Ennesimo,subdolo
esperimento…
Cosa ne verrà fuori è un mistero
anche per me.
Nata di improvviso,tra un sogno confuso
e l’ascolto della canzone omonima al titolo dei The Rasmus.
Buona lettura (si
spera..!),aspetto commenti (anche negativi,ovvio).
Un bacio!
Your
Eyes
-Livin’ In A World Without
You-
*Non devi essere schiavo delle passioni*
Osservavo con una nota di profondo rammarico la pila di
documenti lasciati in bella vista dalla segretaria sulla mia scrivania.
La nausea e il disgusto verso quel noioso esame che mi attendeva
erano al culmine, aggiungendosi crudelmente al già crescente
disagio verso la
visita che aspettavo.
Sospirai, afferrando con mano tremante il primo degli
infiniti documenti.
Dirigere una delle innumerevoli filiali di una grande
azienda come le industrie Hiwatari era certamente un onore
ma…
Dio, che noia…
Proprio mentre stavo per immergermi nella lettura di dati e
tabelle varie, bussarono alla porta:
“Avanti…” Dissi in tono seccato, riponendo
da parte uno schema
con percentuali piuttosto negative.
Kiara, la mia segretaria, fece il suo ingresso con quel solito
sorriso smagliante che riusciva sempre a mettermi di buon umore, o per
lo meno
rilassarmi.
Esistono persone che donano benessere solo al
guardarle e quella ragazza, mia coetanea, era una di quelle, indubbiamente.
Alle volte, quando mi portava in ufficio il mio caffé alla
nocciola, la invitavo a rimanere, perché anche solo le sue
futili chiacchiere su
pettegolezzi aziendali mi facevano sorridere e rilassare.
Oddio, forse ero io ad essere semplicemente strano…
“Yurij, il Signor Hiwatari è appena arrivato per
l’ispezione.” Mi comunicò con un fremito
nella voce cristallina.
Mi si seccò la gola: Kei Hiwatari, nipote
dell’illustrissimo
Hito Hiwatari, erede di un patrimonio diviso nelle maggiori banche
mondiali e
possessore di una fantastica Spider
F430: l’unica donna
dei miei sogni…
Aveva lineamenti tipicamente orientali assottigliati dal
suo sangue in parte slavo; ed occhi rossi, i quali brillavano di
una tale luce
che tante volte mi avevano messo i brividi.
Fisico degno di una scultura greca.
Senza contare il fatto che possedeva un carattere orribile: freddo, borioso, malvagio…
Era estremamente bastardo, cinico al limite, ci provava
spudoratamente con me e con la mia segretaria.
Ebbene, lo odiavo.
“Grazie Kiara, comunicagli che arrivo subito.” Gli
dissi, cercando di apparire sicuro.
“Vuoi che gli metta dei sedativi per cavalli nel
caffé?” Fece la ragazza in tono
scherzoso, avvertendo la mia inquietudine.
“No grazie, credo di potercela fare.” Risi, seguito a
ruota
dalla giovane, che si avviava fuori dall’ufficio.
Raccolte in una cartella le carte contenenti i dati più
recenti dell’andatura dell’azienda mi avviai anche
io, preparandomi al peggio.
Stava fumando e lo
faceva nella mia azienda.
“Oh Yurij, non puoi immaginare che
piacere…”
“Piacere tutto suo, signore. La prego di spegnere quella
sigaretta, se non vuole che la cacci via. Ci sono delle regole in questo
posto, e
non transigo la loro trasgressione: questo vale anche e soprattutto
per lei.” Lo attaccai, interrompendo le sue parole con
tono autoritario e duro.
Avevo iniziato alle grande..!
Soddisfatto nel mio giubilio, non notai il suo sorriso farsi
cattivo, velandosi di malizia.
Sadica e folle malizia.
Fissandomi dall’alto in basso, portò la sigaretta
alle
labbra, aspirandone la nicotina e tutte quelle altre schifezze nocive
che non
tolleravo, per poi soffiarmi il fumo sul
volto lentamente… Malvagiamente.
Mi scostai, tossendo infastidito e disgustato, gli occhi
lucidi a causa del fumo.
Con una lieve risata, rivolta alla mia reazione, gettò sul
pavimento in marmo dell’atrio pulito la cicca della
sigaretta, spegnendola.
Dannato figlio di buona donna…
“Bhé Yurij, allora? Non ho tempo da perdere, iniziamo
l’ispezione.” Sorrise,incamminandosi verso
l’ascensore.
Imprecando con frustrata rabbia tra e me e me,i mpotente
nella mia posizione, stanco ancor prima di iniziare, lo seguii.
Mi gettai a peso morto sul letto, con un terribile mal di
testa e la rabbia che a fatica andava sbollendo.
Lo aveva fatto ancora, mi aveva baciato, di nuovo.
Sempre con quel suo solito menefreghismo verso i sentimenti
altrui.
Dio...
Come poteva esistere una persona talmente… Vuota?
Non potevo crederlo, semplicemente mi limitavo a ricercare il
meglio nelle persone.
