Evviva! Prima
shonen-ai!! Prima ff su Kingdom Hearts!!!
XD
Ok, come
ho detto è la prima di questo genere, perciò non aspettatevi
molto… Ma sentivo un’esigenza
– ancor più che un bisogno – di scrivere almeno una piccolissima
AkuRoku. E finalmente un sogno che ho fatto mi ha fornito quella che mi
è sembrata una buona ispirazione… ^^ Spero che vi piaccia!
[Lievissimo
spoiler (innocuo e ininfluente XD) su Kingdom Hearts 358/2 Days.]
What
a Nobody feels
Il cielo di
Crepuscopoli, tinto del caratteristico colore del tramonto, si rifletteva nelle
iridi azzurro chiaro del ragazzo disteso a naso in su nell’erba alta di
un terreno in disuso. Il silenzio era rotto solo dal fruscio del vento che
scuoteva gli steli d’erba intorno alle sue gambe e gli sollevava i
capelli biondi dalla fronte, in un gesto quasi amichevole. Era un giorno come
tanti, ma non era una vita come tante.
Non
era la sua vita.
Preda dei propri
pensieri confusi, Roxas aveva vagato per la città forse per ore, forse
per anni, e alla fine si era lasciato cadere lì, a braccia aperte, a
fissare il cielo e a chiedersi il senso del vuoto che si sentiva nel petto,
proprio lì dove avrebbe dovuto esserci il cuore.
Il
cuore di un altro.
Fu un rumore
diverso a scuoterlo. Lieve, come un sussurro, come erba calpestata piano. Si
voltò senza alzarsi.
In
piedi al suo fianco, le mani affondate nelle tasche del lungo cappotto nero, i
capelli rossi resi di un colore ancor più intenso per via del tramonto,
c’era Axel.
La
sua presenza non lo infastidì.
Axel
era probabilmente l’unico vero amico che avesse.
Questo,
beninteso, se persone come loro
potevano avere amici.
Si sollevò a
sedere, mentre l’altro si chinava al suo fianco, incrociando le gambe
nell’erba.
Axel
non gli chiese che fine avesse fatto, che cosa ci facesse lì invece che
al Castello dell’Oblio, dove il Superiore stava per tenere
l’ennesima delle riunioni dell’Organizzazione; non gli disse nulla.
Il loro era un rapporto in cui le parole non contavano molto. Spesso i silenzi
dicevano molto di più.
Il
giovane si limitò a mostrare le mani, e a tendergli uno dei due gelati
al sale marino.
Con
un mezzo sorriso, destinato a sparire in fretta, Roxas lo accettò e
iniziò a scartarlo.
Per
molto tempo non dissero nulla. Fu Axel, dopo quello che sembrò un
secolo, a parlare.
«Mi
dici a che pensi?»
Non
gli rispose subito. Senza deconcentrarsi dal suo ghiacciolo, alzò di
nuovo gli occhi verso il cielo, scegliendo le parole che potessero esprimere
meglio ciò che provava.
Ciò
che gli mancava.
«A
niente» rispose infine, scuotendo piano la testa. «Che poi è
quel che siamo noi, no?»
Anche
Axel ci mise un po’ a rispondere. Sembrava che stesse riflettendo sulle
sue parole.
«Capisco
cosa vuoi dire» mormorò infine, osservando con sguardo pensoso lo
stecco del gelato che aveva appena finito.
Ignorando
la mancanza di una sua risposta pungente – che sarebbe stata la reazione
più tipica da parte di Axel – Roxas gettò via il bastoncino
del suo ghiacciolo. Strappò distrattamente un filo d’erba, poi se
lo portò alle labbra: soffiandoci sopra, emetteva un suono simile ad una
musica. Quel gesto gli ricordava qualcosa.
Forse
era un ricordo di qualcun altro.
Tornò a
stendersi, fissando una nuvola molto strana proprio sopra di sé.
Inclinò la testa. Vista così, sembrava quasi un Keyblade...
