anche nell’oblio totale esiste un barlume di coscienza, un mare di entità ancora capaci di sbocciare e rinascere.
Valefar sorride perché pensa che se solo questo accadesse, anche nella rinascita sceglierebbe Lydia. Anche nella rinascita sceglierebbe quel branco di creature male assortite. Anche nella rinascita, sceglierebbe di morire accanto a Stiles.
Da lontano, oltre gli oceani e le città, oltre i boschi e il mondo avvolto dall’ora più buia che mai creatura vivente abbia avuto modo di conoscere, qualcuno urla. Una voce talmente potente da spaccare l’universo, talmente disperata da piegare al suo cospetto qualsiasi immane tragedia, talmente lurida di dolore da incarnare in se stessa tutte le lacrime del cielo e della terra, dell’uomo e degli animali. Quella è una voce che piange, quello è un grido che sa di pioggia e futuro perduto. Un urlo di condanna, un mantra di anima frantumata e di creatura moribonda. L’ultimo canto del cigno che spira, vittima della sofferenza e del nero catrame della follia universale. È solo quando riconosce quella voce che con un brivido, Stiles si accorge che Lydia ha sentito Valefar morire.
-VALEFAAAAAAAAAAAAAAAAAAR!!!-
 
“Non abbiate mai paura dell’ombra:
Essa è lì a significare che vicino, da qualche parte,
C’è luce che la illumina.”
 
La morte è per l’uomo un pensiero ricorrente, perpetuo, come ticchettio di pioggia scrosciante sulla pelle. Durante un temporale, quel tocco gelido non si arresta mai, e continua insistente, fastidioso, devastante. Per alcuni, questo è un buon modo per impazzire, ma per altri… per altri si tratta semplicemente di accettare qualcosa, un domani che sa di nulla e punti interrogativi. L’arazzo della Vita sa essere spaventoso, terribile, irto di capricci e sangue, ma quello di madre Morte… quello è un’incognita. E le incognite, spaventano l’uomo molto più di qualsiasi guerra. Che aspetto ha quell’arazzo? Esiste? La Morte si impegna davvero nel tesserlo, un filo dopo l’altro, come ragno devoto che intreccia morbidi fili di tela argentata?
Stiles Stilinski pensa che il suo di arazzo, è appena andato in pezzi. Lo sente sfilacciarsi, cadere, andare a fuoco. Il domani non esiste più, il sole affoga nel più cupo degli abbracci oscuri. È una condanna, una punizione per tutte le vite che al suo comando, hanno perduto la vita. Molti sono morti implorando il suo nome, il suo aiuto, la sua pietà. E lui, come Dio ha fatto in precedenza, non li ha ascoltati. Sordo, muto, zoppo. Non ha avuto la forza per guardarsi indietro troppo a lungo e adesso che lo fa… quei sorrisi, quelle vite, quegli sguardi fiduciosi che macabri condannati a morte rivolgevano a suo indirizzo, non ci sono più.
Quanti occhi di cristallo non potranno più guardare?
Quante labbra di rubino non potranno più sorridere?
Quante vite troppo fragili si sono spaccate, fiori troppo sottili tra le mani di una vita che non ha saputo abbracciarli senza stringere?
La gente muore tutti i giorni, ma Stiles sente che queste morti sono colpa sua. Lui è solo un ragazzo, una creatura troppo piccola che nella sua miserabilità ha preteso di vincere l’universo. Non è così che funziona, perché i deboli muoiono e solo i forti vanno avanti. Per quelli come lui, non vi è posto.
Stiles carpisce allora la propria essenza di cristallo. Piccola, insignificante, pronta a spaccarsi in nome di una causa mai esistita. Ha preteso troppo, ha donato al mondo una fiducia che mai avrebbe meritato. L’Inferno, il Paradiso, la vita e la morte sono solo stadi di un’esistenza alla quale è impossibile ribellarsi. E lui non è nessuno per rifiutare il domani che lo attende, perché l’Inferno è tutto ciò che merita.
Pensa a sua madre, le cui lacrime in punto di morte riflessero allora il destino segnato di un figlio condannato a morte.
Pensa a Isaac e Valefar, morbide vittime sacrificali cadute sui gradini di un palazzo sanguigno che di giustizia arreca solo la parola.
