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Autore: misslittlesun95    06/08/2015    0 recensioni
Roma, agosto 2015
È mattina presto, fa fresco e Ivano e Sabina, due ventenni appena diplomati, percorrono in moto la strada verso la stazione di Roma Termini.
Si amano, ma si stanno lasciando.
Lei vuole andare via per un po', tornare da suo padre in montagna e decidere cosa fare, probabilmente ricominciare ancora una volta da zero.
Lui non ha né il coraggio né la forza di impedirglielo, questa volta l'amore non sa essere più forte.
Perché la loro storia inizia quasi due anni prima, quando neomaggiorenne e con ancora due anni di liceo da fare Sabina arriva a Roma da sola, desiderosa di partire da capo dopo un dramma che l'ha segnata per sempre.
Ivano è lì, vive una vita normale e cerca di rimediare ad alcuni errori passati.
Il loro incontro è classico, stessa scuola, stessi amici, ma ciò che nasce va oltre.
Entrambi sembrano cresciuti troppo in fretta e troppo soli, e la vita vorrebbe dal loro una nuova possibilità; quella di non lasciarsi passare addosso tutto in modo apatico, scoprendo invece il nome di ogni emozione.
Dalle più terribili alle più dolci.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
Capitoli:
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Capitolo secondo


Non sei piì tornata,
sei stata di parola,
non ti sei fermata,

con il vento sei volata via,
via da te,
via da qui,
via dalla notte infinita.”


Un vento senza nome – I. Grandi


Pinerolo, fine Agosto 2013


Quando l'autobus proveniente da Sestriere si fermò nella piazza principale di Pinerolo Sabina era già sulla scaletta della porta anteriore, pronta a saltare giù non appena questa si fosse aperta.
Scese rapida, percorrendo poi quasi di corsa i pochi metri che la separavano dal porticato che correva tutto intorno allo spiazzo.
Poi si arrestò di botto e si guardò riflessa nella prima vetrina che si trovò davanti.
Non era poi così diversa dalla ragazzina che era stata nei cinque anni precedenti; la tuta leggera che le fasciava il corpo molto magro, la felpa legata in vita, lo zainetto tenuto su una spalla sola e i lunghi capelli legati in una coda alta rifermata poi da vari elastici in più punti, circa ogni cinque o sei centimetri.
Sì, non era cambiata molto dal giugno precedente, quando aveva finito gli allenamenti dell'anno appena passato, e chiunque, vedendola lì, avrebbe potuto pensare semplicemente che stesse facendo ritorno in palestra, in fondo era una delle migliori agoniste della sua società di ginnastica artistica.
Ma non era lì per quello.

