Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer
Segui la storia  |       
Autore: namelessire    03/08/2015    1 recensioni
l colore è il testo, l’occhio è il martelletto, l’anima è un pianoforte con molte corde; ad esempio il rosso risveglia in noi l’emozione del dolore per il suo suono interiore.
Così parlò Kandinskij e io ascoltai queste parole milioni di volte e il rosso mi faceva ogni volta più male.
Genere: Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“Sei uno sporco bugiardo, Luke Hemmings”

-Dimmi qualcosa che non so- rispose sarcastico

-Stai mentendo a tutti, cazzo- imprecai battendo il piede per terra in un attacco di isteria.

-Calmati?-

-Come?-

-Mi hai sentito- in realtà la mia testa era come ovattata, i pensieri vi rimbalzavano dentro e poi venivano violentemente ricacciati fuori, continuai a camminare, il corridoio mi aveva portata ad una sala illuminata a giorno, con un divano posto al centro e quadri proveniente da collezioni private tutt’intorno, mi accasciai sul tessuto azzurrino e lì rimasi incurante della presenza di Luke che si muoveva misurando i passi lungo il perimetro della stanza.

-Hai intenzione di rubare qualcosa anche qua dentro?- infierii sarcastica.

-Non sono così stupido- rispose senza scomporsi mentre osservava una natura morta e in seguito un lavoro di Tim Cantor poco più in là, le mani in tasca, la cravatta allentata.

Intanto la musica del salone principale veniva amplificata insieme alle risate delle persone che ignare del mio piccolo dramma interiore continuavano la loro serata tra Champagne e donazioni al museo, una delle mie composizioni preferite si avviò con i primi accordi, sognai di essere una di quelle ragazze in lunghi vestiti di Heute Couture e di poter ballare con qualche ricco e annoiato figlio di papà e in effetti uno era a pochi metri da me, tutt’altro che annoiato, si avvicinò al divano e mi tese la mano

-Vuoi uccidermi?- gli domandai

-No, sarebbe troppo facile- afferrai la mano e mi attirò a lui, pose una mano sulla mia schiena e io posi la mia sulla sua spalla, come se mi avesse letto nel pensiero, iniziò a muoversi verso destra e improvvisamente verso sinistra, in un accenno di valzer

-Dove hai imparato a ballare così?-

-I miei mi avevano spedito in un collegio in Austria e così ho fatto del mio meglio per imparare le cose futili- sorrise e mi fece volteggiare un paio di volte prima che la musica cessasse del tutto. Eravamo uno davanti all’altro, il mio metro e settantacinque mi portava al livello del suo naso, aspettai che dicesse qualcosa e invece mi fece segno di seguirlo, di nuovo; stavolta il corridoio era ben illuminato e meno inquietante del precedente, una stanza chiusa da una corda rossa si presentò davanti ai nostri occhi, Luke fece spallucce e tirò avanti, i quadri sembravano quasi prender vita dietro a quelle lampade, volti pallidi e occhi che sembravano seguire ogni nostro movimento, infine sbucammo nel giardino sul retro, un tripudio di statue e fontane di famosi architetti.

-Devi stare attenta-

-A cosa?-

-Probabilmente inizieranno a seguirti-

-Perchè?-

-Perchè sai più del dovuto- si passò ancora una mano tra i capelli ormai spettinati -Ascolta, questo weekend tu e Max verrete negli Hamptons con me e gli altri- tentai di replicare e per tutta risposta ricevetti un “non se ne parla, finiresti in fondo all’Hudson”, angosciata me ne andai, erano quasi le due del mattino e quasi tutti gli invitati erano andati via e quelli che erano rimasti, brilli, barcollavano verso l’uscita lasciando cadere i gemelli della camicia, non una grande perdita per le loro tasche; iniziammo a lavare i pavimenti e a disfare i tavoli dove trovammo anche qualche dollaro, raccogliemmo le decorazioni rimaste intatte e pulimmo anche i vetri, tanto che quando finimmo erano quasi le quattro del mattino.

