Storia
partecipante al contest “LA
MORTE TI FA BELLO” indetto da La Fe_10
Nick: alida
Titolo:
Perché ci siamo amati tanto
Fandom:
Avengers
Raiting:
Verde
Pairing:
Steve/Clint
Genere:
sentimentale
Avvertimenti:
morte del personaggio
Note: nessuna
Introduzione: Un
incidente in auto
causa la morte di uno degli Avengers? Ma di chi? E’ possibile
essere presenti
fino a quando non ci rendiamo conto di essere morti? I personaggi
appartengono
a Stan Lee, alla Marvel ecc… La ff non ha scopo di lucro.
Le lenzuola
grigie di seta erano bagnate di sudore e aderivano perfettamente ai
pettorali
di Steve, che sembrava non essere mai del tutto consapevole di quanto
piacesse
a Clint osservarlo dopo essersi amati.
Il sesso,
Clint lo aveva capito da subito, era per Steve una componente ancora
problematica nel rapporto di coppia. Infatti se da una parte, Steve, lo
dava
per scontato perché le coppie, naturalmente, facevano sesso,
d’altra parte non
credeva ovvio che il suo partner fosse sempre disponibile e attratto da
lui,
perché Steve era convinto di non meritarsi sempre tanto
amore e inoltre, in
mezzo a tutto questo, ci stava
il piacere.
Il piacere
di un gesto delicato e sfrontato, di un azione decisa ma non
irrispettosa, di
un improvviso attacco di solletico a tradimento, del fiato che
diventava sempre
più corto per poi lasciare andare la tensione mentre ad
occhi chiusi l’universo
stellato si mostrava nella sua magnificenza, di
Clint che sprofondava il viso nel suo collo mentre la sua
testa cadeva
all’indietro, erano
tutti gesti ed
emozioni ai quali Steve non poteva più fare a meno, ed erano
la ragione per cui
Clint aveva deciso di lasciare che Steve si prendesse tutto il tempo
che gli
era necessario per risolvere le proprie questioni
morali, rimanendo sempre presente in caso di necessità.
Quel
pomeriggio Clint aveva desiderato tenere a stretto a sé
Steve, baciarlo e far
scorrere le mani nude sul corpo del suo amante come fossero acqua di
mare che
leviga gli scogli, e passando e ripassando i palmi su ogni singola
parte
renderlo sensibile al punto giusto di modo che quando avesse accolto
l’onda del
suo piacere, al culmine della tensione, una fresca brezza potesse
accompagnarlo
mentre le acque lentamente si calmavano.
Ora il mare
era calmo e Clint osservava il profilo di Steve e lo disegnava
idealmente con
gli occhi per poi scendere lungo il collo muscoloso. Steve sorrise a
occhi
chiusi.
“Cosa
c’è?”,
chiese Clint.
“Scommetto
il mio scudo che mi stai fissando”.
“Mm…
allora
credo che sarà tuo ancora per un po’”.
Steve con
una mossa velocissima tirò il cuscino in faccia a Clint e
rise. “Basta, dai.
Non sono così diverso da dieci minuti fa”.
“Non
è
quello,” cercò di scusarsi Clint “e che
cerco di memorizzare al meglio come sei
fatto perché…
perché…”.
“Perché?”
chiese incuriosito Steve.
“Perché
temo
sempre che possa accadere qualcosa che ci divida”.
“Non
lascerei mai che ti accada qualcosa”, disse seriamente Steve.
“Ehi,
ehi…
fermati un po’. Chi ha detto che temo per me?”
A Steve gli
si stampò un sorriso ironico sul viso: “Io a dire
il vero sono un supereroe”.
Clint
schioccò la lingua sul palato e lo rimprovero
simpaticamente: “Trascorri troppo
tempo con Tony e Thor”.
Steve
però
non aveva intenzione di mollare la presa. “Davvero Clint, il
siero mi protegge
praticamente da tutto”.
“Nonostante
questo il pensiero di perderti mi paralizza. Penso che se dovessi
perderti, il
mio cuore non smetterebbe mai di sanguinare”.