Da quasi tre mesi prima, dalla data dell'ultima volta in cui era andata a Pinerolo, due cose in realtà erano accadute: aveva compiuto diciotto anni e aveva cominciato il trasferimento verso Roma, a quasi ottocento chilometri da lì.
- Sabina!-
Si sentì chiamare da dietro e, voltandosi, si trovò davanti Lorenzo, l'autista dell'autobus che l'aveva portata fin là quel giorno come tutti i gli altri negli anni precedenti.
- Ehi!- Lo salutò lei con un sorriso, non comprendendo però come mai il ragazzo fosse sceso a salutarla.
La risposta arrivò poco dopo.
- Mi hai detto che ti riporta a casa tuo padre, oggi, e visto che non penso ci saranno altre occasioni di vederci volevo salutarti.-
Sabina si sentì una sciocca a non aver pensato prima a quella possibilità, e cercò di rimediare all'imbarazzo.
- Sì, scusa, ho la testa da un'altra parte in questi giorni.-
- Lo immagino, non deve essere facile lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare da capo, soprattutto alla sua età.-
- Già...- Rispose la ragazza evitando accuratamente lo sguardo del suo interlocutore, cosa che sempre faceva quando i discorsi non le piacevano.-
- Beh, buona fortuna! Tanto te sei una tipa tosta e testarda, Sabina, dubito avrai problemi a trovare il tuo posto nel mondo.-
- Me lo auguro, grazie.- Sorrise.
Stavano per salutarsi quando la ragazza riprese la parola. - Ah, Lorenzo, se per caso da Settembre in poi dovessi rivederli, magari perché li porti a scuola, o qui a Pinerolo, o non lo so, ma è comunque probabile che accada...-
- Sì?- Devo dire loro qualcosa?- Le chiese, sapendo benissimo a chi si stesse riferendo.
Sabina buttò uno sguardo a terra, incrociò le braccia sul petto e alzò gli occhi cercando qualche parvenza di cielo estivo oltre l'arco del porticato.
- No, non dirgli nulla; ci siamo già detti tutto quello che non avremmo dovuto dirci, e ciò che vorrei sapessero non avranno sicuramente voglia di ascoltarlo. Quindi no, grazie ma non serve che tu gli dica nulla.-
- Ho capito. Allora niente, spero che almeno io potrò ancora sentirti, mi dispiacerebbe smettere di avere a che fare con te.-
- Sta tranquillo, ci sono cose che per quanto possa tentare non avrò il coraggio di lasciarmi alle spalle... e poi il mio numero ce l'hai, non credo ci siano problemi da questo punto di vista.-
- Certo. E ne sono felice.
Comunque sia, credo di averti rubato abbastanza tempo, se sei qui è perché hai qualcosa da fare, non ti trattengo oltre. Tanto ci sentiamo, no?-
- Sì.- Lo rassicurò Sabina. - Ci sentiamo.-
Poi si salutarono con un paio di baci sulle guance e si voltarono dandosi le spalle a vicenda; lui ritornò al pullman e lei proseguì sotto ai portici fino alla fine della piazza.
Lì girò a destra e proseguì ancora un paio di isolati prima di svoltare ancora, questa volta a sinistra, su una via decisamente stretta ma parecchio lunga.
La seguì fino al suo termine e, finalmente, si trovò davanti il complesso della polisportiva dove si allenava da cinque anni.
Sabina era quasi certa di aver imparato a stare in equilibro su una trave prima ancora di saper camminare, e ricordava con precisione di quando, da bambina, ai giardinetti non si fiondava su altalene o scivoli, ma correva in direzione di qualsiasi struttura potesse permetterle di arrampicarsi, prediligendo soprattutto le sbarre a cui si appendeva tirandosi poi su con le braccia per fare capriole e acrobazie varie.
Doveva essere davvero molto piccola, all'epoca, perché nei suoi ricordi accadeva tutto al parco vicino alla casa di Roma dove era nata, e, soprattutto, accanto a lei c'era sua madre Marta, venuta a mancare in un incidente automobilistico quando aveva otto anni, dunque tutti quei ricordi non potevano risalire a dopo il 2003.
Fatto stava che la ginnastica artistica aveva sempre occupato un grosso spazio nella sua vita, e in particolare la palestra dove stava entrando per l'ultima volta era sicuramente uno dei luoghi in cui era cresciuta.
Andare via da lì, lasciare anche quello, era dolorosissimo, ma non poteva fare diversamente.
Entrò dal cancello e percorse il vialetto che portava alla palazzina dove si allenavano le squadre di ritmica e artistica.
Fulvio, il suo allenatore, l'aspettava, si erano accordati per salutarsi nell'unico posto dove per loro avrebbe avuto senso farlo.
Sabina aveva cominciato ad allenarsi a Pinerolo nel 2008, appena tredicenne, e il suo primo anno di allenamenti non poteva che definirsi particolare.
Era difatti appena finita l'estate delle Olimpiadi di Pechino e lei, che praticava come agonista già da diversi anni prima a Roma e poi a Sestriere, poteva essere un'ottima promessa della ginnastica anche a livello nazionale.
Così si era deciso di farle frequentare la terza media da privatista a Pinerolo, città in un cui si sarebbe fermata a studiare ed allenarsi da lunedì a venerdì, tornando quindi a casa solo nel fine settimana.
Verso metà anno, però, la giovane aveva capito che quella vita non era fatta per lei, perché lo sport a quei livelli, unito allo studio, le impediva di avere tempo per se stessa, e soprattutto non era certa di avere come obiettivo le Olimpiadi, o i campionati Europei e Mondiale, sapeva non fosse quello lo scopo del suo fare sport.
Alla fine, durante una pausa per le vacanze di Carnevale a Febbraio, aveva avuto un lunga discussione con suo padre e preso forse la prima decisione veramente importante della sua vita, scegliendo di interrompere gli studi momentaneamente, finire gli allenamenti di quell'anno e poi ricominciare ad andare a scuola ed allenarsi per fare semplicemente agonismo.
Avrebbe però fatto la terza media, e successivamente il liceo, a Oulx, un paese decisamente distante da Pinerolo, tanto che tra una cosa e l'altra la ragazzina sarebbe stata solita passare quasi tre ore al giorno in autobus.
Ma non era per lei un grande sacrificio, visto che era giovane ed in salute, amava il suo sport e, anche se non brillava, le piaceva dare qualche soddisfazione scolastica al padre.
Anche lo spirito con cui affrontava quei “sacrifici” era però venuto a mancare nei mesi precedenti, portando Sabina ad un'altra chiacchierata con il padre e alla decisione di andare a vivere a Roma da sola.
Malgrado avesse appena diciotto anni, malgrado dovesse ancora fare quarta e quinta liceo.
Bussò alla porta aperta della palestra per farsi notare dall'allenatore.
- Sabina! Pensavo non saresti più venuta, iniziavo a preoccuparmi.-