Max mi aspettava fuori appoggiato alla sua auto, una vecchia mustang che usava raramente, le mie colleghe mi salutarono più raggianti del solito quando lo videro e io scoppiai a ridere e lui sorrise imbarazzato, mi sedetti sul sedile e non appena mise in moto tirai fuori l’assegno e lo sventolai gloriosamente.

-Quanto?-

-Quattrocento dollari- 

-è proprio vero che i ricchi sono avari-

-così dicono- scoppiammo di nuovo a ridere, io appoggiai i piedi sul cruscotto e per poco non mi addormentai, l’adrenalina stava lasciando spazio all’angoscia, cosa avrei dovuto fare? Avrei dovuto stare zitta e salvarmi la pelle, ecco cosa e così feci, almeno per quella sera.

Tribeca era insolitamente tranquilla, le tapparelle erano tutte abbassate e per strada non c’era quasi nessuno, invitai Max ad entrare e come al solito si mise a frugare nella mia credenza, andai in camera mia e mi cambiai, sciolsi i capelli e riposi il fermaglio nel suo sacchettino argentato, quando tornai in soggiorno lo trovai seduto sul vecchio divano intento a guardare il solito programma sulle mogli assassine.

-Attento a chi sposerai- risi e lui mi lanciò addosso un popcorn -Ah- mi ricordai -Francis ci ha invitati negli Hamptons- mi guardò stranito e si sedette dritto.

-E tu dove lo avresti trovato Francis?- 

-Per strada- 

-Per strada, sul serio?- inarcò le sopracciglia, misi su la solita espressione da offesa, lui prese il cellulare e digitò un numero, si alzò e andò nel terrazzino, tornò pochi minuti dopo

-Pensavo fossi impazzita, ma evidentemente mi sbagliavo, partiamo tra tre ore- gettai lo sguardo all’orologio sulla parete ed erano quasi le cinque, mi avvicinai alla finestra e scostai la tendina di pizzo, sulla strada era parcheggiato un suv grigio con i finestrini oscurati, forse stavo annegando nelle mie stesse paranoie, chiusi tutto e mi appoggiai al bancone della cucina.

-Stai bene?-

-Si, ho solo bevuto troppo caffè-

-Allora vado a prendere le mie cose- fece per prendere le chiavi dal portafrutta -No- lo fermai -Aspettami, non ho molto da sistemare- corsi a prendere nel mio armadio alcuni vestiti estivi e un paio di costumi, radunai saponi, creme e cosmetici e in meno di venti minuti ero di nuovo in salotto, presi anche il portatile per scrivere delle mail all’Università, chiusi l’appartamento a chiave e seguii Max giù per le scale.

 

Luke’s Pov

Quando arrivai a casa i miei già dormivano, sul pianoforte erano appoggiati gli orecchini di mia madre e la cravatta di mio padre, mi tolsi la mia e me la misi in tasca, mi tolsi la giacca, allentai i bottoni della camicia e tirai su le maniche, dal mobiletto di quercia presi la bottiglia di liquore e me ne versai un goccio nel bicchiere, non avevo tempo per dormire, ormai avevo capito che quegli acquirenti mi sarebbero stati alle calcagna per un po’ di tempo e che mi avrebbero fatto pagare la prima mossa sbagliata e non solo a me. Sulla scrivania erano ancora abbandonati i moduli di iscrizioni per Yale, giurisprudenza ovviamente; i miei non usavano quasi mai la casa negli Hamptons e le chiavi erano sempre attaccate vicino a quelle delle auto, le presi e insieme presi anche quelle della Range Rover, Michael, Calum e Ashton sarebbero arrivati di lì a poco e così accadde, un quarto d’ora dopo eravamo seduti nel patio a bere birra e guardare il tramonto, saremo andati noi a prendere Max e Nastasja, almeno lui non doveva essere al corrente della verità.