Steve si
sedette, allungò le gambe e spinse delicatamente il viso di
Clint sulle sue
cosce, accarezzandogli i capelli. “Non mi accadrà
niente, il siero è potente,
io mi so difendere e in caso non riesca c’è Iron
Man, Thor, un gigante verde,
una ex-spia russa e come si chiama l’altro che
c’è? Ah, sì…
Legolas”.
Clint gli
mordicchiò la coscia.
“No,
basta,
va bene, Occhio di Falco, si chiama Occhio di Falco”.
Clint smise
di giocare: “Che impertinente”.
Steve
sospirò. “Bene, cosa
c’è in programma
per oggi?”
“Non
ti
ricordi? Dobbiamo comprare un regalo…”
“Per
l’anniversario di Tony e Pepper”,
terminò Steve sbuffando.
“Ma
che
simpatico!”
“Non
mi
piace fare acquisti”.
“Shopping,
Steve. Si dice shopping”.
“Bhè,
non mi
piace fare shopping!”, si lagnò Steve spostando
Clint e alzandosi dal letto.
Clint
sbatté
la testa sul materasso e emise un lungo lamento. “Faremo in
fretta, prometto”.
Steve non
poté fare a meno di sorridere. “Non volevo essere
infantile”.
“E
come
potresti? Hai praticamente 90 anni!”
L’ultima
cosa che Clint vide prima di iniziare a ridere a
squarciagola fu il sedere di Steve che si dirigeva verso il bagno per
un’ennesima doccia, accompagnando il borbottio incessante
dell’uomo a cui
apparteneva.
Alla fine
avevano comprato un bel vaso in cristallo con decori in oro bianco, che
sicuramente Tony gli avrebbe volentieri tirato dietro ma che avrebbe
fatto la
felicità di Pepper. Del resto un regalo per un anniversario
significava
soprattutto un regalo per la donna della coppia e Pepper amava i vasi
di fiori.
Clint era al
settimo cielo, in meno di mezzora erano riusciti a trovare il regalo
giusto e
Steve era diventato raggiante. "Non so proprio come abbiamo fatto a
sbrigarci così in fretta. Almeno adesso abbiamo un
po’ di tempo per noi”.
Steve gli
sorrise. “Tempo per noi? Perché cos’hai
in mente?”
Clint era al
volante e, dopo aver dato un’occhiata allo specchietto
retrovisore, gli fece
l’occhiolino. “Tu cosa pensi?”
“Noo,”
rispose incredulo Steve “non mi dire
che…”
“Sì,
sì…”
“Dai,
ne hai
ancora voglia? Davvero?”
“Steve,
lo
sai che non mi basti mai. Stronzo!”
Il sorriso
di Steve si bloccò. “Come?”
Clint lo
guardò negli occhi e intuì l’equivoco.
“Oh, scusa. Non mi riferisco a te… cioè
sei tu che non mi basti, ma lo stronzo è per quello dietro
di noi”.
Steve si
voltò a guardare la macchina che aveva dietro, in pratica
era attaccata a loro,
eppure di spazio ne aveva, l’autostrada era a quattro corsie.
“Prova
ad
accelerare”, suggerì Steve.
“Ho
già
provato, accelera anche lui”.
“Allora
suonagli il clacson!”
“E se
lo
mandassi anche a quel paese?”, tentò Clint
suonandogli il clacson e facendogli
dei gesti pochi gentili.
La macchina
dietro sembrò rallentare, ma poi accelerò e lo
fiancheggiò.
“Che
modi
sgarbati avete su Misgard!”, gli urlò il
passeggero affianco al conducente.
“Cavoli!”
rise Clint guardando Thor che se la rideva con Bruce al volante
“Non vi avevo
riconosciuto!”
“Fermati,
Clint. Avete una ruota mezzo sgonfia!”
Steve fu
sorpreso, Clint e Tony erano praticamente ossessionati dalle loro
macchine, era
quasi impossibile che la macchina avesse dei problemi, ma si sbagliava.
Si
accostarono alla piazzola di sosta, ma la ruota slittò
passando sopra della
ghiaia, facendo perdere il controllo a Clint così la
macchina sbatté con
violenza al guardrail prima di sfondarlo e cascare nel burrone al lato
della
strada.
Clint
sentì
l’airbag sbattergli
in faccia e, mentre
la macchina rotolava giù dal guardrail,
invocò l’aiuto di qualche essere superiore
perché proteggesse Steve. Il sangue
gli colava dal naso, che sicuramente sarebbe dovuto essere sistemato,
poi sentì
un dolore lancinante nello stomaco e infine la macchina si
fermò.