Ma in lui, in quel… In quell’essere non vedevo nulla
che
potesse lontanamente avvicinarsi all’apprezzamento umano.
Lo vedevo come un mostro, si.
Ma anche come una persona terribilmente sola, e ne provavo
compassione.
Anche se da compatire non vi era nulla.
Rigirandomi nel sonno, maledii chi di primo mattino alla domenica
(erano solo le undici, dannazione!) strillava sotto la mia finestra.
Pienamente intenzionato nel dare una bella strigliata a
quelle scimmie urlatrici, aprii le imposte, affacciandomi.
E mi sentii mancare.
Kei Hiwatari, quel Kei
Hiwatari mi salutava poggiato ad una fiammeggiante Ferrari, mentre gli
uomini
della concessionaria (che pagati profumatamente, a quanto
pareva, l’avevano
consegnata sotto casa mia), sloggiavano.
“Allora Yurij, che aspetti a scendere? Ti mostro come guidare
la tua nuova auto.” Ammicò beffardo.
“Ma... Ma io ho già
un... Un’automobile.” Dissi in tono
strozzato, anche piuttosto ingenuamente.
“Quel catorcio? Oh, un direttore d’azienda merita di
meglio! Muoviti a scendere, non ho tutta la
giornata.” Tagliò corto, ed io ancora
intontito mi allontanai dalla finestra.
Temevo il prezzo di quell’inspiegabile dono...
Temevo di leggervi qualcosa di spiacevole ed il mio sesto
senso mi diceva che era meglio evitare, in quel momento, il suo sguardo.
Mi sventolò davanti al volto la chiave di quel gioiello
automobilistico, dove il cavallino nero rampante appariva su uno sfondo
giallo
canarino.
Era per caso un invito?
“Guido io, ti mostro come muoverti.” Si offrì, aprendo lo
sportello dell’auto.
“I-io...” Balbettai.
Cavolo, non sapevo nemmeno da dove cominciare.
“C’è qualche problema?”
“Non credo di... Poter accettare.”dissi con uno filo
di voce, tutto d'un fiato
Kei si limitò a scrollare le spalle.
“E’ un regalo aziendale per l’ottimo
lavoro svolto, non sei
costretto ad accettare, ovviamente.”
Annuii, sempre più timoroso.
“Però un giro devi farlo, giusto per essere
cosciente di cosa
ti perdi.” Aggiunse, deliziato.
Ecco, appunto.
Stronzo.
Dopo ore di viaggio, correndo in modo sfrenato, aveva
accostato ai limiti di un boschetto dove un po’
più avanti vi era un
precipizio, il quale dominava il panorama della città che andava
illuminandosi al tramonto.
Nubi nere avevano striato tristemente il cielo all'orizzonte, ed in
lontananza si avvertivano i tuoni di un imminente temporale.
Oh, ma questo certamente non gli importava, mentre era lì ad
immobilizzarmi e ad appiattirmi con ben poca grazia contro il cofano
dell’auto, baciandomi.
Non la capivo questa sua ossessione nei miei confronti...
Era perché non avevo mai ceduto e non ancora soddisfatto il
suo infinito ego?
Mi divincolai con violenza e indignazione, e lo
schiaffeggiai.
Ancora oggi, il suono tagliente di quello schiaffo mi riaccheggia nelle orecchie.
Resomi conto di ciò che avevo fatto, deglutii.
Avevo paura, avevo una fottuta paura.
“Mi scusi...” Pronunciai stentatamente, mentre la
pioggia
iniziava a battere sul mio volto.
Kei aveva il viso basso e con due dita sfiorava la zona
lesa, quasi ad assicurarsi della veridicità di
quell’ affronto.
Con mia enorme sorpresa mi sorrise.
E la mia paura crebbe.
Mi sentivo minacciato, ma preferivo non pensarci, nonostante l’ansia di quel momento mi causasse una nausea che a stento
trattenevo.
Nausea che crebbe ancora, quando trovammo la strada per casa mia chiusa al
traffico, causa allagamento.
Oh, Santo...
“Uhm, di qui non si passa.” Si voltò a
guardarmi con aria di
sufficienza.
“Vieni da me.” Non era una domanda, ma
un’affermazione che
suonava sinistramente, come una minaccia.
Non avevo soldi con me per pagarmi una stanza di albergo per
una notte, e fui costretto dalla casualità ad accettare mio
malgrado.
Non pensavo, non credevo, non avrei mai immaginato che
l’Inferno potesse essere una villa in stile vittoriano.
E che il suo signore, il suo padrone, il suo folle
Diavolo, potesse essere il mio capo dagli occhi fiammeggianti...
Sì insomma, presente quando piove così forte che vi
si bagnano i
pantaloni fin sul sedere?
Ero in condizioni peggiori.
Rabbrividii, ma non per il freddo: l’atmosfera in
quell’enorme villa pareva mancare di calore umano.
Quando si entra in una casa i colori, gli odori, il mobilio
stesso sembrano raccontare qualcosa.
Ma in quell’istante non avvertivo niente...