Gli altri tre mi avevano scoperto in discoteca mentre barattavo un Fabritius con un socio di Trevor, avevo cercato di dissimulare, bluffare su quella faccenda ma mi conoscevano troppo bene e, arrendendosi avevano scrollato le spalle con la condizione che io non avrei dovuto metterli in mezzo, e così feci, ma avrei preferito certamente uno di loro a Nastasja; con questi pensieri mi alzai dalla poltroncina in vimini e invitai gli altri a seguirmi, raccolsero le loro cose e le misero nel portabagagli, accesi l’auto e partimmo verso Tribeca.

 

Nastasja e Max ci stavano aspettando al piccolo ingresso con le valigie poggiate ai loro piedi e lei aveva una tracolla, colma di libri immaginai, quello che nessuno notò fu il suv grigio parcheggiato pochi metri più avanti, ma anche lo sguardo di lei saettava avanti e indietro verso il veicolo, scesi e a grandi passi la raggiunsi, presi le sue valigie e “Vai avanti, non guardare” le sussurrai spingendola quasi per le spalle, stranamente non disse una parola; salutai anche Max che si sedette con gli altri nei sedili posteriori e presero a parlare di Baseball, mentre Nastasja si appoggiò con il gomito al finestrino e non staccò mai lo sguardo dalla strada, tranne quando dopo una mezz’ora si addormentò, feci cenno agli altri di abbassare la voce e spensi la radio. L’autostrada era semi deserta, tranne che per alcuni camper e alcuni temerari che partivano per delle piccole vacanza, del suv non vi era ancora traccia ma sapevo che non sarebbe finita così; ieri sera infatti dopo l’evento Trevor mi aveva chiamato infuriato, i clienti lo avevano minacciato di denuncia e chissà cos’altro tutto per colpa di Nastasja, o meglio, “La ragazza impicciona” detto con un forte accento dai miei ormai ex clienti, sapevo inoltre che erano pericolosi, giravano armati, facevano sparire persone. Svoltai in una stradina di provincia, una scorciatoia, e in poco meno di due ore stavamo percorrendo la via d’ingresso, la mia casa era una delle prime, molto moderna con enormi porte finestre tutt’intorno ma al contempo classica, il giardino era curato da una ditta locale e la piscina e il campo da tennis erano sistemati da alcuni dipendenti di mio padre, nel frattempo si svegliò anche Nastasja, si stropicciò gli occhi e rimase interdetta per alcuni secondi guardando prima fuori e poi me.

-Benvenuta negli Hamptons- le sorrisi e lei ricambiò, saltò giù dall’auto e raggiunse gli altri all’ingresso, ritornò solo per prendere la sua tracolla e il piccolo trolley nero con un’etichetta russa che recava il suo nome in cirillico.

-Questa casa è più grande del mio ex liceo- disse Nastasja e scoppiammo tutti a ridere, infilai la chiave nella toppa e la pesante toppa si aprì dopo quattro giri, le tende erano aperte e la luce del sole filtrava illuminando l’androne e le imponenti scale.

-Bene, ragazzi, avremo tempo per visitare tutta la casa ma adesso sistemate i bagagli, Nastasja seguimi- proclamai in un tono che non ammetteva repliche

-Tutto suo padre- disse Calum e ricevette una spallata amichevole, salimmo tutti le scale e diedi a lei la camera adiacente alla mia, Max mi lanciò uno sguardo di rimprovero e scosse la testa, chissà cosa stava iniziando a pensare, si avviarono alle loro camere.

-Perchè?- disse solo, sostando sulla soglia dell’abitacolo

-Scusa?- risposi preso in contropiede

-Perchè ci hai portati qui Luke?-

-Abbassa la voce-

-Rispondi- la sua freddezza mi inquietava, i capelli biondo scuro erano poggiati sulla spalla destra e lo sguardo era fisso.

-Dobbiamo trovare una soluzione e New York non era il posto più indicato- si mise a ridere.