Clint
girò
la testa per cercare Steve, ma al suo posto non c’era
più seduto nessuno. “Probabilmente,”
pensò prima di svenire “Steve era riuscito a
lanciarsi dalla macchina”.
Dopo pochi
minuti una voce preoccupata, che continuava a ripetere il suo nome, lo
fece
svegliare, ma Clint non ebbe la forza di aprire gli occhi, il dolore
era
troppo, il petto gli bruciava così come la faccia .
“Clint,
svegliati! Dai, non puoi farmi questo. Non lasciarmi così,
amore dai,
svegliati”.
Clint
avrebbe voluto aprire gli occhi e rassicurare quella voce che tutto
sarebbe
andato per il meglio, ma la stanchezza era troppa e il sonno lo
riaccolse in
sé.
Lui era
rimasto immobile a guardare Clint che sanguinava nella macchina senza
far
niente, non aveva neanche provato a tirarlo fuori, era rimasto
lì, paralizzato,
bloccato da una forza invisibile che stava portandogli via
l’uomo che amava.
Una forza
che interferiva nella sua percezione del mondo; le immagini sembravano
flash
isolati, i suoni degli accenni di note: Clint con il sangue sul volto e
nella
camicia, un rumore stridulo di pneumatici, due persone che si
avvicinavano
velocemente a loro, voci soffocate che lo chiamavano.
Poi una mano
si allungò verso di lui e in quel preciso istante
ritornò la normalità
e, preso alla sprovvista, indietreggiò per
non farsi toccare.
“Steve.
Come
stai?”
Steve
ondeggiò con la testa da una parte all’altra,
Bruce gli stava parlando. La sua
visione si fece ancora più chiara, Thor stava staccando la
portiera della
macchina per prendere Clint.
“Aspetta
prima di tirarlo fuori, voglio
controllare che non ci siano lesioni”, lo bloccò
Bruce.
“È
morto!”
disse Steve coprendosi il volto con le mani.
Bruce
guardò
Thor, che controllò nuovamente Clint.
“Ti
sbagli,
soldato eterno. Il nostro compagno d’avventure è
solo in uno stato di riposo
temporaneo causato dall’incidente e forse da questa palla
d’aria che è uscita
dal voltante”.
Bruce
sorrise, evidentemente su Asgard gli airbag non esistevano, e gli si
avvicinò.
“Attento”
lo
redarguì il Dio del Tuono “non ho mai visto un
tale essere”.
“Non
preoccuparti, Thor. Sulla terra sono abbastanza diffusi”.
Ad un primo
esame Clint sembrava stare bene a parte il sangue che però
sembrava provenisse
principalmente dal naso, a parte delle piccole escoriazioni nelle
nocche delle
mani e nella fronte.
Come lo
estrassero dalla macchina l’istinto dell’arciere
ebbe il sopravvento e aprendo
gli occhi di scatto, con un gesto meccanico che probabilmente aveva
compiuto
migliaia di volte, Clint
cercò di
liberarsi dalla presa di Thor che non fu preso alla sprovvista e lo
tenne con
decisione: “Non muoverti, potresti farti più
male”.
Clint
riconobbe i suoi amici e tentò di farsi forte e sollevarsi,
non gli piaceva che
lo vedessero debole, ma un urlo uscì dalla sua gola.
“Ehi,
buono.
Dove ti fa male?” chiese Bruce.
Clint prese
un po’ di fiato e strinse le braccia al petto. “Le
costole”.
Bruce
tentò
di esaminarlo, ma sembrava che Clint non avesse intenzione di farsi
visitare.
“Probabilmente ne hai qualcuna rotta”. Poi si
rivolse a Steve: “Credi di
farcela ad aiutarci?”
Difficilmente
ci sarebbe riuscito, considerato il suo stato catatonico, ma Bruce
voleva
comunque che ci provasse. Tuttavia Steve non agì,
sospirò, si passò una mano
fra i capelli e fece cenno di no.
Clint si
voltò e la prima impressione che ebbe fu che Steve fosse
diventato un fantasma.
Il suo viso si sbiancò. “Ma è
morto!”