Una volta che Kei fece luce con una candela (la corrente era
saltata), chiuse la porta dietro di sé, conducendomi nell’enorme salone dove un
elegante oggetto, che avevo amato più di qualsiasi altra
cosa, attirò la mia
attenzione.
“Oh no, non è possibile! Lei non può
saper suonare il
piano..!” Soffiai incredulo, avvicinandomi gioioso allo
strumento, come un bambino
con le leccornie più caloriche.
“Infatti non lo so suonare: era di mia
madre...” Ribatté
accigliato.
“Ah, ecco.” Risi lievemente, carezzando i tasti di avorio.
“Perché credi che non possa essere capace di
suonare quel
coso?” Riprese allora, con una punta di divertimento nella voce.
“Perché lei è troppo freddo per poter
comunicare qualcosa con
uno strumento così colmo
d’amore.” Sussurrai ipnotizzato, sedendomi al piano.
Al tempo non diedi peso a quelle mie dure parole. Ripensandoci ora, con molta probabilità fui io, tra i due, a non aver avuto cuore.
Una forte risata accompagnò quella mia affermazione.
“Quanto hai
ragione...” Annuì, poggiandosi alla fiancata dello strumento.
Iniziai ad accennare qualche nota; me la cavavo piuttosto
bene, anche se non avevo mai avuto la giusta pazienza di imparare.
Sapete, ho sempre voluto le cose fatte in fretta e precise.
Le ho sempre ottenute, certo, ma mai con l’arte.
“Davvero mi ritieni così insensibile?”
Mi colse di sorpresa e sobbalzai: non sapevo come rispondergli.
Scelsi di studiare accuratamente le
parole da
dire, smettendo di suonare.
“Sì... Sì, signore. Lei col suo potere, con la sua forza e il
suo denaro crede di... Poter assoggettare chiunque al suo volere.
Trattare come
oggetti le persone, senza il rispetto verso le loro scelte o decisioni, è
egoistico, ma soprattutto infantile e malvagio. E non capisce che
potrebbe
ferire chi la circonda.”
“Ti ho ferito?”
“Sì.”
Forse fu perché avvertì il mio tremore e timore, che non mi
rispose.
Mi si avvicinò, facendomi sollevare.
“Sei fradicio, devi cambiarti. Vieni con me.” Mi
sussurrò, deviando
il discorso e accompagnandomi al piano superiore.
Quel luogo più lo vedevo, più mi rattristava:
così grande, così
vuoto.
Calai lo sguardo, imbarazzato, stringendomi nel maglione bianco che mi aveva dato.
Quella volta mantenne la promessa, ma mi incatenò a sé e scoprii di non riuscire a fare meno di lui.
Per quaranta giorni e quaranta notti andai in pezzi.
You
thought that was the
end of the story
Something inside me called freedom came alive
Living in a world without you
Non seppi dire cosa cambiò in lui.
Forse, stavo semplicemente vivendo un’illusione.
Forse, credeva davvero di avermi fatto del tutto suo in quel
periodo.
Indubbiamente, riuscì a piagarmi.
Mi mise in ginocchio, in tutti i sensi.
Gli diedi il via libera e soddisfò qualsiasi tipo di
fantasia erotica facesse sul mio conto.
Non potevo fare a meno di lui, ma lui...
Lui tanto meno poteva fare a meno di me; anche
se i suoi occhi, quando riuscivo a fissarli, negavano.
Mi stavo disintegrando e la luce del giorno sembrava
surreale vista dalle grandi finestre della nostra camera.
Era un’agonia dirigermi a lavoro e stargli lontano.
Sì, perché la mantenevo la mia libertà: lavoravo, ridevo con Kiara.
Ed ogni qual volta che avevo la possibilità di tornare a casa
mia c’era qualcosa che mi
tratteneva, spingendomi nuovamente da Kei.
Non immaginavo di poter vivere in un mondo senza lui...
“My darling
Without me you’re nothing”
You taught me to look in your eyes
And fed me your sweet lies
Quando Kei esplodeva nel mio corpo, subito dopo si accasciava
al mio fianco ed iniziava riempirmi il volto di baci.
Mi baciava ovunque, sfiorava i miei lunghi capelli rossi con
le labbra sottili, mi sollevava il mento e mi costringeva
a fissarlo negli occhi.
Ne ero sempre spaventato...
Sempre.
Rabbrividivo, fuggivo a quello sguardo di fuoco e lui mi
stringeva il mento fino a farmi male, affondando le unghie nella mia
candida
carne: dovevo guardarlo finché non avesse distolto lui per primo
i suoi
occhi dai miei.
E allora si avvicinava a me e mi diceva:
“Mio caro, senza di me sei niente.” E rideva di
gusto, guardandomi ancora.
Lo aveva colto, il timore che avevo delle sue iridi: mi
insegnava a guardarle con disprezzo, rispetto, reverenza e con qualcosa
che
somigliava all’amore...
Tutte assurde bugie.
Looking outside at the sky that had never been blue
Una domenica ripresi a piangere.
Kiara mi aveva consegnato le dimissioni il giorno prima con
uno sguardo tristissimo.
