Capitolo secondo
“Non
sei piì tornata,
sei stata di parola,
non ti sei fermata,
con
il vento sei volata via,
via da te,
via da qui,
via dalla
notte infinita.”
Un
vento senza nome – I. Grandi
Pinerolo, fine Agosto 2013
Quando
l'autobus proveniente da Sestriere si fermò nella piazza
principale
di Pinerolo Sabina era già sulla scaletta della porta
anteriore,
pronta a saltare giù non appena questa si fosse aperta.
Scese
rapida, percorrendo poi quasi di corsa i pochi metri che la
separavano dal porticato che correva tutto intorno allo spiazzo.
Poi
si arrestò di botto e si guardò riflessa nella
prima vetrina che si
trovò davanti.
Non era poi così diversa dalla ragazzina che era
stata nei cinque anni precedenti; la tuta leggera che le fasciava il
corpo molto magro, la felpa legata in vita, lo zainetto tenuto su una
spalla sola e i lunghi capelli legati in una coda alta rifermata poi
da vari elastici in più punti, circa ogni cinque o sei
centimetri.
Sì, non era cambiata molto dal giugno precedente, quando
aveva
finito gli allenamenti dell'anno appena passato, e chiunque,
vedendola lì, avrebbe potuto pensare semplicemente che
stesse
facendo ritorno in palestra, in fondo era una delle migliori agoniste
della sua società di ginnastica artistica.
Ma non era lì per
quello.
Da
quasi tre mesi prima, dalla data dell'ultima volta in cui era andata
a Pinerolo, due cose in realtà erano accadute: aveva
compiuto
diciotto anni e aveva cominciato il trasferimento verso Roma, a quasi
ottocento chilometri da lì.
- Sabina!-
Si sentì chiamare da
dietro e, voltandosi, si trovò davanti Lorenzo, l'autista
dell'autobus che l'aveva portata fin là quel giorno come
tutti i gli
altri negli anni precedenti.
- Ehi!- Lo salutò lei con un
sorriso, non comprendendo però come mai il ragazzo fosse
sceso a
salutarla.
La risposta arrivò poco dopo.
- Mi hai detto che
ti riporta a casa tuo padre, oggi, e visto che non penso ci saranno
altre occasioni di vederci volevo salutarti.-
Sabina si sentì
una sciocca a non aver pensato prima a quella possibilità, e
cercò
di rimediare all'imbarazzo.
- Sì, scusa, ho la testa da un'altra
parte in questi giorni.-
- Lo immagino, non deve essere facile
lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare da capo, soprattutto alla
sua età.-
- Già...- Rispose la ragazza evitando accuratamente lo
sguardo del suo interlocutore, cosa che sempre faceva quando i
discorsi non le piacevano.-
- Beh, buona fortuna! Tanto te sei una
tipa tosta e testarda, Sabina, dubito avrai problemi a trovare il tuo
posto nel mondo.-
- Me lo auguro, grazie.- Sorrise.
Stavano per
salutarsi quando la ragazza riprese la parola. - Ah, Lorenzo, se per
caso da Settembre in poi dovessi rivederli, magari perché li
porti a
scuola, o qui a Pinerolo, o non lo so, ma è comunque
probabile che
accada...-
- Sì?- Devo dire loro qualcosa?- Le chiese, sapendo
benissimo a chi si stesse riferendo.
Sabina buttò uno sguardo a
terra, incrociò le braccia sul petto e alzò gli
occhi cercando
qualche parvenza di cielo estivo oltre l'arco del porticato.
- No,
non dirgli nulla; ci siamo già detti tutto quello che non
avremmo
dovuto dirci, e ciò che vorrei sapessero non avranno
sicuramente
voglia di ascoltarlo. Quindi no, grazie ma non serve che tu gli dica
nulla.-
- Ho capito. Allora niente, spero che almeno io potrò
ancora sentirti, mi dispiacerebbe smettere di avere a che fare con
te.-
- Sta tranquillo, ci sono cose che per quanto possa tentare
non avrò il coraggio di lasciarmi alle spalle... e poi il
mio numero
ce l'hai, non credo ci siano problemi da questo punto di vista.-
-
Certo. E ne sono felice.