Thor
guardò
i suoi amici, avevano rotolato nel burrone con la macchina e
sicuramente non
stavano bene però confondere un morto con un vivo era una
cosa seria. “No, è
vivo. Sei vivo tu ed è vivo lui. Forse avete preso un colpo
molto forte e
adesso vi sentite confusi. Anche io ho avuto momenti di confusione
quando sono
stato investito dal furgoncino di Jane”.
“Bisogna
portarlo in ospedale, lì sapranno cosa fare”,
affermò Steve, ma Clint non era
dello stesso parere.
“No,
voglio
andare a casa”.
“Andiamo
tutti alla Stark Tower,se però ti sentirai male, Clint, devi
prometterci che ci
informerai e ti porteremmo in ospedale”.
“Va
bene,
Bruce. Ma se non è necessario, non voglio andarci”.
“Bene,”
fece
Thor “adesso dobbiamo risalire il burrone”.
I quattro si
fecero coraggio, Clint aveva bisogno di essere sostenuto, mentre
Capitan
America era solido sulle sue gambe. Non ci impiegarono molto, poi
salirono
tutti sulla macchina di Bruce e partirono.
Steve era
preoccupato oltre ogni limite, Bruce aveva detto che Clint stava bene,
che il
sangue sulla maglietta era del naso, ma allora perché il
petto era tutto sporco
di sangue? Possibile che nessuno lo vedesse? Non era sangue secco, era
fresco.
Poteva sentirne l’odore metallico. Ma poi forse era solo una
sua impressione,
forse il siero questa volta non aveva funzionato bene e gli aveva
lasciato i
sensi in subbuglio.
Clint, da
canto suo, teneva gli occhi chiusi. Il desiderio di piangere, che non
conosceva
più da tanto tempo, si faceva largo in lui e questo lo
spaventava. Dopo tante
missioni, tanti orrori visti e tanto dolore, perché proprio
ora? Cosa c’era di
diverso?
Sentiva che
Thor e Bruce parlavano a bassa voce di come lui e Steve sembrassero
strani,
Bruce ridacchiava e Thor tamburellava le dita sul cruscotto. Una
mezzora più
tardi arrivarono da Tony.
“Signore,
i
suoi amici sono arrivati”, echeggiò Jarvis.
Tony, che si
trovava in soggiorno con Pepper e Natasha, si alzò.
“Amici, di quali amici
parli?”
Pepper e
Natasha alzarono gli occhi al cielo, chi mai dovevano essere?
“I
signori
Banner, Barton e Thor”.
L’ascensore
si aprì e Tony vide subito le condizioni di Clint.
“Ehi, non puoi prenderti il
ruolo da protagonista, la festa non è tua!”
Clint
sorrise: “Spiacente, ma la tentazione era troppo
grande”.
Poi uscirono
dall’ascensore Thor e Bruce e infine Steve. Tony
guardò Steve: “E tu che ci fai
qui?”
“Perché?
Non
sono invitato anche io?”
“Jarvis…”,
chiamò Tony, ma Bruce lo interruppe: “Tony, ho
bisogno di aiuto”.
Il
miliardario corse subito, seguito da Pepper e Natasha, che sembrava
essere
terrorizzata. “Cosa è successo? Siete stati
attaccati? Dove? Quando?”
“Niente
di
tutto questo,” spiegò Thor, “la macchina
in cui erano è finita in un burrone e
l’unico mostro che abbiamo incontrato è uscito
dalla macchina”.
Tony, Pepper
e Natasha erano ancora più confusi di prima.
“L’airbag”, spiegò Bruce
sorridendo.
“Bene,
almeno
è qualcuno di questo pianeta”, scherzò
Pepper.
Natasha
però
non era soddisfatta. “Come avete fatto a finire in un
burrone? Steve, guidavi
tu?”
Steve era
serio. “No, lo sai che Clint non mi fa guidare la sua auto.
La ruota ha
slittato sulla ghiaia”.
Clint
sembrava spaventato: “Natasha…”
Lei gli si
avvicinò, nel frattempo Clint si era seduto sul divano e
Bruce gli stava
sfilando la maglietta.
“Natasha,
guarda Steve. Non ti sembra strano? Sembra un fantasma, vero?”