«Ma
sai una cosa?» Axel si distese a sua volta, portando le braccia dietro la
nuca. «Secondo me ti sbagli.»
Sorpreso,
il ragazzo si voltò a guardarlo, e vide che sorrideva.
«Che
cosa intendi dire?»
Axel
ricambiò lo sguardo, senza smettere di sorridere.
«Noi
non siamo “niente”, Roxas. Siamo tu ed io, siamo qui. Siamo vivi, anche se la nostra è
più o meno una mezza esistenza... Ma questo non ci impedisce comunque di
pensare, di desiderare... Neanche di provare sentimenti.»
Roxas
continuò a fissarlo, sempre più stupito. Da quando Axel si
lanciava in meditazioni così... sagge?
Lui
tornò a guardare il cielo. I suoi capelli rossi creavano strani giochi
di luce nell’erba verdissima.
«Pensaci»
continuò. «Noi proviamo sensazioni forti quanto quelle di
qualunque persona – definiamole così – “normale”...
Voglio dire, non siamo felici della nostra condizione, e questo ci provoca
frustrazione. E rabbia. E risentimento. Desideriamo delle vite vere, invidiamo e
spesso odiamo chi ne possiede...»
Roxas
sbuffò.
«Detta
così, sembra che per noi esistano solo sentimenti spiacevoli.»
Axel
rise.
«Beh,
dimmelo tu. Che altro c’è?»
Roxas
distolse lo sguardo, riflettendo.
«Amicizia»
rispose lentamente. «Affetto. E...» Si interruppe, confuso, senza
sapere come continuare.
Axel
sembrò non notare il suo momento di impasse. Si sollevò su un
gomito e lo fissò. Era tornato l’allegro burlone di sempre.
Proprio
come piaceva a lui.
«Roxas,
facciamo un gioco?» sorrise.
Lui
lo guardò di rimando.
«Un
gioco?»
«Sì.
Io ti dico una sensazione, tu mi dici quando la provi; poi tu me ne dici
un’altra e io ti dico quando la provo...» Il suo sorriso divenne un
sogghigno. «Originale, eh? A volte mi stupisco di me stesso.»
«Mai
quanto stupisci me.»
Roxas
scosse la testa, sorridendo. Era incredibile. In un modo o nell’altro,
Axel cercava sempre di farlo sentire meglio... Il bello era che spesso ci
riusciva.
Si
rialzò a sedere.
«E
va bene, dai. Sono pronto.»
Axel
non si fermò a pensare neppure per un istante. Gli puntò contro
il bastoncino del gelato.
«Fastidio!»
declamò.
Roxas
rifletté, poi sbuffò di nuovo.
«Hai
presente ogni mattina, quando Marluxia fa colazione seminando petali ovunque,
anche nei piatti e nelle tazze di noialtri malcapitati...?»
Axel
scoppiò a ridere.
«Sì,
direi proprio che questo è un fastidio che condividiamo!»
boccheggiò.
«Tocca
a me» lo interruppe Roxas. Dopo qualche istante si decise.
«Depressione.»
Era
curioso di sapere se ci fosse qualcosa in grado di abbassare il morale a quel
vulcano attivo del suo migliore amico.
Axel
smise all’istante di ridere e sospirò, amareggiato.
«Zexyon»
gemette. Scosse la testa con aria rassegnata. «Con quella sua aria
oscura, come se non si fosse mai fatto una risata... Non posso farci niente,
è più forte di me... Mi deprime
proprio.»
Stavolta
fu Roxas a scoppiare a ridere, esilarato dall’espressione esageratamente
afflitta di Axel.
«Repulsione!»
disse lui, tornando allegro e protendendosi verso Roxas con aria interessata.
Il
ragazzo si ricompose.
«Mmm,
dunque... Ok, ce l’ho. Hai mai visto Xigbar togliersi la benda
dall’occhio?»
«Oh,
no, ma che orrore!»
«Ecco,
ti sei risposto da solo» rise Roxas.
Si
stava divertendo.
«Rabbia.»
Axel
emise un forte sbuffo contrariato e incrociò le braccia.
