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Autore: BlackHawk    04/08/2015    1 recensioni
-Non è il posto che fa per te- disse una voce alle sue spalle. Si voltò sorpresa verso l’uomo che le aveva servito da bere, il cui nome le sembrava di aver capito fosse Jet.
-E chi lo dice?- chiese Emma, inarcando un sopracciglio.
-Ti do un consiglio Emma. Finisci la tua birra e vattene da qui.- disse Jet, appoggiandosi al ripiano del lavandino alle sue spalle.
Era a braccia conserte e la fissava intensamente, come a volerle leggere dentro.
-Ho bisogno di un lavoro. Non è facile trovarne uno di questi giorni.- disse Emma, sorpresa che lui avesse sentito la sua conversazione con Kian e l’avesse chiamata per nome.
-Chi è Karen?- chiese lui, dopo un po’.
Emma prese un sorso di birra, sperando che scacciasse il nodo in gola che le si era formato. -Era la mia migliore amica. Lavorava qui. È stata assassinata due anni fa, ma non hanno trovato il colpevole.- rispose Emma, incapace di mascherare la rabbia.
Genere: Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Emma lanciò un’occhiata all’orologio e sospirò.
Ancora mezzora e sarebbe potuta tornare a casa per cambiarsi prima di andare al locale.
Aveva passato la giornata a raccogliere informazioni sul nuovo caso che John, il suo capo, le aveva affidato, ma non era riuscita ad elaborare alcuna linea difensiva efficace per il loro cliente.
Aveva capito che si trattava di un dipendente di una casa farmaceutica accusato di aver divulgato informazioni riservate ad una concorrente, ma la sua mente non aveva fatto altro che tornare sulla conversazione che aveva avuto con Jet il giorno prima.
Perché non voleva che lei andasse a lavorare lì? Sapeva forse qualcosa che avrebbe potuto aiutarla a scoprire la verità sulla morte di Karen? Le aveva detto chiaro e tondo di non averla conosciuta, ma se non fosse stato così?
 Queste domande l’avevano tormentata tutto il giorno, impedendole di concentrarsi sul lavoro.
-Hai qualcosa per me Emma?-
Emma sobbalzò. Non si era accorta che John si era avvicinato alla sua scrivania. Era un uomo affascinante sulla quarantina che aveva ereditato lo studio dal padre, ormai troppo avanti con l’età per esercitare la professione
-Per la verità no-ammise Emma, imbarazzata.
-Hai dato almeno una letta ai fogli che ti ho lasciato stamattina?- chiese John, sospettoso. Emma annuì debolmente.
C’era stato un periodo, dopo la morte di Karen, in cui aveva trascurato molto il lavoro. John era stato comprensivo e le aveva detto di prendersi del tempo per superare il lutto. Passati alcuni mesi aveva capito che concentrandosi sul lavoro avrebbe avuto meno tempo per rimuginare su ciò che era successo a Karen e quindi aveva impiegato tutte le sue energie nel lavoro.
Quel giorno sembrava che la Emma distratta e pensierosa fosse tornata.
 -Ho letto tutto. Ma è un caso difficile. Sono state rilevate delle mail nel computer aziendale del nostro cliente che mostrano evidenti legami con una società concorrente. L’accusa ha in mano carte ottime- spiegò Emma, cercando di giustificare il motivo per cui non avesse nulla di utile da dargli.
John la guardò con i suoi grandi occhi scuri. Sembrava scettico, ma non disse nulla.
Si limitò ad annuire e a sollecitarla a studiare il caso più approfonditamente. Infine la salutò, augurandole una buona serata.
Emma raccolse le sue cose e si avviò verso l’uscita, felice di poter lasciare finalmente lo studio.
Prima di uscire di casa si controllò allo specchio. Aveva raccolto i suoi lunghi capelli castani in una coda alta e aveva  ritoccato leggermente il trucco.
La matita nera e il rimmel mettevano in evidenza i suoi occhi verdi, mentre un filo di blush smorzava il suo incarnato pallido.
 Aveva deciso di sostituire l’abbigliamento elegante e formale della mattina con un paio di jeans e una maglia  a manche corte nera.
Prese la borsa e un giacchetto in caso avesse avuto freddo al rientro ed uscì. Impiegò pochi minuti per arrivare al locale, facilmente raggiungibile a piedi, senza ricorrere alla macchina, e si accorse che non era ancora aperto al pubblico, perciò bussò all’ingresso principale.
Le aprì la ragazza che aveva visto ballare sul palco la sera prima. Era alta e aveva capelli neri e mossi. La squadrò dall’alto in basso.
Emma si costrinse ad usare un tono gentile. –Ciao sono Emma, la nuova cameriera.- si presentò sorridendo.
