E' una routine, ormai.
Ma, che voi ci crediate o no, c'è stato un tempo in cui non era così.
C'è stato un tempo in cui ero Primavera.
E gioiosamente gli chiedevo di avvicinarsi ancora un po' ad ascoltare la musica latente nel mio respiro. E Lui sorrideva, e si avvicinava, e fingeva di sentire, e mi diceva che il mio respiro assomigliava alle campane, ai giorni di festa.
E io ridevo, e non capivo.
C'è stato un tempo in cui ero Estate.
Ed ero bella, ed ero calda, ed ero felicemente inadatta a Lui, che era tutti, che erano Inverno artificialmente congelato nel congelatore. E Lui si bruciava, toccandomi. Si bruciava, nel rovente calore del mio respiro bizzarro. E sorrideva, e si allontanava, dicendomi se per favore potevo raffreddarmi un poco, così che potesse toccarmi.
E io acconsentivo, e non capivo.
C'è stato un tempo in cui ero Autunno.
E gli chiedevo se ora poteva sentire il mio respiro, se gli raccontava ancora di campane e di feste. E Lui ironizzava, e non scioglieva più lo sguardo, e mi diceva con la bocca tutta verde Non siamo così tecnologici, tesoro.
E io mi deformavo, e non capivo.
C'è stato un tempo in cui ero Inverno.
E gli chiedevo se fossimo sempre stati così freddi e così bui come in quel momento. E Lui mi derideva, e diceva che il freddo ce l'avevo nella testa, e se ne andava. E io chiedevo al Barbone di avvicinarsi ad ascoltare il rumore stridente del mio respiro. E il Barbone lo esaminava e diceva Brutta bestia l'Inverno, non si sa nemmeno se vi si sopravvive.
E io singhiozzavo, e non capivo.
Avvicina l'orecchio alla pagina, lettore.
Dimmi, che cosa senti? Un gesso su di una lavagna, o un eco di campane?
Lo senti? E' forte come una tempesta, o gracile come un uccellino?
Lo senti? O sono troppo morta per questo?
Ti prego, ti prego, dimmi che almeno tu lo senti, dimmelo.
Dimmi che rumore fa il mio respiro.