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Autore: veronika95    09/08/2015    1 recensioni
[Pre-Mystrade][AU scrittore!Mycroft giardiniere!Gregory]
Mycroft vive nella grande dimora del padre, sempre rinchiuso nella grande biblioteca, che per lui è un luogo sacro.
Ha rimpiazzato le persone con i libri, lasciando andare anche il fratello per cui ha sempre provato affetto.
Quando un giardiniere, Gregory, entra nella sua vita la sua quotidianità si spezza.
Potrebbe essere tempo per la perdizione...
I suoi occhi avevano troppe parole al loro interno ed erano dello stesso colore degli scaffali in noce, così mi ingannai, pensando potessero racchiudere anch’essi tesori inestimabili.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lestrade, Mycroft Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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IT'S TIME TO PERDITION



La biblioteca della tenuta Holmes, era il fiore all’occhiello di mio padre. Era da sempre la punta di diamante di una reggia solenne, costruita con l’accumularsi delle gocce di sudore di un nonno che avevo a stento conosciuto.

Occupava la stanza al centro della casa, la più grande.

Aveva uno scheletro di scaffali in legno di noce ed un cuore pulsante di libri dalle copertine zigrinate. I suoi ripiani si stagliavano impetuosi in contro luce, immensi pur facendosi più bassi di anno in anno con la mia crescita.
La biblioteca è sempre stata un luogo sacro, un mausoleo che mio padre mi ha insegnato a venerare da quando ero bambino, l’unica stanza dove persino gli esperimenti di mio fratello erano banditi. Vedevo gli occhi di mio padre accendersi di una passione sconosciuta, mentre scorrevano lenti sui libri preziosi rivestiti in pelle, una passione di cui non l’avrei mai ritenuto capace e che mai nella vita sfiorò il viso dei suoi figli.

Crebbi circondato dall’odore della carta appena stampata e con le mani sporcare da inchiostro. Non c’è stato un vero momento in cui feci della scrittura il mio mestiere, è sempre stata dentro me, sopita, fino a diventare un giorno troppo dirompente per tenere la penna abbassata sulla scrivania.

Dopo la prematura scomparsa dei miei genitori, io e Sherlock rimanemmo soli. Cambiarono molte cose ed i già sottili equilibri familiari vennero spezzati, allo stesso modo in cui i cerberi dilaniano la carne. L’unico fatto immutato restò la funzione della biblioteca.

Vietavo a Sherlock di entrare. Era poco più grande di un bambino quando udivo il suo respiro al di là della porta, immaginavo la sua mano, le dita affusolate chiuse a pugno nel vano tentativo di chiedere il permesso per entrare. Non ebbe mai il coraggio di bussare, non ebbi mai la forza di gettare il mio orgoglio ed aprire.

La grande porta nera rimase, dunque, chiusa, barriera tra due vite opposte. Io avevo scelto la tranquillità e la quiete di pagine silenziose, Sherlock, invece, non avrebbe mai potuto sopportare la monotonia di una vita dedita allo studio.

Da quando si trasferì a Londra, mi preoccupai di avere notizie su di lui quotidianamente, sempre da terzi, ovviamente; la porta chiusa aveva irrimediabilmente reciso qualsiasi rapporto potesse intercorrere tra noi due.
Ora che ha incontrato un certo John Watson sento di essere stato spogliato del mio ruolo, defraudato di un compito che nessuno mi ebbe mai assegnato. Un grigio senso di inutilità grava sulle mie spalle, ma sono troppo pigro per scrollarmelo di dosso.

Ho sempre avvertito un certo senso di colpa per come sono andate le cose tra noi, spesso mi sono sentito privato di un tesoro che non ho mai saputo di possedere. Capita che senta ancora un fastidio ripensando ai suoi lineamenti delicati, ai ricci che scendevano sugli zigomi affilati e allo svolazzo del cappotto di quando ha deciso di andarsene, comunque, è solo un pizzicore infondo alla gola, nulla che due dita di whiskey non possano scacciare.


Quindi ho sempre abitato qui, nella vecchia dimora di mio padre, da solo, con la sola compagnia di tante lettere ed inchiostro fattesi via via meno importanti.

