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Autore: milkovichs    01/08/2015    3 recensioni
Un funerale, due uomini che dopotutto non sanno fare a meno l'uno dell'altro.
- Sei qui. –
Frank si inginocchiò accanto a lui, portando la mano destra su quella di Gerard.
- Ti ho fatto una promessa, ricordi? Io non ti abbandono, qualsiasi cosa accada alle nostre vite. –
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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I'll keep you safe tonight.

- Ti.. ti lascio un po’ solo, okay? Porto Bandit a casa, c-ci vediamo dopo, Ger. – 
La mano della donna scivolò via dalla schiena curva del marito, con un leggero sospiro. In tutta risposta, l’uomo annuì in modo impercettibile, lasciandosi sfuggire un singhiozzo da quelle mani premute contro il proprio viso, che sembravano voler contenere tutto il dolore di quel momento. Era così vulnerabile, non poteva permettersi di mostrarsi così di fronte a nessuno, nemmeno di fronte a Lindsey e Bandit, nemmeno di fronte a sua moglie e sua figlia.
Era come se il corpo di Gerard fosse stato prosciugato da ogni emozione, fuorché dal dolore.
Non appena sentì i passi di sua moglie allontanarsi verso il parcheggio, l’uomo si lasciò cadere in ginocchio sull’erba. Immagini veloci continuavano a passargli davanti agli occhi in modo confusionario. Flash delle ore passate, che il moro ricordava a malapena. Aveva dovuto sembrare forte, lo aveva dovuto fare per Mikey, che aveva reagito all’intera faccenda con una calma estrema, una calma che prima o poi sarebbe sfociata in rabbia, in urla e pianti. Lo aveva fatto anche per Lindsey e Bandit, che si era giurato non lo avrebbero mai visto star male. E lo aveva fatto anche per Ray, che quel giorno era andato lì per lui e per Mikey. Vedere lì l’uomo era stata una grandissima sorpresa, anche se in cuor suo sapeva che l’amico non avrebbe mai lasciato soli gli Way nel momento del bisogno. Era sempre stato un buon amico e soprattutto una persona d’oro. 
C’erano stati tutti, quel giorno. Persone a lui care, persone un po’ meno care, e poi persone lì per far scena e persone che mai si sarebbe aspettato di rivedere. E poi, chiaramente, tutti i parenti. Erano tutti lì per una sola cosa, per sua madre. Tutti tranne la persona che aveva più bisogno di vedere in quel momento, ma che evidentemente aveva rimosso del tutto il ricordo del moro.
Le dita di Gerard scivolarono lungo la pietra gelida di fronte a lui, fra quelle lettere incise, che componevano in un carattere elegante il nome completo di sua madre, seguito dalla data di nascita e da quella, purtroppo, della sua morte.
E poi una frase, poco spazio più in basso. 
“So long and goodbye.”
La stessa frase che aveva fatto scrivere sulla lapide di sua nonna, la stessa frase che portava nel cuore, strettamente legata al ricordo delle due donne più importanti della sua vita, assieme a sua figlia. Ecco come in un attimo la sua più grande paura, quella di perdere le persone amate, tornava vivida a farsi sentire. 