Pensa al pianto di Scott, all’urlo di Lydia, al silenzio di Peter. Non vedranno più alcun domani. I loro occhi saranno ciechi, offuscati in eterno, protetti dalla luce che vanamente tenterà di baciarli per sottrarli all’abbraccio dell’abisso. Occhi che troppo lontano hanno scelto di guardare, iridi di vetro spaccato che nella loro misera scala d’azzardo, osavano rivolgersi a un domani che non saprà mai accoglierli.
Pensa a Derek. Il suo Derek. Quanto tempo perso, quanti anni buttati alle spalle con la malsana convinzione che di tempo da vivere, entrambi ne avrebbero vantato anche troppo. Presunzione maledetta di maledetti respiri sprecati, ansiti di creature che prima di toccarsi, hanno scelto caparbiamente di voltarsi troppo a lungo dalla parte sbagliata. Stiles si sente anziano, vecchio come farfalla morente al cospetto di un Dio vendicativo. Avrebbe voluto dirgli ancora tante cose, avrebbe voluto vivere ancora solo per lui, solo con lui. Avrebbe voluto il futuro che dalla nascita ha pensato erroneamente di poter rivendicare, quando in realtà tutto ciò che avrebbe accolto il suo domani sarebbero stati sangue e fumo, urla e fallimenti.
Stiles non ce la fa più: ha fallito su tutta la linea. Il suo branco, la sua famiglia… li ha guardati morire e non ha fatto niente. Doveva essere lui l’unica vittima, l’unico sacrificio, l’unico condannato a morte che fieramente, avrebbe scalato i gradini del patibolo per affrontare a testa alta la mefitica lama di ghigliottina. Lui in nome di tutti gli altri. Lui, perché sua è la colpa di tutto questo. Lui, perché è l’unico a meritarlo.
-Basta.-
Una parola, una preghiera. Sussurrata a bassa voce, ma abbastanza potente da zittire l’intera battaglia. Laddove un grido non arriva, il mormorio fragile d’un colpevole al cospetto del suo giudice spezza ogni suono, ogni respiro, ogni istante vivo e ormai trascorso. Il mondo ascolta ancora una volta, ma è troppo tardi perché ascoltare adesso, alla fine di tutto, non ha più senso. Avrebbe dovuto rispondere alle preghiere di chi adesso non può più pregare. Avrebbe dovuto rispondere alle implorazioni di chi adesso non può più implorare. Alcuni dicono che il mondo protegga la vita, che la alimenti, che la illumini come pallida candela che riflette la sua luce su sottilissime ali iridescenti di libellula. Stiles non ci crede più. Non ci crede adesso che Scott piange sul corpo di Isaac, non ci crede adesso che Valefar esala i suoi ultimi respiri, abbandonato a se stesso così come Stiles morì in solitudine tre anni addietro, non ci crede adesso che Peter, Allison e Chris sono con le spalle al muro, circondati da demoni e troppo stanchi per reagire.
Stiles non crede più perché è già morto mille volte insieme ad ogni più piccola ferita che quella maledetta guerra ha aperto nei corpi dei membri della sua famiglia. Con amarezza, ripensa alle parole di suo padre, al suo sorriso, alla cieca convinzione che attraversava i suoi occhi mentre lo chiamava “eroe”. Eroe. Stiles non si è mai sentito così lontano da quella parola, opposto ad essa come i due più lontani poli della Terra. Lui non è un eroe, non lo è mai stato. Non merita la fiducia di suo padre, il tocco di Derek, i sorrisi del suo branco distrutto. Ma forse… forse essere eroi non significa lottare così. Non è con la violenza che ha affrontato l’Inferno, non è con la violenza che è rimasto accanto ad Alastor mentre moriva, non è con la violenza che è rimasto in piedi e mantenuto il sorriso nonostante la morte di Dumah.
Stiles sorride teneramente mentre chiude gli occhi e ripensa a sua madre. Una volta, gli disse che una carezza sa spezzare i potenti molto più di qualsiasi ferita inferta. Laddove alla rabbia del mondo il mondo risponde con altrettanta violenza, così non sarà dinanzi al vagito di un bambino. Una guerra può distruggere qualsiasi cosa, ma non sa uccidere l’eco di una risata nascitura, pallida e serena come polvere di stelle. È solo e soltanto in quel momento che ogni cosa è costretta a inginocchiarsi come anziano moribondo al cospetto di un giovane vigoroso di vitalità. Il tempo, la natura e l’esistenza cederanno il passo a qualcosa di più importante, qualcosa di magico. La magia vera esiste, e bacia coloro che con pietà sanno riconoscere il valore di una mano tesa in segno di caritatevole aiuto. L’uomo è anche questo, e per Stiles è il momento di ricordarlo.