Comunque sia, credo di averti rubato
abbastanza tempo, se sei qui è perché hai
qualcosa da fare, non ti
trattengo oltre. Tanto ci sentiamo, no?-
- Sì.- Lo rassicurò
Sabina. - Ci sentiamo.-
Poi si salutarono con un paio di baci
sulle guance e si voltarono dandosi le spalle a vicenda; lui
ritornò
al pullman e lei proseguì sotto ai portici fino alla fine
della
piazza.
Lì girò a destra e proseguì ancora un
paio di isolati
prima di svoltare ancora, questa volta a sinistra, su una via
decisamente stretta ma parecchio lunga.
La seguì fino al suo
termine e, finalmente, si trovò davanti il complesso della
polisportiva dove si allenava da cinque anni.
Sabina era quasi
certa di aver imparato a stare in equilibro su una trave prima ancora
di saper camminare, e ricordava con precisione di quando, da bambina,
ai giardinetti non si fiondava su altalene o scivoli, ma correva in
direzione di qualsiasi struttura potesse permetterle di arrampicarsi,
prediligendo soprattutto le sbarre a cui si appendeva tirandosi poi
su con le braccia per fare capriole e acrobazie varie.
Doveva
essere davvero molto piccola, all'epoca, perché nei suoi
ricordi
accadeva tutto al parco vicino alla casa di Roma dove era nata, e,
soprattutto, accanto a lei c'era sua madre Marta, venuta a mancare in
un incidente automobilistico quando aveva otto anni, dunque tutti
quei ricordi non potevano risalire a dopo il 2003.
Fatto stava
che la ginnastica artistica aveva sempre occupato un grosso spazio
nella sua vita, e in particolare la palestra dove stava entrando per
l'ultima volta era sicuramente uno dei luoghi in cui era
cresciuta.
Andare via da lì, lasciare anche quello, era
dolorosissimo, ma non poteva fare diversamente.
Entrò dal
cancello e percorse il vialetto che portava alla palazzina dove si
allenavano le squadre di ritmica e artistica.
Fulvio, il suo
allenatore, l'aspettava, si erano accordati per salutarsi nell'unico
posto dove per loro avrebbe avuto senso farlo.
Sabina aveva
cominciato ad allenarsi a Pinerolo nel 2008, appena tredicenne, e il
suo primo anno di allenamenti non poteva che definirsi
particolare.
Era difatti appena finita l'estate delle Olimpiadi di
Pechino e lei, che praticava come agonista già da diversi
anni prima
a Roma e poi a Sestriere, poteva essere un'ottima promessa della
ginnastica anche a livello nazionale.
Così si era deciso di
farle frequentare la terza media da privatista a Pinerolo,
città in
un cui si sarebbe fermata a studiare ed allenarsi da lunedì
a
venerdì, tornando quindi a casa solo nel fine settimana.
Verso
metà anno, però, la giovane aveva capito che
quella vita non era
fatta per lei, perché lo sport a quei livelli, unito allo
studio, le
impediva di avere tempo per se stessa, e soprattutto non era certa di
avere come obiettivo le Olimpiadi, o i campionati Europei e Mondiale,
sapeva non fosse quello lo scopo del suo fare sport.
Alla fine,
durante una pausa per le vacanze di Carnevale a Febbraio, aveva avuto
un lunga discussione con suo padre e preso forse la prima decisione
veramente importante della sua vita, scegliendo di interrompere gli
studi momentaneamente, finire gli allenamenti di quell'anno e poi
ricominciare ad andare a scuola ed allenarsi per fare semplicemente
agonismo.
Avrebbe però fatto la terza media, e successivamente
il liceo, a Oulx, un paese decisamente distante da Pinerolo, tanto
che tra una cosa e l'altra la ragazzina sarebbe stata solita passare
quasi tre ore al giorno in autobus.
