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Autore: Relie Diadamat    12/08/2015    6 recensioni
Come si è evoluto il rapporto tra Merlin e Gaius, dopo che quest'ultimo l'ha salvato? Com'è nata l'attrazione segreta di Arthur nei confronti del giovane Emrys? Cos'erano Merlin e Morgana prima di Freya e di Mordred? Com'è sorto il Pendragon's Coffee?
«Credevo non saresti più venuto», confessò.
Arthur si avvicinò al ragazzo, puntando i suoi occhi d’oceano in quelli limpidi di Merlin. «Solo io posso offendere la mia famiglia, ma noi siamo ancora una squadra».
Un sorriso incerto e allegro nacque sul volto del corvino, appena prima che il biondo aprisse ancora bocca: «Puoi fidarti di me, Merlin.»
«Mi fido».

[Merlin/Morgana/Gwaine] [Arthur/Gwen/Lancelot] [Alice/Gaius] [Igraine/Uther] [Aridian/Hunit/Balinor] [Merlin/Arthur (pre-slash)]
Genere: Commedia, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gaius, Merlino, Morgana, Principe Artù | Coppie: Gwen/Artù, Gwen/Lancillotto, Merlino/Morgana
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Nda: Salve a tutti! 
Allora.
Per i lettori che già seguono la mia long "Pendragon's Coffee", non sarà difficile inquadrare il contesto di questa fic. In pratica, il tutto è nato perché dovevo spiegare la storia di Merlin e Morgana, ma effettivamente il capitolo sarebbe diventato infinito e quindi ho deciso di dividere la storia in due fanfiction. Ovviamente, non sarà una long solo Mergana, come avete avuto modo di leggere nell'introduzione ^^
Per tutti coloro che si sono avventurati nella lettura di questa fic - non sapendo effettivamente dove sono finiti -, dovete sapere che la storia parte da un Merlin orfano, scappato di casa dopo una lite con suo zio, Aridian. Quest'ultimo è uno spacciatore e ha portato anche Merlin nel mondo malato della droga. Il corvino, preso di striscio dal proiettile di Aridian, cerca riparo a casa di Gaius - ex medico militare, nonché vecchia conoscenza di Hunit. 
L'anziano lo cura, e lo tiene con sé.
Merlin, che da poco prima di quella lite aveva cambiato scuola, incontra Arthur Pendragon, il quale decide per entrambi di formare "una squadra" - apparentemente, solo per copiare.
La storia parte dal primo incontro tra Merlin e Morgana, affrontato già nella long sopracitata :)
Importante però, è sapere che Aridian è stato colui che ha determinato non solo la morte dei genitori di Merlin, ma anche di Igraine, la madre dei due Pendragon. Nessuno è a conoscenza di questo piccolo particolare se non Uther - marito di Igraine - e Gaius - imparentato con la bionda, da parte della moglie deceduta, Alice.
Credo di aver detto abbastanza xD
Se volete saperne di più... Non vi basta che leggere!
Detto questo, vi lascio. Aspetto ovviamente i vostri pareri ^^
Buona, spero, lettura!



Destinati ad essere Champagne



Il Destino è beffardo, ride di noi alle nostre spalle.
Prende tra le mani i fili rossi delle sue marionette, poi ci gioca con gusto, muovendole a suo piacere.
E siamo stati mossi anche noi.
Siamo vittime del fato e complici di un amore impossibile.
Eppure non abbiamo fatto niente per evitarlo.
Ci siamo lasciati andare. Abbiamo permesso al signor Destino di giocare con i nostri fili.
Eravamo.
Eravamo dolce fuso nell’amaro.
Eravamo destinati.
Dolceamaro, come lo Champagne.
Abbiamo alzato i bicchieri al cielo dipinto di stelle, convinti che il mondo fosse solo nostro.
Eppure lo Champagne era finito, e non ce ne siamo neanche accorti.
Com’è che si dice in questi casi? Ah, già: eravamo destinati.
 
 
 
 
 
 
 
 
 I. Mal d'amore
 
 
 
 
 
 



 
Diciotto.
Aveva diciotto anni la prima volta che l’aveva visto. Era pomeriggio e quella stessa sera sarebbe uscita con Gwaine (al drive-in); Gwen si era fiondata a casa sua per aiutarla nella scelta del vestito – Morgana non era mai stata brava a farlo in modo veloce e pratico.
Le due amiche ridevano tra una sfilata e l’altra della corvina, con le gote leggermente colorate di un rosa candido, quando lui entrò nella stanza.
Era imbarazzato, impacciato, goffo. Morgana lo incenerì con lo sguardo e il ragazzo si rinchiuse come un riccio, farfugliando qualche frase sconnessa, prendendo il libro di fisica gettato sulla scrivania.
Gli occhi della corvina erano verdi e furiosi.
Merlin non poteva sapere che gli sarebbero rimasti nella testa, più o meno per tutti i suoi anni a venire.