Una lacrima solcò la guancia destra del moro. 
- Puo-puoi sentirmi? Mi s-sei vicina? Possiamo fin.. fingere di lasciarci e poi… ci rincontreremo quando le nos-nostre macchine si scontreranno? Qual è la cosa peggiore che.. che potrei dire? –
La voce di Gerard era poco più che un sussurro. La canzone all’epoca dedicata a sua nonna, sembrava perfetta anche per quel momento. Non riusciva a pensare ad altro, se non a quelle parole, che nonostante fossero state scritte per un’altra persona parecchi anni prima, portavano ancora con esse il loro originario significato.
- Le cose andranno meglio, se resto. – 
Il respiro di Gerard si bloccò per qualche secondo. Persino il suo corpo smise di tremare e il suo sguardo si fermò, fisso di fronte a sé. Esitò qualche istante, concentrandosi sulle parole appena udite, ma soprattutto sulla voce che le aveva pronunciate, dopodiché giunse alla conclusione che doveva aver sognato tutto.
Era possibile che la mancanza di una persona, portasse ad immaginarsi la sua voce nei momenti in cui si aveva più bisogno di sentire vicina quella persona? 
Il moro decise di non voltarsi e chiuse nuovamente gli occhi, sentendo altre lacrime tracciare solchi sul suo viso. Sua nonna gli mancava come l’aria, sua madre se ne era andata per sempre e l’amore della sua vita lo aveva dimenticato una volta per tutte.
Come diamine gli era saltato in mente di anche solamente associare Frank Iero all’amore della sua vita? Insomma, l’amore della sua vita era sua moglie, lo sapevano tutti. Tutti, sì. Non contava nulla il fatto che Mikey continuasse a ripetergli da anni che la scelta che aveva fatto era la più stupida della sua intera esistenza. O che sua madre, fino all’ultimo, le avesse ripetuto che per quanto Lindsey le fosse sempre sembrata una brava ragazza, le mancava vedere suo figlio felice come ai tempi di Frank. 
Gerard scosse la testa, cercando di scacciare quei pensieri dalla sua mente in modo rapido. Non doveva nemmeno pensarle, certe cose. Lui amava Lindsey. Non aveva mai amato Frank, no? Non era questo che continuava a ripetersi ogni giorno e ogni notte, quando gli occhi del chitarrista entravano nella sua testa e non ne volevano sapere di uscirne? 
- Lo abbiamo sempre saputo, Gee.. Le cose andranno meglio, se restiamo assieme. –
No, questa volta non lo aveva sognato. Gerard si voltò di scatto, rimanendo poi come pietrificato. 
Che cosa ci faceva Frank Iero di fronte alla tomba di sua madre, bello come non era stato mai? 
Il cantante ci mise qualche secondo, prima di riuscire a respirare nuovamente. Le labbra semi aperte, il respiro corto e gli occhi sbarrati, non riusciva a fare altro. Solamente due parole riuscirono a scivolare fuori dalle sue labbra, dopo qualche altro istante.
- Sei qui. –
Frank si inginocchiò accanto a lui, portando la mano destra su quella di Gerard.
- Ti ho fatto una promessa, ricordi? Io non ti abbandono, qualsiasi cosa accada alle nostre vite. –
 