Le persone, che ti trasmettono allegria con la loro
solarità, sono in grado di infonderti un dolore straziante
con i loro occhi
improvvisamente velati di malinconia.
Non avevo capito le sue motivazioni, erano state confuse, farfugliate in miseri balbettii.
“Perché piangi?” Mi chiese Kei, alzando un
sopracciglio ed osservandomi da sopra il bicchiere di vino rosso che
sorseggiava.
“Nulla.” Soffiai.
Non volevo parlare a colui che
ritenevo
essere la causa di quella mia sofferenza.
Avevo buone ragioni per pensare che la colpa della
fuga di
Kiara fosse stata di Kei.
Quella ragazza mi era stata amica.
Ero il suo capo ma, diavolo, mi trattava come un fratello e aveva imparato a capirmi.
Era l’unica, in azienda, che mi dava del tu, che si ricordava del
mio compleanno e che, puntualmente, mi preparava il mio dolce preferito.
La mille foglie al cioccolato.
Mi alzai lentamente e, sotto lo sguardo scrutatore di Kei, mi
affacciai alla finestra.
Pioveva.
Come quella domenica che appariva così lontana, ma che in realtà distava soltanto una manciata di settimane.
Osservai il firmamento rannuvolato e grigio, e mi resi conto
che quello stesso cielo era stato blu giorni prima, o almeno
così dicevano i
flash confusi della mia mente...
Ma l’ultima volta che lo aveva fissato con la stessa intensità(semi-disteso sul cofano di una Ferrari, cercando di ignorare il tocco
di
Hiwatari sulle mie labbra) aveva avuto le stesse sfumature plumbee.
Chinai il volto, lanciandogli una fugace occhiata.
Il mio capo.
Continuavo a dargli ancora del lei, nonostante condividessimo
lo stesso, dannato letto.
I see the light
Living in a world without you
“Mi sembri stanco, vieni a dormire.” Bisbigliò.
Lo ignorai, rimanendo seduto nella grande poltrona, portando
le ginocchia al petto.
“Domani andrò via.” Soffiai, tenendo gli
occhi fissi nel
vuoto.
“Ahah..! Sono settimane che ogni sera mi ripeti la stessa
frase, Yurij.” Mi rimproverò, lo sguardo colmo di malizia.
“La smetta di guardarmi in quel
modo.” Feci stizzito, alzandomi per affrontarlo.
Poi indietreggiai, come un cucciolo spaurito.
I suoi occhi erano il fuoco e le fiamme dell’Inferno.
Furioso, frustrato, disperato...
In un moto di insana rabbia, tirai un pugno verso una
parete, per poi ignorare il dolore lancinante che quel colpo aveva
prodotto.
“Sono in trappola.” Quel ridicolo bisbiglio
suonò come il lamento
di una bestia ferita.
Lascia che il mio sguardo scivolasse sul prezioso marmo del pavimento.
Uno spiraglio di luce illuminava fiocamente quella stanza, la finestra era
ancora
aperta e le nuvole andavano diradandosi nel cielo.
Ragazzi, uomini, donne, bambini, i quali erano stati risparmiati da
quell’incantesimo che aveva fermato il mio tempo nella villa di
Kei, rincorrevano la
vita attraversando la loro strada.
Afferrai il mio cappotto, precipitandomi fuori la villa.
I will survive
Living in a world without you
Camminavo guardandomi intorno, quasi
non conoscessi quelle
strade.
Respiravo l’aria umida di pioggia: era piacevole, ben diversa
da ciò che avevo respirato a casa di Kei; villa Hiwatari era
immersa nel fumo
delle sue dannate sigarette e nel soffocante e malsano calore del fuoco
del
camino...
Avvolto in quelle deliranti considerazioni, non mi accorsi di star
filando dritto contro un ragazzo che veniva dalla direzione opposta
alla mia.
Mi scontrai contro quella figura imponente, ricadendo
rovinosamente a terra.
“Cazzo, che male!” Mi lamentai (poco finemente, tra
l’altro..!), strizzando gli occhi e massaggiandomi il sedere.
Che botta...
“Ehi, tutto bene?” Mi chiese il tipo che aveva
attentato alla
mia incolumità.
“Sì, sto bene.” Gli risposi, sollevandomi un
po’ a fatica, per
poi soffermarmi a fissarlo.
Wow...
Fu l’unica cosa intelligente che pensai.
Aveva i capelli tinti di un colore tra il grigio
vecchietto, l’argento, e il tipico colore di un ratto
schiacciato
sull’autostrada.
Era buffissimo! Per poco non gli risi in faccia..!
Ma i suoi lineamenti affilati e virili, i suoi occhi verdi e
splendenti mi mozzarono il fiato.
Nell’insieme, quel terribile colore di capelli non si notava
nemmeno.
“Ho qualcosa che non va?” Mi chiese a quel punto, accigliato.
Arrossii di colpo.
Ho sempre avuto il brutto vizio di fissare le persone che
trovo interessanti tra un’espressione affascinata e
guardinga.
Dio,che figura di merda...
“No, no.” Dissi subito, scuotendo il capo.