 
 
 
Fu più o meno come vedere tutto nero, mentre l’occhio di bue s’incentrava su quel bacio maledetto. Quel bacio maledetto.
Merlin era fuori scuola, con lo zaino sulle spalle ed Arthur al suo fianco… e Morgana stava baciando un altro.
Era assurdo d’ammettere, ma il giovane Emrys sentì il mondo crollargli addosso: non l’avrebbe più dimenticata, di questo era certo.
 
 



 
 
Ora, voi vi chiederete: cosa avranno mai in comune, la ragazza più bella e popolare – nonché di condizione agiata – della High Camelot School, con un diciassettenne che viveva nel garage di un ex medico militare, orfano e segnato dal proprio cognome? Apparentemente niente, ma qui si parla di Destino ed il Destino non è certo conosciuto per la sua logica o prevedibilità.
Merlin Emrys e Morgana Pendragon si rividero dopo una settimana, a casa di Gaius.
La diciottenne aveva avuto un altro incubo e si era dunque diretta – sotto volere paterno – dall’ex medico militare, attendendo un nuovo rimedio per il sonno.
L’anziano però, era già occupato, così lei non poté far altro che aspettare. Morgana odiava aspettare; il Destino sembrò giocare con quel suo piccolo capriccio: prese tra le mani un filo rosso, doppio, e mosse i suoi burattini.
Appena la rivide, Merlin si dimenticò di tutto: dei suoi occhi aggressivi, di quel bacio maledetto… C’era solo lei, bellissima come nessun’altra.
Lei era bellissima. Al corvino bastò un suo sorriso per andare in tilt; iniziò a farfugliare frasi senza senso, facendo la figura dell’idiota, ma per fortuna – o sfortuna – lei neanche sembrava più ascoltarlo. Il suo sguardo era fisso sulla chitarra, quella di Merlin.
Fu proprio grazie a quel regalo fattogli dal padre, che tutto ebbe inizio.
 
 



 
 
Qualche giorno più avanti, il corvino si sentì strattonare per un braccio nel corridoio della scuola, fino ad essere trascinato occhi negli occhi di Morgana Pendragon.
In quei giorni era anche bello così: illudersi che lei lo avesse notato, sognare di entrare nella sua mente e restarle nel cuore.
Ma lei era Morgana Pendragon: aveva ottimi voti, era intelligente, ricca e molto, davvero molto bella. L’unica cosa che la diciottenne fece, così vicina al viso del ragazzo, fu chiedergli – o obbligarlo, dipende dai punti di vista – una sola cosa: «Voglio che tu m’insegni».
La sua pelle profumava di rosa, Merlin poteva avvertirlo chiaramente a quella distanza. «C-Cosa?»
«La chitarra, no?!»
«C-Certo! La chitarra… Sì, la chitarra… Va bene».
Lei mollò la presa, sorridendo vittoriosa, come una bambina capricciosa che aveva appena ottenuto il suo giocattolo di peluche: «Perfetto! Allora ci vediamo alle cinque a casa di Gaius.»
Si allontanò, lasciandolo imbambolato, voltandosi una seconda volta per guardarlo: «A dopo, idiota!»
«Merlin…» La corresse, ma in fondo non gl’importava più di tanto… Lei glielo diceva col sorriso sulle labbra e… anche se era un sorriso spoglio di qualsiasi affetto o sentimento, a lui andava benissimo così.
 
 



 
 