Gerard ricordava. Eccome se lo ricordava. Dovevano essere passati almeno dieci anni, ormai. Ricordava il letto sfatto di casa sua, la penombra nella camera, il corpo nudo di Frank, ricoperto da tatuaggi, che giaceva accanto al suo. E poi quel sorriso, quello sguardo che riusciva a farlo sentire spaventosamente scoperto, le loro mani intrecciate.
- Promettimi che non mi lascerai anche tu, Frankie. Promettimelo, amore mio. – aveva detto Gerard in un sussurro, con le labbra ad un soffio dalla pelle della spalla di Frank. 
- Te lo prometto, Gee. Ti amo troppo per abbandonarti, qualsiasi cosa accada. Non ti abbandono, questa è una promessa. – aveva allora risposto Frank, con una mano intrecciata fra i capelli dell’altro. Quello era stato il sigillo del loro amore che, a distanza di anni, non aveva mai smesso di ardere, nonostante la rottura e nonostante la lontananza. 



Gerard abbassò lo sguardo, scivolando seduto su quell’erba umida.
- Non pensavo di vederti, oggi. Ti ho cercato, prima, ma non c’eri. – 
Frank sospirò, scivolando poi a sua volta seduto a terra. 
- C’ero, ma non mi sono fatto vedere. Non credevo fosse il momento adatto. Avevi bisogno di tua moglie, al tuo fianco. Sarei stato di troppo. – Fu allora che il cantante scosse la testa, mordendosi con forza l’interno della guancia.
- Avevo bisogno di te, non di mia moglie. – 
Il castano si strinse nelle spalle, abbassando lo sguardo su un piccolo ciuffo l’erba ai suoi piedi. 
Non rispose alle parole di Gerard, non ce n’era bisogno. Era sempre stato così fra loro, non c’era mai stato bisogno di parole. Loro avevano quel silenzio grazie al quale riuscivano a dirsi molto di più di quello che si sarebbero detti a parole. 
Gerard poggiò la testa contro la lapide alle sue spalle e al contatto con il marmo freddo, rabbrividì. Chiuse poi gli occhi, respirando profondamente. Le sue mani erano tornate a tremare e leggeri spasmi correvano lungo le sue braccia. Strinse allora i pugni, fino a farsi diventare le nocche chiare. Le unghie conficcate nei palmi delle mani stavano cominciando a tracciare mezzelune profonde, che ben presto avrebbero potuto sanguinare, continuando di quel passo.
- Smettila. – 
Una sola parola, secca, uscì dalle labbra di Frank. Le sue mani tatuate scivolarono su quelle di Gerard, che all’improvviso si ammorbidirono.
Altre lacrime sul viso di Gerard, un singhiozzo spezzato e poi, chissà come, si ritrovò stretto fra le braccia dell’altro. Finalmente casa, finalmente pace. Il cantante si lasciò stringere e poggiò il volto nell’incavo del collo di Frank e un attimo gli sembrò che tutti quegli anni passati lontani, separati, a ripetersi che non si erano mai amati davvero, che il castano era stato solo una passeggera distrazione, sparirono. Quelle braccia erano la sua casa. 
Il profumo del chitarrista inebriò le sue narici. Dio, quanto gli era mancato quell’odore. Non avrebbe saputo descriverlo, però. Sapeva di Frank, gli bastava quello. 
- Non sarei dovuto tornare, Gee, ma non ce l’ho fatta. Perdonami. –
Gerard alzò lo sguardo, lentamente, dopodiché scosse la testa. Le parole di Frank, per lui, in quel momento, non avevano senso. Essere tornato era la cosa più giusta che avrebbe potuto mai fare.
- Avevo bisogno di t.. – 
- No, non avevi bisogno di me. Sono io che non ce l’ho fatta a restare lontano, vedendoti crollare in mille pezzi. E’ stato.. è stato un comportamento terribilmente egoista il solo pensare di poter tornare così, come se potessi aggiustarti, come se avessi il potere di tenere assieme quei pezzi. –
Gerard rise, ma in quella risata non c’era neanche un briciolo di divertimento. Era una risata aspra, nervosa. 
- Sono passati gli anni ma non sei cambiato di una virgola. Ancora non riesci a capire che sei sempre stato l’unica cosa al mondo ad impedirmi di crollare e non rialzarmi più. Restami accanto, ti prego. –
Il moro poteva sentire i rimbombi del suo cuore attraverso la sua cassa toracica. Stava cominciando a realizzare ora che era davvero fra le braccia di Frank, che non era tutto un sogno, uno dei tanti che lo accompagnavano ogni notte, che lo facevano sentire un verme ogni volta che guardava sua moglie, che avrebbe voluto raccontare a qualcuno ma che si teneva sempre dentro. 
Una goccia cadde sulla fronte di Frank, che alzò lo sguardo appena prima di essere colpito da una seconda goccia. Il giovane sospirò, allontanandosi di qualche centimetro da Gerard, dopodiché si alzò. Il suo sguardo si posò sull’altro, ancora seduto a terra con gli occhi puntati a terra.