Ma non era per lei un grande
sacrificio, visto che era giovane ed in salute, amava il suo sport e,
anche se non brillava, le piaceva dare qualche soddisfazione
scolastica al padre.
Anche lo spirito con cui affrontava quei
“sacrifici” era però venuto a mancare
nei mesi precedenti,
portando Sabina ad un'altra chiacchierata con il padre e alla
decisione di andare a vivere a Roma da sola.
Malgrado avesse
appena diciotto anni, malgrado dovesse ancora fare quarta e quinta
liceo.
Bussò alla porta aperta della palestra per farsi notare
dall'allenatore.
- Sabina! Pensavo non saresti più venuta,
iniziavo a preoccuparmi.-
Lei
corse ad abbracciarlo, perché in tutti quegli anni aveva
iniziato a
vederlo quasi come uno zio.
- Scusa, Fulvio, mi sono fermata a
salutare Lorenzo, il ragazzo dell'autobus... ma davvero temevi che me
ne sarei andata senza salutarti?-
- No, in realtà no.- Ammise
l'uomo.
Poi rimase un po' in silenzio a guardarla.
- Sei
cresciuta davvero tanti rispetto a quando sei entrata qui la prima
volta, sai? Sia come ginnasta che come persona; eri una ragazzina,
adesso sei una donna, e non perché lo dice la tua carta
d'identità.-
Sabina fece una smorfia e pronunciò qualche parola
alludendo al fatto che nei mesi precedenti si fosse trovata obbligata
a crescere velocemente, ma l'altro scosse la testa.
- Non si
tratta solo dell'ultimo periodo, e lo sai. Anche perché se
tu non ti
fossi dimostrata matura già prima di ciò che
è accaduto dubito tuo
padre avrebbe acconsentito a farti andare da sola così
lontano da
casa.-
Lei annuì, anche se mai come in quel momento si era
sentita strana a definire casa il posto in cui aveva vissuto i dieci
anni precedenti.
- Fulvio io... beh, sì, volevo chiederti se
potevo fare un'ultima volta quell'esercizio alla trave prima di
lasciare la palestra.-
L'allenatore annuì, sapendo benissimo
quale fosse l'esercizio in questione.
- Certo, cambiati e
scaldati, poi fai pure.-
La ginnasta sorrise a mo' di
ringraziamento e corse nello spogliatoio.
Lì dentro, mentre si
preparava, sentì forte la nostalgia dei tanti momenti
trascorsi con
le compagne, e si intristì vedendo il suo armadietto ormai
vuoto con
sopra appesa una foto della loro squadra dopo una delle loro ultime
vittorie.
“Così
ti sentiremo vicina anche quando sarai a Roma” Le
avevano detto quando l'avevano appesa lì “E
se poi l'armadietto diventerà di qualche altra ginnasta
sposteremo
la fotografia.”,
l'avevano rassicurata.
Le ragazze dell'artistica le sarebbero
mancate molto, erano tra le poche persone che avrebbe rivisto con
piacere le volte in cui sarebbe tornata in Piemonte a fare visita al
padre.
Si
scaldò come era solita fare, con gesti ed esercizi che col
passare
del tempo le erano diventati automatici, quasi meccanici, tanto che a
volte le capitava di ripeterli anche nella vita quotidiana, magari
appena sveglia per stirarsi in modo un po' particolare.
Quando fu
certa di essere pronta sistemò per bene la trave, un'altra
consuetudine, e poi vi salì.
Fulvio,
che fino a quel momento l'aveva osservata distrattamente
perché
impegnato in altro, si fermò a guardarla con attenzione.
Sabina
si tirò su facendo leva sulle braccia, poi si mise in piedi
e
cominciò a muoversi leggera tra salti e rovesciate.
Furono appena
due minuti, ma parvero una piccola eternità silenziosa,
interrotta
solo dal rumore dei piedi nudi della ragazza che talvolta atterravano
sul legno della trave.