Appena tornato da scuola, il ragazzo si rinchiuse nel garage, rimanendo con la testa tra le mani per molto, molto tempo: lui non sapeva nemmeno tenerla in mano una chitarra! Suo zio gli aveva promesso che l’avrebbe aiutato e invece… Invece si era reso utile solo propinandogli della droga da consegnare, e lividi sulla faccia.
Era fottuto. Fottuto.
Morgana sarebbe arrivata tra circa tre ore e lui… Lui avrebbe fatto la più grande figura di… di tutta la sua vita. S’immaginava già i suoi occhi furenti bruciargli la pelle, mentre le sue labbra morbide – perché dovevano essere morbide, no? – si arricciavano in una smorfia di dissenso. Morgana non gli avrebbe più rivolto la parola e… Lui non poteva accettarlo, diamine! Era la sua occasione!
Ci aveva provato, Merlin, a suonarla quella chitarra, ma le note facevano a botte tra loro. Le corde non erano mai pizzicate a dovere e, per giunta, una volta il peltro gli era caduto dalle mani, finendo nella chitarra.
Eppure il corvino non si era deciso a gettare la spugna. Ci aveva provato e riprovato, sempre con lo stesso scarso risultato. Qualcuno avrebbe dovuto dirgli che la chitarra necessitava di essere accordata…
«Merlin!», ad aprire di scatto il garage fu Gaius, comparso nella scena insieme ai suoi inseparabili capelli bianchi ed il sopracciglio accigliato. «Così mi spaventi i pazienti, cosa stai facendo?»
Il diciasettenne scrollò le spalle rassegnato. «Suono… o almeno ci provo».
Il medico lo guardò fisso per un po’, poi mosse qualche passo nella sua direzione. «Se continui in questo modo potrebbero denunciarti per “violenza sulle chitarre”», ci scherzò su, sedendosi lentamente sul materasso steso al suolo, di fronte al ragazzo. «Le chitarre vanno trattate come le donne: con garbo, passione…»
Merlin lasciò che Gaius gli rubasse lo strumento dalle mani; l’anziano lo trattò con cura, quasi tenesse tra le mani un bimbo in fasce. Le corde non venivano pizzicate, ma accarezzate: la musica che ne usciva era dolce, delicata… Merlin l’aveva già sentita da qualche parte…
Gaius azzardò un mugugno a labbra serrate, ad occhi chiusi. Pensava ad Alice, di questo il corvino n’era sicuro; glielo si leggeva dal leggero sorriso ch’era nato sulla sua bocca chiusa.
Quel mhm… sognante, intonava i seguenti versi:
She may be the face I can’t forget
A trace of pleasure or regret
 
She may be the beauty or the beast
May be the famine or the feast
May turn each day into heaven or a hell
 
Merlin se n’era stato zitto, perché in quei casi, parlare è simile a un oltraggio.
L’aveva ascoltato in silenzio, capendo che Gaius non era solo una brava persona, ma anche piena, ricca di qualità e pregi nascosti. «E’ magnifico! Vorrei saperlo fare anche io.» ammise, con un filo di voce e gli occhi luminosi.
Gaius riaprì gli occhi chiari, mentre piano l’immagine di Alice cedeva il posto a quella più giovane e reale di Merlin. «Prima devi finire i compiti».
 


 
 
 
 
Morgana quel giorno non venne.
Merlin, proprio come un adolescente alle prese con la prima cotta, ci rimase malissimo, tanto che mangiò solo una mela.
Ci aveva rimuginato a lungo: Perché non è venuta? Si era addormentato con quella domanda nella mente e una mela nello stomaco.
 
 
 



 
 
«Merlin, cosa ti è successo? Non hai aperto bocca tutto il giorno!»
Arthur lo guardava sospettoso – forse anche un po’ (giusto un pizzichino) preoccupato -, seduto al suo fianco. «Effettivamente non so neanche se sia poi tanto negativa la cosa…», costatò, poggiando il proprio gomito sul libro di matematica.
Il corvino era deluso e ferito: Morgana non si era presentata e lui… Lui aveva studiato con Gaius per tutto il pomeriggio, aveva persino terminato i compiti di chimica nel minor tempo possibile!
«Vorrei avere un po’ di pace, s’è possibile.» sbuffò, fingendo di ripassare fisica per l’ora successiva.
«Avanti!», lo punzecchiò il biondo, «Siamo una squadra, Merlin: non puoi nascondermi niente. Di’ la verità… ti piace una ragazza!»
«No!» si precipitò a dire, con gli occhi sbarrati. «Cosa vai a pensare?»
Il Pendragon schioccò tra loro le labbra con fare risoluto. «Beh, allora c’è un ragazzo che ti piace?»
«Non ho occhi che per te, Arthur», roteò gli occhi, tornando a fissare le pagine del libro.
«Vorrei ben vedere!» se ne vantò il biondo, assumendo un’aria vagamente fiera di sé. Un Asino, era decisamente un Asino!
Mi piace tua sorella, Arthur. Anzi, no, credo di amarla… Lo so, lo so: è assurdo e insensato ma, ma in realtà non esiste una regola con i sentimenti, quando t’innamori, t’innamori e basta! Ed io sono innamorato, innamorato perso.
Avrebbe voluto dirglielo, sul serio… Ma se Arthur non avesse capito? Morgana era già impegnata e loro due erano… due universi a parte.
Quando la Campbell fece il suo ingresso nell’aula, facendo alzare in piedi tutti gli alunni, Arthur si sporse verso il corvino, sussurrandogli all’orecchio: «Comunque, se vuoi fare colpo su di me, ti basta suggerirmi le risposte al compito di matematica… e magari anche qualcuna della Campbell».
L’altro aggrottò lo sguardo. «E’ quello che faccio sempre!»
 