“Sono i miei capelli, vero? Ma che hanno di
strano?” Chiese stancamente, con
un’espressione talmente... Simpatica, che non riuscii a resistere
e risi divertito.
Se in ogni mio singolo pensiero fino a quel momento formulato avevo
fatto un riferimento a Kei, in seguito, passando un casuale pomeriggio
con quel
giovane dagli occhi di smeraldo, non seppi dire se continuai a fare lo
stesso.
You paralysed my body with a poison kiss
Era un tipo davvero simpatico: estroverso, ironico, possedeva la giusta malizia.
Feci subito amicizia con quel giovane; mi offrì un caffé e da perfetti sconosciuti quali eravamo, ci ritrovammo a parlare come amici di vecchia data.
A fine giornata tornai col cuore più leggero a villa Hiwatari.
Nella tasca tintinnavano le chiavi di casa mia.
Ma l’esperienza di quella giorno andò in frantumi davanti il Signor Presidente Hiwatari Kei.
Ovviamente, si sentiva in obbligo di rovinarmi la vita.
Era davvero arrabbiato, quando mi sbatté contro il muro.
Mi fu difficile credere che sarebbe arrivato fin lì.
Mi fece gemere ed implorare ed il veleno dei suoi desideri si insinuò ancora in me, quando mi baciò con foga distruttiva.
For 40 days
and nights I was chained to your bed
You thought that was the end of the story
Something inside me called freedom came alive
Living in a world without you
Mi fece male, mi distrusse...
Mi ricucì a sé, mi legò così
stretto da farmi sanguinare.
Mi trascinò nelle sue spire infuocate: ero la sua droga, ma io
non volevo nutrirlo.
Ero solo il povero fesso che dirigeva una delle sue
aziende, ero solo uno sfigato laureato che si era spezzato la schiena sui
libri, ero solo... Una dannatissima e comunissima persona, cazzo!
Il mio sembrava un patto col Demonio, Satana in persona
sfiorava con la punta delle dita la mia pelle, leccava le mie labbra.
E rideva del mio respiro mozzato.
Pensava, credeva davvero che quella fosse la fine?
“MI LASCI ANDARE!” Lo gridai, era la prima volta che
lo
facevo.
Volevo sfuggire a quella morsa, a quel profumo assuefante, a
quella prigionia.
C’era qualcosa nel mio cuore che gridava con disgusto contro tale malsano magnetismo...
Davvero, stavo per sentirmi male.
Desideravo sopravvivere a quel tormento e a quel dolore
Improvviso: era una spasmo che stava assumendo le sembianze di uno stupro, e questo mi
spaventava
a morte.
Ed i suoi occhi... Oh, non ebbi il coraggio di guardarlo.
Mi portai le mani al volto, coprendomi la vista, cercando di proteggermi con
quell’inefficace barriera e provare ad immaginare di vivere in
un mondo senza di
lui.
You
put me
together
Then trashed me for pleasure
You used me again and again
Abused me, confused me
Ho un ricordo molto vago di quel momento.
Non che quelli trascorsi
precedentemente con lui fossero precisi, ma questo in particolar
modo, sfumò.
Avevo davvero creduto, in quei giorni, di star costruendo
qualcosa, di aver riunito i pezzi della mia vita in un puzzle
meraviglioso.
Avevo confinato incertezze e nonostante nutrissi ancora
stupide paure e vaghi sospetti, cominciavo a combatterli.
Ma si frantumò tutto
troppo facilmente, tanto era fragile il mio castello di cristallo
sospeso
nell’aria...
Non immaginavo potesse essere così doloroso.
Mi aveva bloccato lì, su quel letto, e mi aveva usato e mi usava
ancora, sfiorando l’abuso.
I suoi tocchi sempre meno delicati e le sue spinte sempre più violente mi dilaniavano.
Gridavo e supplicavo, ma rimanevo immobile, con solo il volto
coperto dalle mie mani tremanti e gelate, bagnate dalle lacrime che
avevo iniziato a versare.
Ma ciò che, successivamente, mi terrorizzò fu il fatto che era sempre stato
doloroso.
Non me ne ero mai reso conto e solo il quel momento mi
apparve tutto fin troppo chiaro: non vi era mai stata
dolcezza, complicità e
passione…
Ma solo violenza, freddezza e meschinità, mascherata
da sorrisi
luminosi, che altro non avevano fatto se non riempire ulteriormente le
tenebre che
annebbiavano i miei sensi...
Ero divenuto un oggetto da curare, un pezzo da collezione di
vanto, prestigioso... Qualcosa da rendere talmente fragile che alla sola
e prima disattenzione si sarebbe miseramente frantumato.
Sembrava che tutto fosse stato premeditato e deciso con
estrema cattiveria.
E mentre ero lì, che mi facevo sbattere come uno
straccio, si delineava un disegno troppo crudo per essere reale, un
disegno
troppo malsano, per poter rappresentare la mia vita trascorsa in quei
giorni...
Premetti le mani sugli occhi, provando ad ignorare le sue che
cercavano, sadicamente, di farmi affrontare quelle iridi di fuoco; era
l’unica
battaglia che potevo vincere, l’unica cosa che mi rimaneva da
fare: ignorare i
suoi occhi.