-STILES!!!-
Qualcuno grida il suo nome mentre dolcemente, Stiles fa rientrare la trasformazione per lasciare spazio alla sola forza delle tre ali rimaste. Le zampe da canide si trasformano in gambe umane, la pelle squamata si ritira, le corna spariscono. Da bestia a ragazzo, da ragazzo a splendida creatura sacrificale il cui sorriso talmente dolce da spezzare il cuore, si posa su Lucifero. Stiles sorride tra le lacrime, come raggio di sole che sfonda dorato un cielo di nubi oscure e improvvisamente si sente bene, felice, sereno. Non più demone, mai stato angelo. Semplicemente un ragazzo troppo giovane, la cui semplicità si presenta adesso innanzi alla complessa tessitura del male più nero. L’umanità affronta così il Diavolo, l’umanità ricorda così che la luce non è tanto difficile da estinguere se la si presenta nella sua più pura forma brada. Basta poco, basta chinare il capo e accettare che il domani esisterà sempre, per chi vive e per chi muore, per chi cammina nella notte e infine sbuca dal buio all’alba del mattino dopo. Ci sarà un nuovo giorno, perché in esso ci credono i bambini, gli animali e la purezza di alcuni soggetti restii ad abbandonare il cammino più difficile per intraprendere quello facile.
Con uno scatto del braccio, Lucifero schiaffeggia Stiles, così forte da spedirlo al suolo, veloce come una cometa. Il suo corpo si schianta su detriti sporchi di sangue e ossa che improvvisamente si spezzano, fragili di umanità. Stiles sputa un grumo di sangue, si rialza tremando mentre Lucifero atterra a pochi centimetri da lui, bellissimo e intoccabile come solo il male sa essere.
-Tutto qui, figlio mio? Sono questi i tuoi grandi propositi di resistenza?- sorride amabilmente.
Stiles non smette di sorridere, perché non ha motivo di farlo. Non smette, perché ha vinto.
-Ridi? Lo capisci che stai per dissolverti nell’oblio più cupo, figlio mio?-
-Non sono tuo figlio.-
Lucifero inclina il capo, divertito. –No? Ti ho creato io.-
-Se la capacità di generare demoni non ti fosse stata concessa dall’Alto, non avresti figli. E in ogni caso, il tuo gioco con me non funziona. Non sono come te semplicemente perché non sono un demone. Non lo sono mai stato, e vuoi saperne il motivo? Io discendo dall’uomo. Io sono un uomo, coi miei difetti, i miei errori, il mio essere sbagliato. Nonostante tutto però, i miei occhi riescono a vedere la luce, ad abbracciarla, e non potrei sentirmi più beato di così. Il mio Paradiso l’ho raggiunto senza di voi, e questo perché a illustrarmelo sono state quelle stesse creature che più di tutti hanno vantato umanità. Demoni, licantropi, banshee… uomini. I miei angeli sono questi, e tu non puoi fare niente per strapparmeli. Feriscimi, torturami, uccidimi. Non mi sottrarrai la luce che mi hanno dato, qualunque cosa tu faccia.-
E allora Lucifero si sbilancia. Sibilando, fa scattare le lame del braccio, identiche a quelle dei suoi stessi figli. Quattro lunghe sciabole affilate, micidiali, sottili e indistruttibili. Fendono l’aria, compiendo un arco luminoso nella luce degli angeli che lottano tutto intorno. E semplicemente, Stiles non si sposta, non reagisce. Si limita ad allargare le braccia e socchiudere gli occhi, un’espressione di dolce beatitudine in viso.
L’ho promesso.
Le lame si avvicinano al torace, luminose di fulgida luce assassina.
Ho promesso di difendere la mia famiglia. Ho promesso di sconfiggere Dio e Lucifero.
Stiles sorride, conscio della fine che si avvicina. Sorride per la vita che ha vissuto, sorride per la sua famiglia che forse, nella vana speranza di un gesto di carità divina, vedrà dall’altra parte. Si scuserà con tutti loro, quando sarà il momento, ma andarsene in quel modo non è poi così male. Alla fine di tutto, la sua vittoria l’ha avuta. Ha sconfitto il suo lato demoniaco, ha lottato per difendere i suoi cari, insieme ad essi ha guardato il sole sorgere e tramontare. Non è mai stato solo, neanche quando Lucifero l’ha ucciso per la prima volta. Anche allora, riusciva a sentire la presenza dei suoi amici, di Derek. Derek. Stiles non l’ha mai ringraziato per tutti i sacrifici che ha compiuto in suo nome. Avrebbe dovuto. Avrebbe voluto. Ma va bene anche questo. Derek sa già tutto, lo sente. È un Sourwolf antipatico, ma ha un cuore grande più del sole e della luna, e Stiles sente che qualunque cosa abbia mai avuto bisogno di dirgli, Derek la sa già.