 
Si rifece viva lei, con un giorno di ritardo. Si materializzò davanti a lui, appena fuori scuola, con i capelli corvini legati in una coda bassa, ed il suo corpo perfetto rivestito da una tuta viola.
«Allora facciamo questo pomeriggio?», chiese sbrigativa, tenendo nella mano destra un casco.
Merlin rimase senza parole, a bocca asciutta. Un po’ perché temeva che Arthur sarebbe arrivato da un momento all’altro, un po’ perché averla vicina gli faceva quell’effetto. «Mi darai buca anche oggi?» aveva sdrammatizzato.
Le labbra di Morgana s’incurvarono maliziose in un sorrisino provocatorio. «Tu porta la chitarra, al resto non preoccuparti».
Stava per allontanarsi, questo era certo perché si era girata e aveva fatto dei passi. Merlin non riuscì a trattenersi, la raggiunse, sfiorandole un braccio. «Ehi!»
I suoi occhi. Gli occhi verdi di Morgana erano un brivido da vivere.
«Ehm… Non sai il mio nome, quindi ho pensato…» le porse la mano, imbranato e sorridente. «Sono Merlin.»
«Lo so», gli rispose solo, per poi essere richiamata dal suo ragazzo, seduto sulla sua moto.
Morgana s’incamminò verso Gwaine, prima però, lanciò un’occhiata al corvino, sorridendo provocatoria. «A più tardi, Merlin».
 
 
 




 
Cominciarono così, quelle che Merlin definì “le doppie lezioni di chitarra”.
Appena uscito da scuola liquidava Arthur con una qualsiasi scusa – il più delle volte, insensate -, correndo verso casa di Gaius, rinchiudendosi nel garage. Non mangiava neanche: studiava.
Studiava come un nerd di prima categoria, finendo i compiti in tempo record. Osservava vittorioso e soddisfatto il risultato, prendendo tra le mani quaderni e libri, per poi bussare alla finestra della cucina. Gaius, il più delle volte, beveva un tea; lo guardava come se fosse matto – o in grado di compiere una qualche stregoneria – e sospirava, raggiungendolo in garage per una nuova lezione di chitarra.
«Non si mantiene così una chitarra, Merlin!», lo ammoniva, mostrandogli la corretta impugnatura dello strumento. «Immagina che sia l’amore della tua vita: sii più delicato, santo Cielo!»
Il ragazzo annuiva impacciato, cercando d’imitare il suo mentore. Quella chitarra è Morgana, Merlin! Immagina che sia lei. Come la prenderesti tra le mani?
Senza neanche accorgersene, la chitarra gli era scivolata dalle mani, facendo imprecare nuovamente l’anziano. «Ma allora dillo che la vuoi distruggere!»





 
 
 
Alle cinque in punto, Morgana sgattaiolava fuori di casa, inventando una scusa qualsiasi con il padre – le rare volte ch’era a casa.
Lasciava i capelli sciolti, si colorava le labbra di rosso; il resto della faccia la lasciava pulita. Camminava per la strada con le cuffie nelle orecchie, ascoltando vecchie canzoni italiane. Sì, italiane, perché Morgana Pendragon con l’Italia aveva un legame speciale: lì era nata sua madre, a Roma, e quella musica gliela suonava da piccola.
Merlin, dal canto suo, controllava smanioso l’orario. Arriverà? Mi darà buca di nuovo?
Camminava su e giù nel garage, con la porta semiaperta. Ogni tanto Gaius fingeva di dare un’occhiata ai fiori in giardino, solo per spiarlo e ne sorrideva intenerito: Merlin era innamorato, follemente.
Sì, perché quando ci s’innamora, non lo si fa mai col senno: lo si è sempre in modo esagerato, folle, fuori dal normale.
Quando le lancette dell’orologio scandivano un quarto d’ora dopo le cinque, il corvino prendeva tra le mani la sua chitarra, si sedeva sull’erba accanto alle viole e di tanto in tanto allungava il collo oltre le mura della casa, cercando di scorgere la figura snella della ragazza.
Senza neanche farlo di proposito, finiva in un mondo tutto suo, fatto di note, corde carezzate e due occhi verdi arrabbiati.
Era assurdo, assurdo.

Lei sta con altro, Merlin. A te nemmeno ci pensa.
Ma che mi frega?
Nella mia mente, lei è solo mia.
 