«Quando
Xemnas ci affida missioni diverse per evitare che noi due combiniamo disastri
insieme!»
Roxas
ridacchiò di nuovo.
«Ma
questo vuol dire semplicemente che anche lui prova qualcosa, Axel. Diciamo che praticamente
lo terrorizziamo!»
«Già,
è probabile» convenne Axel, con l’espressione euforica di
chi ha appena sciolto un mistero. «Andiamo avanti... Invidia.»
Questa
volta, a poco a poco, Roxas si fece serio.
Fece
scorrere lo sguardo sul prato, sfuggendo a quello di Axel.
Era
una risposta ovvia, ma anche dura.
Si
fece coraggio.
«Qui
in città» mormorò, «vivono tre ragazzi che... che ho
visto spesso. Stanno sempre insieme.» Strinse le gambe tra le braccia,
cercando di far passare inosservato il tremito delle mani. «Due ragazzi e
una ragazza... Vanno a scuola, escono, scherzano insieme, hanno una vita
normale. Ridono. Tanto.» Strinse i pugni. Lo stelo d’erba che
ancora stringeva tra le dita si spezzò e scivolò pian piano a
terra. «A volte li invidio per questo. È che... Sai... Deve essere
bello... Non avere pensieri, se non quello di dover crescere... Essere se
stessi... Avere una propria anima.
Una intera. Non vivere a metà.»
Calò
il silenzio. Roxas si sentiva addosso gli occhi verdi di Axel, capaci come
sempre di trapassarlo da parte a parte; continuò ad evitarli.
Percepì un movimento da parte dell’amico, come se volesse posargli
una mano sulla spalla.
«Roxas...»
«Paura»
lo interruppe bruscamente, sperando di poter tagliare lì il discorso.
Non
gli andava di fargli capire quanto gli facessero male quei tre ragazzi.
Quando riuscì
di nuovo a voltarsi verso di lui, vide che anche Axel aveva deciso di lasciar
correre. Meglio così.
Axel
sapeva sempre qual era la cosa giusta da fare con lui...
Con
l’indice al mento e il viso assorto, sembrava rimuginare intensamente
sulla questione.
«Paura,
eh? Vediamo...» Alla fine ostentò un brivido. «Ti è
mai capitato di – ehm – appiccare accidentalmente il fuoco ai vestiti di Larxene mentre ti passava
davanti?»
Suo
malgrado, dimenticando la confusione di poco prima, Roxas scoppiò a
ridere.
«Non
ci credo... Mi sono perso una scena del genere! E sei ancora vivo?!»
«Lasciamo
stare» borbottò Axel, mostrandosi ancora comicamente terrorizzato,
ma non riuscendo a dissimulare davvero quanto fosse contento di vederlo ridere...
«Tristezza» proseguì.
«Sora»
rispose Roxas senza pensarci.
La
risposta più spontanea che potesse trovare.
Perché
era inevitabile che si rattristasse, pensando a quanto lui e il Padrone del
Keyblade fossero ad un tempo simili e diversi.
Simili,
perché condividevano un’anima.
Diversi,
perché Sora era libero, Roxas no.
La sua vita non dipendeva da quella di
qualcun altro.
Accorgendosi del
nuovo silenzio imbarazzato venutosi a creare, Roxas si affrettò ad
interromperlo. Non voleva immalinconire l’atmosfera. Axel stava
già facendo di tutto per distrarlo dai suoi pensieri: non gli sembrava
giusto continuare a chiudersi in se stesso e nel proprio senso di vuoto...
Certo
che era davvero unico quel suo modo di cercare di farlo sorridere...
«Non
vale, però» sbuffò, fingendo di imbronciarsi come un
bambino. «Se non sbaglio, avevamo stabilito che possiamo provare anche
sensazioni piacevoli. Finora ne abbiamo dette solo di tremende.»
Axel
sembrava sollevato dal fatto che lui stesse ancora partecipando al gioco. Era
ovvio che non avrebbe mai voluto rattristarlo.