Non seppi per quanto tempo andò avanti.
Secondi, minuti, ore si confusero e persi qualsiasi
cognizione.
Seppi solo che quando abbandonò il mio corpo, prese a
fissarmi con una cattiva spietata e l'aria delusa...
Mi osservò per tanto tempo, studiò
il mio tremore, sfiorò
le mie labbra e poi si alzò con un ultimo raggelante sguardo
di fuoco.
Era consapevole di avermi finalmente posseduto
completamente e solo allora ne fu
pienamente soddisfatto.
Inerme come solo un cadavere poteva essere, gli avevo
permesso di soddisfare, infine, il suo malsano desiderio.
Aveva avuto quello che voleva come
voleva, non avrebbe
infierito ulteriormente.
Lo speravo.
Rimasi immobile, come una
grottesca
bambola, su quel letto.
Solo il movimento regolare del mio
petto lasciava intendere che fossi vivo.
Il dolore acuto che provavo andava
sfumando, mentre iniziavo ad avvertire all’altezza del bacino
il sentore
vischioso del sangue che si raggrumava.
Rabbrividii, ignorando la nausea
che mi colse quando mi mossi per mettermi seduto più
comodamente, e provai a
sollevarmi.
Mi stupii nel vedere che, seppur
tremante, riuscivo a reggermi in piedi.
Sospirai e, ignorando
l’improvvisa fitta di
dolore alla base della mia spina dorsale, recuperai una camicia bianca
(di
Kei, sicuramente, poiché mi andava grande), che mi infilai in
fretta, insieme a
dei pantaloni presi a caso ed il mio cappotto all’ingresso.
Non indossai biancheria e tanto
meno persi tempo a farmi una doccia: ovviamente ne sentivo il bisogno
(volevo
lasciar scivolare via tutta la sporcizia che stava contaminando il mio
corpo), ma
non volevo intrattenermi per ancora lungo tempo in quella casa.
Fu una decisione
improvvisa, sciocca ed impulsiva, ma era ciò che volevo: scappai.
Mi ritrovai nudo, spogliato della
mia dignità, ferito, spossato...
Correvo col cuore in gola
attraverso l’immenso cortile di Villa Hiwatari, ignorando il
dolore, reprimendo
il terrore che sorse al pensiero della reazione di Kei.
Le gambe per un momento mi
cedettero e caddi al suolo.
Gemetti, sbucciandomi i palmi delle
mani e sentendo le ginocchia pulsare.
Ma mai avrei rinunciato alla mia fuga.
Mi rialzai a stento ed avvertii nuovamente il sangue: una
macchia scura
cominciò gradualmente ad espandersi sui pantaloni
all’altezza del mio sedere, ma fortunatamente
il capotto lungo fu in grado di coprire quella vergogna.
Right
through the gates of the past and I’m finally free
Il
cancello alto e minaccioso era
l’ultimo ostacolo da superare, avrei dovuto scavalcarlo ed
appariva troppo
difficile.
Mi aggrappai alla cancellata ed
iniziai ad arrampicarmi con una certa fatica.
Avevo tutti i muscoli tesi fino al
limite, un po’ per l’agitazione e
l’adrenalina crescente, un po’ per il dolore
che in quell’atto parve crescere.
Quando infine ricaddi dall’altra
parte del cancello, scoppiai in una risata isterica e
liberatoria.
Sollevando il volto, da lontano intravidi gli occhi rossi di Kei che mi scrutavano
da una
finestra della villa...
Ricambiai quello sguardo, il respiro
affannoso che andava regolarizzandosi.
Hiwatari si limitò, poco dopo, a sorridermi.
Avevo
vinto.
Superato il passato, credevo di
essere finalmente libero...
Ma loro...
Oh, ma loro non si erano mai
inchinati al Diavolo!
I
see the light
Living in a world without you
Sporco, infreddolito
e
ridente, girovagai a lungo per le strade, per poi dirigermi verso casa.
Casa mia.
Posai una mano sulla tasca del
cappotto, dove sotto il lieve tocco delle dita avvertii il freddo
metallo delle
chiavi.
Poi sul pianerottolo del mio
appartamento mi immobilizzai.
“Boris..?” Soffiai, sconcertato.
Il ragazzo che il giorno prima
avevo incontrato mi sorrideva, sollevato.
“Oh, Yurij! Che bello trovarti! Ieri
hai dimenticato il tuo portafogli, quando me ne sono accorto eri
già
scappato. Poi sbirciando sulla tua carta d’identità
ho scoperto che vivevi
qui, ma mi sembrava tardi per riportartelo, quindi ho aspettato fino a
stamattina..!” Mi spiegò, porgendomi
l’oggetto in questione.
“G-grazie.” Risposi con un
sorriso, poi presi le chiavi.
“Vuoi entrare? Ti offro
qualcosa...” Gli dissi con un sorriso
“Certo, perché no!” Accettò
l’invito, seguendomi poco dentro casa.
Non mi tolsi il cappotto, non
volevo notasse nulla di strano.