Morgana arrivava silenziosa, eppure portava con sé mille suoni, mille odori che il diciasettenne proprio non riusciva a non cogliere, ad ignorare.
«Ciao!» la salutava imbranato, con due fossette che gli comparivano sul volto. «Possiamo anche entrare, se vuoi».
Sorrideva. Era bellissima quando lo faceva – per lui, lo era sempre. «Allora, Merlin», gli diceva, sedendosi difronte al ragazzo, «vediamo cosa sai fare».

 


Ho preso la chitarra, e suono per te…
Il tempo d’imparare non l’ho e non so suonare, ma suono per te.
 
 


Avevano un gusto dolce quelle giornate, qualcosa di molto simile al buon sapore della cioccolata bianca o all’aroma speciale di un caffè zuccherato.
Lei era lì che prendeva tra le mani la chitarra che gli aveva regalato suo padre, con i capelli neri che talvolta le ricadevano davanti agli occhi verdi e attenti. Era seria quando toccava lo strumento, cercava d’imparare.
Merlin la guardava e la guidava, seguendo attentamente le istruzioni apprese da Gaius; in quei pomeriggi argentei o dorati, il giovane Emrys si convinceva che non esistesse cosa più bella sulla faccia della Terra.


 



 
 
Dopo il terzo giorno di lezioni segrete, Gaius lo invitò ad entrare in casa sua per la cena. Merlin era visibilmente stanco: quel giorno non aveva neanche finito tutti compiti e l’indomani ci sarebbe stata una verifica di matematica.
Si lasciò guidare dall’anziano nella cucina, mentre nella pentola sentiva brontolare i piselli affogati nel loro brodo.
«Inizia ad apparecchiare», gli disse il vecchio, tornando ai fornelli. Merlin non se n’era mai accorto, ma su un ripiano in alto della cucina, c’era un’altra foto: Gaius era molto più giovane ed indossava la divisa militare. Al suo fianco, Alice gli baciava una guancia.
Quella casa, ogni singolo angolo, era pregno di Alice e del loro amore. Sembrava quasi che quella donna fosse ancora lì, seduta su una sedia in legno chiaro a guardarli mentre odorava i petali blu di quelle viole.
«Hai mai suonato per lei?», gli chiese il ragazzo, prendendo due piatti di ceramica dalla credenza.
L’anziano girò la zuppa con un mestolo di legno, quasi volesse cercare in quel verde brodoso le parole che gli erano sfuggite di bocca. «Tante volte», recuperò le parole offrendole al vento, «Alice amava la musica».
«E tu hai imparato per lei?» domandò, posando anche due bicchieri sulla tavola. «Insomma, i fiori, la chitarra… Hai preso pezzi di Alice».
«Perché è così che si fa, quando si ama, intendo.» Spense il fornello, picchiettando il mestolo sul bordo della pentola. «Impari ad apprezzare i suoi pregi e ad amare i suoi difetti».
In quel momento, Merlin non capì appieno quello che l’anziano volesse dire, ma col tempo lo imparò, senza neanche accorgersene.
«Ad ogni modo», continuò Gaius, portando la cena a tavola, «noto con grande piacere che ignori ciò che dico».
«Uhm?»
«Ti avevo detto di stare alla larga dai Pendragon, se non erro e di solito non sbaglio mai.» L’ex medico militare si voltò verso il ragazzo con sguardo severo. «Devi stare lontano da quella ragazza, Merlin».
«Perché?!», sbottò, non riuscendo a capacitarsi del perché anche Gaius dovesse venirgli contro: il destino non era già abbastanza?!
«Aridian è capace di tutto, Merlin, di tutto. Non prendere sottogamba una situazione come questa. Tuo zi-»
«Anche tu rischi! Mi stai dando riparo, mi hai tenuto con te per mesi interi… Non capisco dove sia il problema…»
«Io so come cavarmela, Merlin! E so anche che non faresti del male ad un mosca, se non a te stesso… Ma Uther Pendragon questo non lo sa e appena scoprirà chi sei, non te lo perdonerà, Merlin. Ti renderà la vita impossibile!»
«E come faccio?», gli chiese, quasi con le lacrime agli occhi. «Io non penso ad altre che a lei… La vedo ovunque… E’ come se fossi sotto incantesimo. Come faccio a dimenticarla?»
Il vecchio sospirò, poggiandogli una mano sulla spalla. «Passerà, Merlin, passerà. Tu incentrati sulle tue passioni: corri, suona, fa’ qualsiasi cosa ti renda felice. E vedrai che, un giorno, inciamperai in qualcuno di diverso e sarà bello ed inaspettato. Passerà, figliolo, ti passerà».
 