Concluse l'esercizio facendo una ruota e
poi un salto in alto seguito da una capriola in aria, atterrando in
fine a piè pari senza perdere l'equilibrio, appena prima di
voltarsi
a salutare una giuria ed un pubblico immaginari.
L'applauso,
però, lo ricevette comunque, ovviamente dall'allenatore, che
le si
avvicinò con fare paterno.
- Se avessi fatto un esercizio così
durante una gara saresti sicuramente arrivata in alto.- Le sorrise
dolcemente, ma sapeva come quella frase non le avrebbe fatto
piacere.
Infatti Sabina abbassò lo sguardo e sospirò. - E
che
importanza ha, adesso? Mesi fa, forse, e neanche in gara... ma ora
come ora...-
Si andò a sedere sulla cavallina senza aggiungere
altro, togliendo di fatto all'uomo di darle anche solo un abbraccio
consolatorio.
- Mi ha detto tuo padre che vuoi lasciare
l'agonismo, è così?- Le chiese.
- Sì, è così. Credo che Roma
abbia bisogno di una vita diversa da quella che ho fatto finora qui,
io stessa ho bisogno di una vita diversa, e inoltre gli ultimi due
anni di liceo vorrei farli bene, dando magari qualche soddisfazione a
papà.- Spiegò la ragazza.
- Ma continuerai ad allenarti, vero?
Voglio dire, è chiaro a tutti il tuo amore per la
ginnastica, hai
anche talento, e lo sai, sarebbe un peccato vederti smettere... sei
così giovane!-
Sabina sorrise. - No, non smetterò, anche perché
credo che non ce la farei. Tornerò nella palestra dove ho
iniziato
da bambina, semplicemente non farò più agonismo.-
E aggiunse,
seguendo un pensiero diverso, - Questo posto è una delle
poche cose
che mi mancherà davvero tanto.-
- Tornerai a trovarci, immagino.-
- Sì, naturale.-
- Facci avere notizie da Roma, qui
mancherai molto a tutti.-
- Lo so... mi mancherete anche voi.-
Sussurrò, scendo poi dalla cavallina per abbracciarlo
nuovamente.
-
Anche tu mi mancherai moltissimo, Fulvio, grazie di tutto.-
L'uomo
le baciò la fronte come spesso faceva dopo una gara
particolarmente
faticosa.
Sabina raccolse le sue cose e andò a ricambiarsi,
scoprendo sul cellulare un SMS del padre che le diceva di essere
lì
vicino pronto per portarla a casa.
- Fulvio mi ha appena scritto
papà, è praticamente qui davanti.-
- Bene, ti accompagno
all'uscita, allora, così ci salutiamo.-
Non parlarono fino a che
non si trovarono nei pressi del cancello più esterno del
palazzetto,
poi lui si fermò e la guardò.
- Ci saranno altri a farti tutte
le raccomandazioni del caso, ma io di certo non posso lasciarti
andare così, senza dirti nulla.- La fece ridere.
- Dico sul
serio; ti raccomando giudizio, Roma è una grande
città, e come hai
detto prima ha bisogno di essere vissuta diversamente rispetto a come
vivevi qui, in tutti i sensi. Inoltre, ma di questo abbiamo
già
parlato, continua ad allenarti e fatti sentire, da me e dalle tue
compagne.-
Sabina sorrise ancora e lo abbracciò davvero per
l'ultima volta, poi uscì dal cancello e cercò con
lo sguardo la
macchina del padre.
La vide poco distante, dall'altro lato della
strada, e attraversò lì dov'era senza cercare le
strisce pedonali,
rischiando di essere investita.
Questa disattenzione, non rara
per lei, le costò un rimprovero come primo saluto da parte
del
padre.
- Certo che se devo stare tranquillo a mandarti a Roma da
sola non puoi farmi vedere che rischi di farti ammazzare
così a
Pinerolo, eh?!-
- Scusa, papà, vedrai che starò più
attenta.-
Rispose dandogli un bacio sulla guancia.