Docilmente, Stiles chiude gli occhi. Il mondo si ferma, trattiene il respiro, smette di girare. E improvvisamente, qualcosa cambia.
Luce. Una luce fortissima, accecante, più forte di qualsiasi raggio solare. Illumina di bagliori il mondo intero, un’onda d’urto che si dilata e stende le sue appendici in ogni direzione, come albero che stiracchia i rami al cielo. Stiles la sente toccargli la pelle, attraversarlo, baciargli ogni osso, ogni organo, ogni più piccolo millimetro d’anima.
Stranamente però, il dolore non giunge. Qualcuno ringhia, qualcuno si muove a pochi millimetri da lui. Un corpo caldo preme contro il suo, solido muro di marmo e acciaio che caritatevole lo tocca reverente. Braccia forti d’anima gentile lo avvolgono, sostenendolo senza soffocare, stringendolo senza ferire. E improvvisamente, Stiles riconosce quell’odore di pioggia e foresta, di luna e libertà. È quello l’odore del suo Paradiso, lo riconosce bene. Odore di tocchi gentili sulla pelle, odore di sorrisi caldi d’affetto, odore di pazienti sacrifici sprecati per un domani nel quale Stiles all’inizio di tutto aveva smesso di credere.
Quello è l’odore di casa sua.
Cautamente, Stiles apre gli occhi, unico movimento in un mondo che si è immobilizzato per volgere lo sguardo alla scena più devastante dell’universo.
Di storie incredibili, Stiles ne ha conosciute molte e altrettante ne ha da raccontare. Frammenti di vita, istanti di ricordi altrui, magnifici e terribili, lontani e vicini. Ma questo. Questo scavalca qualsiasi aspettativa, qualsiasi storia.
Derek Hale è alle sue spalle e lo stringe con forza, proteggendolo, risvegliandolo col solo richiamo dei polpastrelli sulla pelle insanguinata. Devoto come un fedele al cospetto del suo dio, preme il corpo contro il suo, una mano posata sul cuore e… ali. Ali enormi, nerissime di piume sovrapposte, gloriose più di qualsiasi alba, possenti più di qualsiasi terremoto. Un cielo di beata oscurità boreale si antepone glorioso tra Stiles e Lucifero, tra il mondo e un piccolo demone umanoide volto al sacrificio personale. Piume e muscoli, ossa e cartilagini. Gloria e oscura magnificenza.
Stiles trema quando si accorge che la mano di Derek, ancora posata sul suo cuore, sbuca da un braccio coperto di sottilissime piume nerastre, lucide ma non fittissime, al punto da lasciar intravedere la pelle sottostante, tesa e irta di muscoli nervosi. Gli artigli sono argentati, bestiali, ma non di lupo. Troppo lunghi, troppo lisci. Troppo… diversi. Stiles non li riconosce, non li sa classificare. O meglio, non vuole farlo, perché un’idea, per quanto bizzarra, adesso ce l’ha e si rifiuta di pensare che sia vera.
-Non lo toccherai mai più.- ringhia Derek, e allora Stiles torce il collo per guardarlo in volto… quel volto così familiare, così simile a quello di un lupo. Quel volto dagli occhi demoniaci, più blu della notte, più profondi di qualsiasi nebula o crepaccio. Occhi che hanno visto, occhi che sanno. Quegli occhi hanno affrontato l’Inferno senza impazzire, quegli occhi hanno portato luce laddove soltanto l’oscurità soffocava ogni cosa, come cappio stretto al collo d’un condannato a morte per impiccagione.
Stiles riconosce quegli occhi, ma quel corpo… ha qualcosa di diverso ora. Il giovane demone lo sente premere contro il suo e non lo riconosce. Semplicemente, avverte che qualcosa non va.
Quando le ali si scansano, rivelando un Lucifero barcollante e con gli occhi sbarrati, Stiles ne comprende il motivo. Derek non ha le ali. I lupi non hanno braccia piumate e artigli di corvo, né occhi dalla pupilla verticale. I lupi no. Il famiglio di Stiles sì.