“Oh…”,
lei
si voltò a guardare Steve “a me sembra tutto in
ordine. A parte il fatto che
gli manca lo scudo e non ha la sua divisa, è
Steve”.
“Devi
aver
preso un bel colpo alla testa, Legolas”, gli disse Tony, che
evidentemente
aveva sentito, “A me sembra che l’unico tanto
pallido da poter sembrare un
fantasma sia tu”.
Clint scosse
la testa, era tanto chiaro, perché nessuno riusciva a vedere
che Steve era
morto? Chissà, forse il siero lo faceva camminare come uno
zombie, o forse la
sua anima era tanto forte da riuscire a materializzarsi senza la
necessità di
essere dentro un corpo? Non lo sapeva, ma doveva scoprirlo e in fretta,
prima
che i suoi amici lo prendessero per pazzo o peggio pensassero che
avesse bisogno
di una visita all’ospedale.
A petto
nudo, Clint, era proprio un disastro, un miscuglio di lividi violacei
ed
escoriazioni ricoprivano con poca grazia il suo corpo.
“Accidenti, sei messo
male”, gli fece notare Pepper.
“Il
signor
Barton presenta dei problemi di salute. Due costole sono rotte e due
inclinate.
Il naso ha subito una leggera frattura e dovrebbe essere riposizionato
in
posizione corretta”, informò Jarvis.
Natasha
allungò le mani al viso di Clint e con una mossa rapida
riposizionò il naso,
facendo urlare Clint. “Ti sembra il modo di
comportarti?”, la riprese Steve.
“Più
velocemente si fa, meglio è”.
Clint
agitò
la mano verso il suo amante. “Lascia stare, è
tutto ok. Ha ragione”.
Steve era
nervoso: “Perché non fate qualcosa per il sangue,
semmai”.
Bruce era
stufo di questa lagna: “Te l’ho già
detto. Il sangue viene dal naso”.
“Il
sangue
viene dal petto!”, continuò Steve.
“Bene”,
disse Tony versandosi del liquore “Steve è un
fantasma e Clint sanguina dal
petto! Perché non andate un po’ a riposare nella
vostra stanza, i
festeggiamenti iniziano verso le venti… minuto
più, minuto meno”.
“Ottima
idea”, fece Clint, alzandosi e sparendo dal soggiorno.
Steve era
ancora in piedi, guardando i suoi amici. “Quel
sangue…”
“Ne
riparliamo dopo, Steve,” gli disse con dolcezza Natasha
“adesso riposati”.
E
così anche Capitan America sparì dalla loro
vista,
lasciando quattro persone da sole, preoccupate e divertite allo stesso
tempo.
La camera di
Steve e Clint era confortevole, il letto morbido lo avevano rifatto
prima di
uscire e così dava l’impressione di essere
immacolato.
Clint
respirava pesantemente, gli occhi erano lucidi e le mani gli tremavano.
Steve
entrò nella stanza, Clint era sdraiato nel letto e guardava
il soffitto, non si
mosse, poteva sentire lo sguardo del suo amante su di lui e gli
scappò una
risata mezzo avvelenata dal dolore.
Era sicuro
di ciò che stava per succedere, lo sapeva già, il
ricordo della mattina era
ancora stampato nella sua memoria.
“Cosa
c’è?”
domandò Steve, sentendolo ridere.
“Scommetto
il mio arco che mi stai fissando…”.
“Mm…
allora
credo che sarà tuo ancora per un po’”,
rispose Steve sorridendo di rimando,
però quel sorriso gli si strozzò in gola. Il
suono delle risate di Clint miste
alle sue lo colpì con violenza.
“Basta,
dai.
Non sono così diverso da dieci minuti fa”. Le
lacrime di Clint cominciarono a
scendergli sulle guance.
“Non
è
quello,” continuò Steve sedendosi sul bordo del
letto “e che cerco di
memorizzare al meglio come sei fatto, perché…
perché…”.
Clint
cominciò a singhiozzare e si coprì il viso con le
mani. “Perché? Perché,
Steve…”.
Steve non la
ce la faceva a vedere l’uomo della sua vita piangere e
allungò le mani per
accarezzargli i capelli, ma le sue mani sprofondarono nella testa di
Clint, la
trapassarono senza poterne sentire la consistenza.