Lei corse ad abbracciarlo, perché in tutti quegli anni aveva iniziato a vederlo quasi come uno zio.
- Scusa, Fulvio, mi sono fermata a salutare Lorenzo, il ragazzo dell'autobus... ma davvero temevi che me ne sarei andata senza salutarti?-
- No, in realtà no.- Ammise l'uomo.
Poi rimase un po' in silenzio a guardarla.
- Sei cresciuta davvero tanti rispetto a quando sei entrata qui la prima volta, sai? Sia come ginnasta che come persona; eri una ragazzina, adesso sei una donna, e non perché lo dice la tua carta d'identità.-
Sabina fece una smorfia e pronunciò qualche parola alludendo al fatto che nei mesi precedenti si fosse trovata obbligata a crescere velocemente, ma l'altro scosse la testa.
- Non si tratta solo dell'ultimo periodo, e lo sai. Anche perché se tu non ti fossi dimostrata matura già prima di ciò che è accaduto dubito tuo padre avrebbe acconsentito a farti andare da sola così lontano da casa.-
Lei annuì, anche se mai come in quel momento si era sentita strana a definire casa il posto in cui aveva vissuto i dieci anni precedenti.
- Fulvio io... beh, sì, volevo chiederti se potevo fare un'ultima volta quell'esercizio alla trave prima di lasciare la palestra.-
L'allenatore annuì, sapendo benissimo quale fosse l'esercizio in questione.
- Certo, cambiati e scaldati, poi fai pure.-
La ginnasta sorrise a mo' di ringraziamento e corse nello spogliatoio.
Lì dentro, mentre si preparava, sentì forte la nostalgia dei tanti momenti trascorsi con le compagne, e si intristì vedendo il suo armadietto ormai vuoto con sopra appesa una foto della loro squadra dopo una delle loro ultime vittorie.
“Così ti sentiremo vicina anche quando sarai a Roma” Le avevano detto quando l'avevano appesa lì “E se poi l'armadietto diventerà di qualche altra ginnasta sposteremo la fotografia.”, l'avevano rassicurata.
Le ragazze dell'artistica le sarebbero mancate molto, erano tra le poche persone che avrebbe rivisto con piacere le volte in cui sarebbe tornata in Piemonte a fare visita al padre.

Si scaldò come era solita fare, con gesti ed esercizi che col passare del tempo le erano diventati automatici, quasi meccanici, tanto che a volte le capitava di ripeterli anche nella vita quotidiana, magari appena sveglia per stirarsi in modo un po' particolare.
Quando fu certa di essere pronta sistemò per bene la trave, un'altra consuetudine, e poi vi salì.