-Non è possibile!- ringhia Lucifero, il cui volto adesso si contorce in una smorfia bestiale, ringhiante, che nulla ha a che fare con la dolce magnificenza da lui emanata in precedenza. Gli occhi sembrano più piccoli e si illuminano di rosso, la pelle si raggrinzisce, il naso si schiaccia. Stiles riesce solo a intravedere il vero Lucifero attraverso quella smorfia, ma il suo vero volto lo ricorda bene. Spaventoso, devastante, tanto orribile da indurre alla follia al solo sguardo. Stiles lo temeva, all’Inferno. Ma adesso… adesso quella creatura rachitica nell’animo e nell’oscurità gli fa solo pena. Può vedere la sua essenza, ora che le ali di Derek la illuminano, ora che la sua vicinanza rischiara gli occhi di Stiles come la più fulgida delle benedizioni.
Lucifero non è una minaccia. Non rappresenta niente, a parte una belva misera incatenata ai suoi mali, ai suoi demoni, ai suoi errori. Non è così diverso da un essere umano, dopotutto, e Stiles lo capisce con improvvisa chiarezza. Lucifero è solo un altro dannato, un altro prigioniero della sua stessa testa, incapace di guardare al sole poiché ormai troppo spaventato anche solo per provarci. Prova pietà per lui, ma non abbastanza da risparmiarlo perché come ogni essere umano, Stiles non è un santo e, almeno per stavolta, vuole improvvisarsi giudice di nefaste sentenze.
Combatteranno insieme. Lì, alla fine di tutto, Stiles e Derek trascineranno l’alba al suo nuovo sorgere, architetti di una nuova era capace di crescere individualmente, senza l’aiuto di Dio e Lucifero, di angeli e demoni. Gli uomini sbocceranno da soli, come fiori di campo che stiracchiano al sole i propri steli. Dimostreranno la loro vera natura, come è giusto che sia, poiché anche un figlio prima o poi dovrà imparare a muovere i suoi passi senza l’ausilio del padre.
Stiles si volta appena quando Diablo atterra ferito alle sue spalle. zoppica vistosamente e ha due ali spezzate, ma dalle sue piume emana una strana luce azzurrina, un alone inaspettato che rischiara l’oscurità come luna che illumina la notte più nera. Le sue orbite vuote incontrano gli occhi di Stiles, improvvisamente così chiari, così luminosi. Quelle orbite, per quanto nere, parlano, e basta un solo istante, un solo momento di silenziosa conversazione per capirsi a vicenda, per scegliere, per chiamare a raccolta le ultime energie rimaste.
“È come nelle grandi storie… quelle che contano davvero.”
Derek affianca Stiles, i muscoli tesi e gli occhi fissi su un esitante Lucifero. Le ali del licantropo, così simili a quelle di Diablo, fremono di potenza repressa, la stessa che scorre in Stiles e nel suo famiglio… la stessa che adesso abbraccia Derek Hale. Intanto, tutto intorno a loro, l’esercito amico li guarda, si riorganizza, si rialza. Chi è in ginocchio, seppur con gambe spezzate, trova il modo per raddrizzarsi. Chi è a terra, lascia che altri lo aiutino a stare in piedi. Chi è prostrato da lacrime e sofferenza, solleva al cielo gli occhi intrisi di un’ultima speranza, un’ultima preghiera.
“Erano piene di oscurità e pericoli; e a volte non volevi sapere il finale, perché come poteva esserci un finale allegro?”
Scott McCall si rialza e snuda gli artigli, gli occhi più rossi che mai, le zanne in vista. La sua potenza di bestia sfonda la barriera di confusione che gli offuscava la mente. È pronto a combattere. Per il branco, per Stiles… per Isaac. Specialmente per Isaac, il sole che gli ha baciato la fronte e gli occhi, gli arti e la pelle. Il suo fiore vittorioso, quella stessa rosa che da sola, ha saputo affrontare le ire del mondo intero. Con un ruggito, Scott attacca.
“Come poteva il mondo tornare com’era dopo che erano successe tante cose brutte?”
Allison Argent incocca l’ultima freccia, Chris carica i proiettili rimasti. Pronti a combattere, pronti a morire. Ma è allora che accade l’ennesimo miracolo, l’ennesimo raggio di luce. Perché, tirando le somme, Peter non è mai stato solo.
La pelle balugina di beltà riflessa, candida di un bacio che tra tutti, ha scelto di sfiorare proprio la più nera delle anime. Peter avverte quel tocco benefico ripulirlo, perdonarlo, chiamarlo. E lui, a quella ben nota voce di donna, non può che rispondere.