- Gee, andiamo, ti porto a casa. Sta per piovere. – Frank allungò una mano per aiutare il moro ad alzarsi, ma quello scosse la testa, poggiando una mano a terra, dove la terra era ancora fresca, nel punto esatto dove era stata seppellita sua madre pochissimo tempo prima. 
- Vai. Frankie. Io… io resto qua, no-non posso andarmene. Non vo-voglio.- 
Il corpo di Gerard riprese a tremare e con l’inizio della pioggia, anche le lacrime ripresero a segnare il suo viso.
- Lei non c’è più… Sono stato un… un figlio orrendo, Frank. Avrei… avrei voluto che lei sapesse che mi dispiace.- La voce del cantante venne interrotta da una serie di singhiozzi, soffocati dalle sue mani premute contro il viso. 
- Il mondo è un posto orribile, Gee. Il mondo è brutto.- 
Una smorfia apparve sul volto del moro, una smorfia che con tutta probabilità sarebbe dovuta essere un sorriso amaro. 
- Ma tu sei bellissimo, per me, Frankie. Lo sei stato, lo sei e lo sarai per sempre. – 
Le palpebre di Frank si socchiusero e dalle sue labbra fuoriuscì un sospiro quasi fosse di rassegnazione. 
- Non vogl.. non voglio tornare a casa, stanotte. – riprese Gerard, singhiozzando, per poi alzare lo sguardo verso l’altro, che stava ancora aspettando. 
- Sai che non è possibile. Tua moglie ti aspetta, tua figlia ti aspetta. – 
Una mano tatuata andò a posarsi leggera sulla spalla dell’uomo seduto a terra, come se con quel gesto fosse in grado di portargli via metà di quel dolore che traspariva da ogni lineamento del viso, da ogni parola, da ogni tremito. 
- Voglio stare con.. stare con te, stanotte. - 
- Non fare il bambino, Gerard. Sai che non è possibile, sai che devi tornare a casa. Non avrebbe senso stare con me, stanotte. – 
Nel frattempo i denti di Gerard premevano talmente forte sul suo labbro inferiore che ben presto il sapore del sangue inondò la sua bocca. Tornare a casa avrebbe significato passare giorni con la presenza di Lindsey perennemente alle proprie spalle, che cercava di capire come stesse suo marito, che provava a capire che cosa passasse nella sua testa, che lo mitragliava di domande schifosamente premurose, che travolgeva il moro di compassione. No, lui non aveva bisogno di essere compatito, a lui la compassione lo aveva sempre disgustato. 
Gerard scattò all’improvviso in piedi, talmente veloce che qualche istante dopo dovette poggiare una mano sulla pietra fredda della lapide per evitare di cadere a terra per via di un forte giramento di testa. 
- Vattene, Frank. Dio, vattene. Non sei mai riuscito a capirmi e hai sempre finto il contrario. Ho solo bisogno di te, solo per stanotte, ma tu non capisci, Frank. Non ci vediamo da cinque schifosissimi anni eppure solo ora realizzo di non aver mai smesso di amarti. Vai via, ti supplico, vai via, ora. – Per quanto la frase fosse partita con un tono di voce che si poteva definire quasi forte e convinto, finì con le ultime parole a malapena sussurrate fra i singhiozzi.
Ma il castano, contro ogni previsione dell’altro, non si mosse di mezzo centimetro. Il viso che voleva sembrare impassibile, i pugni stretti contro i fianchi, il respiro lento, i denti stretti e la mascella tirata. Lo sguardo fisso contro il corpo a terra, così fragile, tremendamente vulnerabile.
- A-avevi detto che non mi avevi mai amato, ricordi? – Frank si maledisse mentalmente per quelle parole immediatamente dopo aver finito di pronunciarle. Era davvero il caso di dar corda a Gerard e continuare a parlare di loro due nemmeno due ore dopo la fine del funerale della madre del cantante?
Di nuovo quella risata assurda, sarcastica, aspra.
- Dico un sacco di cose, ma non per questo… non per questo significa che io le pensi davvero. –
Un sospiro da parte del chitarrista, che poi rabbrividì ad una leggera folata di vento. Aveva cominciato a piovere sul serio e stare sotto quell’acqua ancora a lungo, non sarebbe stata una grandissima idea. 
- Gee, dobbiamo andare, okay? Saliamo in macchina, poi decideremo dove andare. Per favore. – 
Passarono alcuni interminabili secondi d’attesa, dopodiché, finalmente, Gerard decise di alzarsi. Strinse la mano di Frank, per aiutarsi e dopo qualche attimo fu in piedi. 
In silenzio, senza dire una parola, il moro cominciò a camminare verso il parcheggio, seguito dall’altro uomo, a testa bassa per ripararsi un po’ dalla pioggia che cadeva sempre più incessantemente. 