- Lo spero bene.- Sospirò
l'uomo.
Il padre di Sabina si chiamava Stefano e aveva poco più
di cinquant'anni.
Carabiniere, figlio di un carabiniere e fratello
di un carabiniere era il più basso in grado nella famiglia e
probabilmente l'ultimo, visto che i figli non avevano mai pensato a
quella possibilità e anche i nipoti parevano volersi
allontanarsi da
quella tradizione.
Con la nascita di Sabina era venuta al mondo la
prima femmina dopo almeno due o tre generazioni, e quando l'aveva
vista lì, piccolissima, nella sua tutina rosa tra le braccia
della
madre Marta, aveva pensato che non sarebbe stato poi così
male
essere padre di una bambina.
Avevano già un maschietto, Cesare,
di circa tre anni e mezzo, e pensava che, forse, la vita con una
bimba sarebbe stata più facile.
Quando poi era rimasto vedovo e
si era trasferito in montagna con i figli aveva scoperto che le sue
aspettative, determinate di luoghi comuni e cliché, non
erano di
facili conferme.
In fondo bastava guardare la situazione dei due
fratelli in quel momento; Cesare si era diplomato per tempo e si era
trasferito a Padova per studiare economia all'università e
seguire
la fidanzata del tempo, con cui ancora dopo tre anni era felicemente
impegnato, mentre Sabina era appena maggiorenne, aveva ancora la
scuola da finire e se ne stava andando lontano in completa
solitudine.
Per quanto potesse avere delle buone ragioni, ed era
innegabile le avesse, era sicuro che le maggiori preoccupazioni al
padre, a quel punto, le avrebbe date lei.
Il cellulare le vibrò
in tasca mentre si allacciava la cintura di sicurezza, e sorrise nel
leggere il messaggio appena ricevuto.
- È Fulvio, papà, e si fa
più o meno la tua stessa domanda su quando sarò
lontana, deve
avermi visto anche lui attraversare la strada prima. Cosa gli
dico?-
- Digli che mi sono rassegnato a sperare tu metta giudizio
nelle prossime ventiquattro ore.- Rispose il Maresciallo fingendosi
sconsolato.
Mentre la figlia scriveva sul telefonino lui fece
partire il CD già inserito nell'autoradio, e la macchina si
riempì
delle parole e della musica di un cantautore Romano deceduto da pochi
anni, Stefano Rosso.
- No, papà, ti prego, non posso stare in
macchina con un carabiniere che ascolta una canzone in favore della
liberalizzazione degli spinelli, dai!- Lo sgridò la figlia.
-
Guarda ragazzina che sono stato giovane anche io, non credere.-
-
Giovane sì, fattone lo dubito.- Rise Sabina.
Poi recuperò dal
cruscotto la cruscotto la custodia del CD fatto in casa dal
maresciallo, azione giustificata dall'età dei brani.
Controllò
sul retro della scatoletta l'elenco e scelse la canzone più
malinconica, probabilmente la sua preferita.
- “E intanto il
sole si nasconde”, forse il brano più trista tra
tutti quelli di
Rosso.-
- Credo si sposi bene con il momento attuale.- Sospirò
lei prima di tacere.
Quando
la canzone finì lasciò che suo padre ascoltasse
quel che voleva, si
infilò le cuffiette e cercò nel suo iPod qualche
altra canzone non
troppo felice, e di certo non ne era priva.
Rimase per tutto il
tempo a guardare fuori dal finestrino, in silenzio.
La Strada
Provinciale 166, quella su cui viaggiavano, era per Sabina colma di
ricordi, quasi tutti molto belli, e la consapevolezza dii non poterli
mai più rivivere era pesante, benché si fosse
trattata di una sua
scelta.
D'altronde crescere era quello, no? Scegliere e accettarne
le conseguenze.
“E
intanto il sole si nasconde
scavalca
tutta la città
dietro
una multinazionale
fa
l'occhiolino, se ne va...”