Fulvio, che fino a quel momento l'aveva osservata distrattamente perché impegnato in altro, si fermò a guardarla con attenzione.
Sabina si tirò su facendo leva sulle braccia, poi si mise in piedi e cominciò a muoversi leggera tra salti e rovesciate.
Furono appena due minuti, ma parvero una piccola eternità silenziosa, interrotta solo dal rumore dei piedi nudi della ragazza che talvolta atterravano sul legno della trave.
Concluse l'esercizio facendo una ruota e poi un salto in alto seguito da una capriola in aria, atterrando in fine a piè pari senza perdere l'equilibrio, appena prima di voltarsi a salutare una giuria ed un pubblico immaginari.
L'applauso, però, lo ricevette comunque, ovviamente dall'allenatore, che le si avvicinò con fare paterno.
- Se avessi fatto un esercizio così durante una gara saresti sicuramente arrivata in alto.- Le sorrise dolcemente, ma sapeva come quella frase non le avrebbe fatto piacere.
Infatti Sabina abbassò lo sguardo e sospirò. - E che importanza ha, adesso? Mesi fa, forse, e neanche in gara... ma ora come ora...-
Si andò a sedere sulla cavallina senza aggiungere altro, togliendo di fatto all'uomo di darle anche solo un abbraccio consolatorio.
- Mi ha detto tuo padre che vuoi lasciare l'agonismo, è così?- Le chiese.
- Sì, è così. Credo che Roma abbia bisogno di una vita diversa da quella che ho fatto finora qui, io stessa ho bisogno di una vita diversa, e inoltre gli ultimi due anni di liceo vorrei farli bene, dando magari qualche soddisfazione a papà.- Spiegò la ragazza.
- Ma continuerai ad allenarti, vero? Voglio dire, è chiaro a tutti il tuo amore per la ginnastica, hai anche talento, e lo sai, sarebbe un peccato vederti smettere... sei così giovane!-
Sabina sorrise. - No, non smetterò, anche perché credo che non ce la farei. Tornerò nella palestra dove ho iniziato da bambina, semplicemente non farò più agonismo.- E aggiunse, seguendo un pensiero diverso, - Questo posto è una delle poche cose che mi mancherà davvero tanto.-
- Tornerai a trovarci, immagino.-
- Sì, naturale.-
- Facci avere notizie da Roma, qui mancherai molto a tutti.-
- Lo so... mi mancherete anche voi.- Sussurrò, scendo poi dalla cavallina per abbracciarlo nuovamente.
- Anche tu mi mancherai moltissimo, Fulvio, grazie di tutto.-
L'uomo le baciò la fronte come spesso faceva dopo una gara particolarmente faticosa.
Sabina raccolse le sue cose e andò a ricambiarsi, scoprendo sul cellulare un SMS del padre che le diceva di essere lì vicino pronto per portarla a casa.
- Fulvio mi ha appena scritto papà, è praticamente qui davanti.-
- Bene, ti accompagno all'uscita, allora, così ci salutiamo.-
Non parlarono fino a che non si trovarono nei pressi del cancello più esterno del palazzetto, poi lui si fermò e la guardò.
- Ci saranno altri a farti tutte le raccomandazioni del caso, ma io di certo non posso lasciarti andare così, senza dirti nulla.- La fece ridere.
- Dico sul serio; ti raccomando giudizio, Roma è una grande città, e come hai detto prima ha bisogno di essere vissuta diversamente rispetto a come vivevi qui, in tutti i sensi. Inoltre, ma di questo abbiamo già parlato, continua ad allenarti e fatti sentire, da me e dalle tue compagne.-
Sabina sorrise ancora e lo abbracciò davvero per l'ultima volta, poi uscì dal cancello e cercò con lo sguardo la macchina del padre.
La vide poco distante, dall'altro lato della strada, e attraversò lì dov'era senza cercare le strisce pedonali, rischiando di essere investita.
Questa disattenzione, non rara per lei, le costò un rimprovero come primo saluto da parte del padre.
- Certo che se devo stare tranquillo a mandarti a Roma da sola non puoi farmi vedere che rischi di farti ammazzare così a Pinerolo, eh?!-