“Ma alla fine, è solo una cosa passeggera quest’ombra: anche l’oscurità deve passare.”
Un’ombra. Così chiara da apparire luminescente, così fluida e longilinea da sfaccettarsi lungo i suoi angoli di familiare silhouette in tanti filamenti di madreperla che con dolcezza accarezzano Peter Hale. Il corpo di Dumah, appena visibile nella luce dell’alba che sorge, splende come un diamante e si accovaccia nel corpo del licantropo più sporco di tutti, lurido di peccato, folle di follia… ma anche vivo d’un amore che per qualche motivo, ha scelto di abbracciare proprio lui. Insieme, anime intrecciate di lontani ricordi e momenti vissuti, Peter, Dumah e gli Argent respingono l’orda di demoni.
“Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole splenderà sarà ancora più luminoso.”
Un rombo, il suono della terra che si risveglia. Un terremoto scuote con forza animale ogni anfratto del pianeta, ogni angolo buio fin quasi a spaccarlo. È il suono di qualcosa di nuovo, un avvenimento che dall’Alba dei Tempi mai ha avuto modo di accadere. Un richiamo, il grido silenzioso del mondo che si sveglia davvero, come bestia devastante che finalmente spalanca gli occhi luminescenti per giungere in soccorso dell’alba.
Vi è una leggenda, disse Stiles, che narra delle Madri Natura. Si dice che alla fine del mondo, quando esso ne avrà più bisogno, esse insorgeranno per difenderlo, insieme ai figli racchiusi nell’abbraccio dei loro templi.
“Quelle erano le storie che ti restavano dentro, anche se eri troppo piccolo per capire il perché. Ma credo… di capire ora. Adesso so.”
Il cielo vibra di un dolore lancinante, come madre in parto che urla al mondo la sua natia sofferenza. Da lontano, si avverte l’acqua scrosciare, abbattersi sulle scogliere e sui letti di fiume. I rubinetti esplodono, la pioggia caduta trema viva, respirante, figlia di un richiamo al quale non ha mancato di rispondere. Ed è allora che all’orizzonte, baciate dal cielo che si rischiara sempre di più in prossimità di un’alba dorata, si intravede un nuovo oceano di marmi e pietre preziose, di zaffiri e acquamarina, di onice e smeraldo. Statue alte più di qualsiasi mastodontica montagna, donne nude dalla pelle di pietra spaccata che gronda acqua e lava, turbini e piante in germoglio.
Sembrano tutte simili, sorelle d’unica specie, ma ognuna si adatta all’elemento che rappresenta, fosse per il viso gentile ma implacabile come tsunami e acqua placida o per i tratti duri di lava e fiamme devastanti. Fuoco, acqua, terra, aria, tuono. Spazzano via angeli e demoni avversari, schiacciandoli o semplicemente respingendoli col più piccolo gesto della mano. E lì, in piedi sulla spalla destra di Madre Acqua, vi è lei, bellissima e gloriosa come il più splendido degli angeli, possente e alata di candide piume di civetta, con gli occhi di giada brillanti di sottile iride verticale.
Lydia Martin, la fanciulla il cui grido ha scosso dalle fondamenta ogni tempio, ogni elemento, ogni cristallino anfratto dell’universo. Col solo potere del suo dolore sconfinato, ha raschiato la magnificenza assopita del mondo, la sua pacata potenza e alla fine, è riuscita a riportarlo a galla. È bastato un semplice grido, un semplice gesto di debole umanità. E allora, il miracolo è accaduto.
“Le persone di quelle storie avevano molte occasioni di tornare indietro e non l’hanno fatto. Andavano avanti… perché loro erano aggrappati a qualcosa.”
-No… NO!!!- ruggisce Lucifero, incespicando miseramente. Barcolla, le ali tremanti di dolore mentre la luce cresce e sfonda le nubi, un raggio di sole dopo l’altro. Nastri dorati di calda rinascita feriscono le ombre in una lotta silenziosa ma impari che vede infine l’oscurità ripiegare come mare in ritiro. C’è calore, c’è luce. E il nuovo giorno, così come è stato difeso e invocato sin dal calar del buio, finalmente risponde alle preghiere di chi ci ha creduto e sboccia, florido più di qualsiasi altra alba, possente di una criniera dorata e bellissima di astro cremisi.