Lo accompagnai in cucina, e gli
chiesi di avere un attimo di pazienza; il tempo di cambiarmi.
Acconsentì con un sorriso che mi
scaldò il cuore.
Dalla finestra intravidi un raggio di sole sconfiggere le prepotenti nuvole che intralciavano il suo cammino.
Oh there is
hope to guide me
I will survive
Living in a world without you
In camera mi sfilai il cappotto, gettai in un angolo i
pantaloni sporchi di sangue e dall’altro la camicia.
Mi precipitai nudo, in bagno e l’acqua della doccia
portò via
con sé un po’ di quel sudiciume che avvertivo
sopra e dentro il mio corpo.
Feci più in fretta che potei, recuperando una tuta con cui
coprirmi e lasciandomi i capelli umidi.
Scusandomi per quell’attesa, raggiunsi il mio ospite in
cucina, il quale mi chiese una cioccolata calda, che preparai volentieri.
Ritrovammo ancora quella strana intesa, e mi dissi che il
mondo, senza Kei, non era poi così male...
Potevo sopravvivere.
Bastava sperarci.
Bastava volerlo.
Se Boris si accorse dei lividi sulle mie braccia, non
seppi dirlo.
Forse intuiva che qualcosa in me si era spezzato, ma sembrò
cogliere la prospettiva che anche se ci avesse preso, non glie ne avrei
mai
parlato.
Mi capiva meglio di se stesso, e presto imparò ad amarmi.
It's hard to
believe that it came to this
You paralysed my body with a poison kiss
For 40 days
and nights I was chained to your bed
You thought that was the end of the story
Something inside me called freedom came alive
Living in a world without you
Non
tornai più in azienda, abbandonai quel lavoro.
Con la mia laurea speravo di trovare qualcosa di simile in un luogo
diverso, che
non avesse a che fare con gli Hiwatari.
L’iniziale amicizia instauratosi per caso tra
me e Boris sbocciò, d’improvviso, in un amore ancora immaturo ed inconsapevole, che
dovevamo nutrire
gradualmente ogni giorno.
Spesso il mio pensiero ritornava alle labbra di Kei e agli effetti
devastanti
che avevano avuto sul mio corpo...
Il veleno che nasceva e moriva sul
suo ghigno era dei più
fatali e spietati.
Paralizzava la vittima, ed il cacciatore poteva nutrirsi lentamente della
vita
della povera preda.
Ma prima che mi uccidesse, ero riuscito a sfuggire alla tela del ragno.
Però mai, mai avrei dimenticato
quei quaranta giorni e quelle
quaranta notti.
Usato, sfruttato ed amato (forse) da chi mai aveva conosciuto
questi aspetti della vita.
Legato alla sua anima, agganciato ai suoi tocchi, solo quando
feci l’amore con Boris per la prima volta avvertii la
differenza tra quei baci
roventi e quelle delicate carezze.
Nonostante volessi spezzare le catene che ancora legavano i
miei sensi ai giorni con Kei, mi fu difficile ricominciare a vivere in
un modo
senza di lui.
Amavo Boris, amavo la sua goffaggine ed il suo essere
teneramente buffo.
Amavo la sua passionalità a letto e il suo modo deciso, ma
mai violento, di possedermi.
E lui mi amava, lo sapevo.
Sapevo che adorava quando pronunciavo eccitato il suo
nome, quando lo incitavo a rendere più profonda la nostra
unione.
Sapevo che mi avrebbe sempre preso come desideravo, e che non
mi avrebbe mai costretto a fare qualcosa che non volevo
Sapeva che amavo i suoi occhi, e che adoravo vederli eccitati
e pieni d’amore mentre si scioglieva in me.
Erano di un colore freddo, ma
trasmettevano tanto calore!
Rappresentavano l’opposto di quelli di Kei e non potevo fare a meno di
naufragare in quello
splendore verde smeraldo, che sapeva cullarmi e curare le ustioni che mi
ero
procurato nel viaggio tra le fiamme di Hiwatari.
I see the light
Living in a world without you
Oh there is hope beside me
I will survive
Living in a world without you
Quando chiudevo gli occhi, addormentandomi, spesso
sognavo
Kei.
Lo vedevo seduto alla sua poltrona, in salotto, il solito
calice di cristallo colmo di vino rosso in una mano.
Fissava il fuoco intensamente, fondendolo con l’Inferno delle sue iridi e sorrideva.
Il suo ghigno, la sua voce, le sue labbra articolavano il
mio nome.
E mi svegliavo d’improvviso, spaventato e con il cuore in
gola, stringendomi alle lenzuola, tremante.
E piangevo, in silenzio.
Perché la luce che lì di fianco, mi stringeva a
sé, era
troppo debole per sconfiggere quelle tenebre, poiché anche solo sfiorandole, perdevo la
speranza.
La speranza...
La speranza con cui ogni santissimo giorno Boris mi nutriva
per poter
sopravvivere, per poter vedere
l’alba in un mondo senza Kei.
Il mio carnefice ed in eterno mio amante.
Boris.
