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Autore: LadyRealgar    04/08/2015    3 recensioni
La missione a Sokovia è stata un successo, i piani dell'Hydra sono stati sventati e ora i Vendicatori, riuniti nello sfavillio della Stark Tower, festeggiano. Ad un tratto Natasha si allontana e, nel silenzio di un corridoio, affronterà la sfida più impegnativa di quella giornata: il confronto con se stessa.
Prima one shot della mia carriera su Efp, prima pubblicazione in questo fandom. Spero possa essere gradito e regalare qualche emozione.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi e le situazioni qui descritte non sono di mia invenzione, ma provengono dalla fertile immaginazione di Stan Lee e degli altri autori della Marvel.

 

Si era allontanata un attimo per andare in bagno: la birra e i cocktails che aveva bevuto quella sera avevano, alla fine, concluso il loro percorso e aveva dovuto correre ai ripari. Non era il tipo di donna a cui piaceva bere, anzi, solitamente preferiva farne a meno: la sua posizione richiedeva che avesse sempre il pieno controllo della situazione e gli alcolici erano un lusso che non poteva permettersi.

Ma quella sera non era nel mezzo di una missione, non aveva un target da individuare, né uno stuolo di criminali armati fino ai denti con lo scopo di ucciderla; quella sera era circondata da colleghi, persone di cui, chi più chi meno, si fidava e poteva concedersi di abbassare un poco la guardia.

E poi, dovevano festeggiare: la missione a Sokovia si era conclusa con successo e, cosa ancora più straordinaria, erano tutti insieme.

Era da New York che non le succedeva di stare assieme a tutti gli altri Vendicatori nella stessa stanza e, per quanto le riguardava, era quello il vero motivo per cui far festa.

Nella sua testa era ancora difficile associare la parola "amico" a qualcuno: dai tempi del suo addestramento nel programma Vedova Nera del KGB le era stato inculcato a forza in testa che chiunque fosse un potenziale target e che stringere legami rappresentasse un ostacolo per la buona riuscita della missione.

I vecchi insegnamenti sono difficili da estirpare: certe volte, quando gli incubi tormentavano il suo sonno, la tentazione di ammanettarsi al letto1 vinceva sulla consapevolezza di quanto denigrante fosse quel gesto, ma la sensazione del metallo sul suo polso era, in qualche modo, così rassicurante e familiare.

I segni rossi bruciavano alla mattina, ma almeno la notte era tranquilla.

Da qualche tempo a quella parte, però, non ne aveva più sentito la necessità: quel gruppo di uomini rumorosi e pieni di testosterone riuscivano a distrarla dai fantasmi del suo passato e sapere di far parte di un gruppo di persone problematiche e, al contempo, eroiche le permetteva di dormire più serenamente.

Forse non erano "amici", ma qualcosa di molto vicino, soprattutto Barton e Rogers.

L'acqua corrente scorreva fresca tra le sue dita sottili mentre le lavava accuratamente; "Sapone al gelsomino" pensò la donna, annusando la fragranza della miscela "Questo è il tocco di Pepper". Sorrise al ricordo dei mesi trascorsi come P.A. della signorina Potts per tenere sotto sorveglianza Stark: tutto sommato si era divertita e Pepper era un'ottima compagnia.

Si asciugò con le salviette di carta e si diede un'ultima occhiata allo specchio: il rossetto era leggermente sbiadito, ma almeno i capelli erano in ordine. Aveva fatto bene a tagliarli: combattere con dei fili che si infilano a tradimento in bocca e negli occhi poteva risultare estremamente scomodo, soprattutto se dall'altra parte c'era un soldato dell'Howling Commandos che ha subito il lavaggio del cervello ed è stato addestrato dall'Hydra a non provare alcuna emozione mentre le vertebre del collo di una vittima si sbriciolano sotto le sue mani.

Lei per prima sapeva quanto possono essere pericolosi individui del genere e aveva contribuito alla ricerca del Soldato d'inverno assieme a Steve e a Sam, ma poi le nuove attività criminali dell'Hydra avevano avuto la priorità e la pista che il fantasma aveva lasciato dietro di sé si era raffreddata. Non sarebbe stato facile trovare una nuova traccia.