“Oh,
Dio
mio!”
Clint
cercò
di controllarsi, tirò su col naso e si sedette nel letto.
“Perché, Steve. Dimmi
perché vuoi memorizzare il mio corpo”. Il suo
sguardo era profondo, al verità
era in loro, disarmante in tutta la sua crudeltà.
“Perché
temo
possa accadere qualcosa che ci divida”, rispose Steve, ma
sapeva già che
qualcosa era successo: Clint era morto, e il sangue sul suo petto ne
era la
prova definitiva.
Clint
guardava Steve e non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
“In realtà,
qualcosa è già successo”.
“Lo
so”.
“Davvero?”
chiese Clint “Allora dimmi cosa è
successo”.
Steve prese
fiato, gli occhi gli si riempirono di lacrime. “Sei
morto”.
Clint
allungò la mano e lentamente con l’indice percorse
il profilo di Steve e giunto
alle labbra, mentre le sue lacrime colavano nel suo collo, gli sorrise
e disse:
“No, Steve. Sei morto tu!”
Steve
provò
nuovamente a toccare Clint ma le sue mani ancora una volta
sprofondarono nel
viso triste dell’arciere. Abbassò lo sguardo dal
viso al petto e ancora una
volta lo vide sanguinante. “Ma tu sanguini, Clint. Stai
sanguinando… da… da
quando ti hanno tirato fuori dalla macchina”.
Clint non
aveva bisogno di guardarsi il petto, sapeva che era livido e anche
coperto di
sangue, ma il sangue non era esterno, lui stava sanguinando
dall’interno.
“Sì,
sanguino. Ma non è il mio corpo, è il mio cuore,
e non smetterà mai più di
sanguinare. Sai perché, Steve?”
Le lacrime
scesero lentamente dagli occhi di Steve, dandogli il tempo di vedere il
suo passato:
Brooklyn, Bucky, il siero, Peggy, l’incidente aereo, il
risveglio, gli
Avengers, Clint, Clint e poi Clint e poi la macchina che slittava, lui
che
veniva rimbalzato fuori e finiva proprio sotto la macchina, schiacciato
tra
rocce affilate e il motore, e poi il sangue che usciva dal suo corpo e
la sua
voglia di sapere Clint al sicuro, la sua anima che abbandonava il
proprio corpo
per assicurarsi che l’amore della sua vita stesse bene e ora
la consapevolezza
che la sua anima non avrebbe più preso possesso del suo
corpo.
“Steve,
sai
perché il mio cuore non smetterà mai
più di sanguinare?” domandò ancora
Clint
al limite della sofferenza psicologica.
Steve
allungò le braccia e prese il viso di Clint tra le sue mani,
era ingiusto… il
siero lo aveva salvato tante volte perché potesse salvare il
mondo, e adesso
che finalmente aveva avuto una ragione di vivere in questo mondo,
adesso … era
morto.
Eppure non
voleva lasciare il suo amante con l’idea della morte, con il
pensiero che le
ultime parole che gli aveva detto, fossero parole di tristezza.
Perciò si fece
forte e posando le sue labbra su quelle di Clint, chiuse gli occhi e
sussurrò:
“Perché ci siamo amati tanto”.
Clint non
chiuse gli occhi durante il bacio e poté vedere
l’anima di Steve che lentamente
perdeva consistenza e spariva per andare in un mondo dove i supereroi
non
esistevano, un mondo in cui si sarebbero incontrati di nuovo e non ci
sarebbero
stati malvagi da cui difendersi, ne macchine che gli avrebbero traditi.
Clint
sentì
bussare alla porta e qualcuno entrare, sentì Natasha che gli
si sedeva accanto,
Bruce che gli controllava i battiti del cuore mentre Thor, Pepper e
Tony
cercavano dappertutto chissà che cosa.
Poi
sentì
Tony chiedere messamente: “Jarvis, dove si trova il Capitano
Rogers?”
Tony chiese,
ma aveva già intuito la risposta. “Il signor
Rogers è uscito con il signor
Banner questo pomeriggio e non è ancora rientrato”.
In soggiorno
la televisione trasmetteva la notizia del ritrovamento del corpo di
Steve
Rogers, alias Capitan America, in un burrone, sotto una macchina, lungo
la
statale.