- Scusa, papà, vedrai che starò più attenta.- Rispose dandogli un bacio sulla guancia.
- Lo spero bene.- Sospirò l'uomo.
Il padre di Sabina si chiamava Stefano e aveva poco più di cinquant'anni.
Carabiniere, figlio di un carabiniere e fratello di un carabiniere era il più basso in grado nella famiglia e probabilmente l'ultimo, visto che i figli non avevano mai pensato a quella possibilità e anche i nipoti parevano volersi allontanarsi da quella tradizione.
Con la nascita di Sabina era venuta al mondo la prima femmina dopo almeno due o tre generazioni, e quando l'aveva vista lì, piccolissima, nella sua tutina rosa tra le braccia della madre Marta, aveva pensato che non sarebbe stato poi così male essere padre di una bambina.
Avevano già un maschietto, Cesare, di circa tre anni e mezzo, e pensava che, forse, la vita con una bimba sarebbe stata più facile.
Quando poi era rimasto vedovo e si era trasferito in montagna con i figli aveva scoperto che le sue aspettative, determinate di luoghi comuni e cliché, non erano di facili conferme.
In fondo bastava guardare la situazione dei due fratelli in quel momento; Cesare si era diplomato per tempo e si era trasferito a Padova per studiare economia all'università e seguire la fidanzata del tempo, con cui ancora dopo tre anni era felicemente impegnato, mentre Sabina era appena maggiorenne, aveva ancora la scuola da finire e se ne stava andando lontano in completa solitudine.
Per quanto potesse avere delle buone ragioni, ed era innegabile le avesse, era sicuro che le maggiori preoccupazioni al padre, a quel punto, le avrebbe date lei.
Il cellulare le vibrò in tasca mentre si allacciava la cintura di sicurezza, e sorrise nel leggere il messaggio appena ricevuto.
- È Fulvio, papà, e si fa più o meno la tua stessa domanda su quando sarò lontana, deve avermi visto anche lui attraversare la strada prima. Cosa gli dico?-
- Digli che mi sono rassegnato a sperare tu metta giudizio nelle prossime ventiquattro ore.- Rispose il Maresciallo fingendosi sconsolato.
Mentre la figlia scriveva sul telefonino lui fece partire il CD già inserito nell'autoradio, e la macchina si riempì delle parole e della musica di un cantautore Romano deceduto da pochi anni, Stefano Rosso.
- No, papà, ti prego, non posso stare in macchina con un carabiniere che ascolta una canzone in favore della liberalizzazione degli spinelli, dai!- Lo sgridò la figlia.
- Guarda ragazzina che sono stato giovane anche io, non credere.-
- Giovane sì, fattone lo dubito.- Rise Sabina.
Poi recuperò dal cruscotto la cruscotto la custodia del CD fatto in casa dal maresciallo, azione giustificata dall'età dei brani.
Controllò sul retro della scatoletta l'elenco e scelse la canzone più malinconica, probabilmente la sua preferita.
- “E intanto il sole si nasconde”, forse il brano più trista tra tutti quelli di Rosso.-
- Credo si sposi bene con il momento attuale.- Sospirò lei prima di tacere.

Quando la canzone finì lasciò che suo padre ascoltasse quel che voleva, si infilò le cuffiette e cercò nel suo iPod qualche altra canzone non troppo felice, e di certo non ne era priva.
Rimase per tutto il tempo a guardare fuori dal finestrino, in silenzio.
La Strada Provinciale 166, quella su cui viaggiavano, era per Sabina colma di ricordi, quasi tutti molto belli, e la consapevolezza dii non poterli mai più rivivere era pesante, benché si fosse trattata di una sua scelta.
D'altronde crescere era quello, no? Scegliere e accettarne le conseguenze.



E intanto il sole si nasconde
scavalca tutta la città
dietro una multinazionale
fa l'occhiolino, se ne va...”

E intanto il sole si nasconde – S. Rosso



   
 
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