 - Senti, non c’è bisogno che ti disturbi così tanto per me, okay? Prenderò un taxi appena mi sarò cambiato e appena questa stupida pioggia diminuirà. Non voglio crearti problemi. –
Gerard era in piedi davanti alla porta d’ingresso di casa di Frank, stranamente vuota. Il chitarrista si avvicinò alla finestra, lanciando un’occhiata fuori, al cielo. Pochi istanti dopo, il boato di un tuono fece quasi tremare i vetri delle finestre e i quadri appesi alle pareti di quella casa e il moro sobbalzò.
Odiava i temporali, li aveva sempre odiati. Da bambino bastava solo che sentisse un tuono o vedesse un lampo in lontananza e puntualmente scoppiava a piangere e nulla riusciva a calmarlo. Crescendo, poi, le cose non erano affatto cambiate, anzi erano peggiorate. Da quando aveva memoria, passava le notti di temporale con la testa sotto il cuscino, spesso con le lacrime agli occhi. Era una reazione esagerata, lo riconosceva, ma lui che poteva farci? Non che fosse felice di essere terrorizzato dal maltempo.
Il moro si ritrovò a fissare Frank, che si era fatto stranamente taciturno durante il loro viaggio in macchina.


 I due, dal cimitero, avevano raggiunto la macchina ormai bagnati fradici dalla pioggia, così il castano aveva chiesto all’altro se avesse preferito cambiarsi, prima di tornare a casa. Gerard aveva scosso la testa, declinando la proposta in poche parole. Il problema era sorto solo successivamente, quando durante la strada, il cielo aveva cominciato ad impazzire, buttando giù acqua a secchiate e tuonando ogni dieci secondi. Frank aveva guardato l’altro e aveva scosso la testa.
- Casa mia è praticamente dietro l’angolo. Mi dispiace, ma con questo tempo io non guido fino a casa tua. – Chiaramente Gerard non aveva potuto controbattere, in quanto la decisione spettava solo e unicamente al guidatore. 



E così si erano ritrovati a casa Iero, bagnati fradici e decisamente poco loquaci. 
Dopo alcuni secondi fu come se Frank fosse rinsavito all’improvviso: il giovane rivolse lo sguardo verso il moro al centro della stanza e sospirò. 
- Ti porto dei vestiti asciutti, intanto, altrimenti rischi di prenderti una bronchite. –
Detto ciò, il chitarrista sparì dentro la propria camera e Gerard si avvicinò a passi incerti verso il gruppo di mensole che esponevano in bella vista decine e decine di fotografie. Visi allegri, abbracci spensierati e momenti di vita quotidiana immortalati su piccoli pezzi di carta, a loro volta incorniciati in modo alquanto accurato. Una foto di Frank con la sua chitarra, diverse foto di Frank e Jamia, in vacanza chissà dove, al loro matrimonio, in casa, poi ancora con i loro figli. Di nuovo, senza praticamente accorgersene, Gerard si ritrovò a mordere con forza l’interno della sua guancia mentre serrava i pugni. Nonostante la fitta che sentiva al cuore ogni volta che i suoi occhi scivolavano su una nuova foto, l’uomo continuò a guardarne ancora, senza farsene scappare neanche una. Il suo sguardo correva veloce e ad ogni nuova foto cercava di dimenticare la precedente, senza successo. I suoi occhi avevano corso veloce fin quando non aveva incontrato qualcosa di assolutamente inaspettato. Avvicinò il viso a quell’ultima fotografia, trasalendo quando riuscì a mettere bene a fuoco i quattro individui presenti su di essa. Una delle ultime foto dei my chemical romance insieme. 
- Lo scioglimento della band non è stato duro solo per te, Gee. – 
Il moro si voltò di scatto, a quelle parole. Davanti a sé un Frank Iero con un’espressione così rilassata in viso. Lo stomaco di Gerard si strinse in una morsa e dopo pochissimi secondi fu costretto a distogliere lo sguardo, altrimenti avrebbe rischiato di scoppiare a piangere come una ragazzina. Dannazione, quanto gli mancava, quell’uomo. 
- Non ti ho mai visto felice come lo sei con Jamia. E avete dei figli meravigliosi. – Con un cenno della testa, Gerard indicò la mensola piena di foto.
- Con te ero più felice. -
Il cantante esitò per qualche istante, spiazzato da quelle cinque parole, dopodiché in silenzio si avvicinò all’altro e prese i panni che quest’ultimo aveva fra le braccia, poi si avviò verso il bagno.


Una volta chiusa la porta alle proprie spalle, l’uomo chiuse gli occhi, poggiando la schiena contro il muro e scivolando lentamente verso terra, fino a sedersi. Fra le mani aveva ancora stretti una maglia di chissà quale gruppo e un paio di pantaloni della tuta. Prese un respiro profondo, mordendosi forte il labbro, come se ciò lo aiutasse a trattenere le lacrime, che ormai sembravano sul punto di scendere senza controllo. Andava tutto bene, doveva solo continuare a ripeterselo fin quando non avrebbe finito con il crederci anche lui.


- Gee, tutto bene, lì dentro? – La voce di Frank, dall’altra parte della porta, sembrava quasi preoccupata. 
- Sì, a-arrivo. – La voce di Gerard, da dentro il bagno, non era altro che un borbottio confuso.
Il moro aprì la porta, abbozzando un sorriso alla vista dell’altro. 
- S-senti, forse è il caso che vada. Non è cattiveria, ma non mi va di incontrare tua moglie, sai, dopo l’ultima volta…- 