 



Eppure non era andata proprio così.
In quei giorni, nella mente di Merlin riecheggiavano le parole di Robbie Williams. Quel tizio doveva essere un’altra maledizione portatagli dal Fato, perché grazie alla sua musica, Morgana era sempre più presente nella sua mente.
La incontrava nei corridoi della scuola mentre rideva con le sue amiche, la rivedeva al bar mentre sorseggiava un caffè amaro e mangiucchiava biscotti. E poi la trovava fuori scuola, quando bella come non mai si gettava nelle braccia di Gwaine, baciandolo con passione e forza.
Per non calcolare quella volta che, mentre studiava con Arthur nel salotto, Morgana ed il suo ragazzo si erano gettati sul divano ignari della loro presenza, dandosi molto da fare.
Insomma, Robbie, dillo che ce l’hai con me! Si lagnava il corvino nella sua mente, maledicendo quei versi dannati che non riusciva a togliersi dalla testa.
 
 
 
We were young, we were wrong
We were fine all along
 
 
 


Il peggio, però, arrivò in un Martedì piovoso – strana coincidenza… -, quando Merlin stava raggiungendo i bagni. Si sentì afferrare per il polso, e trascinare contro la parete fredda della scuola.
Gli occhi di Morgana luccicavano come quelli di un bambino che ha appena ritrovato il suo giocattolo preferito e, in un modo tutto loro, gli sorridevano. «Se non ti cerco io, posso anche aspettarti in eterno!»
Era diventato un gesto consueto per loro, era come un marchio di fabbrica, una garanzia: sapevano salutarsi solo afferrandosi per i polsi, trascinandosi contro le pareti della scuola.
Il cuore nel petto gli tamburellava in modo strano, maledettamente forte, ma ancora più prepotenti erano le parole di Gaius che gli ronzavano nella mente.
Devi stare lontano da lei.
«Cosa c’è? Gwaine non è abbastanza per te?» cercò di difendersi, liberandosi dalla sua presa.
Quel luccichio negli occhi della ragazza scomparve, lasciando il posto ad una scia scura e minacciosa. «Cosa stai insinuando?»
L’altro scrollò le spalle, fingendo un sorriso. «Tanto per te uno vale l’altro, no? Basta avere qualcuno col quale placare la noia e-»
Le parole gli morirono nella gola nell’esatto momento in cui, la mano fredda di lei, gli picchiò violentemente la guancia. Ma non fu lo schiaffo a ferirlo: furono i suoi occhi.
Un lampo squarciò il cielo, illuminando per un breve istante i loro volti di un bianco acceso. Il tuono fu la colonna sonora della sua occasione persa.
Morgana era offesa, delusa. «Ma come ti permetti?!» gli ringhiò contro, avvicinandosi torva. «Sei solo un ragazzino. Non osare mai più rivolgermi la parola, deficiente!»
Lo spinse indispettita contro il muro, lanciandogli un’occhiata glaciale.
Si allontanò, Morgana, spezzando il cuore ingenuo del ragazzo in tantissimi pezzetti.


 
We say goodbye in the pouring rain
And I break down as you walk away



 
 
Si maledisse, si diede dell’idiota da solo: Perché non poteva semplicemente tacere?!
Spalancò la porta del bagno, dirigendosi repentino verso gli specchi; lì guardò la sua immagine riflessa, sulla sua guancia c’era il segno vistoso dello schiaffo appena ricevuto.
«Sei un cretino, Merlin, un cretino!» si rimproverò, per poi stringere forte i pugni, fino a far impallidire le nocche. «Ancora? Te la devi d-i-m-e-n-t-i-c-a-r-e!»
Era così assorto nei suoi richiami da non accorgersi nemmeno che, al suo fianco, col sopracciglio dorato all’insù, Arthur lo guardava con un’aria vagamente perplessa. «Di cosa ti fai, Merlin
Il corvino drizzò la schiena, voltandosi goffamente verso il Pendragon. «Arthur! Cosa ci fai… qui?»
«E’ il bagno degli uomini?» chiese sarcastico, facendosi spazio per lavarsi le mani. «Tu, piuttosto, cosa hai fatto alla faccia?»
Merlin aprì la bocca, seppur incerto su cosa potesse dire, ma l’altro lo anticipò nuovamente: «Eh, Merlin… Le donne sono pericolose, lascia che ti aiuti: non farle mai arrabbiare».
«Grazie, Arthur», gli disse, come se non fosse già palese.