Boris lo sapeva, ma mai mi mostrò risentimento e mai mi
ferì: continuò semplicemente ad amarmi, a
possedermi ogni notte con la stessa ed
immutabile dolcezza e passione che mi straziava il cuore...
Ed io, povera bambolina masochista, ritornavo al mio
tormento, al mio Inferno, al mio Lucifero, al mio abusatore e a colui che
era
stato il mio odiato capo.
Avrei davvero
voluto vivere in un mondo senza te, Kei.
~Your Eyes -Livin’ In A World Without You- di Iria:
Trama:10/10
Stile:10/10
Grammatica e sintassi:15/15
Originalità:10/10
Abbinamento personaggi:5/5
Gradimento personale: 5/5
Totale: 55/55
Questa storia mi ha colpito sotto tutti gli aspetti in modo particolare, mi ha fatta appassionare. Lo stile era impeccabile, il lessico ottimo, e così’ anche la grammatica e la sintassi. Mi è piaciuto moltissimo come hai reso il rapporto fra i due personaggi, cosa per nulla facile con una trama così complessa. Mi è davvero piaciuta(come tuttte le altre, del resto ^^), e bhé, direi che si merita il primo posto. Non ho nulla di nagativo da dire su questa storia, tutto si incastrava perfettamente e non c’era mai niente di troppo o di troppo poco. Complimenti!
Boris:
Sarebbe
questa la MeMedesimoxYu che mi avevi promesso
è__é**??
Bhé...Più o meno
O_ò’’’’
Boris: Mi fa le
corna è__é**!!!!!
Oh avanti Bo,tanto lo sai che con Ivanov non avresti
comunque un sano rapporto di coppia: quello si fa sbattere da chiunque
n_n...
Boris: Si ma non
è giusto ç_ç!
Oh Bo,avanti é.è –coccola- ti prometto
che prossimamente
avrai tu solo una bella storia traviata con Ivanov,contento
é.è?
Boris: Con tanto
sesso *_*???
Ovviamente ù.u...
Boris: *çççç*
-e Boris si perse nelle sue fantasie
erotiche...-
Ivanov: Ebbene
sono ancora una volta una puttana -.-*
Kei: Ed io un
puttaniere -.-*
Ma non è vero,volete capirla sempre come vi pare -.-*!
Kei&Ivanov: Si,certo
-.-**
Ma perché invece di star qui a criticare non vi chiudete in
una stanza di un motel è_é????
Kei&Ivanov: -.-***
Lasciamo perdere -.-... Ebbene anche quest’altro esperimento
si conclude XD!Sto diventando troppo buona,questa è
già la...Terza fics in cui
Ivanov sopravvive,devo rimediare ù.u...Ed ovviamente so
già come fare...
-risata malefica-
Ebbene people spero che anche quest’ultima e chilometrica
shot vi sia piaciuta XD!Fatemi sapere,ci conto!Un bacione e commentate!!!!!!!
Vivendo
in un
mondo senza di te
E´
difficile credere che si è arrivati fino a questo punto
Hai paralizzato il mio corpo con un bacio avvelenato
Per 40 giorni e notti sono stato incatenato al tuo letto
Pensavi fosse la fine della storia
Qualcosa dentro di me che reclamava libertà è
venuto fuori
Vivendo in un mondo senza di te
Mi
hai detto
“Mio caro,
Senza di me..
Tu sei niente”
Mi hai insegnato a guardarti negli occhi
E mi hai nutrito con le tue dolci bugie
All’improvviso
qualcuno osserverà dalla finestra
Guardando fuori quel cielo che non era mai stato blu
Oh c’è un mondo senza di te
Vedo la luce
Vivendo in un mondo senza di te
Oh c’è la speranza a guidarmi
Sopravviverò
Vivendo in un mondo senza di te
E´
difficile credere che si è arrivati fino a questo punto
Hai paralizzato il mio corpo con un bacio avvelenato
Per 40 giorni e notti sono stato incatenato al tuo letto
Pensavi fosse la fine della storia
Qualcosa dentro di me che reclamava libertà è
venuto fuori
Vivendo in un mondo senza di te
Hai
riunito i miei pezzi
Poi mi hai buttato via a tuo piacimento
Mi hai usato ancora ed ancora
Hai abusato di me, mi hai confuso
All’improvviso
corro nudo nel tuo giardino
Accanto ai cancelli del passato e finalmente sono libero
Oh c’è un mondo senza di te
Vedo la luce
Vivendo in un mondo senza di te
Oh c’è la speranza a guidarmi
Sopravviverò
Vivendo in un mondo senza di te
E´ difficile credere che si
è arrivati fino a questo punto
Hai paralizzato il mio corpo con un bacio avvelenato
Per 40 giorni e notti sono stato incatenato al tuo letto
Pensavi fosse la fine della storia
Qualcosa dentro di me che reclamava libertà è
venuto fuori
Vivendo in un mondo senza di te
Oh c’è un mondo senza di te
Vedo la luce
Vivendo in un mondo senza di te
Oh c’è la speranza a guidarmi
Sopravviverò
Vivendo in un mondo senza di te