Sono lontani quei giorni in cui credevo fosse racchiuso qui il segreto di tutto lo scibile.
Sono lontani, ma ancora vividi nella mia memoria, i giorni interi trascorsi chiuso nella libreria, cercando di succhiare dalle lettere impresse a nero tutta la possibile conoscenza.

Filosofia, letteratura, medicina, economia, diritto, teologia, tante sono state le discipline impresse nel mio intelletto. Mai abbastanza, del resto. Sono caduto in una spirale libro dopo libro e più ne bevevo più la sete ardeva la mia gola. Un continuo supplizio di Tantalo: vedere da lontano il traguardo senza mai poterlo toccare veramente.

Ho creduto di essere Dr. Faust, sperando quasi arrivasse un Mefistofele per infondermi infinita conoscenza e ci ho sperato oltre ogni ragione, al di là di ogni razionalità, tanto da ritenere me stesso un pazzo. Accecato dalla speranza che qualche avvenimento straordinario potesse accadere nella mia vita.

Nessuno è mai arrivato per me, alla fine. Umano o divino che fosse, queste scale non hanno udito altra eco di passi all’infuori della mia ed, ormai, anch’essa è stanca di seguirmi, posso distinguerlo dal modo in cui il suono mi arriva stanco ed ovattato all’orecchio.


Dunque è in questo modo che ho sempre trascorso la mia vita e per me non è stato mai né triste, né rassegnato, ma semplicemente un modo come tanti altri.

Ho fatto della biblioteca la mia personale caverna platonica e, mentre osservo ciò che accade fuori dalla grande vetrata, sono consapevole che ciò che vedo non è altro che una proiezione del mondo reale.

Il vero cambiamento è avvenuto qualche giorno addietro, non appena mi accorsi che le rose del giardino avevano bisogno di cure esterne per non appassire.

Chiamai un giardiniere affinché si occupasse del problema. Trascorsero vari giorni senza che io ne sapessi il nome o conoscessi il suo volto.

Un pomeriggio ero immerso nella rilettura di “Sulla Natura” di Parmenide, quando i miei occhi traditori scivolarono via da quelle pagine andando ad impattare, distratti, sulla schiena del giardiniere.

Aveva un fisico lontano dall’eleganza e raffinatezza che caratterizza noi Holmes. Lo trovai all’istante incredibilmente affascinante. I muscoli delle spalle si piegavano in curve sinuose, ma anche sgraziate in un paradosso mai descritto da libro alcuno.

Era di una bellezza singolare, che non credevo gli uomini d’oggi potessero ancora partorire.
La sua esistenza non aveva ragione d’essere, era rozzo e sconclusionato, fuori contesto e completamente avulso dalle mie abitudini.

I suoi occhi avevano troppe parole al loro interno ed erano dello stesso colore degli scaffali in noce, così mi ingannai, pensando potessero racchiudere anch’essi tesori inestimabili.


Di fronte al fuoco scoppiettante nel caminetto Gregory parla delle rose con una passione assolutamente inadatta all’argomento. Mi chiede di raccontargli dei libri. Stupisce. Prendo a parlare non sapendo il perché e lui ascolta non capendo.

Favoleggio sui miei tomi per una notte intera. Apprezzo davvero il fatto che non si sia addormentato.

Mi aggiro tra i corridoi della grande casa, oggi l’idea di ritirarmi nella biblioteca mi attira meno, ho la sensazione manchi qualcosa, manchi qualcuno; ma questo non posso essere io, perché Mycroft Holmes è stato l’uomo che impassibile ha guardato varcare per sempre la sua soglia l’unica persona che abbia mai realmente amato. Sono imperturbabile ed impassibile, apatico ed accidioso, una creatura non destinata ad essere cambiata da un giardiniere.


Mentre mi avvicino alla porta la noto, una rosa rossa riposta con cura sull’uscio
ed è tra le linee curve dei petali rossi, tra l’aspirale spinosa dello stelo che inizia la mia perdizione.

Forse ora non mi rimane altro che scrivere di questo Gregory che migliaia di anni di libri non hanno mai conosciuto, questa volta mentre valico l’entrata della biblioteca non mi curo della porta rimasta aperta.
   
 
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