 
 
 
 
All’uscita da scuola, proprio quando tutti i ragazzi correvano fuori da quelle quattro mura odiose, Arthur poggiò un braccio sulle spalle del corvino, dichiarando: «Ginevra ama le torte».
«Quindi?» Merlin non era molto bravo a cogliere le idee del biondino al volo – o meglio, desiderava tanto non riuscirci…
«Tu hai una cucina?»
«Certo che ho una cucina!» dibatté ovvio… Anche se, effettivamente, la cucina non era sua…
Un sorrisino di trionfo affiorò sulle labbra del Pendragon, che picchiettò la guancia del ragazzo. «Vedi che non sei poi così inutile come credi, Merlin».
«Grazie, Arthur…»
C’erano mille facce fuori scuola, duemila occhi da scoprire, eppure le iridi chiare del diciasettenne si erano posate su due smeraldi furenti.
Le gocce di pioggia cadevano dal cielo proprio come le lacrime avrebbero rigato il volto di Merlin, qualche ora più tardi, nel buio di un garage.
Morgana gli lanciò uno sguardo cupo, aggressivo; uno sguardo che voleva dire una sola cosa: guerra.
Arthur e Merlin videro la corvina correre sotto la pioggia, richiamando a gran voce il nome di Gwaine.
Il moro scese dalla sua moto, afferrandola con le sue braccia possenti non appena la diciottenne non gli fu saltata addosso, cingendogli il bacino con le cosce.
«Guardala!», ruggì oltraggiato Arthur. «Ma dove crede di stare?!»
Il corvino serrò la mano destra in un pugno, osservando deluso e amareggiato la scena. Scosse il capo nel momento in cui cominciarono a baciarsi, fondendosi in una cosa sola. «Chi nasce tondo non può morire quadrato».
«Che intendi dire?» Il timbro di Arthur era stranamente freddo, quasi sulla difensiva.
«Niente, dicevo solo che…»
«Quella è mia sorella, Merlin. Ricordatelo sempre».
Il Pendragon si allontanò portandosi via l’ombrello rosso, lasciando il giovane Emrys solo e ferito sotto la pioggia, col cuore tritato.
 



 
 
 



«Merlin…» Gaius comparve sulla soglia del garage, seguito dal rumore della porta che veniva aperta. «Il pranzo è pronto».
Merlin non si scomodò neanche a guardalo in volto. Era bagnato fradicio, era stato schiaffeggiato ed aveva appena appreso che il suo migliore amico non avrebbe mai potuto condividere con lui il peso di quell’amore impossibile: stava decisamente da schifo!
«Non ho fame», rantolò standosene sdraiato sul suo materasso, nascondendosi metà faccia col cuscino immacolato.
L’anziano serrò le labbra, decidendosi ad entrare nel garage. Si mosse lentamente in quel posto che, col tempo, stava assumendo sempre di più le fattezze del proprietario: c’erano cd sparsi per il pavimento scuro, lo zaino gettato ai piedi del materasso e la chitarra che riposava in un angolo, accanto al tavolo degli attrezzi.
Gaius sospirò, sedendosi accanto al corvino. «Cos’è? Mal d’amore?»
Merlin tirò su col naso, asciugandosi una mezza lacrima dal viso pallido. «Ti prego, non ricominciare con la solita storia, Gaius. Tanto è inutile, senza volerlo fare apposta ho fatto di meglio: Arthur ce l’ha con me perché ho offeso sua sorella, e Morgana non mi rivolge più la parola».
L’ennesimo sospiro nacque dalle labbra dell’anziano, che intanto aveva lasciato scivolare una mano sulla schiena del ragazzo.
Quello, era il secondo vero contatto fisico tra i due. Gaius stava lentamente cedendo ad aprirsi al corvino, demolendo ogni barriera.
«Alice mi ha tradito».
Merlin aprì di scatto gli occhi, focalizzando tutta la sua attenzione sulle parole del vecchio. «Mi ha tradito nel momento in cui le hanno diagnosticato il cancro e non me l’ha detto. Ed io, come un cretino, non me ne sono neanche accorto, pensa… Una volta, da bravo imbecille, ho creduto avesse un altro…
Scoprirlo è stato doloroso, quasi più che conviverci.
Lei era lì, con la sua treccia di caramello ed il giorno dopo la sua chioma caramellata non c’era più. Stentavo a credere che quella donna fosse la stessa ragazzina di cui mi ero innamorato a vent’anni. Così me la sono presa con lei. Sono stato un vigliacco e non mi perdonerò mai per questo. Ma sai come abbiamo affrontato anche quell’ostacolo?»
Merlin si voltò verso l’ex medico, guardandolo nei suoi occhi malinconici. «Come?»
«L’ho portata al ristorante. Lei aveva il cancro ed io l’ho portata al ristorante – rigorosamente italiano. Abbiamo mangiato spaghetti al sugo e bevuto un rosato, e lo sai perché?»
«Perché eravate ancora insieme?»
«Perché i problemi vanno affrontati a pancia piena».
Merlin ridacchiò, alzandosi insieme all’anziano. «Dunque mangeremo italiano a pranzo?»
Il ragazzo aveva recuperato quel tono scherzoso e allegro di sempre, Gaius non poté che compiacersi.
«Brodo di verdure», lo corresse, fingendo un’aria di rimprovero. «E non accetto reclami».
 