Ottobre 2012. Quella sera Gerard aveva davvero bevuto troppo. Mikey gli aveva detto di regolarsi, ma insomma, era ad una festa, tanto valeva divertirsi. Aveva perso di vista Lindsey circa due minuti dopo essere entrati in quella stanza e ad essere sinceri non si era preoccupato affatto di cercarla. Era semplicemente sgusciato attraverso tutte quelle persone e aveva raggiunto il bar e lì era rimasto. 
Un’ora e mezzo di bevute dopo, Gerard aveva deciso di alzarsi per fare un giro, barcollante e vergognosamente ubriaco. Non ricordava esattamente che cosa fosse successo poi. Sapeva solo che aveva scorto fra folla due mani tatuate che gesticolavano animatamente davanti ad una ragazza. Avrebbe riconosciuto quelle mani a miglia di distanza: dovevano essere Frank e Jamia. Lentamente si era avvicinato, abbastanza da capire che i due stavano litigando. A quanto pareva il litigio era scoppiato quando Frank aveva detto in malo modo  a sua moglie che non aveva voglia di andarsene dalla festa, a differenza di lei. Altre due o tre parole e i due avevano cominciato ad urlarsi contro, un po’ per l’alcol, un po’ per lo stress accumulato nell’ultimo periodo anche grazie alla nascita del loro terzo figlio.
Gerard, con la mente completamente annebbiata dall’alcol, non era riuscito a seguire nulla della faccenda. Era rimasto a qualche metro di distanza, in piedi, fin quando chissà chi, ballando, non lo aveva urtato, spingendolo e facendolo scivolare a terra.
Qualche secondo dopo, il cantante aveva alzato lo sguardo e aveva trovato accanto a sé Frank, inginocchiato, che gli teneva sollevata la testa e lo riempiva di domande sul come stesse. Gerard non aveva risposto, in quanto era ancora impegnato a fissare Jamia, che continuava ad urlare contro il marito, blaterando di qualcosa riguardo il tenere maggiormente all’amico che alla propria famiglia.
- Sono caduto… ops! – Gerard era scoppiato a ridere, realizzando solo in quel momento che si trovava a terra. 
- Ho visto che sei caduto, Gee. Ti ho chiesto se stai bene. – Frank continuava invece ad ignorare le urla di sua moglie, concentrandosi solo sull’uomo davanti a lui.
- Tua moglie sta urlando come una pazza, Frankie. Lo sa di essere un sacco fastidiosa? –
- Non farci caso, okay? Tanto poi le passa. Non mi importa, può urlare quanto vuole, non mi importa. Ora mi importa di te. Ti sei fatto male? -  A quel punto Jamia, stufa, aveva gridato che intendeva andarsene, con o senza Frank. In tutta risposta, Gerard sbuffò, fissando il castano dritto negli occhi.
- Non ti importa? – 
Frank scosse la testa, lanciando una veloce occhiata a sua moglie che si stava allontanando per prendere la borsa, dopodiché si concentrò nuovamente sull’altro. 
- Gerard, anche da ubriaco dovresti sapere che preferisco mille volte te a chiunque altro. –
- E allora perché non mi mandi un bacio prima che lei se ne vada? -
Il chitarrista, sospirò, lanciando un’altra occhiata alla moglie, che con sguardo tagliente stava fissando la scena prima di andarsene.
- Gee, non è il caso. Sei ubriaco e mia moglie è qua. –
- Continuo ad amarti incessantemente, forse dovrei smettere. – Gerard fece per alzarsi, ma senza successo, in quanto cadde nuovamente giù, questa volta però addosso al castano. E poi accadde tutto troppo velocemente perché il moro riuscisse a ricordarsi i particolari. Sapeva solo che le labbra di Frank erano incollate alle proprie e avrebbe saputo solo qualche minuto più tardi quanto potesse bruciare uno schiaffo tirato da Jamia. 