-Il personale deve usare la porta sul retro. La prossima volta ricordatelo- rispose lei, non accennando ad alcun segno di gentilezza.
Cominciamo bene, pensò Emma spazientita. Mi sono già fatta un’amica, fantastico.
-Forza seguimi- le ordinò poi.
Emma entrò nel locale e notò che c’erano ancora molte cose da sistemare. Le sedie erano capovolte e sistemate sopra i tavoli, sicuramente da pulire.
–Ti devi cambiare. Poi chiedi a Katy quello che devi fare. Io sono una ballerina, non una cameriera- disse la sua nuova amica, in tono acido. Alzò i tacchi e se ne andò, lasciandola sola.
Stava per chiedere chi fosse Katy, quando dal nulla comparve una ragazza minuta con lentiggini sul naso. Le sorrise in modo gentile e si presentò: -Ciao tu devi essere Emma. Io sono Katy. Non fare caso a Stephenie. Crede di essere la star di questo posto, ma ci sono le altre due ballerine, Maya e Serena, che sono molto più brave di lei. Ignorala, come faccio io.-
Emma decise che Katy le stava simpatica. Forse erano le lentiggine o il fatto che anche lei odiasse quella Stephenie.
–Credo che seguirò il tuo consiglio- disse Emma, ridendo.
–Ottima idea. Ora seguimi che ti mostro la divisa e poi ti spiego cosa dobbiamo fare prima che il locale apra- disse Katy, dirigendosi verso una porta in fondo al locale.
Passarono davanti ad una serie di porte prima di arrivare allo spogliatoio, una stanza quadrata con alcuni armadietti e delle panche.
Katy le presentò le altre ragazze che lavoravano lì.- Emma loro sono Mia, Rosie e Jess. Le ballerine di cui ti parlavo prima si staranno cambiando nella loro stanza. Sono troppo importanti per cambiarsi dove ci cambiamo noi- disse sarcastica, facendo ridere tutte.
–Indossa questi e poi raggiungimi nella sala.- aggiunse, porgendole un sacchetto che aveva preso da uno degli armadietti.
Emma si tolse i suoi vestiti e si infilò la divisa. Una maglia bianca a maniche corte con l’insegna del locale e un paio di shorts neri. Fu contenta quando Mia le disse che poteva tenere le sue converse bianche.
Quando tornò nella sala principale Katy le spiegò che doveva sistemare le sedie, dare una pulita a i tavoli e una spazzata al pavimento della sua area, ovvero la zona più vicina al bancone. Emma annuì e si mise all’opera.
 Stava pulendo un tavolo quando Jet arrivò.
Indossava una maglia nera a maniche corte e un paio di jeans. Emma confermò la sua ipotesi che fosse molto alto e immaginò che non potesse aver più di un paio di anni di lei. Ventisette, ventotto al massimo.
–Quello è Jethro- le spiegò Katy, che stava pulendo un tavolo lì vicino. –Tanto bello, quanto misterioso. Fossi in te mi terrei alla larga- disse, mentre lui si dirigeva al bancone.
Quando si accorse di Emma le lanciò un’occhiata dura che la fece sentire a disagio e poi cominciò a sistemare il bancone.
–L’ho conosciuto ieri. Non sembrava molto entusiasta del fatto che venissi a lavorare qua- spiegò Emma, distogliendo lo sguardo da lui.
-Ci hai parlato? Strano, non rivolge la parola quasi mai a nessuno qui dentro. Diciamo che è uno di poche parole- disse Katy, con un tono strano.
Beh, ieri non sembrava uno di poche parole, pensò Emma. -In ogni caso non mi interessa- disse invece, passando ad un altro tavolo.
Un paio d’ore dopo Emma stava prendendo l’ordinazione di una coppia di ragazzi che osservavano rapiti Stephenie e le sue amiche ballare sul palco. Dovette chiedere loro tre volte cosa volessero. Ottenuta l’ordinazione si diresse verso il bancone. Diede l’ordinazione a Cam, un ragazzo di circa vent’anni che aiutava Jet quando il locale era più affollato del solito e nell’attesa si guardò intorno.
Le altre ragazze stavano prendendo le ordinazioni e quando incrociò lo sguardo di Katy questa le fece l’occhiolino.
–Ecco Emma- disse Cam, porgendole un vassoio con due cocktail. Lanciò un’occhiata a Jet che stava flirtando con una ragazza seduta al bancone e si avviò verso la coppia di ragazzi.
Rifletté sul fatto che da quando avevano aperto tutte le sue ordinazioni erano state prese da Cam, mentre Jet l’aveva praticamente ignorata, come se lei non esistesse. Tra l’altro lui non si era nemmeno presentato ufficialmente a differenza di Cam. Sembravano due perfetti estranei.