Gli angeli alzano al cielo sguardi stupiti e Michael, che ancora giace nel fango e nel sangue dopo essere stato scaraventato via dalla forza combinata di Derek e Diablo, si leva in ginocchio per levare i palmi verso l’alto come assetato in cerca d’acqua. Lascia che l’oro fuso del sole gli baci i palmi, lascia che quel calore strano ma bellissimo entri in lui così come non accadeva da secoli. È sempre stato così caldo il sole? È sempre stato così gentile, come carezza di una madre sul capo del figlio nascituro? È sempre stato così vivo? Michael non lo sa, non ci ha mai pensato. La sua intera esistenza ruotava intorno al Padre e agli ordini che Egli impartiva. Michael e i suoi fratelli non hanno mai avuto il tempo di alzare il capo al sole, poiché presumevano già di conoscerne l’essenza materiale e simbolica.
Quanta presunzione. Quanti errori. Michael ha sempre pensato di vedere, di osservare, mentre in realtà appariva come primo tra i ciechi. Mai ha osato alzare gli occhi al sole, mai ha osato fermarsi e pensare che forse, il bacio dorato del mondo vale più di mille benedizioni, più di mille canti angelici, più della stessa fasulla libertà di volare. Il mondo vero è sempre stato lì e lui non l’ha mai guardato perché irto di dannato orgoglio.
“C’è del buono in questo mondo. È giusto combattere per questo.”
Un ultimo raggio di sole, un’ultima nube devastata. Alla Madre dell’Aria, con la sua candida pelle di marmo e i capelli bianchissimi che svolazzano ovunque come vivi di entità silenziose, basta un gesto della mano per sgombrare definitivamente il cielo. Una cascata di luce invade il mondo intero, piovendo come oro colato sull’intero globo. Ove era notte ora è giorno, ove è l’aurora boreale ora splende anche l’oro del sole misto ai colori cangianti del manto del cielo.
Qualcosa cambia e improvvisamente, le persone smettono di aver paura. I bambini del mondo intero scoppiano a ridere, frammentando l’aria di cristalli allegri e bellissimi, mentre famiglie si ritrovano, si abbracciano, respirano sollevati. Nemici di una vita si baciano le guance, animali feriti durante gli ultimi attacchi di follia si leccano il pelo a vicenda. È questa la benedizione del mondo, la vera essenza del pianeta. È questa la benedizione nella quale Stiles non ha mai smesso di credere. L’alba alla fine, è giunta. Sorge sul sangue e lo ripulisce, sorge sulle ferite e le risana lentamente, sorge sul mondo e ricorda ad esso che si può ancora sperare in qualcosa.
Poi, d’improvviso, la luce del sole bacia anche Stiles e allora accade l’inaspettato, l’incubo che Derek non avrebbe mai voluto vivere. Ha combattuto una battaglia, visto morire degli amici, sopportato ferite e lacerazioni, ma questo… questo va oltre ogni cosa, oltre finanche le ire di Lucifero.
Semplicemente, appena la luce del sole lo tocca, Stiles comincia a urlare. Un urlo lancinante, che lacera i cieli e il mondo, rimbalzando di echi sofferenti e istanti di dolore sconfinato. È un suono che va oltre qualsiasi orrore racchiuso all’Inferno, un suono che spezza lo scorrere delle cascate e del tempo. Spinge via Derek, lo sbalza lontano mentre le ali lentamente cominciano a consumarsi e s’infiammano di lingue assassine, macabre danzatrici rosse e oro che divorano le carni e le membrane, risalendo lungo i muscoli per raggiungere il corpo e assalirlo con avida mostruosità. Stiles si contorce prima di sparire nella morsa soffocante del fuoco e allora Derek urla forte, con quanto fiato ha in gola. Qualcosa gli stringe il cuore, soffoca isuoi respiri e l’aria che inala. Si sente male perché, così come accadde tre anni addietro, Stiles muore e lui non può fare niente. Inutile, come pezzo di corteccia staccato dal suo albero. Misero, come orchidea schiacciata dalla zampa di un ghepardo. Quel sorgere solare, loro dovevano vederlo insieme. Dovevano viverlo insieme. Ma è vita, questa? È vita senza il calore vero di un affetto che proprio al cospetto di quel sorgere Derek ha perduto? La luce fa male, la luce brucia… e Derek non dimenticherà mai il grido di chi fino al giorno prima semplicemente sussurrava il suo nome. Quella voce che non lo chiamerà più, quei respiri liberi che mai più torneranno. Quella vita immaginata insieme che bruscamente e senza un perché si è vista spezzare come ali di fragile libellula annerita dal sole cocente.