Frank sorrise, evidentemente divertito al ricordo di quella sera.
- Jamia è fuori con i bambini fino alla prossima settimana. E’ andata a trovare sua madre. Non sta molto bene, ultimamente. – 
Il moro si strinse appena nelle spalle, annuendo senza spiccicare parola. La stanchezza di quella giornata si stava cominciando a far sentire, purtroppo. Erano notti, inoltre, che non riusciva a dormire per più di venti minuti. Erano tornati gli incubi, dopo la morte di sua madre, ma lui non riusciva a combatterli, non riusciva a sconfiggerli. Così si ritrovava ogni notte soppresso, in lacrime, terrorizzato.
- Hai una faccia orribile, Gee. Da quant’è che non dormi? – Lo sguardo fisso di Frank addosso lo faceva sentire nudo, quell’uomo era sempre riuscito a leggergli dentro senza nemmeno avere bisogno che il moro dicesse mezza parola.
- Uhm… qualche giorno. Sono tornati e mi uccidono ogni notte. Gl-gli incubi, intendo. –
Frank chiuse gli occhi per qualche istante, sospirando con aria visibilmente preoccupata, poi dischiuse le labbra. 
- Resta qua a dormire. Ti lascio il letto, dormirò sul divano. Così se… se avrai un incubo, potrai svegliarmi. Insieme li abbiamo sempre sconfitti, ricordi? Ti terrò al sicuro, stanotte. -
Lo stomaco di Gerard, a quelle parole, si aggrovigliò su se stesso, facendogli persino dimenticare come si respirasse, per qualche attimo.
- Ch-chiamo Lindsey, dammi due secondi. – borbottò Gerard, dopodiché prese il cellulare dalla tasca e si allontanò nell’altra stanza, componendo il numero della moglie.


Duemila spiegazioni, evitare di nominare Frank anche solo per sbaglio, convincere la donna che si sarebbe fermato a dormire da suo fratello: da quando Gerard era tornato a comportarsi come una ragazzina che non doveva farsi scoprire dalla propria madre? Ridicolo, ecco com’era. 
Tornò da Frank, abbozzando un sorriso lievemente imbarazzato. 
- Ho liberato la camera, nel frattempo. Puoi andare a stenderti, se sei stanco. Prendo solo una coperta per me e poi ti lascio in pace. – 
Frank entrò in camera, seguito da Gerard, per poi aprire l’armadio e prendere una coperta. Nel frattempo il moro continuava a fissare l’enorme letto di fronte a lui. Da anni su quel letto il suo Frank dormiva affianco ad una donna, affianco a sua moglie. Si immaginò i due fare l’amore fra quelle lenzuola, dormire abbracciati come una volta facevano lui e il chitarrista. Un brivido risalì lungo la sua spina dorsale. 
- Allora vado. Se hai bisogno di qualcosa, sono in salotto, okay? – 
Gerard distolse lo sguardo dal letto, annuendo e non appena l’altro uscì dalla camera, si distese, addormentandosi dopo pochissimo tempo.


Un urlo nella notte. Un grido agghiacciante, una richiesta d’aiuto. Un corpo che trema, terrorizzato, nel buio, in una camera estranea. Frank entrò di corsa nella stanza, svegliato da quell’urlo disumano. 
- Gee, Gee, guardami, ehi, va tutto bene. – 
Il moro, in lacrime, continuava a tremare, con la maglietta sudata incollata alla schiena e il respiro corto anche dopo che il chitarrista si era seduto accanto a lui e lo aveva abbracciato forte.
-Vuoi parlarne? – 
Gerard scosse semplicemente la testa, senza aprire bocca. Parlarne avrebbe implicato il ripensare a tutto il sogno e l’uomo non era sicuro che ce l’avrebbe fatta senza crollare. Frank, d’altra parte, sospirò, stringendo il corpo dell’altro a sé. Avrebbe voluto essere in grado di tenerlo al sicuro, di proteggerlo, di amarlo ancora. 
- Se potessi essere con te, stanotte, canterei per farti dormire, non li lascerei prendere la luce dietro i tuoi occhi. – La voce di Frank era un sussurro, all’orecchio del moro.
A quelle parole, Gerard sentì l’aria nei suoi polmoni venire meno.