Non mi importa, continuava a ripetersi Emma. Il problema invece era che le importava. Non tanto perché fossero colleghi od altro, ma perché lui poteva esserle d’aiuto nelle indagini su Karen.
Sussultò quando si accorse che da quando era entrata nel locale non aveva fatto progressi. Sperava di poter parlare con Katy più tardi, durante la pausa, per raccogliere informazioni in modo discreto.
Mentre si dirigeva verso un altro tavolo per prendere le ordinazioni di un gruppo di ragazze che sghignazzavano come oche fu intercettata da Kian.
–Ehi Emma. Come procede?- le chiese gentile.
-Tutto bene per ora- rispose Emma, costringendosi a sorridere.
- Puoi venire un attimo nel mio ufficio?-chiese poi. Emma annuì, contenta che potesse finalmente capire dove lavorasse Kian.
La condusse in una stanza vicino allo spogliatoio dove era stata prima. Le pareti erano rosse e contrastavano con il nero dei mobili. C’era una scrivania lunga, sui vi erano diversi fogli sparsi e un mobile  alto in fondo. Diversi quadri adornavano le pareti.
–Siediti pure- la invitò Kian. Emma si sedette sua una delle due poltrone di fronte alla scrivania. –Allora. Ieri non abbiamo potuto parlare molto. Questo è un tipo di lavoro che può essere faticoso. Ti potrei dare solo un giorno libero a settimana. Sono 15 dollari l’ora. Va bene?- disse Kian, dopo essersi accomodato dietro la scrivania. La fissava intensamente, in attesa di una risposta.
Emma annuì. Lavorerei qui anche per due dollari l’ora se questo mi aiutasse a scoprire chi ha ucciso Karen, pensò Emma.
–Bene.- disse Kian. Sembrava volesse dirle altro, ma rimase in silenzio. Emma si alzò.
– Se non c’è altro allora…- disse mentre di dirigeva alla porta.
-Emma?- la chiamò, prima che uscisse -Va tutto bene?- chiese ed Emma capì che alludeva chiaramente a come lei si sentisse dopo che era stato deciso di archiviare il caso di Karen
-Certo- annuì, avviandosi verso la sala.
Non riuscì però a tornare di là perciò quando vide una porta che portava fuori dal locale si avviò in quella direzione.
Deve essere questa la fottuta uscita sul retro, pensò arrabbiata.
Si ritrovò in un vicolo stretto. Rabbrividì involontariamente, poi prese un respiro profondo.
Un rumore alle sue spalle la costrinse a girarsi. Incrociò lo sguardo freddo di Jet. Ci mancava pure lui, pensò spazientita.
–Già stanca?- chiese lui, ironico.
–Si può sapere perché cazzo fai così?- urlò Emma, irritata.
–Ti avevo avvertito che non era il posto per te.- disse, mentre si accendeva una sigaretta.
Emma lo osservò alla luce dei lampioni. Non poteva negare che fosse attraente, ma il suo atteggiamento la irritava profondamente.
–Non mi sembra di averti chiesto un consiglio o roba del genere.- si limitò a dire Emma.
Lui aspirò fumo dalla sigaretta e poi lo rilasciò lentamente. –Università di Chicago?- chiese dopo un po’, cogliendola di sorpresa.
La reazione di Emma fu come una risposta.
–Cosa ci fa una che ha frequentato l’università in un posto del genere?- chiese, guardandola negli occhi.
–Non so di che parli- replicò Emma.
–Andiamo, mi prendi per un idiota? Il fatto che non abbia la laurea non significa che sia uno stupido- disse Jet.
–E se anche fossi laureata? Non potrei lavorare qui? Che razza di ragionamento del cavolo è?- chiese Emma, incrociando le braccia al petto.
Jet la squadrò lentamente, soffermandosi più del dovuto sulle sue gambe, poi riportò l’attenzione ai suoi occhi.
–Si tratta della tua amica non è vero?-
Emma distolse lo sguardo. Forse lui sapeva qualcosa.
–Forse- disse, evasiva. –Hai detto di non averla conosciuta.- aggiunse, quasi sperando che lui la smentisse.
-È così, infatti.- disse, mentre spegneva la sigaretta a terra.
La fascia nera tatuata sull’avambraccio destro che aveva notato la sera prima attirò di nuovo l’attenzione di Emma, che si ritrovò a chiedere:
-Ha un significato particolare?- Jet seguì il suo sguardo.
Si toccò la fascia con la mano sinistra e poi guardò lei. – Mio fratello- si limitò a dire.
Rientrò nel locale e la lasciò da sola, piena di dubbi e domande.
   
 
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