Mentre attraversava il corridoio per tornare nel salotto in cui gli altri stavano discutendo animatamente di chissà che, lo sguardo la cadde sul tavolino di vetro alla sua destra: tra una pila di riviste di automobili, Mjolnir se ne stava lì, abbandonato su quella superficie smerigliata come un qualunque soprammobile.

Appoggiato così casualmente, con il metallo pieno di graffi e il manico dal cuoio consunto, sembrava quasi impossibile che fosse l'arma più micidiale che Natasha avesse mai visto in anni di carriera.

"Qualunque uomo che solleverà il magico martello sarà degno di regnare su Asgard", inutile dire che tra gli uomini della compagnia si era subito instaurata una sfida su chi fosse riuscito a sollevarlo, con estremo divertimento di Thor, che aveva assistito alla scena con un sorriso sornione sotto alla curata barba bionda.

Solo una volta l'aveva visto vacillare, ossia quando era stato il turno di Steve: avrebbe potuto giurare di aver visto la testa del pesante attrezzo oscillare sotto le mani del super soldato, ma sarebbe bastato guardare in faccia il principe di Agard per averne conferma.

Per un folle momento Natasha aveva desiderato alzarsi e urlare al Capitano di tirare più forte: avrebbe pagato oro per assistere a quello che sarebbe accaduto dopo!

Poi, per qualche strana ragione, il martello era tornato al suo posto e Thor aveva festeggiato con un bel sorso di birra.

Cera qualcosa che non andava in quella storia: si poteva essere "quasi" degni? Oppure Steve aveva semplicemente evitato di creare problemi?

Conoscendo Rogers, la seconda ipotesi era la più probabile: non avrebbe mai cercato di sovrastare un amico, anche se, Natasha doveva ammetterlo, sarebbe stato divertente vedere Barbie Alieno cedere il suo bel mantello svolazzante da principe delle fiabe a Capitan Surgelato.

Rise tra i denti allimmagine di Rogers con il mantello rosso sulle spalle e un bellelmo alato in capo, ma quel sorriso svanì in fretta quando la sua mente realizzò una cosa: lei era da sola con Mjolnir.

Era una sensazione strana: era abituata a trovarsi di fronte ad armi letali e pericolose (ben sapendo che non cera nulla i più letale e pericolosa di lei), ma quello strano oggetto era diverso, la incuriosiva.

-Qualunque uomo- sussurrò a se stessa la donna, avvicinandosi al tavolino e osservando rapita la bellezza di quelloggetto: le cuspidi incise sul bordo dei quattro lati esterni sembravano danzare sotto la luce del led che illuminava il corridoio e tutti quei graffi erano come le cicatrici di un guerriero. Quanto le sarebbe piaciuto sentire la storia di come se le era procurate.

“È un trucco”.

La voce di Clint le attraversò la mente veloce come le sue frecce. Non aveva tutti i torti: come poteva un oggetto inanimato dimostrare il valore di una persona?

Il suo sguardo mutò e nei suoi occhi blu si dipinse la freddezza dell’inverno russo che covava dentro di sé: -Chi sei tu per giudicare me?- disse la donna, osservando il martello magico, quasi si aspettasse di sentirlo parlare da un momento all’altro.

Solo qualche minuto prima si faceva a gara per sollevare quell’oggetto, una competizione per dimostrare chi fosse il gallo del pollaio e dentro di sé Natasha rideva di come quel gruppo di eroi si divertisse a giocare a chi era il più forte. Ora, invece, nel silenzio del corridoio erano solo loro due, l’assassina addestrata dal KGB, la spia di decimo livello presso lo S.H.I.E.L.D., la Vedova Nera degli Avengers, e il mitico martello degli dei norreni.