Derek tenta di respirare, ma gli manca l’aria. Un solo incubo, un solo pensiero blocca ogni suo ragionamento, ogni sua più piccola funzione vitale. Un urlo, un guizzare maledetto di fiamme dorate. Lui quelle fiamme, le amava. Le amava quando danzavano nella pelle di Stiles, nella sua voce, nei suoi gesti. Figlio del fuoco dal fuoco stesso divorato.
È allora, al cospetto di un Derek inginocchiato e totalmente sconfitto, che Lucifero si riprende. Scrolla il capo, faticosamente si rialza. I suoi occhi sono bianchissimi, ciechi, fissi su un orizzonte invisibile. Non ci vede, ma come bestia ferina fiuta odori, li classifica, li riconosce. Ma a Derek non interessa, perché Stiles è ancora lì e brucia più di qualsiasi immensa fiaccola. Non urla più, non si contorce. Il motivo può essere uno solo, e il solo pensiero che sia reale spezza Derek in più frammenti, come specchio sfracellato al suolo.
-È finita.- ringhia Satana, sollevando il braccio. La lama guizza, s’illumina di mefitica condanna e Derek non si sottrae. Sospira rilassato, si abbandona al mondo e al destino che prega possa riunirlo in qualche modo a Stiles… alla fine di tutto.
Ma la morte non è mai così ansiosa di raccogliere le fila di una vita che ha ancora troppo da concludere. Alcuni intrecci nascono per essere conclusi, altri per spezzarsi seduta stante. Solo i più forti tuttavia, avranno modo di tessere un arazzo glorioso e senza tempo. E la vita di Derek Hale rappresenta proprio uno di quegli intrecci.
La luce esplode all’improvviso, devastante più di qualsiasi supernova, accecante come sguardo di Dio in persona. Un’onda d’urto si propaga come cerchio d’acqua  per miglia e miglia, oltre Beacon Hills, oltre i boschi, oltre qualsiasi città esistente. Abbraccia ogni angolo del mondo, gloriosa come bacio di vergine al marito il giorno delle nozze, giudiziosa come cielo sul capo di ogni essere vivente. È una luce bianchissima, pura oltre ogni immaginazione, figlia non dell’uomo, ma di Dio. E quel bagliore, per quanto possente, non appartiene a un demone, né a qualsiasi altra creatura terrena.
-BASTA!!!-
 
Angolo dell’autrice:
Sì, domani giungeremo alla fine. Abbiamo camminato tanto insieme, ma alla fine, anche i viaggiatori più avventurosi sono costretti a fermarsi. Meglio non invecchiare ora, perché avete ancora tante e tante storie da vivere, anche di più belle e magiche. È per questo che stavolta, non mi dilungherò. Ciò che ho da dirvi, lo sapete già, e questo perché ve l’ho ripetuto per ventotto noiosissimi capitoli. Di brave persone, ne ho incontrate molte, ma voi… voi, coi vostri commenti e con la pazienza che dimostrate nei miei confronti leggendo e trovando sempre quel po’ di tempo per recensire… voi siete angeli. Veri, vivi, con ali invisibili che al momento giusto si spalancheranno. Dopotutto, avete appena lottato contro Lucifero, ed è giusto che anche voi, alla fine, possiate riposarvi. Riposate le vostre splendide ali, angeli miei, poiché ci saluteremo definitivamente nell’ultimo capitolo. Abbiate il tempo di respirare, di ripulirvi, di prepararvi, perché alla fine, manderò da voi ognuno dei miei personaggi per abbracciarvi come meritate. Riderete con Valefar, scherzerete con Stiles e vi arrabbierete con Derek. Ci sarà il branco, ci saranno i miei personaggi, e sarà così anche dopo la fine di questo piccolo, misero racconto. Eppure, non dimenticherò mai le vostre parole e ogni singola lacrima che mi avete fatto versare, perciò grazie, per la penultima volta. Grazie. Davvero. Commentando, mi avete concesso uno dei tanti miracoli che so per certo possono e potranno ancora accadere. Grazie, angeli miei.
Giada_ASR
_Sara92_
Barbara78

 
Stavolta, le anticipazioni non ci saranno. Domani pubblicherò, e sarà l’ultima volta. Per ora, lasciamo semplicemente che Stiles e gli altri riposino, perché il finale dovrà essere una sorpresa, una delle tante che meritate.
Tomi Dark Angel
 
  
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