Una notte come tante altre. L’ennesima notte in cui Gerard si svegliava urlando e in preda al panico, solo in quella casa enorme. Piangeva, tremava senza nessuno accanto a lui. Spesso, dopo qualche ora, riusciva a tranquillizzarsi da solo e se era fortunato riusciva anche a riaddormentarsi per qualche ora. Quella notte no, però, quella notte era diverso. Quel sogno era stato davvero realistico. Gerard era ancora convinto di aver visto la morte in faccia, il suo spettro aleggiava ancora su quella camera, era come se riuscisse a sentirne l’odore, riusciva a percepire quella presenza. Era terrorizzato. 
Non sapendo che cosa fare per evitare la completa follia, aveva preso il cellulare e aveva composto l’unico numero che era sicuro non avrebbe squillato a vuoto, a quell’ora. Dopo qualche secondo, una voce assonnata aveva risposto, dall’altro capo del telefono. 
- Pronto? Gee, sei tu? – 
 Silenzio per qualche istante. 
- S-sì, Frankie, sono… sono io. – 
Un sospiro preoccupato. 
- Sempre il solito dannatissimo incubo? –
Gerard annuì, rendendosi conto solamente dopo qualche secondo che l’altro non poteva vederlo, perciò emise un piccolo verso.
- Uhm… sì, sempre quello. N-non riesco a tranquillizzarmi, F-Frank. Ho bisogno di… di te. –
- Sdraiati, Gee. Respira profondamente. Era solo un sogno, okay? – Era assurdo come semplici parole pronunciate dal castano riuscissero a tranquillizzare Gerard. – Non è venuto nessuno a prenderti, chiaro? E nessuno se ne è andato. Va tutto bene. – 
- Vorrei che tu fossi… fossi qua. – 
Attimi di silenzio dall’altra parte del telefono. 
- Gerard… Se potessi essere con te, stanotte, canterei per farti dormire, non li lascerei prendere la luce dietro i tuoi occhi. –
Nonostante tutto, le labbra di Gerard, a quelle parole, si incurvarono in un piccolo sorriso.
- Questa devo scrivermela. E’ la cosa più bella che potessi dire, giuro che la inserisco in una canzone. – 



- Frank, resta qui con me, per stanotte. – Le parole di Gerard erano poco più di un sussurro, una voce tremante all’orecchio di Frank.
L’altro, in risposta, annuì, per poi sdraiarsi nella parte di letto vuota, accanto al moro. 
- Andrà tutto bene, Gee, te lo prometto. – 
- Non penso, ma credimi, vorrei che andasse tutto bene. Lo vorrei con tutto me stesso, Frankie, davvero. –
Il chitarrista chiuse gli occhi, emettendo poi un sospiro e abbracciando di nuovo l’altro, che nel frattempo si era sdraiato al suo posto. 
- E perché non dovrebbe andare tutto bene, ora? Siamo insieme, no? Ci sono io, qua con te. – 
- Siamo insieme, ma io sono sposato, tu sei sposato, io ti amo ancora, io non dovrei. – 
 Nuovamente il corpo di Gerard cominciò ad essere attraversato da piccoli brividi. Agitazione, nervosismo, il tutto confluiva in brividi e respiro corto.
- Tu sei sposato, io sono sposato, ma resta il fatto che non ho mai smesso di amarti un attimo, Gerard Way. –
I due uomini, sdraiati su quel letto, nella penombra, continuavano a parlare per mezzo di sussurri, come se qualcuno potesse udire quelle confessioni e farne un’arma. Ma forse erano sul serio un’arma, un giocattolo con il quale entrambi si sarebbero fatti male. Ma forse in quel momento il farsi male non era un problema così rilevante, in quanto chissà come le labbra di Frank erano accidentalmente finite su quelle di Gerard e ora si muovevano le une sulle altre in una danza di cui solo loro conoscevano i movimenti.


- Promettimelo. – Il cantante si era separato appena dalle labbra dell’altro e ora lo osservava, attentamente.
- Che cosa, Gee? – Frank aveva riaperto gli occhi e lo aveva guardato in modo in un certo senso confuso.
- Promettimi che questa volta restiamo assieme, qualsiasi cosa accada. –
Un bacio suggellò quella promessa, due bocche si incurvarono in due sorrisi.
- Te lo prometto, amore mio. Ora dormi, che ci sono io qua. Ti terrò al sicuro stanotte. –
Con la testa poggiata contro il petto del minore, Gerard chiuse di nuovo gli occhi, con la dolce consapevolezza che il suo angelo avrebbe vegliato su di lui, quella notte. Lo avrebbe tenuto al sicuro, era una promessa.



Eccomi qua. Ascolto i mcr da qualche mese e mi hanno rubato il cuore, quindi non potevo non dedicare loro - anzi, ai miei meravigliosi frerard - una os, partorita dalla mia mente insonne. E nulla, i fatti narrati sono dal primo all'ultimo frutto della mia mente poco sana. Sparse qua e là ci sono frasi di loro canzoni perché ultimamente non riesco a scrivere senza musica in sottofondo e quando capitavano canzoni che mi ispiravano particolarmente, mi segnavo qualche frase e puff, la inserivo. E nulla, la smetto di dilungarmi, spero non vi abbia fatto schifo. Ciaaaaao, Sofia. 
 
   
 
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