-Dobbiamo? Devi semmai-

-Ah si? L’ho notato solo io il suv grigio fuori dalla tua abitazione allora- le si contrasse la mascella, risi.

-No-

-Per loro adesso è diventata una specie di caccia al tesoro, di sangue, e il tesoro sei tu- le puntai il dito contro e lei si chiuse in un silenzio religioso, chiuse anche la porta lasciandomi in piedi davanti alla sua porta, “A mezzanotte in salone” le urlai battendo i pugni sul legno duro.

 

Il resto della giornata la passammo in piscina a bere birra e giocare a calcetto sull’erba appena tagliata, Nastasja in costume leggeva il milionesimo saggio sull’arte contemporanea dal suo portatile; non era convenzionalmente magra, le forme erano al posto giusto e a dispetto degli stereotipi era discretamente abbronzata. Quella sera i ragazzi uscirono mentre io e Nastasja rimanemmo a casa di comune e silenzioso accordo, “Devo recuperare del sonno perso” lei, “Sapete che quando guido mi viene sempre un terribile mal di testa” io, lasciarono la casa verso le undici e Max non mancò di guardarmi male prima di raggiungere Ashton, probabilmente avrebbero portato a casa una delle solite scalatrici sociali, aspettando mezzanotte mi sedetti al pianoforte e iniziai a suonare qualcosa, Beethoven mi sembrava indicato, mi immersi talmente tanto nel brano che non sentì l’orologio battere la mezzanotte e la mani di Nastasja sulle mie spalle.

-Eccomi- mi sussurrò, mi alzai e raggiunsi uno dei cassetti del mobile, frugai per un po’ e alla fine estrassi la Beretta che tenevo gelosamente nascosta, lei fece un salto all’indietro alzando le mani.

-Non vorrai mica sporcare questi tappeti con il mio sangue- strillò con voce stridula, risi forte e appoggiai l’armai sulla specchiera, riprendendo a frugare nel cassetto e pescai l’altra pistola, scarica, mi avvicinai e gliela passai.

-Niente domande, seguimi- uscimmo dal patio, attraversammo il giardino, il campo da tennis e arrivammo in una radura abbastanza distante dall’abitato, davanti a noi quattro bersagli illuminati dai faretti.

-Necessito spiegazioni- 

-Ti insegno a sparare-

-Perchè?-

-Vuoi sopravvivere?-

-Non rispondere ad una domanda con un’altra domanda-

-Sono il degno figlio di un avvocato o no?- rise e le presi l’arma dalle mani, la caricai e gliela porsi di nuovo.

-Adesso è carica, guarda e impara- mi posizionai davanti ad una delle sagome, misi la mascherina posizionai in avanti le mani e sparai centrando il basso addome, il contraccolpo mi fece fare mezzo passo indietro.

-Prova tu- sospirò ed emulò la mia posizione, il proiettile partì però in mezzo al bosco e lei cadde all’indietro sull’erba con la pistola accanto.

-Alzati- le porsi la mano e stavolta mi posizionai dietro di lei, poggiai le mie mani sulle sue, il mio petto contro la sua schiena, il mio fiato contro il suo collo, il colpo partì e mutilò le gambe alla sagome, percepii la scarica di adrenalina che le attraversò la schiena, ma stavolta nessuno dei due cadde, e mi augurai con tutto me stesso che nessuno dei due cadesse mai.

 

In ritardo ma sono tornata! Sono rimasta molto delusa dal fatto che il capitolo sul met non abbia ricevuto nemmeno una recensione ma in fin dei conti ve ne propongo comunque uno nuovo, le avventure negli Hamptons sono appena iniziate quindi spero seguirete la ff!

Come al solito se avete qualcosa da dire sul capitolo lasciate una recensione, positiva o negativa (con educazione) che sia che io accetto comunque di buon grado. Non ho avuto tempo di rileggere il capitolo quindi se trovate qualche errore fatemelo pure presente.

Un abbraccio, Irene

 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer / Vai alla pagina dell'autore: namelessire