Il paragone, ora che ci pensava, era piuttosto ridicolo: lei era vera, concreta, mentre quello di cui era fatto Mjolnir, che placidamente stava adagiato sul tavolino, circondato dalle pagine satinate delle riviste, era pura leggenda. Solo storie. E la vita non era fatta per le storie. Non la sua, per lo meno.

Lei era stata addestrata per analizzare i fatti, collezionare indizi, studiare le vittime, pianificare omicidi e svanire nel nulla come una nuvola di fumo, senza lasciare traccia. Non era tipo da storie.

Eppure aveva conosciuto un dio nordico e il suo fratello pazzo omicida, gli alieni avevano invaso Manhattan solo un anno fa e uno dei suoi compagni di squadra diventava un gigante verde quando perdeva le staffe. Tutto ciò era andato ben oltre le “storie”. Quella era la realtà.

Allora, forse, quel martello dal manico troppo corto per sostenere il peso della testa poteva veramente esprimere un giudizio sul valore di chi lo impugnava.

In quel momento i suoi occhi videro rosso, il rosso dei suoi files che grondava come il sangue di tutte le persone che il KGB le aveva indicato come target, gli uomini e le donne a cui aveva piantato una pallottola in capo senza provare mai ribrezzo o dolore o vergogna. Nulla. Ogni volta che aveva premuto il grilletto e osservato il sangue caldo e denso spillare da quei fori, non aveva mai provato nulla.

E questo, se possibile, era un crimine peggiore dell’omicidio stesso.

Era per questo che non aveva voluto unirsi a quella gara? Non solo per il suo solito abito di superiorità che era solita indossare come una seconda pelle, ma anche per non voler aver conferma di quello che già credeva. Ossia che non era degna. Non dopo quello che aveva fatto per anni e anni della propria esistenza, finché non era arrivato Clint a mostrarle cos’altro avrebbe potuto fare. Lei era stata il suo target e lui l’aveva aiutata.

Quello che la faceva sentire sporca e viscida era che se la situazione fosse stata invertita, lei avrebbe portato a termine la missione, come aveva sempre fatto.

“Non sono degna” pensò la donna, concentrando le proprie forze sul mantenere un contegno “Non sono degna dell’amicizia di Clint”.

Quel pensiero la tormentava, come un tarlo che lentamente e inesorabilmente scava nella profondità del legno, nutrendosene e corrodendone la struttura, un millimetro alla volta.

“E di Steve?” si chiese, portandosi le mani al volto, quasi potesse nascondersi da se stessa “Sono degna del suo buon cuore e della sua onestà?”.

Attraverso la fessura creata dalle proprie dita, Natasha vide di nuovo Mjolnir. Lascò cadere le mani lungo ai fianchi e prese un respiro profondo, un altro e un altro ancora, finché non fu certa di essersi calmata abbastanza da valutare la situazione con lucidità.

-Non sarai tu a dirmi se sono degna oppure no!- disse, puntandogli contro l’indice -Non ho bisogno del tuo giudizio. Il mio passato non definisce chi sono. Sarà il mio futuro a stabilire il mio valore.

Un nuovo sorriso, più largo, le illuminò il volto, mostrando le due file di denti bianchi e dritti, mentre indirizzava i propri passi verso il salotto in cui i suoi amici stavano festeggiando.

Aveva vinto.

 

1 Il fatto che le bambine addestrate dal KGB per il progetto Vedova Nera venissero ammanettate ai loro letti per impedir loro di scappare nottetempo è illustrato nella serie prodotta da Marvel Agent Carter

 

Angolo dell’autrice: salve a tutti e grazie per essere passati a dare un’occhiata :)

Finalmente ho pubblicato in questo fandom! Pur non essendo molto ferrata nella stesura di testi brevi, ho voluto buttarmi e sviluppare un’idea che da un po’ mi ronzava in testa.

Spero di essere riuscita ad avvicinarmi almeno un po’ alla psicologia di questo affascinante personaggio e, al contempo,di essere riuscita a trasmettere qualche emozione; se vorrete lasciarmi un’opinione, sarò ben lieta di accoglierla ;)

Alla prossima!

Lady Realgar

   
 
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