Era
un vero amico.
«Giusto, hai
ragione» ridacchiò. «Dai, dimmene una piacevole.»
Roxas
ci pensò su per un attimo.
«Divertimento.»
Axel
riprese immediatamente a ridacchiare.
«Beh»
esordì, «mi viene in mente la solita scenetta che si ripete spesso:
Demyx che semina la confusione tra gli esperimenti di Vexen...»
«Sì»
sorrise Roxas, «e Vexen che lo rincorre urlando e minacciando di
distruggere il suo Sitar...»
«...
E Demyx che puntualmente va a cercare Xaldin o Lexaeus per nascondersi dietro
uno dei due...»
«...
E loro che puntualmente se lo
scrollano di dosso imprecando...»
«...
E Vexen che corre a chiedere manforte a Xemnas...»
«...
E lui che maledice entrambi...»
«...
E le urla che echeggiano per tutto il Castello...»
A
quel punto si rotolavano dalle risate, letteralmente.
Roxas
si ritrovò di nuovo a braccia aperte nell’erba, ansante, ma
stavolta sereno e allegro come non mai.
«Lo
ammetto» disse infine Axel al suo fianco, il respiro affannoso,
«è una sensazione decisamente molto
piacevole. Tocca a me.» Gli rivolse un altro sguardo divertito.
«Cos’è che dicevi, prima...? Ah, sì: amicizia e
affetto.»
Roxas
sorrise.
«Beh...
Direi che questo mi fa pensare a Xion...»
Axel
inarcò un sopracciglio. Roxas rise di nuovo.
«E
anche a te, idiota.»
«Ecco,
va già meglio.» Axel si sollevò sui gomiti e protese una
mano, scostandogli lentamente i capelli dagli occhi. «Ti vengono in mente
altri sentimenti piacevoli, numero XIII?» chiese sorridendogli.
Il
contatto delle sue dita sul proprio viso lo turbò.
Un
momento... Cosa stava succedendo?
Perché
gli sembrava che ci fosse qualcosa di non
detto negli occhi di Axel?
Distolse
lo sguardo. Concentrati, Roxas. Il gioco
continua. Un altro sentimento piacevole...
«Ci
sarebbe qualcos’altro...» mormorò finalmente, esitando un
po’.
«Sarebbe
a dire?»
Roxas
rivolse un sorrisetto sognante al cielo su di sé, poi chiuse gli occhi.
«Dicono
che si senta dritto nel cuore. Ma non penso sia proprio così. A quanto
pare i sintomi sono vuoti allo stomaco, testa che gira, mani e gambe che tremano...
Alla fin fine credo che il cuore non c’entri poi così
tant...»
Un
tocco leggero sulle labbra lo costrinse ad interrompersi.
Era
un sapore non suo, accompagnato da un respiro non suo. Una fiammata di calore
gli invase il corpo. Aprì di colpo gli occhi.
Axel
si ritrasse, interrompendo il bacio e guardandolo apertamente.
«Intendevi
questo?» bisbigliò, ad un soffio dal suo viso.
Roxas
si perse in quei suoi magnetici occhi verdi. Vuoto allo stomaco, testa che gira, mani e gambe che tremano... I
sintomi erano quelli.
E
improvvisamente, seppe che tutto era giusto così.
«Sì»
mormorò, ricambiando il sorriso. «Credo proprio di
sì.»
Con
un sorriso più ampio, Axel si distese di nuovo accanto a lui e lo
strinse a sé.
«Ci
avrei giurato.»
Roxas
chiuse ancora gli occhi, beandosi di quell’abbraccio e di quel nuovo,
piacevolissimo sentimento che aveva appena scoperto di poter provare...
Il
vuoto che sentiva all’altezza del cuore non sembrava più
così vuoto.
Per
la prima volta da che esisteva, si sentiva completo.
«Axel?»
«Mmm?»
«Facciamo
un altro gioco?»
«Quale?»
«Siamo
in ritardo per la riunione. Facciamo a chi arriva prima?»
Anche un Nessuno sa amare.