 
 



Merlin era chino sul tavolo degli attrezzi a svolgere i suoi compiti, quando sentì il rombare del motore di una moto fuori dal garage.
Credette di essere impazzito quando udì la voce di Arthur Pendragon, ma una volta che la porta venne aperta, Merlin poté avere la certezza di non esserselo sognato.
Il biondo indossava dei jeans chiari ed una maglietta nera aderente, i capelli leggermente in disordine a causa del casco.
Il corvino si alzò dal suo posto, senza però andargli incontro. «A-Arthur».
Gli occhi blu del ragazzo scrutarono bene quelle quattro mura: un materasso disfatto sul pavimento, lo zaino dell’altro gettato lì accanto ed una cesta dei panni sporchi in un angolo.
Non era difficile trarre conclusioni. «Vivi qui.»
Il diciasettenne deglutì. «Sì».
Arthur osservò il perimetro circostante con aria critica. «Non c’è la cucina».
«La cucina?»
«Sì, la cucina! Gwen-torta, ricordi?!» fece nota lui, con quel suo tono tanto odioso.
«Credevo non saresti più venuto», confessò.
Arthur si avvicinò al ragazzo, puntando i suoi occhi d’oceano in quelli limpidi di Merlin. «Solo io posso offendere la mia famiglia, ma noi siamo ancora una squadra».
Un sorriso incerto e allegro nacque sul volto del corvino, appena prima che il biondo aprisse ancora bocca: «Puoi fidarti di me, Merlin.»
«Mi fido».
Le labbra del Pendragon s’inarcarono in un sorriso sincero. «Perfetto. Allora, questa cucina?»
 
 
 
 




Inutile dire che i due non fecero altro che pasticci – e non di quelli che si mangiano…
Riuscirono ad infarinarsi persino i capelli, ma questo solo perché erano due idioti.
«Deve piacerti davvero molto Ginevra se sei disposto a sporcarti le mani per lei…»
«Lei è diversa, da chiunque. Farei qualsiasi cosa per lei».
«Certo», Merlin versò la farina in una scodella, innalzando in aria una nuvola biancastra – forse, ne aveva messa troppa… «Solo… Sei davvero sicuro di saper cucinare una torta?»
«Se farà schifo, la colpa sarà tua.» se ne lavò le mani il biondo.
Merlin rise, giocherellando con la farina, per poi lanciarla contro il Pendragon.
Quest’ultimo, sentendosi sfidato, fece la medesima cosa prendendo una bella manciata di polvere bianca, gettandola in faccia al ragazzo.
La guerra di farina andò avanti fin quando la scodella non fu vuota e i due infarinati, con i capelli sporchi e gli abiti da lavare.
 «Cosa diamine sta succedendo qui?!», sbottò Gaius entrando nella cucina, con le mani rivestite dai guanti in lattice ed uno stetoscopio al collo.
I due si ricomposero quasi come se, fingendo serietà, la natura del danno commesso potesse essere mascherata.
Arthur tossicchiò, porgendo la mano all’anziano. «Piacere, signor… medico? Io sono Arthur Pendragon – a questo proposito, ci siamo incontrati prima – e sono qui sotto richiesta implorante di Merlin. Sa, il ragazzo è innamorato e vorrebbe tanto preparare un dolce per la sua amata; io sono qui per aiutarlo».
Il biondo sorrise, convinto di averla data a bere al vecchio, mentre Merlin iniziava a lamentarsi della falsa versione dei fatti.
Gaius, uomo saggio e paziente, li guardò per quindici secondo di orologio, prima di proferire l’ultima frase della giornata: «Fuori dalla mia cucina!»






** Curiosità**
- Le canzoni che vengono citate nel testo sono: She, Charles Aznavour; La prima cosa bella, Nicola di Bari; She's the one, Robbie Williams, Stay, Hurts.
- Se notate alcune somiglianze con la serie tv "I Cesaroni", è qualcosa di voluto: il progetto, inzialmente, doveva essere una AU ambientata in quel fandom.
- Più che friendship, il rapporto tra Merlin ed Arthur va inteso come "pre-slash" dati i risvolti nella fic "madre".
Detto questo, mi eclisso!



 
   
 
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